la condizione giuridica dello straniero nella

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LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO
NELLA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA
Se il tuo Cristo è ebreo
Se la tua democrazia è greca
Se la tua scrittura è latina
Se i tuoi numeri sono arabi
Se la tua maglietta è cinese
Se le tue vacanze sono slave
Allora il tuo vicino non può essere straniero
(anonimo scritto nella metropolitana di Monaco di Baviera)
Sommario: 1. Premessa – 2. Il riparto di giurisdizione – 3. Le principali questioni di costituzionalità
sollevate dai giudici amministrativi – 4. La disciplina in tema di rilascio e rinnovo del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro – 5. La disciplina in tema di regolarizzazione dello straniero clandestino
– 6. Il procedimento di espulsione dello straniero in via amministrativa – 7. La discrezionalità
amministrativa nella valutazione della ammissibilità dello straniero nel territorio italiano – 8. Le
fattispecie ostative alla legalizzazione di lavoro irregolare – 8.1. Lo straniero espulso per motivi diversi
dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno e la revoca del decreto di espulsione – 8.2. Lo straniero
sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo – 8.3. Lo straniero espulso con
accompagnamento alla frontiera – 8.4. Lo straniero che si trovi nelle condizioni di cui all’art. 13 comma
13 t.u. immigrazione – 8.5. Lo straniero segnalato in base ad accordi o convenzionali internazionali in
vigore in Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato – 8.6. Lo straniero denunciato per
uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381 c.p.p. – 8.7. La presentazione di una falsa dichiarazione di
emersione – 9. Le fattispecie ostative al rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno – 9.1. La
indisponibilità di sufficienti mezzi di sussistenza sufficienti – 9.2. Lo straniero che sia considerato una
minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato – 9.3. Lo straniero condannato per taluni reati
anche a seguito di applicazione di pena su richiesta – 9.4 Lo straniero espulso o che deve essere espulso
– 9.5. Lo straniero segnalato in base ad accordi o convenzioni internazionali – 9.6. Lo straniero che ha
interrotto il soggiorno – 9.7. Il datore di lavoro sottoposto a procedimento penale – 9.8. La
presentazione di documentazione falsa o contraffatta – 10. I provvedimenti di revoca e annullamento, i
dinieghi di rinnovo di permesso di soggiorno e le irregolarità amministrative sanabili – 10.1.
L’applicazione delle regole dei procedimenti di secondo grado – 11. Il patrocinio gratuito dello straniero
nel processo amministrativo.
1. PREMESSA
Il fenomeno migratorio in Italia, esiste da molti decenni, ma è esploso solo verso gli inizi degli
anni ’90. Per tale ragione da quell’epoca la materia ha iniziato ad essere oggetto di una disciplina più
organica, poiché fino ad allora le immigrazioni venivano considerate, per lo più, un problema di ordine
pubblico e sicurezza nazionale, e, per questa ragione, restavano disciplinate dalle disposizioni del testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al R.D. 18 giugno 1931 n. 773, e dal relativo regolamento di
cui al R.D. 6 maggio 1940 n. 635.
Dagli anni novanta in poi è emersa la esigenza di introdurre una disciplina peculiare, per
regolamentare meglio il fenomeno dei flussi migratori, e, lo sforzo di introdurre una regolamentazione
uniforme si è tradotto, in un primo momento, in interventi frammentari e non sempre idonei a risolvere
le problematiche emergenti nel settore.
La legislazione italiana sulla immigrazione si è quindi evoluta verso la ricerca, non agevole, di un
giusto equilibrio tra le più esigenze esistenti nel settore, non sempre conciliabili, ma di pari rilievo
giuridico e sociale.
1
In particolare, si imponevano esigenze prioritarie di ordine pubblico legate alla
regolamentazione dei flussi migratori, al controllo della immigrazione clandestina, dei fenomeni
criminali connessi ai traffici di clandestini, e, nello stesso tempo, esigenze di solidarietà sociale di alto
valore civile volte a consentire l’integrazione del cittadino straniero all’interno del tessuto sociale.
Il primo corpo unico di norme in tema di immigrazione è stato introdotto con il D.L. n. 416 del
30 dicembre 1989, convertito in L. 28 febbraio 1990 n. 39, recante “norme urgenti in materia di asilo
politico di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini
extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello Stato”
Successive modifiche sono intervenute con il D.L. n. 1987 del 1993, convertito nella L. 12
agosto 1993 n. 296 recante “nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonché di espulsione
dei cittadini stranieri”, e con la L. 30 settembre 1993 n. 388 con cui è stato ratificato l’accordo di
Schengen firmato a Parigi il 27 luglio 1990.
Attualmente, la disciplina sulla immigrazione di cui alla L. 6 marzo 1998 n. 40 è stata trasfusa nel
testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
giuridica dello straniero di cui al D.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998.
Nella normativa del testo unico di cui al D.lgs. n. 286 del 1998, all’art. 1, sono riconosciuti allo
straniero i diritti fondamentali della persona previsti dalle norme interne, dalle convenzioni
internazionali, e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.
Tra i diritti fondamentali riconosciuti allo straniero dal nostro ordinamento, ve ne sono alcuni di
rango costituzionale e, precisamente, il diritto di asilo politico garantito dall’art. 10, comma 3, Cost.
laddove allo straniero sia impedito, nel suo paese di origine, l’esercizio delle libertà riconosciute in un
ordinamento giuridico democratico, ed il divieto di estradizione per reati politici stabilito dalla stessa
norma al comma 4.
I diritti fondamentali della persona, in quanto costituenti prerogative fondamentali di rango
primario, tutelate dalla Carta Cost. e dalle Convenzioni internazionali, sono riconosciuti indistintamente
a tutti gli stranieri, sia che soggiornino regolarmente in Italia, sia che si trovino in condizioni di
clandestinità.
Agli stranieri in posizione regolare è garantita una più ampia gamma di posizioni soggettive
poiché agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia sono riconosciuti, altresì, i diritti attribuiti ai
cittadini italiani, salvo che la legge non disponga diversamente in modo espresso. Ci si riferisce, ad
esempio, al diritto alla iscrizione anagrafica, al diritto alla instaurazione di un rapporto di lavoro, al
rilascio del permesso di soggiorno secondo uno dei titoli ammessi dall’ordinamento, al diritto alla
iscrizione ad ordini e collegi professionali, al diritto allo studio anche universitario, alla partecipazione ai
programmi di accoglienza, all’accesso alle misure di integrazione sociale, al diritto alla tutela contro le
discriminazioni razziali o religiose, al diritto alla assistenza sociale, al diritto di accedere alla difesa
d’ufficio nei giudizi ed al patrocinio a spese dello Stato, alla facoltà di concorrere nella assegnazione di
alloggi sociali, ed a concorrere nella edilizia residenziale pubblica.
Sotto il profilo delle fonti, la materia della immigrazione è inoltre contrassegnata da una pluralità
di convenzioni di diritto internazionale, ratificate con legge all’interno del nostro ordinamento, la cui
ispirazione comune risiede nell’obiettivo di eliminare ogni forma di discriminazione razziale all’interno
del territorio nazionale, sì da assicurare il riconoscimento e la tutela dei diritti e delle libertà
fondamentali nei confronti di ogni straniero.
Con il Trattato istitutivo della Comunità economica europea del 25 marzo 1957, ratificato con
L. 14 ottobre 1957 n. 1203, è stato introdotto il principio di libera circolazione delle persone all’interno
del territorio comunitario, in assenza di frontiere interne. Tale principio, originariamente, era restato
livello di mera enunciazione, poiché, nell’immediato, non vennero emanate le direttive ed i regolamenti
attuativi al fine di disciplinare l’ingresso, i controlli alle frontiere e l’esercizio del diritto d’asilo. Peraltro,
sotto il profilo soggettivo, la libertà di circolazione a livello comunitario era stata introdotta perché il
sistema economico restasse libero da vincoli statali sicchè, essa era, per lo più, rivolta ai soggetti
economici più che a tutti i cittadini comunitari.
Per estendere l’ambito di operatività della libertà di circolazione, prima della approvazione delle
direttive e dei regolamenti comunitari, alcuni Stati europei e precisamente la Francia, la Germania,
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l’Olanda, il Belgio, ed il Lussemburgo, sottoscrissero, in data 14 giugno 1985, l’Accordo di Schengen
con cui si impegnavano a creare uno spazio comune ove attuare il libero transito delle persone e delle
merci attraverso la eliminazione dei controlli alle frontiere.
L’Accordo di Schengen è stato successivamente sottoscritto anche da altri Stati membri delle
Comunità europee, e precisamente dall’Italia nel 1990, dalla Spagna nel 1991, dalla Grecia nel 1992,
dall’Austria nel 1995, dalla Svezia nel 1996, dalla Finlandia e dalla Danimarca nel 1996, nonché anche da
Stati non aderenti alla Unione Europea, quali Islanda e Norvegia.
Gli obiettivi contenuti nell’Accordo Schengen sono stati poi trasfusi in una Convenzione di
applicazione dell’accordo medesimo, sottoscritta il 19.06.1990, ed in un successivo Protocollo di
adesione. Ivi si è prevista la soppressione dei controlli alle frontiere e la libera circolazione delle persone
e delle merci, la cooperazione fra forze di polizia ed autorità giudiziaria in materia penale,
l’armonizzazione della legislazione sui visti, la creazione di un sistema informativo Schengen per
consentire la circolazione delle informazioni fra gli Stati aderenti, nonché per contrastare il traffico di
stupefacenti, armi esplosivi e per contrastare la criminalità in generale.
Protocollo ed Accordo di adesione sono stati ratificati in Italia con la L. n. 388 del 1993 innanzi
richiamata. All’interno del territorio appartenente agli Stati firmatari dell’accordo definito “Spazio
Schengen”, i cittadini vengono distinti tra “stranieri” ossia soggetti appartenenti a Stati non firmatari, e
“non stranieri”, quali i soggetti appartenenti a Stati firmatari della Convenzione.
Per entrare all’interno dello Spazio Schengen lo straniero è sottoposto ai controlli di frontiera, è
tenuto a munirsi di un passaporto valido o documento di viaggio similare, di un visto d’ingresso per i
soggiorni di breve durata, e deve detenere sufficienti mezzi di sostentamento per il periodo di soggiorno
previsto.
All’interno dello spazio Schengen è riconosciuta libertà di circolazione allo straniero che sia
detentore di un permesso di soggiorno rilasciato da uno degli Stati aderenti alla convenzione.
Il Servizio di Informazioni Schengen confluisce in una banca dati, la cui consultazione consente
di sapere se a carico dello straniero vi è stata una segnalazione all’interno del territorio Schengen. Ciò
può accadere e qualora lo straniero sia stato espulso da uno degli Stati membri dello Spazio Schengen,
sicchè in tal caso egli sarà segnalato tramite automatico inserimento nella banca dati del Servizio di
Informazione. L’inserimento in questa banca dati impedisce allo Stato membro di consentire l’ingresso
ed il soggiorno dello straniero all’interno del proprio territorio e, qualora lo Stato intenda derogare a tale
divieto, dovrà avvisare gli altri Stati e rilasciare un visto la cui efficacia resta comunque limitata al
territorio dello Stato emanante, oppure dovrà seguire una particolare procedura al fine di ottenere il
ritiro della segnalazione, ove ne ricorrano i presupposti.
2. IL RIPARTO DI GIURISDIZIONE
L’art. 2, comma 5, del D.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce che allo straniero è riconosciuta parità di
trattamento rispetto al cittadino, per ciò che concerne la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi
legittimi nei rapporti con la Pubblica amministrazione, e, nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei
modi previsti dalla legge. Tale norma quindi introduce una riserva di legge in tema di tutela
giurisdizionale delle posizioni soggettive degli stranieri, nel senso che i modi e le forme di tutela sono
rimessi alla scelta del legislatore nazionale.
Nella normativa sulla immigrazione, il legislatore ha esercitato la discrezionalità riconosciuta
dalla legge assegnando le controversie in cui sia parte uno straniero secondo i tradizionali criteri di
riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
Sicchè, secondo i parametri dettati dall’art. 113 Cost., sono rimesse al giudice amministrativo le
questioni in cui si prospetti un interesse legittimo dello straniero ad un corretto esercizio della funzione
amministrativa nell’adozione dei provvedimenti in tema di ingresso e permanenza nel territorio dello
Stato. Restano invece riservate al giudice ordinario le questioni in cui si controverta del riconoscimento
in favore dello straniero di un diritto soggettivo.
Da taluno si è dubitato della legittimità costituzionale di siffatto impianto normativo ritenendo
la irrazionalità della scelta legislativa di mantenere un doppio binario di giurisdizione in una materia che,
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per ragioni di speditezza, economicità e coerenza, avrebbe meritato di restare concentrata all’interno di
una giurisdizione unica.
La questione è stata fatta oggetto di incidente di costituzionalità da parte del Tribunale
Amministrativo Regionale della Sicilia, sezione Catania, con ordinanza del 29 novembre 2000, nella
parte in cui la normativa sulla immigrazione non devolveva la intera materia ad un unico giudice e,
segnatamente, al giudice amministrativo. La Corte cost. con sentenza n. 414 del 18 dicembre 20011 ha
ritenuto non fondata la questione di costituzionalità sollevata, poiché ha affermato che rientra nella
discrezionalità del legislatore ripartire, a seconda della tipologia e del contenuto dell’atto, la giurisdizione
tra il giudice amministrativo ed il giudice ordinario, conferendo anche un eventuale potere di
annullamento secondo gli effetti previsti dalla legge , ed ha chiarito che non esiste sul piano
costituzionale una esigenza inderogabile per cui, una volta iniziato un giudizio tra due soggetti, tutti i
rapporti e le pretese successive debbano subire una concentrazione (non prevista dalla procedura)
avanti ad un unico giudice , in deroga ad ogni diversa previsione di riparto di giurisdizione ed al
principio di precostituzione del giudice. Pertanto, ha aggiunto la Corte: “ deve escludersi una palese
irragionevolezza nella scelta discrezionale del legislatore di attribuire alla giurisdizione ordinaria la tutela
nei riguardi dei provvedimenti di espulsione aventi implicazioni sulla libertà personale, non potendosi
neanche prefigurare, in presenza di un sistema che prevede una effettiva ed ampia possibilità di tutela
per tutti i provvedimenti che possono ledere un soggetto, ripartendola tra distinti procedimenti
giurisdizionali, una violazione dell’art. 24 Cost.”.
E’ rimesso alla cognizione del giudice ordinario il contenzioso relativo ai provvedimenti relativi
all’unità familiare2. Ed infatti, ai sensi dell’art. 30 del testo unico, contro il diniego del nulla osta al
ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri
provvedimenti dell’autorità amministrativa in materia di diritto all’unità familiare, l’interessato può
presentare ricorso al tribunale del luogo in cui risiede, il quale provvede, sentito l’interessato, secondo la
procedura di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. Il decreto che accoglie il ricorso può disporre il rilascio del
visto anche in assenza del nulla osta.
Per i minori stranieri è riconosciuta una specifica tutela giurisdizionale innanzi al Tribunale dei
minori che, in deroga alle leggi vigenti, può autorizzare l’ingresso in Italia di un familiare del minore che
abbia bisogno di cure mediche. Al Tribunale dei minori è rimessa altresì la competenza in materia di
emissione di decreti di espulsione di minori, su motivata richiesta del Questore. Nei confronti dei
minori stranieri non accompagnati è prevista poi la competenza dell’Autorità Giudiziaria ordinaria per il
rilascio del nulla osta al provvedimento con cui il Comitato per i Minori stranieri, istituito presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, adotti un provvedimento di rimpatrio del minore, ma tale nulla
osta è richiesto solo qualora nei confronti del minore straniero sia pendente un procedimento
giurisdizionale.
L’art. 44 del D.lgs. n. 286 del 1998 disciplina poi la c.d. azione civile contro le discriminazioni,
quando, nel caso di discriminazione per motivi razziali, etnici, o religiosi, si intenda ottenere dal giudice
civile un provvedimento che ordini la cessazione del comportamento pregiudizievole e l’adozione di
ogni altro provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere la discriminazione. La
competenza è rimessa al Tribunale in composizione monocratica che, con la decisione definitiva, potrà
altresì condannare il convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale.
Al giudice ordinario è poi rimesso il contenzioso sullo status di rifugiato, in quanto l’art. 1 bis
del D.L. 30 dicembre 1989 n. 416 conv. in L. 28 febbraio 1990 n. 39 rimette al tribunale in
composizione monocratica la decisione del ricorso avverso le decisioni delle commissioni territoriali
competenti a definire le istanze di riconoscimento dello status di rifugiato e di asilo politico.
In passato la giurisdizione in tema di riconoscimento dello status di rifugiato era stata attribuita
al giudice amministrativo dall’art. 5, comma 2, del D.L. n. 416 del 1989.
Foro It., 2002, I, p. 1291.
Sussiste il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo quanto alle vertenze relative al permesso di soggiorno per
famiglia ex art. 30, D.lgs. n. 286 del 1998, spettanti alla cognizione del tribunale civile C.d.S. sez.IV 19 aprile 2003 n.1480
FACdS 2003,923.
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Poi, per dirimere i contrasti giurisprudenziali in precedenza sorti sul riparto di giurisdizione,
l’art. 5, comma 2, del D.L. n. 416 del 1989 è stato abrogato dall’art. 46 della L. n. 40 del 1998, e la
giurisdizione ordinaria è stata sancita dall’art. 1 quater, comma 5, del D.L. 416 del 1989, introdotto dalla
legge n. 30 luglio 2002 n. 189.
Sono riservati, inoltre, alla giurisdizione del giudice ordinario i ricorsi avverso i decreti di
espulsione prefettizia ed i provvedimenti resi sulle istanze di revoca (art. 13).
Al riguardo, erano sorti alcuni dubbi quanto alla individuazione del giudice dotato di
giurisdizione nel caso di impugnazione di provvedimenti aventi ad oggetto dinieghi di revoca di decreti
di espulsione. Il problema si era posto proprio in quanto il legislatore ha rimesso alla cognizione del
giudice ordinario i ricorsi avverso i decreti di espulsione, trattandosi di provvedimenti incidenti
direttamente su un diritto fondamentale di rango costituzionale qual’è la libertà personale. Tali dubbi
sono ora superati in seguito alla pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite 21 febbraio 2002 n.
2513 che ha riconosciuto la giurisdizione del giudice ordinario3.
In sede di impugnazione avverso decreto di espulsione innanzi al giudice ordinario, al giudice
medesimo è demandato il compito di effettuare una verifica di legittimità del decreto di espulsione, nel
senso di verificare se ricorrano i presupposti per la emissione del provvedimento. Di qui consegue che,
laddove la espulsione trovi il suo presupposto in un precedente provvedimento amministrativo di
contenuto negativo la cui cognizione è devoluta alla giurisdizione amministrativa, resta esclusa la
possibilità del giudice ordinario di estendere la sua valutazione alla ricorrenza dei presupposti di merito
nella adozione del decreto.
In caso di espulsione con accompagnamento coattivo, l’art. 13 comma 5 bis, come riformulato
dalla L. 12 dicembre 2004 n. 271, stabilisce che il Questore comunica immediatamente, e, comunque
entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il
provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera, la cui esecuzione resta
sospesa, fino alla emanazione del provvedimento sulla convalida che deve intervenire entro le
successive quarantotto ore.
A sua volta, l’art. 14 stabilisce che, nei casi in cui non sia possibile eseguire con immediatezza
l’accompagnamento coattivo, il Questore può disporre il trattenimento dello straniero per il tempo
strettamente necessario presso un centro di permanenza temporaneo ed anche in tal caso, come per la
espulsione, trasmette entro quarantotto ore copia degli atti al giudice di pace competente per la
convalida.
Alla regola della impugnabilità della espulsione innanzi al giudice ordinario, fanno eccezione i
casi in cui la espulsione sia stata disposta per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, nel
qual caso, il decreto ministeriale, adottato ai sensi dell’art. 13 comma 1 del D.lgs. n. 286 del 1998, va
impugnato innanzi al T.A.R. del Lazio, sede di Roma, ai sensi del comma 11 dell’art. 13 it.
