LA PROFEZIA DEL CONCILIO VATICANO II
E. Cattaneo S.I.
Cinquant’anni fa, l’11 ottobre del 1962, sotto il pontificato di Giovanni XXIII1 veniva inaugurato
solennemente nella basilica di S. Pietro in Vaticano il 21° concilio ecumenico della Chiesa
Cattolica2. Dunque mezzo secolo è passato da quell’evento, e ciò significa che oggi i cattolici al di
sotto dei cinquant’anni non hanno nessuna notizia diretta di quel concilio, conclusosi tre anni dopo,
l’8 dicembre del 1965, mentre era papa Paolo VI3. Probabilmente, anche la conoscenza attraverso la
lettura dei documenti conciliari è scarsa o nulla nelle nuove generazioni4.
Lo svolgimento del Concilio non è stato né semplice né indolore. Lo stesso si deve dire per la sua
recezione, anche perché la Chiesa Cattolica viveva allora, come vive adesso, in regioni della terra
culturalmente molto distanti tra loro, in alcune delle quali c’era, e c’è ancora, poca o nulla libertà
religiosa. Negli anni 1962-65 le Chiese dell’Est Europa, della Cina, del Nord-Vietnam, di Cuba e di
altri paesi ancora, erano saldamente sotto il giogo comunista, e furono scarsamente rappresentate al
Concilio. Inoltre, la teologia che si è dibattuta nell’aula conciliare, sia di stampo “romano” sia di
stampo “nuovo”, era pur sempre una teologia elaborata in Europa.
La qualifica teologica dei documenti del Vaticano II varia con i documenti stessi: i più importanti
sono le quattro Costituzioni: Lumen gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa; Dei Verbum,
Costituzione dogmatica sulla rivelazione, la tradizione e la Scrittura; Sacrosanctum Concilium,
Costituzione sulla sacra Liturgia; Gaudium et spes, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo. Seguono, per importanza, 9 decreti sulla vita interna della Chiesa 5 e 3
dichiarazioni: sull’educazione (Gravissimun ediucationis), sui rapporti con le religioni non cristiane
(Nostra aetate) e sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae). Tuttavia il Concilio non ha inteso
definire nessun nuova verità di fede (dogma), quindi il suo insegnamento è “autentico”, nel senso
che gode dell’autorità di un’assise conciliare ecumenica, approvata dal Papa6, ma intende solo
riproporre globalmente la fede della Chiesa Cattolica, nella misura in cui è contenuta nella Scrittura
ed è stata proposta dal magistero precedente come definitiva.
L’evento e i documenti del Concilio
Un concilio è costituito da un evento e insieme dai testi approvati e promulgati. Le due cose sono
correlate. L’evento è irrepetibile, e perciò più ci si allontana nel tempo, venendo meno i testimoni
1
Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963), dopo aver lavorato come Nunzio in diverse sedi, fu fatto patriarca di Venezia
(1953) e poi nel 1958 fu eletto papa con il nome di Giovanni XXIII. È stato beatificato nel 2000.
2
Non esiste una dichiarazione ufficiale sulla lista dei concili ecumenici. Le Chiese ortodosse separate da Roma
riconoscono solo i primi otto, tutti orientali.
3
Giovanni Battista Montini (1897-1978), ordinato nel 1920, dal 1937 al 1954 lavorò alla Segreteria di Stato. Fu fatto
poi arcivescovo di Milano, fino a che fu eletto papa il 21 giugno 1963.
4
L’unico documento che potrebbe suscitare ancora un certe interesse per chi è un po’ ai margini della Chiesa, è la
costituzione pastorale Gaudium et spes, sulla Chiesa nei suoi rapporti con il mondo moderno.
5
Ad gentes divinitus, sulle missioni; Apostolicam actuositatem, sull’apostolato dei laici; Christus Dominus, sui vescovi;
Inter mirifica, sui mezzi di comunicazione sociale; Optatam totius, sulla formazione sacerdotale; Orientalium
Ecclesiarum, sulle Chiese Cattoliche Orientali; Perfectae caritatis, su rinnovamento della vita religiosa Presbyterorum
Ordinis, sul ministero e la vita dei presbiteri; Unitatis redintegratio, sull’ecumenismo.
6
Paolo VI, Lettera Apostolica In Spiritu Sancto, 8 dicembre 1965 (Enchiridion Vaticanum, 1/532*).
1
diretti, più se ne perde la memoria. Entrano allora in campo gli storici7. Sarebbe però ingenuo
pensare che si possa fare una storia senza un’interpretazione, come se l’evento stesso sfuggisse a
questa regola. L’evento, in effetti, non è stato vissuto da tutti i padri conciliari allo stesso modo. C’è
stata una minoranza, di notevole consistenza, che ha vissuto negativamente il modo con cui il
Concilio stava procedendo. Sarebbe così possibile scrivere una storia del Vaticano II nella
prospettiva della minoranza perdente8. Questo però, nella misura in cui diventa un giudizio di
valore, è antistorico. È giusto tenere conto delle minoranze nel fare la storia dei dibattiti, ma una
volta che i testi sono stati approvati e hanno avuto la promulgazione papale, i documenti diventano
magistero autentico della Chiesa tutta, ed è questo che rende possibile rileggere l’evento conciliare,
pur nel suo travaglio, come un fatto positivo, come un’esperienza di conversione e di grazia9.
Dunque è il Concilio nel suo risultato finale che illumina tutto l’evento, proprio perché l’evento in
se stesso è qualcosa in divenire.
Quanto ai documenti di questo particolare Concilio, non essendo formulati in proposizioni
definitorie, per essere adeguatamente compresi vanno visti nel loro insieme, che non è la semplice
somma dei testi, ma è costituito dallo spirito che li abita, e questo si può ricavare solo a partire
dall’intenzione primaria che ha guidato prima Giovanni XXIII e poi i Padri conciliari. Come si può
definire o descrivere questo “spirito del Concilio”? È la Chiesa che ripensa se stessa in modo