Ed ancora, alla giurisdizione del giudice amministrativo sono rimessi i ricorsi avverso i decreti di
espulsione emessi per motivi di prevenzione del terrorismo ai sensi dell’art. 3 del D.L. 27 luglio 2005
n.144, convertito in L. 31 luglio 2005 n. 155, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo
internazionale. Nei confronti di questi provvedimenti di espulsione non è ammessa la sospensione della
esecuzione in sede giurisdizionale, ai sensi dell’art. 21 della L. n. 1034 del 1971.
Cass. SS. UU. 21 febbraio 2002 n. 2513 in Corriere Giur. 2003, 1, 40 con nt. di V. Severi, Competente il giudice ordinario in
materia di ricorso contro il provvedimento prefettizio di diniego dir evoca del decreto di espulsione. In tal senso anche
C.d.S. sez. IV, 13 aprile 2005, n. 1693 secondo cui: “il provvedimento di reiezione dell'istanza di revoca di precedente ordine
di espulsione è assimilabile, per natura, funzione ed incidenza sui diritti dello straniero, al provvedimento d'espulsione, ed
inoltre, al pari di quest'ultimo, non integra esercizio di discrezionalità amministrativa, dato che, nella disciplina dell'art. 13 del
D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (modificato dalla L. 30 luglio 2002, n. 189), l'espulsione mediante atto del Prefetto, a differenza
di quella disposta dal Ministro dell'Interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, è specificamente
regolata, e configura, in presenza delle condizioni all'uopo stabilite, atto dovuto. Considerato, pertanto, che pure il diniego
della revoca dell'espulsione sia sindacabile dinanzi al giudice ordinario, nella sede e nei modi contemplati per l'impugnazione
del provvedimento d'espulsione dall'ottavo comma del predetto art. 13 (sostituito dall'art. 12 della L. 30 luglio 2002 n. 189) e
dal successivo art. 13 bis, introdotto dall'art. 4 del D.lgs. 13 aprile 1999 n. 113 (cfr., in termini, da ultimo, Cass. civ., SS.UU.,
12 gennaio 2005 n. 384, nonché 21 febbraio 2002 n. 2513 e 29 aprile 2003 n. 6635)”.
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Alla giurisdizione del giudice amministrativo, sono rimesse, inoltre, le impugnazioni avverse, gli
atti che comportano esercizio di discrezionalità amministrativa e, pertanto, vanno impugnati innanzi al
T.a.r. i provvedimenti in materia di rilascio, diniego, rinnovo, ritiro, revoca o annullamento di permesso
di soggiorno, le impugnazioni avverso i decreti di espulsione motivati da ragioni di ordine pubblico ed
emessi dal Ministro dell’interno, ed inoltre, i ricorsi avverso i provvedimenti di diniego di
riconoscimento della qualità di profugo ai sensi della L. 26 dicembre 1981 n. 763, o di diniego di
protezione temporanea agli sfollati ai sensi del D.lgs. 7 aprile 2003 n. 85, il contenzioso in materia di
respingimento e di espulsione di cittadini albanesi, ai sensi della L. 19 maggio 1997 n. 128.
Con riferimento alle impugnazioni avverso i dinieghi di visto di soggiorno, dopo alcune
esitazioni, la giurisprudenza della Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione del giudice amministrativo,
poiché il diniego di visto, al pari del diniego della revoca o del mancato rinnovo del permesso di
soggiorno, è subordinato alla valutazione della sussistenza dei requisiti soggettivi e delle condizioni
internazionali, sicchè il suo rilascio è assoggettato ad una valutazione discrezionale della Pubblica
Amministrazione, rispetto alla quale si configura in capo allo straniero una posizione di interesse
legittimo. Peraltro, ha osservato la Corte, il rilascio del visto è pregiudiziale al rilascio del permesso di
soggiorno ed è subordinato ad una verifica del tutto assimilabile, quanto a requisiti e presupposti, a
quella che precede il rilascio del permesso di soggiorno4.
Con riferimento ai casi di instaurazione del rito del silenzio, secondo l’orientamento ormai
consolidato della giurisprudenza amministrativa, il rito può essere instaurato solo qualora si verta in
presenza di pretese sostanziali che si collochino nell’alveo della giurisdizione amministrativa. Da ciò
consegue, che il rimedio previsto dall'art. 2, L. 21 luglio 2000 n. 205 avverso il silenzio serbato
dall'Amministrazione è esperibile, in sede di ricorso dinanzi al giudice amministrativo, solo nel caso in
cui questi abbia giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta rimasta inevasa5. Pertanto,
qualora si intenda contestare la omessa pronuncia rispetto ad una istanza di rilascio di permesso di
soggiorno o di legalizzazione di lavoro irregolare, la giurisdizione indubitabilmente sarà devoluta al
giudice amministrativo. Diversamente, il giudice amministrativo difetta di giurisdizione qualora si
intenda far valere la omessa pronuncia in ordine ad una richiesta di revoca di un decreto di espulsione.
In tal caso, le relative controversie dovranno essere portate alla cognizione del giudice ordinario6.
Una ipotesi dubbia, quanto alla individuazione del giudice dotato di giurisdizione, riguarda il
caso del permesso di soggiorno temporaneo rilasciato dal questore, quando lo stranero invochi il diritto
di asilo politico, ove la L. n. 189 del 2002 nulla dice.
3. LE
PRINCIPALI QUESTIONI DI COSTITUZIONALITÀ SOLLEVATE DAI GIUDICI
AMMINISTRATIVI
La normativa in materia di immigrazione, nonché quella più specifica in tema di
regolarizzazione di lavoro irregolare dello straniero, è stata, a più riprese, oggetto di attenzione da parte
dei giudici ordinari ed amministrativi che hanno ripetutamente sollecitato l’intervento della Corte cost.
per sindacarne la compatibilità e conformità a Costituzione.
Una delle principali questioni sollevate innanzi alla Corte cost. ha riguardato l’art. 1 comma 8
lettera c) del D.L. 9 settembre 2002 n. 195, recante disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del
lavoro irregolare di extracomunitari convertito, con modificazioni, nella L. 9 ottobre 2002 n. 222, e
dell’art. 33 comma 7 lettera c) della L. 30 luglio 2002 n. 182 recante modifica alla normativa in tema di
immigrazione, di cui era stato denunciato, a vario titolo, il contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 24, 27 e 111
Cost.. Nei giudizi a quo, le questioni di costituzionalità erano state sollevate da alcuni giudici
amministrativi in relazione ad impugnazioni di dinieghi di legalizzazione di lavoratori extracomunitari,
nonché da alcuni giudici ordinari in relazione alla impugnazione di decreti di espulsione.
Le censure di incostituzionalità ivi sollevate si erano concentrate sulla normativa che precludeva
la legalizzazione di lavoratori extracomunitari in posizione irregolare in presenza di una semplice
Cass. Civ. SS.UU. 27 gennaio 2004 n. 1417.
C.d.S. sez. V, 29 aprile 2003, n. 2196.
6 Cass. SS.UU. 21 febbraio 2002 n. 2513, Giust. Mass. 2002, p. 270.
4
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denuncia per uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. che disciplinano i casi in cui gli ufficiali ed
agenti di polizia giudiziaria procedono all’arresto obbligatorio o facoltativo in fragranza di reato. I
profili di incostituzionalità prospettati concernevano, a vario titolo, la violazione dei diritti inviolabili
dell’uomo di cui all’art. 2 Cost., laddove il diniego del permesso di soggiorno e la conseguente
espulsione restavano ancorate alla sola denuncia penale per uno dei reati tipizzati, in assenza di una
verifica, anche sommaria, di fondatezza della medesima.
Veniva, altresì, prospettata la violazione dell’art. 3 Cost, poiché erano indiscriminatamente
parificati i reati per i quali l’arresto è obbligatorio da quelli per cui è invece facoltativo, in violazione dei
principi di proporzionalità ed adeguatezza.
Sotto altro profilo, si denunciava la violazione del diritto di difesa garantito dall’art. 24 comma 1
Cost. poiché l’interessato non era posto in grado di opporsi alla semplice denuncia, ed il contrasto con
gli artt. 27 e 111 Cost. poiché risultava violata la presunzione di innocenza sino alla condanna definitiva.
Ulteriori profili di incostituzionalità sono stati sollevati per violazione dell’art. 35 Cost., poiché
la normativa incideva in maniera grave e definitiva sul diritto al lavoro, per violazione dell’art. 41 Cost.
laddove il datore di lavoro veniva costretto a rinunciare a mantenere alle proprie dipendenze il
lavoratore extracomunitario da lui scelto; per violazione dell’art. 97 Cost. perché la scelta dei lavoratori
da ammettere alla sanatoria avveniva secondo criteri che non assicuravano la imparzialità della pubblica
amministrazione.
Ancora, veniva prospettata la violazione dell’art. 13 Cost. poiché, da una semplice denuncia
penale, derivava una lesione del diritto dello straniero alla libertà personale, per contrasto con l’art. 16
Cost. per lesione del diritto alla libera circolazione, per violazione degli artt. 2 e 29 Cost. stante il
sacrificio del diritto alla unità familiare.
Tale essendo il panorama delle questioni proposte, la Corte cost., con sentenza n. 78 del 2005,
ha accolto le questioni sollevate ritenendo fondata la violazione dell’art. 3 Cost., e, pur riconoscendo
che rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione dei requisiti di ingresso nel territorio
dello Stato di lavoratori extracomunitari, ha stabilito che l’esercizio della discrezionalità legislativa in
questa materia deve essere comunque esercitata in mondo conforme a criteri di intrinseca
ragionevolezza. Sulla base di tali premesse la Corte ha accolto le questioni prospettate ritenendo
fondato il contrasto della normativa denunciata con l’art. 3 Cost., nella parte in cui il rigetto della istanza
di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario derivava automaticamente dalla presentazione nei
suoi confronti di una denuncia per uno dei reati per i quali gli artt. 380 e 381 c.p.p. prevedono l’arresto
obbligatorio o facoltativo in flagranza. In sostanza, ha osservato la Corte: “La denuncia, comunque
formulata, ancorché contenga l’espresso riferimento ad una o più fattispecie criminose, è atto che nulla
prova riguardo alla colpevolezza od alla pericolosità del soggetto indicato come autore degli atti che il
denunciante riferisce. Essa obbliga soltanto gli organi competenti a verificare se e quali dei fatti esposti
in denuncia corrispondano alla realtà e se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad
accertare se sussistano le condizioni per l’inizio di un procedimento penale”.
In sostanza, ciò che è stato colpito dalla Corte cost. è stato l’automatismo delle conseguenze
ricollegate alla sola denuncia, che era già stato ritenuto contrastante con il principio di ragionevolezza,
in una precedente pronuncia, e precisamente Corte cost. n. 173 del 1997, con cui era stata dichiarata la
incostituzionalità dell’art. 47 ter ultimo comma della L. 26 luglio 1975 n. 354 sull’istituto della
detenzione domiciliare7.
Corte cost. 13 giugno 1997 n. 173 in Giur. Cost. 1997, p. 1750 : È costituzionalmente illegittimo l'art. 47 ter, comma ultimo,
della L. 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative
della libertà), nella parte in cui fa derivare automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione
di una denuncia per il reato previsto dal comma 8 dello stesso articolo (la Corte ha ritenuto la disposizione censurata in
contrasto tanto con il principio di ragionevolezza che con quelli della funzione rieducativa della pena e della tutela della
salute individuale. Spetterà dunque al magistrato di sorveglianza - ha concluso la Corte - verificare, caso per caso, se la
condotta posta in essere dal condannato, ed in ordine alla quale è stata presentata denuncia per evasione, presenti le
caratteristiche, soggettive ed oggettive, di una non giustificabile sottrazione all'obbligo di non allontanarsi dalla propria
abitazione o dal luogo altrimenti indicato ai sensi dell'art. 47 ter ordinamento penitenziario, disponendo quindi soltanto in
ipotesi di positivo riscontro la sospensione della misura alternativa. Decisione, quest'ultima, che, proprio perché derivante da
un apprezzamento di merito della situazione di specie, necessariamente dovrà essere adottata con le forme del
provvedimento motivato).
7
7
La Corte Cost. è stata chiamata a pronunciarsi su altre numerose questioni sollevate in ordine
alla compatibilità costituzionale della normativa in esame, e di esse, ne esamineremo in questa sede, solo
alcune e precisamente quelle sollevate da alcuni giudici amministrativi.
In un giudizio avente ad oggetto la impugnazione del provvedimento di revoca del permesso di
soggiorno a seguito della condanna con sospensione della pena riportata per violazione degli artt. 81
cpv e 73 D.P.R. n. 309 del 1990, il Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia-Giulia, con
ordinanza n. 558 del 22 settembre 20058, ha sollevato questione di costituzionalità - per violazione degli
artt. 3, 4, 13 e 16 Cost. - della disciplina di cui all’art. 4 comma 3 del D.lgs. n. 286 del 1998 come
sostituito dall’art. 4 comma 1 della L. n. 189 del 2002, applicato in correlazione ai successivi artt. 5,
comma 5 e 13 comma 2 lett. b). Le norme censurate sono state denunciate per irragionevolezza e
disparità di trattamento nella parte in cui pongono quale elemento ostativo all’ingresso ed alla
permanenza in Italia dello straniero la condanna per determinati reati senza imporre l’ulteriore verifica
della pericolosità sociale dello stesso. Il giudice a quo, nel motivare la questione, ha richiamato la
pronuncia di incostituzionalità n. 58 del 24 febbraio 19959 con cui la Corte cost. aveva dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 86 comma 1 del T.U. 9 ottobre 1990 n. 309, per violazione dell’art. 3
Cost., laddove obbligava il giudice ad emettere, senza l’accertamento della sussistenza in concreto della
pericolosità sociale – prevista in via generale dall’art. 31 della L. n. 663 del 1986 – contestualmente alla
condanna, l’ordine di espulsione dello straniero per uno dei reati in materia di stupefacenti con
conseguente preclusione della sospensione condizionale della pena , mentre, per le altre ipotesi di
espulsione ex artt. 235 e 312 c.p. al giudice viene consentita la valutazione in concreto della pericolosità
sociale dello straniero condannato. Al riguardo il giudice ha ravvisato la rilevanza della questione
ritenendo una illegittima disparità di trattamento, in presenza dei medesimi presupposti, tra il
meccanismo di applicazione della espulsione ad opera del giudice penale quale misura di sicurezza, e la
espulsione quale misura amministrativa. Ad avviso del giudice remittente, pur essendo diverse le
situazioni ed i procedimenti predetti (l’uno giurisdizionale e l’altro amministrativo) appare necessario, al
fine di garantire il rispetto dell’art. 3 Cost., attribuire la medesima rilevanza allo stesso provvedimento
(condanna per determinati reati) che costituisce, in ultima analisi, presupposto per l’espulsione,
indipendentemente dal fatto che la espulsione venga disposta nella sede amministrativa o giurisdizionale
poiché: “in entrambi i contesti, identici risultano i conseguenti risultati, consistenti nell’allontanamento
dello straniero dal territorio italiano e la conseguente impossibilità di esercitare i diritto e godere delle
libertà che la Carta costituzionale riconosce all’individuo”.
Le altre principali questioni di costituzionalità sollevate hanno investito la normativa in tema di
legalizzazione di lavoro irregolare di extracomunitari di cui al D.L. 195 del 2002 conv. in L. n. 222 del
2002.
Con ordinanza del 19 aprile 2005, pubblicata su G.U. n. 26 del 29 giugno 2005, il T.a.r. per la
Lombardia, sezione Brescia, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt.
3, 24 e 11 Cost., la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 8 lettera a) del D.L. 9
settembre 2002 n. 195, nella parte in cui preclude la regolarizzazione, nonché la revoca del decreto di
espulsione, qualora lo straniero sia stato in precedenza espulso con accompagnamento coattivo alla
frontiera. Il giudice amministrativo ha ritenuto che tale previsione contrasti con i principi di
ragionevolezza e parità di trattamento rinvenibili nell’art. 3 Cost, nonché con il diritto di difesa tutelato
dall’art. 24 Cost., in quanto l’accompagnamento coattivo è di per sé inidoneo a distinguere ed
evidenziare la posizione sostanziale o la pericolosità sociale dello straniero che ne resta colpito. Nella
motivazione della ordinanza il T.a.r. Lombardia, dando atto che la medesima questione era stata
sollevata con ordinanza T.A.R. Lecce n. 251 del 31 marzo 2003 e ritenuta inammissibile per difetto di
rilevanza dalla Corte cost. con ordinanza n. 126 del 25 marzo 2005, ha messo in luce come,
nell’evolversi della normativa disciplinante la espulsione dello straniero, la presenza di un decreto di
espulsione con accompagnamento coattivo non può costituire in ogni caso un utile ed affidabile
parametro di valutazione della pericolosità del soggetto e, quindi, della sua indesiderabilità all’interno del
territorio nazionale. Ha osservato al riguardo il giudice remittente, che le modalità di esecuzione della
8
9
G.U. 23 novembre 2005 n. 147.
Giur.It., 1995, I, 2001.
8
espulsione, con intimazione a lasciare il territorio dello Stato o con accompagnamento coattivo, sono
state recentemente modificate, per cui se in passato l’accompagnamento coattivo, ai sensi dell’art. 13
commi 4 e 5 del D.lgs. n. 286 del 1998, era previsto solo in alcuni casi poiché, di regola, la espulsione
era eseguita “con intimazione ad abbandonare il territorio nazionale”, in seguito alla modifica introdotta
dall’art. 12 comma 1 della L. n. 189 del 2002 la espulsione “con accompagnamento coattivo alla
frontiera” è divenuta la regola, mentre la espulsione con intimazione residua nelle sole ipotesi in cui lo
straniero si sia trattenuto all’interno del territorio dello Stato per più di sessanta giorni, senza chiederne
il rinnovo. Con le ordinanze predette si è messo in luce, quindi, che nell’evolversi della normativa sulla
immigrazione, la espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera rivela situazioni eterogenee
tra loro e, comunque, non necessariamente collegate alla valutazione della personalità e della necessaria
pericolosità del soggetto da allontanare, poiché l’accompagnamento coattivo consente di assicurare la
effettività del provvedimento di espulsione. Sulla base di tali premesse risulta, quindi, irragionevole, ad
avviso del giudice remittente, la preclusione imposta dalla norma che non consente alla amministrazione
di valutare, in presenza di un decreto di espulsione con accompagnamento coattivo, la sopravvenienza
di condizioni che, attestando il reinserimento sociale dell’interessato e, comunque, la affidabilità del
soggetto medesimo, consentano la revoca del decreto espulsivo.
Analoga questione è stata sollevata dal T.A.R. Trentino Alto Adige con ordinanza del 7
dicembre 200410 nonché dal Consiglio di Stato con ordinanza dell’ 1 febbraio 200511, per violazione
dell’art. 3 Cost. nella parte in cui equipara ingiustamente la posizione dello straniero che sia stato
accompagnato alla frontiera a mezzo della forza pubblica per motivi di ordine pubblico e sicurezza
dello Stato, o perché ritenuto socialmente pericoloso, con quella del lavoratore extracomunitario che
non risulti socialmente pericoloso e che si sia semplicemente trattenuto nello Stato oltre il termine
fissato nella intimazione scritta di espulsione, o sia entrato clandestinamente privo di un valido
documento di identità.
Sempre con riferimento alla normativa in tema di legalizzazione, il T.A.R. Campania, sede di
Napoli, con ordinanza n. 544 del 2003 ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 1 comma 8
lettera b) della L. n. 22 del 2002 per violazione dell’art. 3 comma 1 Cost., nella parte in cui esclude la
regolarizzazione di lavoratori extracomunitari che risultino segnalati, anche in base ad accordi o
convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini della ammissione nel territorio dello Stato. Il T.A.R.
rimettente ha osservato che le ragioni della “segnalazione” di cui all’art. 1 comma 8 lettera b) cit., non
sono omogenee tra loro, in quanto possono riguardare sia i casi in cui la presenza di uno straniero
costituisca una minaccia per l’ordine o la sicurezza pubblica (art. 96 comma 2 della Convenzione
applicativa dell’Accordo di Schengen del 19 giugno 1990, resa esecutiva dalla legge 30 settembre 1993 n.
388), sia i casi in cui lo straniero sia stato oggetto di una misura di allontanamento, di respingimento o
di espulsione non revocata, né sospesa, che comporti o sia accompagnata da un divieto di ingresso o
eventualmente di soggiorno, fondata sulla non osservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di
ingresso e soggiorno degli stranieri (art. 96 comma 3 della convenzione applicativa Schengen predetta).
Di qui, viene censurato l’automatismo collegato alla mera segnalazione del lavoratore extracomunitario
cui consegue il respingimento della domanda di legalizzazione, indipendentemente da ogni possibilità di
valutazione discrezionale del caso concreto da parte della amministrazione. Nella motivazione della
ordinanza il giudice a quo dà atto della esistenza dell’orientamento di alcuni giudici amministrativi che
ritengono irrilevante la questione, interpretando le disposizioni censurate in senso conforme a
Costituzione, ossia nel senso che graverebbe a carico della amministrazione italiana l’obbligo di
informarsi preventivamente sulle ragioni della segnalazione. Ma, a parere del giudice a quo, la normativa
non lascia alcun margine di apprezzamento circa la possibilità di rimuovere tale segnalazione, quale che
ne sia la ragione, sicchè ne è sottoposto il vaglio alla Consulta.
Con riferimento alla normativa contenuta nel testo unico sulla immigrazione, il T.A.R. Puglia,
sede di Lecce, con ordinanza dell’ 11 novembre 200412, ha sollevato incidente di costituzionalità dell’art.
26 comma 7 bis del D.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 21 comma 1 della L. n. 189 del 2002, nella
In G.U. n. 11 del 16 marzo 2005.
In G.U. n. 25 del 22 giugno 2005.
12 In G.U. n. 10 del 9 marzo 2005.
10
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parte in cui prevede la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero per lavoro autonomo e
l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, qualora lo
straniero sia stato condannato con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle
disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della L. 22 aprile 1941 n. 633 relativa alla tutela del
diritto di autore. La normativa in questione è stata tacciata di incostituzionalità per irragionevolezza,
poiché il giudizio di pericolosità formulato dal legislatore resta ancorato a condotte dotate di offensività
palesemente diverse, e non certo collimanti con le altre ipotesi cui il legislatore medesimo ricollega
effetti ostativi alla regolarizzazione degli stranieri, quali denunce per reati gravi o comunque inclusi nelle
previsioni di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. . La questione sollevata si presenta di particolare interesse sol
che si consideri che le condotte punibili ai sensi della normativa in tema di diritto di autore sono
estremamente eterogenee tra loro e non tutte riconducibili, quanto a limiti edittali, alle fattispecie di
reato di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. che giustificano il giudizio di pericolosità ex ante formulato dal
legislatore. La questione, decisa unitamente ad altra analoga ordinanza sollevata dal Tribunale di
Taranto, è stata, tuttavia, ritenuta manifestamente inammissibile dalla Corte Cost., mancando una
congrua e corretta motivazione sulla rilevanza della questione stessa nei giudizi "a quibus", non
risultando se gli stranieri siano muniti di permesso di soggiorno o se non siano, invece, titolari di carta
di soggiorno o clandestini e risultando apoditticamente affermato, pur in assenza di giurisprudenza sul
punto, l'inquadramento della misura censurata tra le pene accessorie13.
Da ultimo va menzionata un’altra questione di costituzionalità sollevata dal T.a.r. per l’Umbria
con ordinanza n. 168 del 26 novembre 200414, in riferimento alla normativa sul patrocinio a spese dello
Stato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nella parte in cui non include tra coloro che possono, su
richiesta, essere ammessi al beneficio, lo straniero che abbia impugnato o abbia interesse ad impugnare
un diniego di regolarizzazione, ai sensi della L. n. 222 del 2002. In sostanza, poiché la legge sul
patrocinio a spese dello Stato considera ammissibile al beneficio solo lo straniero che sia regolarmente
soggiornante sul territorio dello Stato al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del
processo da instaurare, ad avviso del giudice remittente, la mancata considerazione del diniego di
regolarizzazione ai fini della ammissione al patrocinio gratuito contrasta con gli artt. 3, 24 e 113 Cost..
Secondo il T.A.R. Umbria la normativa censurata determina un grave pregiudizio alle concrete
possibilità di difesa in giudizio dello straniero, determina una ingiustificata disparità di trattamento nei
confronti di cittadini extracomunitari ed è irragionevole, oltre che contraddittoria, rispetto alla
normativa che consente la sanatoria delle situazioni di clandestinità.
4. LA DISCIPLINA IN TEMA DI RILASCIO E DI RINNOVO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO PER
MOTIVI DI LAVORO
Il fenomeno della immigrazione in Italia è, il più delle volte, riconducibile alla necessità per gli
stranieri, provenienti da aree di paesi in via di sviluppo, di reperire in Italia un reddito proveniente da
lavoro. Ciò ha comportato, recentemente, un radicale mutamento e trasformazione della economia
nazionale e del mercato del lavoro, se si tien conto che alcuni settori lavorativi ove è richiesta per lo più
manodopera sono ormai occupati ampiamente, se non in prevalenza, da lavoratori stranieri.
Tale aspetto, di non scarsa rilevanza per gli effetti che produce sulla economia generale,
costituisce un nodo cruciale negli obiettivi delle politiche migratorie, che vanno periodicamente
aggiornate in relazione all’andamento dei flussi migratori.
Le politiche migratorie, secondo quanto previsto dal testo unico, sono adottate dalle autorità
preposte, attraverso il coinvolgimento e la partecipazione degli organismi maggiormente rappresentativi
a livello istituzionale, ivi comprese le Regioni e gli enti locali, nonché le associazioni nazionali di
assistenza ed integrazione degli immigrati, e le associazioni nazionali di lavoratori e dei datori di lavoro
maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Attraverso la consultazione di siffatti organismi,
ogni tre anni, viene predisposto un documento che detta linee programmatiche sulla politica della
13
14
Corte cost., 4 maggio 2005, n.189, Giur. Cost., 2005, f. 3.
In G.U. del 30 marzo 2005 n. 13.
10
immigrazione e degli stranieri in Italia, che deve indicare, tra l’altro, gli interventi che il nostro Paese
intende svolgere per regolare i flussi migratori e regolamentare quelli clandestini, tenendo conto, in ogni
caso, dei profili umanitari ed assistenziali e dei problemi di integrazione e di inserimento sociale15.
Inoltre, entro il 30 novembre di ogni anno, vengono stabilite delle quote di ingresso di lavoratori
stranieri che possono entrare in Italia, cercando in ogni caso di privilegiare gli stranieri provenienti da
Paesi che collaborano assieme a noi nelle politiche di contrasto alla immigrazione clandestina. Tali
quote vanno definite tenendo conto anche dei flussi connessi all’ingresso di stranieri per
ricongiungimento familiare o per motivi di protezione sociale. Per questo, essi possono essere integrati
qualora se ne ravvisi l’opportunità attraverso decreti da emanarsi nel corso dell’anno di riferimento.
Nella normativa contenuta nel testo unico, l’ingresso ed il soggiorno degli stranieri nel territorio
dello Stato è regolato dagli artt. 4 e 5 del D.lgs. n. 286 del 1998.
Per i soggiorni di breve durata, che non superano i novanta giorni, l’ingresso in Italia è
consentito allo straniero che sia in possesso di passaporto valido o documento equipollente, e di un
visto di ingresso rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o
stabile residenza dello straniero. Le formalità necessarie per la presentazione della domanda sono
indicate dal regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999.
Per ottenere il visto occorre dimostrare di essere in possesso di documenti che attestino lo
scopo e le condizioni del soggiorno, e di avere mezzi economici sufficienti per mantenersi in Italia
senza ricorrere ad attività illecite. Il diniego del visto, come ogni altro provvedimento amministrativo,
deve essere motivato, a meno che esso non venga adottato per motivi di sicurezza ed ordine pubblico
nel qual caso si può prescindere dall’obbligo di motivazione. Il diniego del visto di ingresso, al pari del
diniego di permesso di soggiorno, può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo.
Per i soggiorni di lunga durata occorre il rilascio del permesso di soggiorno che, ai sensi dell’art.
5 del T.U., va richiesto, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, al Questore della
provincia in cui lo straniero si trova. Se il permesso di soggiorno viene chiesto per motivi di lavoro
subordinato, in seguito a chiamata dall’estero, la richiesta va inoltrata allo sportello unico per
l’immigrazione presso la Prefettura, ai sensi dell’art. 9 del regolamento di cui al D.P.R. n. 334 del 200416.
La legge pone un termine per la presentazione della richiesta di permesso di soggiorno che, nel
caso di straniero sprovvisto di titolo, è di otto giorni lavorativi dalla data di ingresso, e, in caso di
richiesta di rinnovo, è di sessanta giorni dalla scadenza del permesso di soggiorno.
La inosservanza del termine di otto giorni per la richiesta di rinnovo è punita con il pagamento
in via amministrativa di una sanzione pecuniaria, purchè il ritardo non abbia superato i sessanta giorni.
Se, invece, la richiesta viene inoltrata con un ritardo superiore a sessanta giorni, in assenza di cause di
forza maggiore, la sanzione consiste nella espulsione dal territorio dello Stato.
In caso di rinnovo di permesso di soggiorno, la richiesta deve essere presentata novanta giorni
prima della scadenza, quando riguardi un permesso di soggiorno di due anni rilasciato per motivi di
lavoro subordinato, oppure, sessanta giorni prima della scadenza, se si tratta di un permesso di
soggiorno rilasciato per la durata di un anno per contratto di lavoro a tempo determinato, e, nei restanti
casi, trenta giorni prima della scadenza.
Qualora il permesso di soggiorno sia scaduto da più di sessanta giorni e non ne sia stato chiesto
il rinnovo, è comminata la espulsione.
Sulla compatibilità costituzionale del meccanismo di regolamentazione dei flussi migratori v. Corte cost. n. 454 del 1998.
Con l’istituzione dello sportello unico sono state riunite in un unico ufficio le attività che, nella formulazione previgente
dell’art. 22 del testo unico, erano distribuite tra la Direzione Provinciale del Lavoro, competente al rilascio della
autorizzazione al lavoro su richiesta del datore di lavoro, la Questura per il successivo rilascio del nulla osta, e le parti private
per la stipula del contratto di lavoro. Ai sensi dell’art. 30 del regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999 come modificato
dal D.P.R. n. 334 del 2004 la istituzione dello sportello unico per l’immigrazione avviene attraverso un decreto del Prefetto,
ed è composto da un rappresentante della direzione provinciale del lavoro, e da un appartenente ai ruoli della Polizia di
Stato. Nelle more della costituzione degli sportelli unici le domande vanno presentate alla Prefettura o Ufficio territoriale del
Governo.
15
16
11
Nella giurisprudenza il termine di otto giorni previsto per la presentazione della richiesta di
rilascio di permesso di soggiorno è stato considerato perentorio17.
Diversamente i termini previsti per la presentazione della domanda di rinnovo del permesso di
soggiorno sono stati ritenuti non perentori, posto che in giurisprudenza si è escluso che
l’amministrazione possa adottare un provvedimento di allontanamento per la sola ragione di una tardiva
presentazione della domanda di soggiorno, dovendo essa, invece, valutare le ragioni del ritardo
unitamente alla complessiva condotta dello straniero18. In sostanza, si ritiene che, a fronte di una
domanda tardiva di rinnovo di permesso di soggiorno, sia precluso alla amministrazione il diniego della
istanza per motivi legati alla sola omessa osservanza dei termini. Ovviamente, specie nei casi di ritardo
di lunga durata, occorrerà tener conto delle ragioni del ritardo, e della accettabilità delle giustificazioni al
riguardo addotte dall’interessato, specie con riferimento ai casi di forza maggiore, che escludono anche
la perseguibilità penale della condotta.
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che lo stato di detenzione cautelare
possa integrare una circostanza di impedimento derivante da forza maggiore19. La giurisprudenza civile,
in caso di detenzione in carcere, ha ritenuto esperibile la facoltà di formulare la domanda attraverso la
direzione dell’istituto penitenziario. Ed infatti: “In tema di rinnovo del permesso di soggiorno da parte
dello straniero trattenuto in stato di custodia cautelare in carcere, l'abrogazione, avvenuta ad opera
dell'art. 46, comma 14, della L. n. 40 del 1990, dell'art. 4 del D.L. n. 416 del 1989 (conv. con modificaz.
nella L. n. 39 del 1990) secondo cui, per gli stranieri ricoverati in casa o istituto di cura e di pena, ovvero
ospitati in comunità civili o religiose, il permesso di soggiorno poteva essere richiesto, alla questura
competente, da chi presiede la casa, l'istituto o la comunità indicate, per delega degli stranieri medesimi,
non ha determinato una lacuna legis, atteso che – con una interpretazione dichiaratamente adeguatrice
alla Costituzione, necessaria per evitare una limitazione di diritti fondamentali dei detenuti – la
medesima facoltà è oggi assicurata dalle norme contenute nel Regolamento sull'ordinamento
penitenziario, di cui al D.P.R. n. 230 del 2000”20.
Qualora il permesso di soggiorno sia stato richiesto, oltre il termine prescritto, in assenza di
causa di forza maggiore, e non sia possibile trattenere lo straniero in un centro di permanenza, il
Questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 5 giorni.
La violazione di siffatto ordine integra il reato di trattenimento nel territorio dello Stato senza
giustificato motivo, e la condotta è prevista e punita come delitto con la reclusione da uno a quattro
anni, ai sensi dell’art. 14 comma 5 ter del testo unico. Se l’espulsione è stata disposta perché il permesso
di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, la fattispecie è
punita come contravvenzione, e si applica la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno.
La durata del soggiorno varia in relazione ai motivi che sono a base della richiesta.
I motivi posti a base della richiesta possono consistere in visite, affari, turismo, lavoro
autonomo o subordinato, studio, ragioni sanitarie, familiari, missione, motivi di culto, adozione,
giustizia, motivi di protezione sociale.
L’art. 5 del testo unico prescrive una durata massima di tre mesi per i permessi di soggiorno
rilasciati per visite, affari e turismo, di un anno nei casi di frequenza di un corso di studio, rinnovabile
nel caso di corsi pluriennali, e superiore per necessità specificamente documentate.
Cass. Civ. Sez. I, sent. 24 novembre 2000 n. 15174 in C.d.S. Rass., 2001, n 2: “l'inosservanza del termine è elemento
costitutivo della fattispecie e legittima automaticamente il provvedimento di espulsione, salva la possibilità di deroga, come
previsto, in caso di forza maggiore, caso fortuito, stato di necessità o mancata conoscenza della lingua italiana la cui prova in
ordine alle circostanze che la determinano è però a carico di chi la deduce .Nè l'espressa previsione dell'ipotesi di forza
maggiore, del caso fortuito dello stato di necessità o della mancata conoscenza della lingua italiana, è idonea ad escludere il
carattere di perentorietà al termine, risultando anzi tale carattere implicitamente presupposto, in quanto non è certamente
necessaria la previsione di una deroga allorché l'inosservanza del termine sia priva di conseguenze pratiche”.
18 Cass. SS.UU. 20 maggio 2003 n. 7899; C.d.S sez. IV 25 marzo 1993 n. 357; C.d.S. sez. IV sent. 20 maggio 1999 n. 870.
19 T.A.R. Lombardia sez. I 20 maggio 2004 n. 402.
20 Cass. 10 marzo 2004 n. 4883, Giust Civ. Mass, 2004, f. 3.
17
12
La durata dei permessi di soggiorno rilasciati per motivi di lavoro subordinato varia in relazione
al tipo di rapporto per cui, è prevista una durata di nove mesi per i lavoratori stagionali, di un anno per i
lavoratori subordinati con contratto a tempo determinato, e di due anni nel caso di contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato, e di lavoro autonomo.
Il procedimento di rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, a tempo
determinato o indeterminato, è regolato dall’art. 22 del D.lgs. n. 286 del 1998 sulla cui base il datore di
lavoro interessato ad assumere uno straniero residente all’estero, inoltra una richiesta nominativa di
nulla osta al lavoro, prima ancora che lo straniero faccia ingresso in Italia. Il datore di lavoro dovrà
allegare alla domanda la proposta di contratto di soggiorno, idonea documentazione atta a comprovare
le modalità di sistemazione alloggiativa del lavoratore straniero, oltre l’impegno al pagamento delle
spese di rientro dello straniero nel paese di origine ed a comunicare ogni variazione del rapporto di
lavoro. L’autorizzazione all’ingresso ed al lavoro in Italia, potrà essere rilasciata solo dopo la verifica
della assenza di disponibilità di lavoratori nazionali o comunitari a svolgere le prestazioni lavorative per
cui è richiesto il lavoratore straniero. La verifica della ammissibilità si estende anche alla persona del
datore di lavoro, posto che, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 394 del 1999, il nulla osta può essere
rifiutato qualora il datore di lavoro sia stato sottoposto ad una misura di prevenzione, o denunciato per
uno dei reati previsti dal testo unico o dagli artt. 380 e 381 c.p.p., a meno che i relativi procedimenti non
si siano conclusi con un provvedimento favorevole. Il nulla osta al lavoro è finalizzato al rilascio del
visto di ingresso che consentirà al lavoratore straniero di entrare nel territorio dello Stato e di richiedere
, entro i successivi otto giorni, il permesso di soggiorno al Questore della Provincia in cui egli si trova, e
procedere alla sottoscrizione del contratto di soggiorno.
Per il caso di perdita del posto di lavoro il testo unico contiene, all’art. 22 comma 11, una
particolare disposizione di tutela del diritto al lavoro, stabilendo che la perdita del posto di lavoro,
anche se motivata da dimissioni, non può costituire motivo di revoca del permesso di soggiorno, in
quanto, in tal caso, il lavoratore straniero ha diritto ad essere iscritto nelle liste di collocamento per il
periodo di residua validità del permesso e, comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per
lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi.
Il procedimento di rilascio del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, disciplinato dall’art.
24 del T.U., è analogo a quello previsto per il lavoro subordinato ma con termini più celeri e con
modalità semplificate. Quanto alla durata, allo straniero che dimostri di essere venuto in Italia per
almeno due anni consecutivi per prestare lavoro stagionale, può essere rilasciato un permesso
pluriennale fino a tre annualità, qualora si tratti di impieghi ripetitivi.
L’ingresso ed il soggiorno per motivi di lavoro autonomo sono disciplinati dall’art. 26 del T.U. e
dall’art. 39 del D.P.R. n. 394 del 1999 che subordinano il rilascio del permesso di soggiorno ad una serie
di requisiti soggettivi ed oggettivi.
Innanzitutto, l’attività lavorativa per cui si chiede il rilascio del titolo deve essere caratterizzata
da una certa continuità, e non deve rientrare nell’ambito delle attività riservate ai cittadini italiani e
comunitari.
Inoltre, occorre ottemperare alle prescrizioni imposte dalla legge italiana per l’esercizio
dell’attività richiesta in termini di previo rilascio di licenze, autorizzazioni, o iscrizioni in registri od
ordini professionali. Sotto il profilo oggettivo poi lo straniero deve documentare, attraverso un
contratto di acquisto o di locazione di immobile per uso abitativo, di disporre di una idonea
sistemazione alloggiativa, e deve, altresì, dimostrare di percepire un reddito annuo da fonte lecita
superiore al livello minimo previsto dalla legge per la esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere che l’onere di provare la disponibilità
di sufficienti mezzi di sostentamento grava a carico dello straniero interessato al rilascio del titolo, che,
in ogni caso la documentazione prodotta deve essere in grado di comprovare una situazione reddituale
da fonte lecita idonea al sostentamento del suo nucleo familiare, e che la situazione reddituale indicata
deve essere in atto al momento della presentazione della istanza senza alcuna possibilità di formulare
13
valutazioni di tipo prognostico circa il reddito conseguibile in futuro, qualora quello attestato sia
inferiore al minimo consentito21.
L’autorizzazione all’ingresso dello straniero per motivi di lavoro autonomo, rilasciata dalle
rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all’estero, previa acquisizione di nulla osta dei Ministeri
competenti, è comunque subordinata, come nel caso di lavoro subordinato, alla condizione che la
richiesta rientri nei limiti delle quote numeriche di ingresso per lavoro autonomo. Dopo il rilascio del
visto di ingresso, la procedura per l’ottenimento del permesso di soggiorno è analoga a quella prevista
dall’art. 5 del T.U., secondo le modalità stabilite dall’art. 11 del regolamento.
5. LA DISCIPLINA IN TEMA DI REGOLARIZZAZIONE DELLO STRANIERO CLANDESTINO
Con L. 30 luglio 2002 n. 189 recante “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di
asilo”, e con il D.L. 9 dettembre 2002 n. 195, convertito in L. 9 ottobre 2002 n. 222, recante
“Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari” sono state
introdotte disposizioni volte a regolarizzare la posizione di lavoratori stranieri residenti in Italia in
condizione di clandestinità.
Si è trattato di provvedimenti c.d. di regolarizzazione, sostanzialmente divergenti nei
presupposti e nello spirito rispetto alle sanatorie adottate in precedenza, che si limitavano a prendere in
considerazione la presenza sul territorio dello Stato di stranieri, per lo più disoccupati, e ne
consentivano la iscrizione nelle liste di collocamento al fine di consentir loro la possibilità di trovare una
occupazione lavorativa.
Diversamente, con la regolarizzazione di cui alla L. n. 189 del 2002 si è cercato di fornire una
risposta concreta alla esigenza di far emergere, dal sommerso, situazioni di irregolarità in cui versavano
molti lavoratori extracomunitari, nonché le imprese e le famiglie che li occupavano alle proprie
dipendenze.
Per poter usufruire della regolarizzazione di cui alla L. n. 189 cit. lo straniero doveva risultare
occupato alle dipendenze di un datore di lavoro ad una data fissata nei tre mesi antecedenti l’entrata in
vigore dei provvedimenti di regolarizzazione, che per i lavoratori dipendenti risale all’entrata in vigore
del D.L. 9 settembre 2002 n. 195, pubblicato in G.U. 9 settembre 2002 n. 211, e, per le colf e badanti
risale alla L. 30 luglio 2002 n. 189, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 26 agosto 2002 n. 199.
Il requisito dei tre mesi, nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità, postula che il
rapporto di lavoro sia effettivo e stabile per l’intero periodo di riferimento. Ciò in quanto, come
affermato, in un primo momento, dal Consiglio di Stato: “la norma è finalizzata alla sanatoria di
rapporti di lavoro già realmente in atto e continuativi al momento dell'entrata in vigore della legge e non
ad incentivare una incontrollata e successiva stipula di contratti con stranieri non muniti di permesso di
soggiorno, la quale comporterebbe tra l'altro lo scardinamento di un sistema basato, invece, sulla
predeterminazione delle quote di ingresso dei cittadini extracomunitari”22. La correttezza di siffatta
impostazione è stata tuttavia rimessa in discussione, recentemente, da altra Sezione del Consiglio di
Stato, secondo cui il tenore letterale della norma non è idoneo a sostenere siffatta interpretazione, in
quanto il legislatore si è limitato a prevedere la occupazione del lavoratore extracomunitario nei tre mesi
antecedenti l’entrata in vigore delle norme, senza utilizzare termini chiaramente indicativi della necessità
dell’occupazione per l’intero periodo. Si è infatti sostenuto che con il termine “tre mesi” il legislatore
abbia voluto fare riferimento a chi al momento della entrata in vigore delle norme aveva un rapporto,
anche se per un periodo più breve del trimestre, realmente in atto in relazione al quale vi era la concreta
volontà delle parti di stipulare un contratto regolare e stabile. La risoluzione della questione
interpretativa. Al fine di evitare contrasti giurisprudenziali, è stata, dunque, rimessa alla Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato con ordinanza C.d.S. sez. VI n. 6364 del 200523.
Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2002 n. 63 e 29 aprile 2002, n. 637, nonché T.A.R. Em. Rom., Bologna, 11 marzo 2003 n.
228, T.A.R. Piemonte 1911 del 2005, 1150 del 2004, T.A.R. Lombardia, Brescia 365 del 2004, T.A.R. Piemonte 1654 del
2004 fattispecie in tema di rinnovo.
22 C.d.S. sez. IV, 13 aprile 2005, n. 1712; C.d.S. sez. IV, 14 luglio 2004 n. 5085 FA C.d.S 2004 n. 2116.
23 www.giustizia-amministrativa.it.
21
14
Il rapporto di lavoro doveva essere formalizzato in un contratto di lavoro con salario regolare,
cui conseguiva la regolarizzazione contributiva e sanitaria.
Il procedimento aveva inizio con una dichiarazione di emersione che doveva essere presentata
dal datore di lavoro agli uffici competenti entro una data determinata e che doveva contenere, tra l’altro,
a pena di irricevibilità, una dichiarazione di impegno a stipulare un contratto di soggiorno con il
lavoratore straniero. La verifica circa la sussistenza dei requisiti di ammissibilità e ricevibilità della
domanda è rimessa alla Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, mentre al Questore è rimesso
l’accertamento circa la insussistenza di ragioni ostative al rilascio di permesso di soggiorno. Una volta
pervenuta la comunicazione attestante l’assenza di motivi ostativi al rilascio del titolo, le parti venivano
convocate a presentarsi presso l’Ufficio territoriale del Governo per la stipula del contratto di soggiorno
nonché per il contestuale rilascio del permesso di soggiorno.
L’art. 33 della L. n. 189 del 2002 disciplina una procedura analoga in favore di chi, nei tre mesi
antecedenti alla data di entrata in vigore della legge medesima, aveva occupato alle proprie dipendenze
personale di origine extracomunitaria, adibendolo ad attività di assistenza a componenti della famiglia
affetta da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza, ovvero al lavoro domestico di
sostegno al bisogno familiare, limitatamente, in quest’ultimo caso, ad una unità per nucleo familiare.
Anche in questo caso la domanda doveva essere presentata entro una data determinata e precisamente
entro due mesi dalla entrata in vigore della legge medesima.
Tali interventi hanno consentito di pervenire alla regolarizzazione di oltre 700.000 mila
lavoratori stranieri residenti sul territorio italiano, una cifra ben superiore alle precedenti sanatorie,
nonché alle stime originariamente effettuate, e l’operazione è stata autofinanziata attraverso i versamenti
dei datori di lavoro medesimi.
In sede applicativa alcuni problemi si sono posti per quelle ipotesi in cui i datori di lavoro, pur
impiegando alle loro dipendenze lavoratori stranieri in posizione irregolare, non hanno proceduto alla
regolarizzazione ponendo il lavoratore straniero nella impossibilità di usufruire del beneficio. Ciò in
quanto la legge prendeva espressamente che la dichiarazione di emersione provenisse dal datore di
lavoro interessato e non dal lavoratore straniero interessato.
La giurisprudenza ordinaria di merito ha adottato una interpretazione della normativa atta ad
evitare che una applicazione rigida della medesima si risolvesse a danno dei lavoratori stranieri
interessati alla regolarizzazione, e favorisse il comportamento omissivo dei datori di lavoro interessati
allo sfruttamento di manodopera clandestina a più basso costo. In tali casi è stata consentita agli
stranieri la presentazione in via diretta della dichiarazione di emersione, condizionandola, tuttavia, alla
previa instaurazione di un vertenza nei confronti del datore di lavoro tesa ad ottenere l’accertamento
della sussistenza del rapporto di lavoro24. L’ammissibilità di una siffatta interpretazione ha trovato
tuttavia delle resistenze in giurisprudenza nella misura in cui con essa si consentiva di derogare ai
termini massimi perentori stabiliti dalla legge per la presentazione della dichiarazione di emersione.
Di diverso avviso la Cassazione che, in una recente pronuncia, ha affermato che: “nella
normativa di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari, di cui al D.L. n. 195 del 2002,
convertito, con modificazioni, dalla L. n. 222 del 2002, non è configurabile l'attivazione del
procedimento di sanatoria ad istanza del lavoratore extracomunitario, in caso di inerzia del datore di
lavoro, in quanto la scelta del legislatore è stata quella di consentire, entro un preciso ed inderogabile
termine, l'emersione spontanea e concordata dei rapporti di lavoro presenti in numero rilevante in Italia,
escludendo sanzioni ed oneri per la passata irregolarità e prevedendo la stipula di contratti di soggiorno
per lavoro subordinato, con contestuale rilascio del permesso in favore del lavoratore extracomunitario
stipulante, e con conseguente impossibilità di un accertamento officioso del lavoro irregolare e della
sanatoria a richiesta del solo lavoratore. Nè tale scelta legislativa contrasta con norme di rango
costituzionale, in quanto essa rappresenta una libera scelta di tipo politico dotata di evidente razionalità,
ancorché diversa da quella operata con il D.P.C.M. 16 ottobre 1998 – che rendeva accessibile il
permesso di soggiorno ai singoli lavoratori richiedenti che potessero dimostrare la loro presenza in
Italia prima del 27 marzo 1998 e documentare la disponibilità di regolare contratto e di idoneo alloggio
24
Tribunale Genova 12 marzo 2003 in Diritto, Imm. Citt., 1/2003.
15
–, ma non per ciò irragionevole, essendo evidentemente incompatibile con la stessa logica della
sanatoria la verifica della sussistenza, in sede di contenzioso, del lavoro irregolare”25.
Sul punto il Servizio Immigrazione del Ministero dell’Interno ha diramato la circolare n.
300.C/2002/24/2/P/12.222.8/1^Div. del 5 novembre 2002 prevedendo la possibilità di ottenere un
permesso di soggiorno per attesa occupazione, per i lavoratori extracomunitari che avevano avviato una
vertenza legale nei confronti dei datori di lavoro che non hanno proceduto alla loro regolarizzazione, ai
sensi del decreto L. n. 195 del 2002. In tale circolare si afferma che la posizione degli extracomunitari
che hanno avviato una vertenza legale nei confronti dei datori di lavoro che non hanno provveduto alla
presentazione delle domande di regolarizzazione deve ritenersi “assimilata, in via temporanea, a quella
dei perdenti posti di lavoro e rientrare, quindi, nell’ipotesi di cui all’art. 22, comma 11, del testo unico,
relativamente al rilascio del permesso di soggiorno per la durata di sei mesi. Resta immutato ovviamente
l’obbligo dell’esistenza di tutti gli altri requisiti previsti dalla normativa vigente per le procedure di
emersione – legalizzazione del lavoro irregolare, nonché il rispetto dei termini previsti per la richiesta di
permesso di soggiorno opportunamente documentato”. La giurisprudenza amministrativa, nel ritenere
condivisibile l’argomentato dell’amministrazione dell’Interno, ha tuttavia rilevato la eccessiva rigidità del
termine dell’11 novembre 2002 fissato dalla menzionata circolare per la presentazione della domanda da
parte del lavoratore interessato, rispetto alla data del 5 novembre 2002 di diramazione della medesima
circolare26.
In altri casi di dubbia applicazione della disciplina in tema di regolarizzazione, sono state
emanate altre circolari chiarificatrici, per cui, ad esempio, l’amministrazione dell’Interno ha ritenuto
ammissibile la istanza di regolarizzazione presentata tardivamente qualora il versamento del contributo
sia stato effettuato nei termini. Inoltre, per i casi di morte del datore di lavoro o licenziamento
l’amministrazione dell’Interno ha ritenuto che può essere rilasciato un permesso per attesa
occupazione27. Ancora nei casi di interruzione del rapporto di lavoro e di assunzione da parte di altro
datore di lavoro si è ritenuta ammissibile la regolarizzazione attra verso una comunicazione da parte del
nuovo datore di lavoro28.
6. IL PROCEDIMENTO DI ESPULSIONE DELLO STRAN IERO IN VIA AMMINISTRATIVA
Prima dell’entrata in vigore della L. n. 40 del 1998, e del testo unico di cui al D.lgs. n. 286 del
1998, la espulsione dello straniero non costituiva lo strumento ordinario di allontanamento dello
straniero dal territorio dello Stato, in quanto l’autorità di polizia poteva procedere anche con
provvedimenti di rimpatrio come il foglio di via obbligatorio.
Allora il soggiorno e la espulsione degli stranieri era regolata dagli artt. 142 e seguenti del testo
unico di pubblica sicurezza di cui al R.D. n. 773 del 1931, poi modificate e in parte abrogate dal D.L. 30
dicembre 1989 n. 416, conv. in L. n. 39 del 1990.
La espulsione ivi era disciplinata dall’art. 150, poi abrogato dall’art. 13 del D.L. 416 cit., ed era
prevista, per motivi di ordine pubblico, per gli stranieri che avessero riportato una condanna per delitto
o avessero violato le norme in tema di soggiorno nel territorio dello Stato.
Successivamente, con la L. 30 dicembre 1986 n. 943, recante norme in materia di collocamento
e di trattamento dei lavoratori extracomunitari immigrati e contro le immigrazioni clandestine, era
prevista la misura del rimpatrio – non la espulsione – nei confronti dei lavoratori immigrati
clandestinamente in Italia, in data successiva a quella dell'entrata in vigore della stessa, nonché dei
lavoratori extracomunitari i quali, entro i termini previsti dalla legge medesima, non avessero inoltrato
domanda di regolarizzazione della loro posizione a norma dell'articolo 16 della legge medesima.
Cass. Civ. sez. I 21 marzo 2005 n. 6086, Giust.,civ. Mass, 2005, f.3.
T.A.R. Napoli, sez. IV 26 ottobre 2005 n. 19209.
27 Circolare 48145/30.1.a del 4 dicembre 2002 in Diritto, Immigrazione, Cittadinanza 1/2003.
28 Circolare 9/2.2 del 30 aprile 2003 n. 2 in Diritto,Immigrazione, Cittadinanza 1/2003.
25
26
16
Con la entrata in vigore della L. n. 39 del 1990, ai sensi dell’art. 7, la espulsione poteva essere
disposta – quale misura di sicurezza – quando lo straniero aveva riportato condanna definitiva per uno
dei reati previsti dall’art. 380 c.p.p. commi 1 e 2 di competenza dell’Autorità Giudiziaria29.
Quale misura amministrativa, poteva essere disposta dal Prefetto nei confronti degli stranieri
che avevano violato le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno, o che si erano resi responsabili di
gravi reati espressamente tipizzati dalla norma (una violazione grave di norme valutarie, doganali o, in
genere, di disposizioni fiscali italiane o delle norme sulla tutela del patrimonio artistico, o in materia di
intermediazione di manodopera, nonché di sfruttamento della prostituzione o del reato di violenza
carnale e, comunque, dei delitti contro la libertà sessuale), nonché nei confronti degli stranieri
appartenenti alle categorie di persone socialmente pericolose ivi indicate.
A sua volta, sempre come misura amministrativa, il comma 5 dell’art. 7 cit. prevedeva o che il
Ministro dell'interno, con decreto motivato, poteva disporre per motivi di ordine pubblico o di
sicurezza dello Stato l'espulsione e l'accompagnamento alla frontiera dello straniero di passaggio o
residente nel territorio dello Stato, previo nulla osta dell'autorità giudiziaria ove lo straniero risulti
sottoposto a procedimento penale.
Particolari disposizioni erano dettate per le esigenze di giustizia connesse allo svolgimento di un
procedimento penale e nel caso di stranieri detenuti.
La espulsione adottata in via amministrativa veniva qualificata quale provvedimento
amministrativo autoritativo, ed era all’epoca impugnabile innanzi al giudice amministrativo, e
suscettibile, in sede giurisdizionale, di sospensione cautelare.
Con la entrata in vigore del testo unico sulla immigrazione di cui al D.lgs. n. 286 del 1998, la
giurisdizione in materia di ricorsi avverso i provvedimenti di espulsione è stata attribuita al giudice
ordinario che, quale giudice dei diritti, doveva ritenersi il giudice naturale chiamato a giudicare in una
materia strettamente connessa alla libertà personale ed alla dignità dell’individuo.
Secondo le norme del testo unico, le ipotesi in cui può essere decretata la espulsione dal
Prefetto, quale misura amministrativa, riguardano i casi in cui lo straniero è entrato nel territorio dello
Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto30, i casi di illecito trattenimento
all’interno del territorio dello Stato in assenza di richiesta di permesso di soggiorno nei termini di legge,
salvi i casi di ritardo per forza maggiore, i casi in cui il permesso di soggiorno è revocato o annullato, o
è scaduto da più di sessanta giorni e manchi una richiesta di rinnovo, nonché le ipotesi in cui lo
straniero appartenga ad una delle categorie di persone socialmente pericolose ivi indicate.
La espulsione è prevista, altresì, ai sensi dell’art. 5 comma 7 del testo unico, nei confronti degli
stranieri che abbiano ottenuto il permesso di soggiorno da altro Stato della Unione Europea, e che non
abbiano ottemperato tempestivamente all’obbligo di dichiarare la loro presenza al Questore entro otto
giorni dall’ingresso, qualora il ritardo superi i sessanta giorni dall’ingresso.
Sono sempre rimessi alla competenza del Ministro dell’interno i casi di espulsione per motivi di
sicurezza ed ordine pubblico.
Analogamente, sono rimessi alla competenza del Ministro dell'interno o, su sua delega, del
Prefetto, i provvedimenti di espulsione previsti dal D.L. 27 luglio 2005 n. 144, convertito in L. 31 luglio
2005 n.155, recante misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale nei confronti degli
stranieri appartenenti ad una delle categorie di cui all'articolo 18 della L. 22 maggio 1975, n. 152, o nei
cui confronti vi sono fondati motivi di ritenere che la permanenza nel territorio dello Stato possa in
qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
Non appartengono alla categoria in esame le altre ipotesi di espulsione disciplinate dal testo
unico dotate di diversa natura giuridica, ed attribuite alla competenza della autorità giudiziaria e
precisamente: la espulsione a titolo di sanzione sostituiva alla detenzione di cui all’art. 16 del D.lgs. n.
286 del 1998, e la espulsione a titolo di misura di sicurezza disciplinata dall’art. 15 T.U. cit.
C.d.S. sez. IV 12 aprile 2001 n. 2241.
E’ peraltro assai utile ricordare la distinzione tra frontiere interne e frontiere esterne, legata alle normative che regolano la
circolazione degli stranieri non comuniT.A.R.i all’interno dello spazio Schengen: è evidente che, qualora, qualora l’ingresso
avvenga da una frontiera interna , da parte di soggetti titolati la norma de quo deve essere considerata senz’altro inapplicabile ,
ma si ricade, in questo caso – anche se ciò è controverso – nel secondo presupposto dell’espulsione prefettizia contemplato
dalla lettera b) dell’art. 13 comma 2 . U Terracciano, Stranieri, Experta, 2005.
29
30
17
Quanto alle modalità di esecuzione della espulsione, ossia tra espulsione “con intimazione a
lasciare il territorio nazionale” o espulsione “mediante accompagnamento alla frontiera”, nell’impianto
della L. n. 39 del 1990, l’accompagnamento immediato era limitato ai casi in cui la espulsione era stata
disposta per motivi di sicurezza ed ordine pubblico, nonché ai casi in cui lo straniero aveva violato
l’ordine di intimazione trattenendosi illegalmente all’interno del territorio dello Stato.
Con la normativa dettata dal testo unico di cui al D.lgs. n. 286 del 1998, in un primo momento,
prima delle modifiche successivamente intervenute nel 2002, la scelta tra le due modalità esecutive del
provvedimento era rimessa al potere discrezionale del Prefetto, in presenza di determinati presupposti.
In ogni caso la espulsione per motivi di ordine e sicurezza pubblica andava eseguita con
accompagnamento alla frontiera.
A sua volta l’art. 13 comma 4, nella sua formulazione originaria, stabiliva che il Questore
provvedeva all’accompagnamento coattivo a mezzo della forza pubblica, qualora lo straniero si era
trattenuto all’interno del territorio dello Stato oltre il termine fissato dalla intimazione, oppure nei casi
in cui lo straniero era stato espulso quale persona ritenuta socialmente pericolosa ed il Prefetto avesse
rilevato la esistenza di un concreto pericolo di sottrazione da parte dello straniero alla esecuzione del
provvedimento. Analogamente la espulsione veniva eseguita mediante accompagnamento coattivo alla
frontiera qualora lo straniero era stato trovato privo di valido documento attestante la sua identità e
nazionalità e il Prefetto avesse rilevato – tenuto conto di circostanze obiettive riguardanti il suo
inserimento sociale, familiare e lavorativo – la esistenza di un concreto pericolo di sottrazione
all'esecuzione del provvedimento.
L’impianto così formulato è stato soggetto a sostanziale rivisitazione per effetto della L. n. 189
del 2002, ove il meccanismo di esecuzione delle espulsioni amministrative è stato radicalmente rivisto
nell’intento di dare maggiore efficacia ed effettività ai provvedimenti di espulsione, ed evitare che essi si
risolvessero in atti formali di fatto non eseguibili.
A sua volta, il D.L. n. 241 del 2004, nel dare attuazione alle sentenze della Corte cost. nn. 222 e
223 del 2004, ha introdotto una serie di correttivi giurisdizionali volti a conferire maggiore effettività al
diritto di difesa dello straniero nel procedimento di convalida della espulsione. Ed infatti, la Corte cost.
con sentenza 15 luglio 2004 n. 222 aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 13 comma 5
D.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non prevedeva: “che il giudizio di convalida del provvedimento
di accompagnamento alla frontiera debba svolgersi in contraddittorio prima della esecuzione, con le
garanzie della difesa”.
Per effetto delle modifiche di cui alla L. n. 189 del 2002 sono stati quindi estesi i casi di
espulsione con accompagnamento alla frontiera, restringendo le ipotesi nelle quali si procede con mera
intimazione ad abbandonare il territorio dello Stato.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 13 comma 4 del testo unico, come modificato, la espulsione è
eseguita – sempre – dal Questore “con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica”
ad eccezione dei casi di cui al comma 5.
La espulsione “con intimazione” entro il termine di quindici giorni è prevista per i soli casi in
cui lo straniero si sia trattenuto in Italia quando il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta
giorni e non ne abbia chiesto il rinnovo, a meno che il Prefetto non rilevi il pericolo concreto che lo
straniero si sottragga alla esecuzione del provvedimento nel qual caso ha luogo l’accompagnamento
immediato alla frontiera. Tale disposizione non trova applicazione nei confronti dello straniero che
dimostri sulla base di elementi obiettivi, di essere giunto nel territorio dello Stato prima della data di
entrata in vigore della L. 1998 n. 40.
Per effetto delle modifiche di cui al D.L. n. 241 del 2004, conv. in L. n. 271 del 2004, è previsto
che nei casi di espulsione il questore comunica immediatamente entro le quarantotto ore il
provvedimento al giudice di pace territorialmente competente ai fini della convalida del provvedimento,
e la esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento è sospesa fino alla decisione sulla
convalida. La udienza di convalida si svolge in camera di consiglio innanzi al giudice di pace, con la
partecipazione necessaria di un difensore, e dell’interessato. Nelle quarantotto ore successive il giudice
provvede alla convalida, e nelle more, lo straniero è trattenuto nei centri di permanenza.
18
Nei casi in cui non sia possibile eseguire con immediatezza la espulsione con accompagnamento
alla frontiera, lo straniero può essere collocato provvisoriamente, per il tempo strettamente necessario,
presso un centro di permanenza, ai sensi dell’art. 14.
Se non sia possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza, oppure siano
trascorsi i termini di permanenza, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato
entro cinque giorni. In caso di violazione, la fattispecie è sanzionata come contravvenzione ed è
disposta la espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
Nei casi di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, gli
agenti operanti appongono sul passaporto il timbro di uscita.
Diversamente, nel caso di espulsione con intimazione, lo straniero che lascia il territorio dello
Stato dovrà sottoporsi ai controlli di frontiera e farsi apporre il timbro sul passaporto con l’indicazione
del valico di frontiera e della data (art. 8 del D.P.R. n. 394 del 1999).
Quanto alla operatività della espulsione, che è provvedimento immediatamente esecutivo, va
evidenziato che l’art. 19 del D.P.R. 31 agosto 1999 n. 394, pubblicato in G.U. 3 novembre 1999 n. 258,
stabilisce che il divieto di rientro per gli stranieri espulsi opera a decorrere dalla data di esecuzione della
espulsione, e che questa, per gli spazi non appartenenti alla libera circolazione31, viene attestata, ai sensi
dell’art. 8 comma 1 dello stesso regolamento, con un timbro di uscita che il personale addetto ai
controlli di frontiera appone sul passaporto con indicazione del valico di frontiera e della data.
Negli altri casi, la attestazione di intervenuta espulsione può risultare da ogni altro documento
comprovante l’assenza dello straniero dal territorio dello Stato.
La apposizione del timbro sul passaporto era già prevista dall’art. 2 comma 2 del D.L. n. 416 del
1998, a tenore del quale era fatto obbligo a tutti gli operatori delle frontiere italiane di apporre il timbro
di ingresso, con data, sui passaporti dei cittadini stranieri extracomunitari, che entrino a qualsiasi titolo,
oltrechè di rilevare i dati dei cittadini extracomunitari in ingresso e trasmetterli al centro elaborazione
dati del Ministero dell'interno.
7. LA
DISCREZIONALITÀ AM MINISTRATIVA NELLA VALUTAZIONE DELLA AMMISSIBILITÀ
DELLO STRANIERO NEL TERRITORIO ITALIANO
La emissione dei provvedimenti amministrativi in tema di soggiorno dello straniero nel
territorio italiano è assoggettata ad una complessa disciplina ispirata alla esigenza di tutelare la sicurezza
dello Stato e l’ordine pubblico, e ad impedire che possano soggiornare all’interno dello Stato soggetti
ritenuti o valutati come socialmente pericolosi.
Il perseguimento di tale obiettivo primario di tutela viene assicurato attraverso una compiuta
disciplina dei casi che possono costituire motivo ostativo alla emissione di un provvedimento
favorevole nei confronti dell’extracomunitario, sì da far ritenere, nelle ipotesi considerate, indesiderabile
la sua presenza all’interno del territorio dello Stato.
Le ragioni che impediscono il soggiorno dello straniero nel territorio italiano sono, in linea di
massima, ricollegate a fatti o circostanze suscettibili di costituire indice di pericolosità sociale, e tali da
far ritenere prioritario l’interesse pubblico all’allontanamento del soggetto dal territorio italiano,
piuttosto che tutelare l’interesse dello straniero alla sua permanenza nel territorio dello Stato32.
Nella disamina dei singoli motivi considerati dalla legge ostativi al soggiorno dello straniero
italiano, è possibile individuare, innanzitutto, una differenziazione tra la disciplina del rilascio del
permesso di soggiorno e quella in tema di regolarizzazione.
Cfr T.A.R. Veneto, sez. III, 18 febbraio 2004 n. 377 in FA, T.A.R., 2004, 385, secondo cui: “Il giudizio di pericolosità
sociale che, come prevede l'art. 13 comma 2 D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, preclude il rinnovo del permesso di soggiorno nei
confronti degli stranieri extracomunitari, va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo
e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità; c) necessità
di esaminare globalmente l'intera personalità del soggetto quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita; d)
insindacabilità dei giudizi discrezionali dell'amministrazione, se non per macroscopiche illogicità; e) indipendenza dai giudizi
penali, ma possibilità di tener conto dei fatti emersi in detti giudizi.
32
19
Ciò è dovuto al fatto che la normativa sulla regolarizzazione ha natura eccezionale ed è stata
introdotta quale misura straordinaria al fine di consentire la emersione del lavoro sommerso, e, stante la
sua natura eccezionale, assume preminenza l’esigenza di tutela sociale della collettività nei confronti di
soggetti la cui presenza è suscettibile di ingenerare allarme sociale.
Per tale ragione, si assiste ad una differente tipizzazione delle ragioni ritenute dalla legge ostative
alla regolarizzazione, rispetto a quelle che impediscono il rilascio del permesso di soggiorno, che
normalmente attengono a circostanze emerse con riferimento alla vita pregressa dello straniero ed, in
particolare, alla sua condotta in Italia.
Trattasi di fattispecie che, nella loro varia tipizzazione, costituiscono indice significativo di
pericolosità sociale del soggetto extracomunitario, e che, pertanto, impediscono di ritenere ammissibile
un suo soggiorno all’interno del territorio dello Stato. Ciò semprechè sia risultata positiva la verifica
circa la ricorrenza in capo all’interessato di un valido titolo legittimante il rilascio del permesso di
soggiorno.
All’interno della tipizzazione legislativa delle cause soggettive ostative al rilascio del permesso di
soggiorno, è possibile distinguere tra i casi in cui il legislatore ex ante ancora a determinate circostanze
un giudizio di pericolosità in re ipsa, che è insito nella sola constatazione della preesistenza di un atto o
di un fatto impeditivo a carico del soggetto extracomunitario. In tali casi, l’esito del provvedimento non
può che essere sfavorevole, e la discrezionalità amministrativa non può che ritenersi vincolata quando,
all’esito di determinati accertamenti, siano emersi fatti considerati dalla legge ostativi all’ammissibilità
dello straniero in Italia.
Vi sono tuttavia dei casi in cui la valutazione della pericolosità dello straniero è rimessa alla
discrezionalità dell’amministrazione procedente, nel senso che l’accertamento di determinate
circostanze non è di per sé sufficiente a ritenere inammissibile lo straniero nel territorio dello Stato, ma
occorre un ulteriore vaglio della amministrazione competente che dovrà stabilire, prima di definire il
procedimento, se quegli atti o fatti possano costituire o meno indice di pericolosità sociale del soggetto
tale da farlo ritenere indesiderabile all’interno del territorio dello Stato.
In ogni caso, anche con riferimento ai casi in cui la pericolosità sociale è dedotta per
l’appartenenza del soggetto ad una delle categorie indicate dalla legge come significative,
l’amministrazione non potrà sottrarsi all’onere di adeguatamente motivare il giudizio formulato nel
provvedimento di reiezione della istanza33.
Se andiamo a valutare le singole circostanze dalla legge ritenute ostative al soggiorno dello
straniero all’interno del territorio dello Stato, può non risultare agevole la relativa classificazione,
all’interno delle ipotesi a discrezionalità vincolata o libera, nella misura in cui, stante la complessità della
materia, può non essere semplice la individuazione della voluntas legis all’interno di ogni singola
fattispecie.
Proprio all’interno di queste zone d’ombra, in cui il giudizio di pericolosità sociale a carico dello
straniero può non risultare così evidente ed automatico in conseguenza della constatazione di
determinate fatti o atti pregressi, si sono annidate frequentemente incertezze interpretative da parte
della giurisprudenza, ed al contempo dubbi di costituzionalità di non poco momento.
8. LE FATTISPECIE OSTATIVE ALLA LEGALIZZAZIONE DI LAVORO IRREGOLARE :
8.1. LO STRANIERO ESPULSO PER MOTIVI DIVERSI DAL MANCATO RINNOVO DEL PERMESSO DI
SOGGIORNO E LA REVOCA DEL DECRETO DI ESPULSIONE
Cfr T.A.R. Marche 11 maggio 2005 n. 584 secondo cui “La mera elencazione di procedimenti penali a carico di un
soggetto non dimostra di per sè che la persona rientri in una delle categorie di cui all'art. 1 L. 27 dicembre 1956 n. 1423, ai
fini dell'espulsione dello straniero qualificato socialmente pericoloso; il giudizio di pericolosità dovendo, invece, essere
fondato su una rigorosa argomentazione che, attraverso l'esame di fatti concreti, renda percepibile una abituale impostazione
di vita tale da rendere pericolosa la persona.” Nello stesso senso vd T.A.R. Friuli, 22 aprile 2003 n. 151 in Fa, T.A.R., 2003,
1216 che esclude che la motivazione possa consistere in un mero rinvio ad una sentenza di applicazione della pena su
richiesta, in assenza di ulteriori deduzioni.
33
20
I maggiori dubbi interpretativi si sono concentrati prevalentemente sulla normativa in tema di
regolarizzazione. L’art. 1 comma 8 del D.L. n. 195 del 2002, come anche l’art. 33 comma 7 della L. n.
189 del 2002, disciplinano, rispettivamente, alle lettere sub a) b) e c) le ipotesi nelle quali non trovano
applicazione le disposizioni in tema di legalizzazione.
La prima ipotesi riguarda il caso degli stranieri espulsi per motivi diversi dal mancato rinnovo
del permesso di soggiorno.
E’ da rilevare che la sottoposizione dello straniero ad un pregresso decreto di espulsione non è
motivo, in ogni caso, ostativo all’applicabilità della normativa sulla legalizzazione, poiché, in presenza di
circostanze obiettive comprovanti il reinserimento sociale dello straniero è consentita la revoca del
decreto di espulsione.
Siffatta norma ha fatto sorgere un primo dubbio interpretativo laddove ci si è chiesti se la
revoca del decreto di espulsione debba essere attivata d’ufficio dall’amministrazione in sede di
valutazione della istanza di legalizzazione, oppure se il procedimento di revoca debba essere attivato
solo su istanza dell’interessato. La soluzione della questione è di non poco momento se si considera
che, frequentemente, alla emissione di un decreto di espulsione non sempre segue la relativa notifica ed
esecuzione, sicchè può accadere che lo straniero si veda respinta una domanda di legalizzazione per
pregressa espulsione, senza essere mai stato in condizioni di inoltrare istanza di revoca, ove il decreto
non gli sia stato mai notificato.
Per i permessi di soggiorno rilasciati ai sensi del D.P.C.M. 16 ottobre 1998 non vi era una
normativa che prevedesse le revoca automatica dei pregressi decreti di espulsione in caso di rilascio di
permesso di soggiorno.
Diversamente, l’art. 2 del D.L. n. 195 del 2002 al comma 2 stabilisce che il rilascio del permesso
di soggiorno ai sensi dell’art. 1 comma 5 comporta la contestuale revoca degli eventuali provvedimenti
di espulsione già adottati nei confronti dello straniero che ha stipulato il permesso di soggiorno.
Al riguardo ci si è chiesti in giurisprudenza se la revoca riguardi tutti i decreti di espulsione in
precedenza emessi, o solo quelli che siano stati emessi per mancato rinnovo del permesso di soggiorno.
Secondo un certo orientamento della giurisprudenza amministrativa34 la revoca automatica di
cui alla norma in questione riguarderebbe esclusivamente i decreti di espulsione emessi per diniego di
rinnovo di permesso di soggiorno, poiché essi sono gli unici tipi di espulsione che non sono considerati
ostativi alla legalizzazione, ai sensi dell’art. 1 comma 8. Secondo questo orientamento, si sostiene quindi
che, in tutti gli altri casi, la revoca del decreto di espulsione non è né può essere automatica, ma è
subordinata ad una pronuncia della autorità procedente a sua volta condizionata, ai sensi dell’art. 1
comma 8 cit., alla presenza di circostanze obiettive riguardanti l’inserimento sociale dell’interessato. Tale
interpretazione restrittiva dei casi in cui la revoca è automatica, trova conforto, secondo questo
orientamento, nella considerazione che i provvedimenti di revoca rimessi alla discrezionalità
dell’amministrazione entrano a far parte del computo delle quote massime di stranieri da ammettere nel
territorio dello Stato per lavoro subordinato di cui all’art. 3 comma 4 del testo unico, che sono decurtate
dei permessi di soggiorno rilasciati in seguito a revoca della espulsione.
In ogni caso la revoca del decreto di espulsione è esclusa in presenza di determinate circostanze
che di seguito si vanno ad esporre.
8.2 LO STRANIERO SOTTOPOSTO A PROCEDIMENTO PENALE PER DELITTO NON COLPOSO
La espulsione non è revocabile qualora lo straniero sia, o sia stato sottoposto, a procedimento
penale per delitto non colposo che si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che il
fatto non sussiste o non costituisce reato, o che l’interessato non lo ha commesso.
Con riferimento a tale ipotesi si è osservato in giurisprudenza che appare irrazionale e non
conforme a Costituzione una lettura della norma che impedisca, in ogni caso, constatata la sola
pendenza del procedimento penale, la revoca della espulsione. Ciò in quanto non può assume un valore
significativo la sola pendenza del procedimento penale che ha inizio sin dalla fase di avvio delle indagini
preliminari, sicchè il procedimento medesimo può trovarsi in una fase in cui può mancare una
34
T.A.R. Friuli Venezia Giulia Trieste 26 aprile 2005 n. 243.
21
imputazione o/e un imputato. Pertanto, in una lettura costituzionalmente orientata della norma si è
ritenuto che: “la sottoposizione ad indagini preliminari non debba avere effetti definitivi tali da
travolgere l’interesse ad emergere dal lavoro irregolare e quindi legittimare la presenza dello straniero
nel territorio italiano D’altra parte l’indagato non ha il potere di interferire sulla durata del
procedimento penale, cosicché può determinarsi un lungo stato di incertezza (il procedimento che
coinvolge lo straniero risulta pendente dal 2000), che non appare ragionevole possa di per sé
determinare effetti pregiudizievoli definitivi, come nel caso in esame”35. E pertanto, secondo questo
orientamento, la norma va letta nel senso che all’Amministrazione debba riconoscersi la possibilità di
disporre la revoca del provvedimento di espulsione alla luce delle obiettive circostanze riguardanti
l’inserimento sociale dello straniero, trovandosi di fronte alla impossibilità di provvedere in tal senso per
la pendenza di un procedimento penale, debba non già rigettare in via definitiva la domanda di
regolarizzazione, bensì sospendere ogni determinazione fintanto che il procedimento penale risulti
ancora pendente e quindi accogliere l’istanza qualora si concluda favorevolmente per l’indagato ed il
provvedimento di espulsione sia così revocato36.
8.3. LO STRANIERO ESPULSO CON ACCOMPAGNAMENTO ALLA FRONTIERA
E’ esclusa la revoca del decreto di espulsione e non si può procedere a legalizzazione nel caso in
cui lo straniero sia stato destinatario di un provvedimento di espulsione con accompagnamento alla
frontiera a mezzo della forza pubblica.
Anche tale fattispecie ha sollevato inquietanti dubbi interpretativi poiché la esistenza di un
pregresso provvedimento di espulsione non è indice in re ipsa di pericolosità sociale del soggetto. Ciò
soprattutto da quando, per effetto della L. n. 189 del 2002, la espulsione ha perso la originaria
connotazione di eccezionalità che aveva nel sistema previgente, per assumere carattere di ordinarietà nel
sistema attuale.
La espulsione con accompagnamento coattivo non è necessariamente indice della esigenza di
allontanamento dello straniero per ragioni di ordine pubblico, ma può essere rapportata anche alla sola
necessità di rendere effettiva la esecuzione del provvedimento e contrastare il fenomeno della
clandestinità nel territorio dello Stato. Si è detto in precedenza come sia stata già sottoposta al vaglio
della Consulta la legittimità costituzionale di siffatta ipotesi.
Un certo orientamento restrittivo ritiene invece che, in ogni caso, la legge attribuisca al decreto
di espulsione con accompagnamento coattivo il connotato della irrevocabilità. e che, per questo, esso
debba considerarsi ostativo sia in sede di legalizzazione, sia in sede di rinnovo di permesso di soggiorno.
Si sostiene infatti che: “l'art. 1, comma 8 lett. a, della L. n. 222 del 2002, sia pure relazionato all'ipotesi di
impossibilità di legalizzazione di lavoro irregolare, stabilisce che la revoca del decreto di espulsione
(possibile, se non munito della condizione dell'accompagnamento alla frontiera, "in presenza di
circostanze obiettive riguardanti l'inserimento sociale") "non può essere in ogni caso disposta
nell'ipotesi in cui il lavoratore extracomunitario (. . .) risulti destinatario di un provvedimento di
espulsione" munito di detta ultima clausola. In definitiva, la sussistenza di un provvedimento di
espulsione mediante accompagnamento alla frontiera non solo inibisce la regolarizzazione del lavoro
irregolare, ma, di più, impedisce la possibilità di revoca del provvedimento di espulsione, che, come tale,
influenza la condizione di permanenza (rectius: di soggiorno) nel territorio, così come stabilito dal
richiamato art. 5 del D.lgs. n. 286 del 1998.
In altri termini, come sostanzialmente motivato nell'atto impugnato, il provvedimento di
espulsione con accompagnamento alla frontiera è irrevocabile e, in quanto tale, influenza nel suo
complesso sia la possibilità di ingresso che quella di permanenza nel territorio italiano e, ciò anche
quando, come nel caso in esame, l'espulsione abbia preceduto il primo permesso di soggiorno, che, per
quanto chiarito, non avrebbe potuto essere rilasciato”37.
In argomento cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, ord. 31 marzo 2003 n. 371, che rimette alla Corte cost. il giudizio di legittimità sulla
norma in esame, nonché T.A.R. Sicilia, Catania, sez.II, 16 ottobre 2003 n. 1604.
36 T.A.R. Marche, Ancona, 11 maggio 2005 n. 585 sito.
37 T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II 27 ottobre 2004 n. 2989 in FA, T.A.R., 2004, 3182.
35
22
8.4 LO STRANIERO CHE SI TROVI NELLE CONDIZIONI DI CUI ALL’ ART. 13 COMMA 13 T. U. IMMIGRAZIONE
Da ultimo la revoca della espulsione è esclusa nei confronti dello straniero che abbia lasciato il
territorio dello Stato e si trovi nelle condizioni di cui all’art. 13 comma 13 del testo unico di cui al D.lgs.
n. 286 del 1998.
Si tratta dei casi di rientro illegale dello straniero nel territorio dello Stato, ossia quando lo
straniero, pur essendo stato espulso, sia rientrato nel territorio nazionale in assenza della speciale
autorizzazione del Ministro dell’interno. La fattispecie ostativa in esame presuppone che risulti
comprovata la intervenuta esecuzione del decreto di espulsione, ossia che il decreto di espulsione,
emesso dal Prefetto, sia stato effettivamente notificato allo straniero, e che ad esso sia stata data
esecuzione da parte del Questore secondo le modalità previste dalla legge.
Occorre inoltre tener presente che il divieto di rientro a seguito di espulsione, ai sensi dell’art. 13
comma 14 del D.lgs. n. 286 del 1998, opera per un periodo di dieci anni, a meno che nel decreto di
espulsione non sia previsto un termine più breve in ogni caso non inferiore a cinque anni, tenuto conto
della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia. La durata del
divieto è stata così modificata dall’art. 12 comma 1 della L. n. 189 del 2002, rispetto alla precedente
previsione che la determinava in cinque anni.
La fattispecie di rientro illegale nel territorio dello Stato a seguito di espulsione è prevista e
sanzionata dalla legge come reato.
Occorre tener presente che, prima della entrata in vigore della L. n. 189 del 2002, per il caso di
rientro illegale a seguito di espulsione, non vi era una sanzione specifica, per cui la condotta poteva
essere punita solo come contravvenzione ai sensi dell’art. 650 c.p.p..
Diversamente una sanzione specifica di natura contravvenzionale era prevista nel caso di rientro
illegale a seguito di espulsione con accompagnamento alla frontiera.
Con la L. n. 189 del 2002, la condotta di rientro illegale in Italia in seguito ad espulsione è stata
tipizzata come reato contravvenzionale punita l’arresto da sei mesi ad un anno.
Per tale ipotesi la normativa previgente prevedeva l’arresto in flagranza, come anche per le
ipotesi di trattenimento illegale in violazione del decreto di espulsione.
La fattispecie aveva suscitato non poche perplessità, sotto il profilo della violazione del
principio di proporzionalità, poiché risultava irragionevole la previsione dell’arresto in flagranza di reato
per una ipotesi contravvenzionale che, all’esito del giudizio di convalida, non avrebbe consentito una
emissione di ordinanza di custodia cautelare.
Al riguardo, con riferimento alla analoga fattispecie di trattenimento illegale è stata sollevata
questione di legittimità costituzionale, e la Corte cost., accogliendo la questione con la sentenza n. 223
del 2004, rilevava la irrazionalità della normativa proprio in quanto ad una fattispecie di natura
contravvenzionale si ricollegava l’effetto gravoso dell’arresto in flagranza in assenza della possibilità di
disporre una misura cautelare dopo il giudizio di convalida.
Pertanto con il D.L. n. 241 del 2004 è stata modificata la pena di cui all’art. 13 comma 13
stabilendola ora, nella reclusione da uno a quattro anni, con la previsione dell’arresto obbligatorio anche
fuori dei casi di flagranza38, nonchè del rito direttissimo.
Occorre inoltre evidenziare che il divieto di rientro in caso di espulsione opera per un periodo
di dieci anni ai sensi del comma 14 dell’art. 13 del testo unico a meno che nel decreto non sia indicato
un termine più breve in ogni caso non inferiore a cinque anni.
La durata è stata elevata da cinque a dieci anni per effetto dell’art. 12 comma 1 della L. n. 189
del 2002.
Al riguardo, con riferimento alla configurabilità del reato di rientro illegale per le ipotesi in cui il
decreto fosse stato emesso prima della modifica predetta che ne ha determinato la durata in dieci anni,
Stabilendo l’arresto obbligatorio anche fuori dei casi di flagranza, il legislatore ha inteso superare tutte le discussioni sorte
in precedenza, quando , essendo previsto l’arresto facoltativo e solo in flagranza, diventava fondamentale stabilire se il reati
de quo (rientro illegale in Italia dopo l’espulsione) fosse istantaneo o permanente. Se si riteneva il reato permanente è chiaro
che lo straniero poteva essere arrestato anche dopo l’ingresso in Italia e lontano dal confine. Se, invece, si riteneva il reato
istantaneo , l’arresto era legittimo solo se operato all’attod el rientro nel nostro territorio, con l’ovvia conseguenza che molti
arresti non venivano convalidati. G. Bellagamba, G. Cariti, La disciplina dell’immigrazione, Giuffrè, 2005.
38
23
ma fosse ancora efficace alla data di entrata in vigore della legge di modifica, la Cassazione penale ha
ritenuto ugualmente configurabile il reato ritenendo la ultrattività del decreto. Ciò in quanto nel sistema
previgente non vi era alcuna disposizione che consentiva all’amministrazione di fissare un termine
diverso, sicchè il termine discendeva direttamente dalla legge. Sulla base di tale motivazione la
Cassazione penale ha sostenuto che: “in assenza di norme transitorie, la diversa formulazione della
legge introdotta nel 2002, con il raddoppio del termine di efficacia da cinque a dieci anni, opera
necessariamente su tutti i provvedimenti di espulsione ancora in vigore al momento di entrata in vigore
della novella”39.
8.5 LO STRANIERO SEGNALATO IN BASE AD ACCORDI O CONVENZIONALI INTERNAZIONALI IN VIGORE
IN ITALIA, AI FINI DELLA NON AMMISSIONE NEL TERRITORIO DELLO STATO
Di questa fattispecie ostativa e dei dubbi di legittimità costituzionali per gli automatismi ad essa
collegati si è trattato a proposito della questioni di costituzionalità sollevate dai giudici amministrativi al
cui paragrafo si fa rinvio.
In ogni caso, negli orientamenti della giurisprudenza amministrativa si registrano talune
oscillazioni.
Da alcuni si ritiene che la disposizione in esame costituisca espressione di attività vincolata per
cui l’amministrazione è tenuta a respingere la domanda sulla base della sola constatazione della rilevata
segnalazione dello straniero ai sensi della normativa “Schengen”, non avendo la amministrazione
medesima il potere di verificare il motivo della segnalazione. In tal caso non sarebbe configurabile un
obbligo di precipua motivazione, essendo sufficiente il mero rinvio alla segnalazione. Del resto, si
aggiunge, l’autorità amministrativa non ha alcun potere di accesso, tramite le rappresentanze consolari,
al sistema informativo Schengen per individuare i motivi della segnalazione, cui può accedere solo
l’interessato, il quale dopo aver chiesto ed eventualmente ottenuto la cancellazione potrà inoltrare
richiesta di rilascio di visto di ingresso40.
Sempre per motivare la natura vincolata del provvedimento in caso di straniero segnalato come
inammissibile nello spazio Schengen, si sostiene, infatti, che la normativa di cui al D.L. n. 195 del 2002,
convertito in L. n. 222 del 2002, quale disciplina di favore ed eccezionale per la regolarizzazione degli
extracomunitari debba essere di stretta interpretazione, e, pertanto la segnalazione costituisce di per sé
impedimento normativo all'applicabilità nei confronti dell’interessato della normativa sulla
regolarizzazione, e l'autorità italiana non ha margini di valutazione istruttoria, né può attendere l'esito di
eventuali procedure giudiziarie che vengano successivamente instaurate dai destinatari di tali
segnalazioni in relazione ai provvedimenti che hanno dato origine alle stesse. Il fatto che esse esistano
nel momento in cui viene fatta domanda di ottenere la regolarizzazione ex art. 1 del citato D.L. ne
impedisce l'applicazione tout court.41
Da altri si sostiene invece, con riferimento alla segnalazione Schengen, che non possa
configurarsi alcun automatismo rispetto al provvedimento reiettivo da adottare. Ciò sulla base della
natura assortamente non vincolante del sistema di segnalazioni Schengen che avrebbe una sola funzione
notiziale, e rimetterebbe in ogni caso ad una procedura concordata tra gli Stati interessati la risoluzione
dei casi di conflitto potenziale o reale tra segnalazioni. Tali procedure sono disciplinate dall’art. 25 della
L. n. 388 del 1993 che ha reso esecutiva in Italia la Convenzione Schegen, secondo cui, per il caso in cui
Cass, pen., Sez. I, 10 marzo 2004 n. 11365.
T.A.R. Lazio sez. I, 1 dicembre 2004 n. 14628.
41 T.A.R. Friuli Trieste, 20 novembre 2004 n. 678 in FA, T.A.R., 2004, 3288. In tal senso v. anche T.A.R. Lazio, sez. I, 1
dicembre 2004 n. 14268, in FA, T.A.R., 2004, f. 12, 3710, secondo cui: “Ove l'extracomunitario richiedente un visto di
ingresso nel Paese risulti registrato come inammissibile nel territorio degli Stati aderenti al trattato di Schengen, la reiezione
della sua istanza costituisce un atto dovuto e - quale che sia la tipologia del visto richiesto - non necessitante di motivazione,
la quale per canone generale non è prescritta quando l'amministrazione sia tenuta ad applicare pedissequamente la normativa
vigente senza margini di discrezionalità (la sentenza precisa altresì che le stesse rappresentanze diplomatico -consolari, non
avendo la possibilità di accedere ai dati del Sistema Informativo Schengen, non sarebbero comunque in grado di indicare nei
loro provvedimenti le specifiche ragioni ostative al rilascio del visto nei singoli casi)”.
39
40
24
il permesso di soggiorno non sia stato ancora rilasciato: "Qualora una Parte contraente preveda di
accordare un titolo di soggiorno ad uno straniero segnalato ai fini della non ammissione, essa consulta
preliminarmente la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione e tiene conto degli interessi di
quest'ultima; il titolo di soggiorno sarà accordato soltanto per motivi seri, in particolare umanitari o in
conseguenza di obblighi internazionali. Se il titolo di soggiorno viene rilasciato, la Parte contraente che
ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima, ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel
proprio elenco delle persone segnalate".
Ed ancora per il caso in cui il permesso di soggiorno sia stato già rilasciato : “qualora risulti che
uno straniero, titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità rilasciato da una delle Parti
contraenti, è segnalato ai fini della non ammissione, la Parte contraente che ha effettuato la segnalazione
consulta la Parte che ha rilasciato il titolo di soggiorno per stabilire se vi sono motivi sufficienti per
ritirare il titolo stesso. Se il documento di soggiorno non viene ritirato, la Parte contraente che ha
effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima, ma può tuttavia iscrivere lo straniero nel
proprio elenco nazionale delle persone segnalate”. Sulla base di siffatta normativa è stata esclusa la
operatività di alcun automatismo in caso di segnalazione ai sensi della normativa Schengen, e si è
ritenuto che: “ove il richiedente il titolo di soggiorno risulti segnalato nel Sistema di Informazione
Schengen, l'Autorità di P.S. non può limitarsi a prendere pedissequamente atto dell'avvenuta
segnalazione da parte di uno degli Stati firmatari della Convenzione e, su tali basi, denegare la
regolarizzazione ex art. 33, comma 7, lett. b) L. 189 del 2002, così come modificato dall'art. 2, D.L. 9
settembre 2002, n. 195, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ma deve preventivamente
informarsi, attivando la necessaria procedura di consultazione con le Autorità Estere, sulle ragioni
effettive della segnalazione e poi valutare discrezionalmente se le ragioni della segnalazione (le quali,
come sopra rilevato, possono essere tra loro profondamente diverse e connotate da un ben diverso
grado di gravità), tenendo anche conto della situazione concreta dell'interessato, siano o meno
effettivamente ostative alla permanenza in Italia di quest’ultimo”42.
In senso contrario altro orientamento si è espresso circa la inconfigurabilità di un obbligo a
carico della Autorità procedente di consultare lo Stato che ha effettuato la segnalazione e di indagare le
ragioni della medesima43.
8.6 LO STRANIERO DENUNCIATO PER UNO DEI REATI INDICATI NEGLI ARTT. 380 E 381 C. P. P.
Di questa fattispecie si è trattato a proposito della questione di costituzionalità che è stata
accolta dalla Corte cost. con sentenza n. 78 del 2005. A seguito dell’accoglimento della questione di
costituzionalità la fattispecie in esame non può essere interpretata come una ipotesi di diniego vincolato
alla sola constatazione della esistenza di una denuncia, ma è richiesto ora che la amministrazione
sottoponga, volta a volta, ad accertamento e valutazione la singola denuncia per arguire se sulla base
della medesima possano ricorrere gli estremi per ritenere inammissibile lo straniero nel territorio
italiano44.
Occorre inoltre tener presente che sono state introdotte nuove disposizioni in materia di arresto
e di fermo ai sensi dell’art. 13 del D.L. n. 144 del 2005 conv. in L. n. 155 del 2005 recante: “Misure
urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale”.
8.7 LA PRESENTAZIONE DI UNA FALSA DICHIARAZIONE DI EMERSIONE
La presentazione di una falsa dichiarazione di emersione al fine di eludere le disposizioni in
materia di immigrazione è punita con la reclusione da due a nove mesi, a meno che il fatto non
costituisca più grave reato.
T.A.R. Puglia-Lecce 5 maggio 2005 n. 2662; nello stesso senso T.A.R. Lazio, Latina, 17 maggio 2004, n. 345 in FA,
T.A.R., 2004, 1486, T.A.R. Emilia, Bologna, sez. I, 20 agosto 2003 n.1097, in FA T.A.R., 2003, 2440.
43 T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 7 ottobre 2004 n.5464; T.A.R. Piemonte, Torino, 22 ottobre 2005 n. 3249 sito.
44 V. in data successiva alla pronuncia di incostituzionalità T.A.R. Emilia, Parma, 24 marzo 2005 n. 187 in FA T.A.R., 2005,
3, 688.
42
25
La disposizione è volta evidentemente a colpire una fascia di criminalità abbastanza ampia che
ruota attorno alla immigrazione clandestina, e caratterizzata da figure soggettive che fittiziamente
documentano la esistenza di un rapporto di lavoro con lo straniero, attraverso accordi illeciti che
perseguono la duplice finalità per lo straniero di ottenere il rilascio del titolo, e per il datore di lavoro di
perseguire finalità lucrative attraverso il rilascio di documentazione falsa. Sono frequenti, invero, nella
pratica casi in cui a fronte di dichiarazioni da parte di datori di lavoro di assunzione di un certo
quantitativo di lavoratori stranieri, i controlli poi effettuati hanno rivelato la inesistenza dei lavoratori
medesimi all’indirizzo o alla sede dell’azienda indicata, se non addirittura la inesistenza della stessa
azienda dichiarata.
9. LE FATTISPECIE OSTATIVE AL RILASCIO O RINNOVO DEL PERMESSO DI SOGGIORNO
Le ragioni che impediscono il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno differiscono in
parte da quelle viste con riferimento alla legalizzazione degli stranieri in posizione irregolare.
Si è detto che la disciplina in materia di regolarizzazione riveste natura eccezionale rispetto al
regime ordinario che regola l’ingresso ed il soggiorno degli stranieri in Italia. Essa ha un ambito di
applicazione temporalmente limitato e, dal punto di vista soggettivo, la sua applicazione è circoscritta ad
una categoria di beneficiari più ristretta rispetto a coloro che possono ottenere il rilascio ed il rinnovo
del permesso di soggiorno. La regolarizzazione presuppone innanzitutto la condizione di lavoratore
subordinato nello straniero che ne può beneficiare. Inoltre, sotto il profilo della meritevolezza del
beneficio, la esigenza di tutela sociale è anticipata rispetto a quanto previsto in materia di permesso di
soggiorno per cui, come vedremo, i requisiti che impediscono il rilascio ed il rinnovo del permesso di
soggiorno sono meno rigidi rispetto a quelli che impediscono la legalizzazione. Ciò in quanto rispetto
allo straniero in posizione di clandestinità, risulta maggiormente meritevole di tutela la posizione di
colui che, avendo già ottenuto il rilascio del titolo legittimante il soggiorno in Italia, e quindi di un
provvedimento ampliativo della sua sfera soggettiva, è titolare di una legittima aspettativa ad ottenere il
rinnovo del titolo purchè non siano modificate in senso a lui deteriore le condizioni che ne avevano
legittimato il rilascio.
Andiamo ora ad esaminare i requisiti che condizionano il giudizio circa l’ammissibilità dello
straniero in Italia in sede di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno.
9.1 LA INDISPONIBILITÀ DI SUFFICIENTI MEZZI DI SUSSISTENZA
Sul requisito della disponibilità di sufficienti mezzi di sussistenza si è ampiamente soffermata la
giurisprudenza amministrativa.
I mezzi di sussistenza sono definiti con apposita direttiva emanata dal Ministro dell’Interno sulla
base dei criteri indicati nel documento programmatico. In attuazione di quanto previsto è stata emanata
la Direttiva Min. Interno 1 marzo 2000.
L’onere di provare la disponibilità di sufficienti mezzi di sussistenza è a carico dello straniero, ai
sensi dell’art. 5 comma 3 del testo unico45.
Nel caso in cui la documentazione prodotta sia insufficiente per comprovare questo requisito,
l’art. 9 comma 4 del regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, rimette alla amministrazione la facoltà
di richiedere allo straniero, nel corso della istruttoria della pratica, atti comprovanti la disponibilità di
mezzi di sussistenza sufficienti, commisurati ai motivi ed alla durata del soggiorno, in relazione alle
direttive di cui al testo unico, e tenuto conto del numero delle persone carico, nonché la disponibilità di
altre risorse o dell’alloggio (laddove tale documentazione sia richiesta dal testo unico o dal regolamento
medesimo).
C.d.S. 19 ottobre 2004 n. 6749 in FA C.d.S., 2004, 2844; C.d.S. sez. IV 10 agosto 2004 2004 5495 in FA C.d.S 2004, 2148
: circa la inidoneità delle mere dichiarazioni a comprovare il possesso dei requisiti per ottenere il rilascio ovvero il rinnovo
del permesso di soggiorno, trattandosi di mere affermazioni da parte dell'interessato di fatti o circostanze a sé favorevoli e
dunque inidonee a creare quella ragionevole certezza che lo straniero possa dignitosamente e autonomamente vivere in
Italia, evitando così di svolgere attività illecite o criminose.
45
26
In sede di rinnovo di permesso di soggiorno il requisito in parola può essere accertato d’ufficio,
ai sensi dell’art. 13 comma 2 del regolamento, sulla base di una dichiarazione temporaneamente
sostituiva resa dall’interessato con la richiesta di rinnovo che attesti la disponibilità di un reddito da
lavoro o da altra fonte lecita che sia sufficiente al sostentamento proprio e dei familiari conviventi a
carico.
9.2. LO STRANIERO CHE SIA CONSIDERATO UNA MINACCIA PER L’ORDINE PUBBLICO O LA SICUREZZA
DELLO STATO
Il giudizio di pericolosità sociale che impedisce il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno
non è definito, come in tema di legalizzazione, dalla appartenenza ad una delle categorie di persone
socialmente pericolose come delineate dalla normativa in tema di misure di prevenzione o antimafia.
La norma rimette alla discrezionalità della amministrazione la formulazione di questo giudizio
che, anche in caso di sussistenza dei requisiti previsti per il soggiorno, potrà impedire il rilascio del titolo
in favore dello straniero.
Il giudizio di pericolosità postula, per lo meno, una prognosi di inclinazione a delinquere dello
straniero che, anche in presenza di un pregresso episodio delittuoso, può essere esclusa qualora se ne
constati la episodicità46.
Limitatamente al diniego di visto di soggiorno per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello
Stato l’art. 4 comma 2 del T.U. stabilisce che il provvedimento, in deroga a quanto presto dalla L. n. 241
del 2000, non deve essere motivato a meno che non si tratti di una domanda di soggiorno giustificata
per lavorare in Italia.
Non sembra possano ricondursi alla fattispecie ostativa in oggetto le ipotesi in cui il diniego di
permesso di soggiorno sia motivato per ragioni di dedizione ad attività di prostituzione47. Occorre
considerare che i soggetti immigrati rappresentano una vittima d’elezione nei reati relativi allo
sfruttamento della prostituzione, e non si può dimenticare che coloro che cadono nella rete dello
sfruttamento, restano vittima di un circuito da cui con grande difficoltà riusciranno ad uscire. Per tale
ragione occorre tener presente, che per le situazioni di grave sfruttamento dei confronti degli stranieri,
le norme del testo unico consentono il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno per motivi di
protezione sociale (art. 18) da parte del Questore su proposta del procuratore della Repubblica o con il
parere favorevole della stessa autorità. Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale
consente allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale, e di
partecipare ad un programma di assistenza e di integrazione sociale.
9.3. LO STRANIERO CONDANNATO PER TALUNI REATI ANCHE A SEGUITO DI APPLICAZIONE DI PENA SU
RICHIESTA
La discrezionalità amministrativa nella valutazione della pericolosità del soggetto è vincolata
nella ipotesi in cui consti che, a carico dello straniero, sia intervenuta una sentenza di condanna
definitiva, anche a seguito di pena patteggiata, per talune fattispecie di reato. Si tratta dei reati previsti e
puniti dall’art. 380 commi 1 e 2 del c.p.p., e di talune categorie di reati espressamente menzionate in
quanto ritenuti di particolare allarme sociale, e, in particolare: i reati inerenti gli stupefacenti, la libertà
sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e dell’emigrazione clandestina dall’Italia,
oppure reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della
prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.
C.d.S. sez. IV, 14 dicembre 2004 n. 7979, in FA C.d.S., 2004, f. 12,3514; C.d.S. sez. IV, 21 marzo 2003 n. 1492 in FA
C.d.S., 2003, 923.
47 C.d.S. sez. IV 10 giugno 2004 n. 3716 in www.giustizia-amministrativa.it: “Nel vigente ordinamento interno la prostituzione,
pur se penalmente lecita, è contraria al buon costume ed il guadagno che ne deriva è conseguenza di rapporti contraddistinti
dalla illiceità della causa (Cass. Civ. 1 agosto 1986 n. 4927) Il soggetto eserecente tale attività manca perciò dei requisiti
richiesti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato”.
46
27
In tali casi, il giudizio di pericolosità è dalla legge formulato in re ipsa, qualora sia intervenuta una
condanna definitiva per particolari tipologie di reati connessi alla immigrazione clandestina oppure per
la gravità del reato connesso al limite edittale previsto dalla legge ed alla sua perseguibilità con arresto
obbligatorio in flagranza48. Vedi questione di costituzionalità sollevata al riguardo dal TAR Lombardia
con ordinanze 15 maggio 2003 e 25 agosto 2003.
Con riferimento alla fattispecie in esame, per ciò che concerne la successione di leggi nel tempo,
si è posto in giurisprudenza il dubbio se debbano considerarsi ostative al rinnovo di permesso di
soggiorno tutte le condanne penali pregresse rilevanti ai sensi della norma in oggetto, o solo quelle che
siano state emesse successivamente alla entrata in vigore del testo unico. Nel senso della rilevanza anche
delle condanne penali emesse anteriormente alla entrata in vigore si è espresso il TAR Umbria con
sentenza 11 maggio 2005 n. 256.
Se anche la norma in esame, a differenza di quanto visto in tema di legalizzazione, ancora il
giudizio di pericolosità del soggetto ad una pregressa condanna penale passata in giudicato, ciò non
esclude che l’amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità, possa porre a base di una
valutazione di pericolosità sociale anche procedimenti penali pendenti non ancora definiti con sentenza
irrevocabile, laddove essi esprimano un indice di allarme sociale tale da far ritenere il soggetto
indesiderabile, che giustifichino un diniego di rinnovo od un provvedimento di rimozione nei confronti
dello straniero ritenuto socialmente pericoloso49.
Con riferimento alle sentenze penali di applicazione di pena patteggiata emesse ai sensi dell’art.
444 c.p.p. si è discusso se debbano ritenersi rilevanti anche quelle emesse prima della modifica della
normativa in tema di ingresso di cui all’art. 4 comma 2 del T.U. intervenuta per effetto dell’art. 4
comma 1 lettera b) della L. 30 luglio 2002 n. 189 che ha incluso tra le fattispecie ostative alla
ammissione dello straniero in Italia anche la emissione di sentenza ex art. 444 c.p.p. per i reati ivi
elencati. Nel senso della illegittimità del diniego di rinnovo di permesso di soggiorno a seguito di
sentenza ex art. 444 c.p.p. anteriore alla modifica normativa predetta si è pronunciato TAR Toscana
sez. I con sentenza 9 giugno 2003 n. 230350. Al riguardo, il TAR Lombardia, sezione Brescia, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale della normativa in questione in considerazione della
ritenuta applicabilità, ai fini della non ammissione in Italia dello straniero, anche delle sentenze di
patteggiamento pronunciate anteriormente alla entrata in vigore della legge predetta51.
Sempre in tema di irretroattività della legge nel tempo, alcune pronunce interessanti si sono
registrate con riguardo alla ipotesi di cui all’art. 26 comma 7 bis del D.lgs. n. 268 del 1998 che, nel testo
introdotto dall’art. 21 della L. n. 189 del 2002, preclude il rilascio del permesso di soggiorno nei
confronti di stranieri che abbiano riportato condanna definitiva per violazioni alla legge sul diritto
d’autore, e ne prevede la immediata espulsione. Al riguardo il TAR., Friuli nella sentenza 12 febbraio
2005 n. 2452, ha escluso la applicabilità di siffatte disposizioni con riferimento agli stranieri che abbiano
riportato condanna pronunciata in data anteriore alla entrata in vigore della L. n. 189 del 2002. Nella
specie, il Collegio ha motivato siffatta decisione per la normale irretroattività della legge, ai sensi dell'art.
11 delle disposizioni sulla legge in generale del c.c., dovendo il legislatore, se intende dare valore
retroattivo ad una disposizione legislativa, provvedere ad attribuirglielo espressamente con norma di
pari valore formale del citato art. 11 e, quindi, con espressa deroga ad esso, situazione che, nel caso, non
si rileva.
Nello stesso senso si è espresso, altresì, il TAR Pescara che con sentenza 19 luglio 2004 n. 70653
ha affermato che non può essere negato il rinnovo del permesso di soggiorno sul presupposto della
intervenuta condanna a carico del richiedente per il reato di contraffazione e commercializzazione di
cfr T.A.R. Friuli, 24 novembre 2003 n.794, in FA , T.A.R., 2003, 3212,: “Il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno
di uno straniero condannato per i reati previsti dall'art. 380 comma 1 e 2 c.p.p., in mancanza di riabilitazione, costituisce un
atto dovuto, ossia l'esercizio di una potestà vincolata e non discrezionale della p.a., con la conseguenza che - in casi simili non è dovuta alcuna indagine o valutazione in relazione alla concreta pericolosità del soggetto interessato”.
49 T.A.R. Liguria, Genova, sez. II, 4 novembre 2004 n. 1513 FA, T.A.R., 2004, 3323.
50 Giur. Merito, 2003, p. 2294.
51 T.A.R. Lombardia, Brescia, 25 agosto 2003 n. 1190, e ordinanza n. 561 del 2005.
52 FA, T.A.R., 2005, 2, 363.
53 FA, T.A.R. 2004, 2257.
48
28
prodotti informatici, laddove il fatto per il quale è stata comminata la pena sia avvenuto prima della
entrata in vigore della L. n. 189 del 2002, dato che, anche se si tratta di una misura diversa dalla pena,
l'affidamento che un cittadino extracomunitario possa aver fatto nel commettere il reato, che questo
non avrebbe potuto arrecare un nocumento di una certa gravità come l'espulsione, non può non essere
valutato anche alla luce dei precedenti complessivi del soggetto. Nello stesso senso si è espresso anche
TAR Sicilia Catania sez. II con sentenza 16 giugno 2004 n. 168854 che ha dato rilievo alla data di
consumazione del reato che, se commesso anteriormente alla entrata in vigore della L. n. 189 del 2002,
impedisce la applicazione della fattispecie ostativa.
9.4 LO STRANIERO ESPULSO O CHE DEVE ESSERE ESPULSO
Ai sensi dell’art. 4 comma 6 del D.lgs. n. 286 del 1998, non possono fare ingresso nel territorio
dello Stato gli stranieri espulsi, a meno che non abbiano ottenuto la speciale autorizzazione del
Ministro, oppure sia trascorso il periodo di divieto di ingresso.
Sempre ai sensi della medesima norma, non possono entrare nel territorio dello Stato gli
stranieri che devono essere espulsi.
La fattispecie risulta disciplinata tra i motivi che impediscono l’ingresso dello straniero nel
territorio dello Stato.
Il riferimento normativo allo straniero “che deve essere espulso” può avere ad oggetto
situazioni, assai frequenti nella pratica, soprattutto in passato, in cui i decreti di espulsione, pur emessi,
non siano stati mai notificati od eseguiti per le più svariate ragioni, non da ultima, la impossibilità di
rintracciarne il destinatario.
Ciò avveniva in quanto, come si è anticipato in precedenza, nel regime previgente alle modifiche
introdotte con L. n. 189 del 2002, i decreti prefettizi di espulsione venivano emessi in via ordinaria “con
intimazione a lasciare il territorio dello Stato”, e solo in via eccezionale, rimessi alla scelta discrezionale
del Prefetto, con accompagnamento coattivo alla frontiera.
Si è posta, quindi, la esigenza di assicurare il più possibile effettività ai decreti di espulsione
sicchè l’accompagnamento alla frontiera da modalità eccezionale è divenuta modalità ordinaria di
esecuzione delle espulsioni.
Circa poi la efficacia nel tempo del decreto di espulsione, occorre tener presente altresì le
modifiche che, sempre per effetto della L. n. 189 del 2002, si sono avute con riguardo alla durata del
divieto di rientro che da cinque è stata portata a dieci anni.
La pregressa emissione di decreti di espulsione emerge, di frequente, in sede di rinnovo di
permesso di soggiorno, qualora a seguito di rilievi fotodattiloscopici, risulti che lo straniero già
soggiornante in Italia in virtù di un pregressa regolarizzazione, o permesso di soggiorno già rilasciato,
sia stato espulso sotto altro nominativo.
In tali casi, qualora la espulsione sia motivata esclusivamente per ragioni di clandestinità, in
assenza di altri fatti di rilievo penale o denotanti pericolosità sociale, sorge il problema di stabilire se
essa, qualora non eseguita o tuttora efficace, possa essere considerato valido motivo di diniego di
rinnovo, o di revoca di permesso di soggiorno, qualora non eseguita, o ancora efficace.
9.5 LO STRANIERO SEGNALATO IN BASE AD ACCORDI O CONVENZIONI INTERNAZIONALI
Per gli stranieri segnalati vi sono due disposizioni nella normativa in tema di permesso di
soggiorno di cui al testo unico.
La prima , in tema di rilascio, disciplinata dall’art. 4 comma 6 del testo unico, riguarda il caso
dello straniero segnalato, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali, in vigore in Italia, ai fini
del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e
di tutela delle relazioni internazionali.
54
FA, T.A.R., 2004, 1877.
29
La seconda, all’art. 5 comma 6, in tema di rifiuto o revoca di permesso di soggiorno che
possono essere adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali resi esecutivi in Italia, quando
lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che
ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o
internazionali dello Stato italiano.
Al riguardo, viene in considerazione in primo luogo l’Accordo di Schengen ratificato con L. n.
388 del 1993, la cui Convenzione prevede, come abbiamo visto in tema di diniego di legalizzazione, una
procedura di consultazione preliminare, per i casi in cui il Paese contraente intenda concedere il
permesso di soggiorno o il suo rinnovo per motivi seri o anche umanitari.
Nel caso in cui il permesso di soggiorno è stato già rilasciato la Parte contraente che ha
effettuato la segnalazione consulta la Parte che ha rilasciato il titolo di soggiorno per stabilire se vi sono
motivi sufficienti per ritirare il titolo stesso. Se il documento di soggiorno non viene ritirato, la Parte
contraente che ha effettuato la segnalazione procede al ritiro di quest'ultima, ma può tuttavia iscrivere lo
straniero nel proprio elenco nazionale delle persone segnalate.
9.6 LO STRANIERO CHE HA INTERROTTO IL SOGGIORNO
Ai sensi dell’art. 13 comma 4 del regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, come modificato
dall’art. 12 del D.P.R. 18 ottobre 2004 n. 334, il permesso di soggiorno non può essere rinnovato o
prorogato quando risulta che lo straniero ha interrotto il soggiorno in Italia per un periodo continuativo
di oltre sei mesi, o, per i permessi di soggiorno di durata almeno biennale, per un periodo continuativo
superiore alla metà del periodo di validità del permesso di soggiorno, salvo che detta interruzione sia
dipesa dalla necessità di adempiere agli obblighi militari o da altri e comprovati motivi.
9.7 IL DATORE DI LAVORO SOTTOPOSTO A PROCEDIMENTO PENALE
Ai sensi dell’art. 31 comma 2 del D.P.R. n. 394 del 1999, il Questore esprime parere contrario al
rilascio del nulla osta richiesto per la assunzione di lavoratori stranieri, qualora il datore di lavoro a
domicilio, o titolare di un’impresa individuale ovvero, negli altri casi, il legale rappresentante ed i
componenti dell’organo di amministrazione della società, risultino denunciati per uno dei reati previsti
dal testo unico, ovvero per uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 c.p.p., salvo che i relativi
procedimenti di siano conclusi con un provvedimento che esclude il reato o la responsabilità
dell’interessato, ovvero risulti sia stata applicata nei loro confronti una misura di prevenzione, salvi, in
ogni caso gli effetti della riabilitazione.
La disposizione in esame inserita, in linea generale, nelle norme del regolamento di cui al capo V
che riguardano la disciplina del lavoro, è stata ritenuta applicabile da taluno anche con riferimento ai
provvedimenti di regolarizzazione55.
In senso contrario a siffatto orientamento si è affermato da altri che i precedenti penali del
datore di lavoro non possono essere addotti dall'amministrazione quali ragioni ostative all'accoglimento
di una domanda di regolarizzazione di un rapporto di lavoro domestico, non rientrando tra la cause
tassative di diniego previste dalla legge56.
Tuttavia, si è osservato che quando la amministrazione prende in esame la posizione del datore
di lavoro non può limitarsi alla sola constatazione della esistenza di un procedimento penale, ma dovrà
adeguatamente motivare in ordine alle situazioni eventualmente ostative che si presentano con
riferimento alla persona del datore di lavoro57.
T.A.R. Abruzzo, Pescara, 20 novembre 2003 n. 1025 Giur. Merito, 2004, 985.
T.A.R. Piemonte, sez. II, 18 giugno 2005 n. 2285.
57 T.A.R. Toscana, sez. I, 29 settembre 2003 n. 5165, FA T.A.R., 2003, 2590.
55
56
30
9.8 LA PRESENTAZIONE DI DOCUMENTAZIONE FALSA O CONTRAFFATTA .
Ai sensi dell’art. 4 comma 2 del testo unico la presentazione di documentazione falsa o
contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto di soggiorno, ne comporta,
automaticamente la inammissibilità. La fattispecie ricorre di frequente, qualora la domanda di rilascio di
permesso di soggiorno sia stata presentata attestando falsamente la esistenza di un rapporto di lavoro in
realtà inesistente. Circostanze del genere sono emerse, di frequente, in occasione dei controlli e delle
ispezioni effettuate dagli organi di Polizia Giudiziaria all’uopo preposti presso la sede dell’azienda dei
datori di lavoro dichiaranti, ove si è constatata la inesistenza dello svolgimento della attività di impresa
fittiziamente dichiarata. La fattispecie suscita un certo allarme sociale poiché il rilascio di false
attestazioni di lavoro è divenuta ora attività delittuosa di elezione da parte di organizzazioni criminali
che gravitano intorno al fenomeno della immigrazione clandestina, lucrando ingenti profitti dallo
svolgimento di siffatta attività delittuosa. I casi del genere non può escludersi il coinvolgimento dello
straniero, a titolo di concorso, nell’aver dichiarato il falso, sicchè, in caso di accertamento della falsità
del rapporto di lavoro, anche solo in via amministrativa, non residua all’amministrazione altra scelta se
non quella di respingere la domanda di permesso di soggiorno.
10. I
PROVVEDIMENTI DI REVOCA E ANNULLAMENTO , I DINIEGHI DI RINNOVO DI
PERMESSO DI SOGGIORNO E LE IRREGOLARITÀ AMMINISTRATIVE SANABILI
Secondo il comma 5 dell’art. 5 del T.U., il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati
e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare
i requisiti per l’ingresso ed il soggiorno nel territorio dello Stato, fatto salvo quanto previsto dall’art. 22
comma 9, e sempre che non siano sopraggiunti nuovi motivi che ne consentano il rilascio e che non si
tratti di irregolarità amministrative sanabili.
Ai sensi del comma 6 il permesso di soggiorno può essere rifiutato o revocato quando lo
straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno sulla base di accordi o convenzioni internazionali, a
meno che non ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi
costituzionali o internazionali dello Stato italiano.
Nel caso in cui lo straniero abbia ottenuto il permesso di soggiorno per lavoro dipendente, la
successiva perdita del posto di lavoro non impedisce il rinnovo del titolo, né può costituire valido
motivo di revoca del permesso medesimo, in quanto l’art. 22, comma 9 del testo unico prevede in tal
caso che, quando il lavoratore abbia perduto il posto di lavoro, anche per dimissioni, possa essere
iscritto sulle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso, e comunque, salvo che
si tratti di un permesso di lavoro stagionale, per un periodo non inferiore a sei mesi.
In detta materia occorre poi tener conto della Direttiva del Consiglio della Unione Europea del
26 novembre 2003 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Cee del 23 gennaio 2004, che, per gli stranieri
residenti di lungo periodo stabilisce che essi dovrebbero godere di un permesso di soggiorno permanete
anche indipendentemente dalla attualità di un rapporto di lavoro.
La applicazione della disciplina in tema di rinnovo, o di provvedimenti di secondo grado, non
pone particolare problemi qualora la fattispecie ostativa al soggiorno dello straniero sia sopraggiunta in
fase successiva al rilascio del titolo, e ciò abbia determinato il venir meno delle condizioni originarie
ritenute per legge ostative al rilascio del permesso di soggiorno. E’ il caso, ad esempio, in cui lo
straniero sia stato condannato, con sentenza definitiva, per uno dei reati gravi che impediscono il
rilascio del titolo, sicchè, in tali casi la amministrazione potrà legittimamente opporre siffatta circostanza
sopravvenuta per motivare un diniego o la rimozione del permesso medesimo58.
Diversamente, qualora in sede di rinnovo emergano fatti nuovi circa la condotta pregressa dello
straniero, essi dovranno essere valutati all’attualità con riferimento al momento della adozione dell’atto,
non potendosi giustificare una valutazione ora per allora59.
T.A.R. Piemonte, Torino, 2005 n. 2848.
Ad es., tra i nuovi motivi sopraggiunti che giustificano il rilascio si è fatta rientrare la ipotesi in cui il contratto di
soggiorno sia stato stipulato in epoca posteriore alla scadenza del permesso già rilasciato per attesa occupazione. T.A.R.
58
59
31
Il problema degli elementi sopraggiunti alla attenzione della amministrazione si è posto in
particolare con riferimento alla emersione di circostanze nuove in seguito alla entrata in vigore della
normativa sui rilievi fotodattiloscopici, introdotta con dalla L. 30 luglio 2002 n. 18960, sulla cui base
sono stati sottoposti a rilievi anche gli stranieri già muniti di permesso di soggiorno.
Si è quindi verificato che, in sede di rinnovo di permessi di soggiorno già rilasciati, anche a titolo
di legalizzazione, siano emerse circostanze, anche pregresse rispetto al rilascio del titolo, che all’atto del
rilascio del permesso di soggiorno non erano state oggetto di valutazione da parte della
amministrazione. E spesso poteva trattarsi di circostanze che, se conosciute al momento del rilascio del
permesso di soggiorno, potevano essere rilevanti ai fini di impedire il rilascio del titolo, quali ad esempio
la esistenza di pregresse condanne penali, o denunce che per i casi di legalizzazione di lavoro irregolare.
In questi casi, si è posto concretamente il problema di stabilire in qual modo valutare le
circostanze pregresse, soprattutto nei casi in cui non si trattasse di fatti pena lmente rilevanti o altre
circostanze che vincolavano il giudizio della amministrazione ed imponevano, quale atto dovuto, la
revoca del titolo e l’allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato.
Ciò è avvenuto in particolare con riferimento agli stranieri già muniti di permesso di soggiorno,
che, sottoposti a rilievi fotodattiloscopici, sono risultati destinatari di provvedimenti di espulsione
emessi per ragioni di pregressa clandestinità.
Occorre tener presente che la condizione di clandestinità, integra sicuramente una situazione di
illegalità, ma non è penalmente sanzionata all’interno del nostro ordinamento. Ed infatti, con
riferimento alla condizione di clandestino la Cassazione penale ha ritenuto inconfigurabile il reato di
omessa esibizione, senza giustificato motivo, di un documento di identificazione previsto e punito
dall’art. 6 comma 4 della L. n. 40 del 1998. Ciò sul presupposto che sarebbe contra ius una norma che,
pur ascrivendo il clandestino all’area del penalmente irrilevante, gli imponesse di attivarsi per munirsi di
un documento di identificazione, che equivarrebbe ad una denuncia del suo stato di clandestinità ed a
porre le basi per una sua espulsione. Ciò non può essere ammesso poiché nel nostro ordinamento
nessuno può essere costretto a d agire contro se stesso61.
La situazione di clandestinità non è quindi sanzionata nel nostro ordinamento dal punto di vista
penale, ma solo in via amministrativa, attraverso la espulsione dello straniero che risulti privo di un
valido documento di soggiorno.
Entra nell’area del penalmente rilevante il comportamento dello straniero che, dopo aver subito
un provvedimento di espulsione, si sia illegalmente trattenuto nel territorio dello Stato, oppure abbia
ottemperato al provvedimento di espulsione ma sia rientrato in Italia, prima che la espulsione
decadesse, in assenza della speciale autorizzazione del Ministro.
Tali sono le condizioni cui la legge ricollega l’applicazione di sanzioni penali, e di alcune
conseguenze sul piano amministrativo che abbiamo visto in tema di legalizzazione.
Fermo restando che la condizione di clandestinità non è di per sé sola indice di pericolosità
sociale, si è posto il problema di stabilire se, nei casi in cui dopo il rilascio del titolo l’amministrazione
venga a conoscenza di una pregressa espulsione, debba automaticamente emettere un provvedimento
negativo, o se invece è tenuta a valutare la espulsione alla luce dell’attualità, e tenendo conto degli
eventuali motivi sopravvenuti favorevoli al rilascio.
Per i casi di revoca o annullamento di permesso di soggiorno per pregresse espulsioni, qualora la
espulsione sia assai risalente nel tempo, potrà comunque richiedersi alla amministrazione un più
Liguria, Genova, sez. II, 16 dicembre 2004, n in FA, T.A.R. f. 12,3694; T.A.R. Emilia, Parma, 19 settembre 2003 n.439 in FA
T.A.R., 2003, 2584; T.A.R. Napoli, Sez. III, 17 dicembre 2002 n. 8088; T.A.R. Veneto, Sez. III, 15 gennaio 2003 n. 428 e 2
dicembre 2002 n. 6477; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 9 febbraio 2002 n. 290;. T.A.R. Parma 24 aprile 2002 n. 227 e 19 marzo
2002 n. 166.
60 La entrata in vigore della normativa sui rilievi dattiloscopici è stata accompagnata da roventi polemiche circa la sua
opportunità, e, nel dibattito parlamentare, è restato comunque aperto il dubbio se essa sia stata introdotta per una certezza di
identificazione o per ragioni di sicurezza. Certamente ha prevalso la esigenza di evitare che sotto false generalità potessero
mascherarsi ipotesi di permessi plurimi rilasciati nei confronti della medesima persona, o che si potesse eludere la normativa
sul soggiorno procurandosi documentazione attestante una falsa identità. La esecuzione dei rilievi dattiloscopici ha poi
consentito anche la emersione di precedenti penali pregressi costituenti utili elementi di valutazione ai fini dell’ammissibilità
dello straniero in Italia.
61 Cass. Pen. Sez. VI 29 luglio 2003 n. 31990.
32
compiuto onere motivazionale circa la persistenza di un interesse pubblico ed attuale alla esecuzione del
provvedimento di espulsione rimasto ineseguito. Al riguardo, in un ricorso avverso una revoca di
permesso di soggiorno per pregressa espulsione è stata considerata fondata la doglianza di difetto di
motivazione per la assenza di una motivazione sull'interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione
dell'atto revocato necessaria anche nel caso in cui il destinatario dell'atto non sia in buona fede, o nel
caso in cui la espulsione sia stata eseguita con accompagnamento alla frontiera62.
Di particolare interesse risulta un’altra pronuncia relativa ad un caso di uno straniero
regolarizzato che, sottoposto a rilievi fotodattiloscopici in sede di rinnovo di permesso di soggiorno, era
risultato destinatario di un provvedimento di espulsione sotto altre generalità, e, conseguentemente,
denunciato all’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 495 c.p. per il reato di false dichiarazioni di
generalità. Nel giudizio promosso avverso il diniego di rinnovo di permesso di soggiorno il T.A.R. adito
ha sostenuto che, potendo configurarsi un caso di revocabilità della espulsione rimessa alla
discrezionalità dell’amministrazione ed ancorata al giudizio di inserimento sociale: “La tardiva scoperta
di quel precedente pregiudizievole restituisce all’amministrazione il potere-dovere di riesaminare
l’istanza di regolarizzazione compiendo “ora per allora” tutte quelle valutazioni che avrebbe potuto e
dovuto compiere sin dall’origine del procedimento, se avesse avuto conoscenza di tutti gli elementi del
caso”. Ed ha rilevato inoltre che “il provvedimento di regolarizzazione potrà essere revocato solo se,
all’esito di questa disamina, l’autorità competente riterrà che la pregressa espulsione non è meritevole di
revoca”63. Nella decisione in argomento il giudice adito ha ritenuto irrilevante la circostanza che il
ricorrente fosse stato denunciato penalmente ai sensi dell’art. 495 c.p. nella misura in cui la denuncia,
benché relativa ad un fatto commesso anteriormente alla regolarizzazione, era comunque stata sporta in
data successiva al rilascio del titolo.
Con riferimento ai casi in cui è ammessa la revoca del decreto di espulsione si è posto altresì il
problema di stabilire se la revoca della espulsione dovesse avvenire d’ufficio o su istanza dell’interessato.
Nel senso della necessità di un'istanza da parte del soggetto interessato si è espresso T.A.R. Piemonte
con sentenza n. 1907 del 2005 non essendo configurabile un onere in tal senso a carico
dell’Amministrazione; ma semmai un onere a carico dell’interessato al momento della istanza di
“regolarizzazione”, soprattutto se, come avvenuto nella fattispecie all’esame, la precedente espulsione
era stata adottata sotto diverse generalità64.
Alle irregolarità amministrative sanabili si è ricondotta la violazione da parte dello straniero
dell’obbligo di segnalare il luogo di residenza od il recapito, poiché tale violazione comporta la
possibilità di irrogare una sanzione, ma le norme vigenti non abilitano la p.a. a derivare da tale sola
circostanza la sopravvenuta incompatibilità della presenza del cittadino extracomunitario in Italia65.
10.1 L’APPLICAZIONE DELLE REGOLE DEI PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI DI SECONDO GRADO
Da tener presente che in ogni caso qualora la amministrazione intenda procedere d’ufficio con
la adozione di un atto di rimozione del permesso di soggiorno, quale un provvedimento, di revoca o di
annullamento, trovano applicazione le norme procedimentali previste dalla L. n. 241 del 1990 ed i
principi giurisprudenziali operanti in materia di autotutela.
Per gli atti di revoca o di annullamento d’ufficio deve essere, innanzitutto, assicurata la
partecipazione procedimentale dell’interessato attraverso la comunicazione dell’avvio del procedimento,
ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241 del 199066. Al riguardo occorre tener presente i temperamenti introdotti
dalle recenti modifiche di cui alla L. n. 15 del 2005 per evidenti esigenze di economia processuale ed al
fine di evitare che la violazione di regole di natura formale possa determinare in inutile duplicazione di
procedimenti amministrativi ed eventualmente anche di giudizi. Ed infatti, ai sensi dell’art. 21 octies
T.A.R. Toscana, 4 maggio 2004 n. 2044, T.A.R. Toscana, 23 febbraio 2005 n. 875.
T.A.R. Umbria 27 aprile 2005 n. 192.
64 Sito.
65 T.A.R. Liguria, Genova, sez. II, 27 maggio 2005, n. 718.
66 Cfr in tal senso T.A.R. Liguria, sez. II, 4 novembre 2004, n. 1511 in FA,T.A.R., 2004, 3322; T.A.R. Tosacan, sez.I, 29
settembre 2003 n.5169 in FA,T.A.R., 2003, 2590.
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della L. n. 241 del 1990 come modificato, non può pervenirsi all’annullamento di un provvedimento per
violazione dell’art. 7 cit., qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In caso di atti vincolati il provvedimento non è annullabile per vizi formali qualora risulti palese
che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
In sede di adozione di provvedimenti di secondo grado la amministrazione nel rivalutare la
ammissibilità dello straniero dovrà tener conto del legittimo affidamento ingenerato nell’interessato dal
rilascio di un provvedimento favorevole, della situazione di aspettativa determinata dal rinnovo, e delle
esigenze di interesse pubblico che giustifichino la rimozione dell’atto valutata all’attualità, ossia con
riferimento al momento dell’adozione dell’atto di secondo grado.
Si è detto al riguardo nel paragrafo che precede circa la necessità di motivare in ordine alla
persistenza ed attualità dell’interesse pubblico ad eseguire una espulsione rimasta ineseguita.
Sulla base di tali considerazioni è stato ritenuto illegittimo il provvedimento di revoca del
permesso di soggiorno: “motivato esclusivamente sul rilievo che l'interessato non aveva titolo alla
regolarizzazione, in quanto l'esercizio del potere discrezionale di annullamento d'ufficio, secondo
principi costantemente affermati in giurisprudenza, presuppone non solo l'illegittimità dell'atto da
rimuovere, ma anche la motivazione sull'interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione (ad
esempio desunto dal comportamento successivo all'atto, oppure dalla gravità o dal numero di reati
commessi o da altre circostanze), anche quando non vi sia la buona fede del soggetto interessato”67.
Ed ancora è stato ritenuto illegittima la revoca di un permesso di soggiorno basato
esclusivamente su di una pena patteggiata (ex art. 444 c.p.p.) risalente al 1997 e concernente un reato di
lieve entità (ai sensi dell'art. 73 comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990), per ciò stesso obiettivamente non
idoneo a far ritenere che il soggetto in questione vivesse abitualmente con i proventi di attività
delittuose68.
11. IL GRATUITO PATROCINIO DELLO STRANIERO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
La disciplina del patrocinio a spese dello Stato nel giudizio amministrativo, oltre che civile,
contabile e tributario, è contenuta nelle disposizioni di cui al titolo IV del testo unico sulle spese di
giustizia approvato con D.P.R. n. 115 del 2002.
Ai sensi dell’art. 119 D.P.R. citato il trattamento previsto per il cittadino italiano è assicurato,
altresì, allo straniero regolarmente soggiornante sul territorio nazionale al momento del sorgere del
rapporto o del fatto oggetto del processo da instaurare e all'apolide, nonché ad enti o associazioni che
non perseguono scopi di lucro e non esercitano attività economica.
Circa il riconoscimento della fondamentale garanzia costituzionale del diritto di difesa nei
confronti dello straniero in più occasioni si è pronunciata la Corte cost. (sent. n.10 del 1993), specie con
riferimento alla difesa dei non abbienti (sent. n. 194 del 1992).
Con riferimento al requisito del regolare soggiorno in Italia al momento del sorgere o del fatto
oggetto del processo da instaurare, siffatta norma è stata interpretata nel senso che non possano
usufruire del beneficio gli stranieri in posizione irregolare. Sicchè li beneficio non dovrebbe essere
ammesso, e, se ammesso andrebbe revocato, qualora lo straniero in posizione irregolare instauri innanzi
al giudice amministrativo il rito del silenzio per ottenere la definizione della propria istanza con
provvedimento espresso, oppure quando impugni innanzi al Tar un diniego di regolarizzazione69.
Sotto altro profilo la questione è stata sottoposta all’attenzione della Corte cost. come si è già
puntualizzato nel relativo paragrafo cui si fa rinvio.
Tra le novità più salienti introdotte dal testo unico con riferimento al procedimento di
ammissione nei giudizi contemplati dal Titolo IV, v’è la previsione della ammissione in via anticipata del
T.A.R. Toscana, sez. I, 10 novembre 2004 n. 5665 in FA, 2004, 3334; nello stesso senso T.A.R. Liguria, sez.II, 9 agosto
2004 n. 1129, FA,T.A.R., 2004, 2043.
68 C.d.S. sez. IV 14 dicembre 2004 n. 8050, FA C.d.S., 2004, f. 12, 3526.
69 T.A.R. Napoli, sez. IV sentenza 4 agosto 2005 n. 10621; T.A.R. Napoli, sez. IV, 6 dicembre 2005 n. 19924 circa la
inammissibilità del ricorso per opposizione avverso la revoca del provvedimento di ammissione al beneficio.
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34
beneficio da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che è comunque subordinata alla verifica
della sussistenza e permanenza dei requisiti e dei presupposti da parte del giudice che procede.
La istanza di ammissione dovrà essere presentata secondo le modalità di cui all’art. 79 del testo
unico spese di giustizia che, con riferimento al reddito, alla lettera sub c), consente allo straniero di
produrre c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato, ai sensi dell'art. 46,
comma 1, lettera o), del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di
reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali
fini, determinato secondo le modalità indicate nell’art. 76.
Per i redditi prodotti all'estero, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea correda
l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in
essa indicato.
Con riferimento alle dichiarazioni sostitutive l’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998 n. 403 in tema
di semplificazione delle certificazioni amministrative equipara i cittadini “comunitari” a quelli italiani ai
fini della possibilità di rendere dichiarazioni sostitutive.
Per quanto concerne i cittadini extra comunitari il Ministero dell’Interno ha emanato una
circolare e precisamente la n. 300 del 22 giugno 1999 secondo cui la possibilità di avvalersi delle
dichiarazioni sostitutive è data agli stranieri solo se residenti, secondo le disposizioni del regolamento
anagrafico, e limitatamente a quei fatti, stati e qualità che possono essere convalidati da soggetti pubblici
e privati italiani.
A sua volta l’art. 2 del regolamento di cui al D.P.R. n. 394 del 1999 recepisce tali disposizioni
con riferimento ai cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia che possono avvalersi delle
dichiarazioni sostitutive di cui all’art. 46 cit. limitatamente agli stati, fatti e qualità personali certificabili o
attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani, fatte salve le disposizioni del testo unico o del
regolamento medesimo che prevedono l’esibizione o la produzione di specifici documenti.
Gli stati, fatti o qualità personali diversi da quelli precedenti sono documentati dalla autorità
dello Stato estero o altrimenti secondo le modalità di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 2 del regolamento
medesimo.
Occorre tener conto che l’art. 18 comma 2 della L. n. 241 del 1990, come recentemente
modificato dalla legge 15 del 2005 , dispone che qualora l’interessato dichiari che fatti, stati e qualità
sono attestati in documenti già in possesso della amministrazione procedente o di altra pubblica
amministrazione, il responsabile del procedimento debba provvedere d’ufficio all’acquisizione dei
documenti stessi o di copia di essi.
Su richiesta del Consiglio dell’Ordine o del giudice che procede, gli interessati, sono tenuti, a
pena di inammissibilità dell'istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di
quanto in essa indicato.
La parte ammessa rimasta soccombente non può giovarsi dell'ammissione per proporre
impugnazione.
L’autorità che procede può, in ogni momento, ai sensi dell’art. 136 del T.U. spese di giustizia,
procedere alla revoca dell’ammissione del beneficio, se risulta l'insussistenza, originaria o sopravvenuta,
dei presupposti per l'ammissione ovvero se l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o
colpa grave.
La decorrenza della efficacia del provvedimento di revoca è legata alla causa che l’ha
determinato.
Con riferimento poi alla impugnazione del provvedimento di revoca, la previsione di una
doppia fase di ammissione al beneficio, ha indotto evidentemente il legislatore a non riprodurre, per il
processo amministrativo, le analoghe previsioni di impugnazione separata operanti per il giudizio
penale.
Il provvedimento pertanto potrà essere impugnato innanzi al giudice di secondo grado
seguendo le vie ordinarie.
Ed infatti, diversamente da quanto previsto nel giudizio penale, i provvedimenti adottati nel
giudizio amministrativo in tema revoca del beneficio, ai sensi dell’art. 136 del D.P.R. cit., non sono
reclamabili, in quanto nelle disposizioni particolari dettate dal testo unico non è prevista né disciplinata
35
la instaurazione di un procedimento speciale di impugnazione avverso i provvedimenti con cui il
magistrato revoca o nega il riconoscimento del beneficio in argomento.
Inoltre, si è affermato che nella specie, non è prospettabile una applicazione analogica dello
speciale tipo di ricorso previsto e disciplinato per il giudizio penale dall’art. 99 D.P.R. n.115 del 2002,
mancando evidentemente i presupposti della analogia ossia la possibilità di sostenere la identità o
assimilabilità delle fattispecie di riferimento proprio in quanto i relativi procedimenti di ammissione
sono disciplinati in maniera del tutto differente non solo in rito, ma anche quanto a presupposti e
condizioni per il riconoscimento del beneficio medesimo70.
Renata Emma Ianigro
Magistrato TAR
Cfr T.A.R. Campania sez. IV 6 dicembre 2005 n. 1994 in www.giustizia-amministrativa.it secondo cui: “in ogni caso, la non
ricorribilità entro i termini di cui all’art. 99 D.P.R. cit. dei provvedimenti giudiziali di revoca del beneficio non si pone in
contrasto con il principio del giusto processo, in quanto, nella fase di primo grado, l’interessato può avvalersi della facoltà di
ripresentare la istanza qualora il Consiglio dell’Ordine, competente alla ammissione “in via anticipata”, emetta un decreto di
diniego per inammissibilità o infondatezza della domanda” ed inoltre: “ nemmeno possono ritenersi violate le garanzie
costituzionali di cui all’art. 24 Cost. in quanto la sentenza o il diverso provvedimento con cui si è revocato il beneficio, al
pari di ogni altra decisione del T.A.R., è comunque appellabile innanzi al Consiglio di Stato, anche solo per il punto della
decisione sul gratuito patrocinio”.
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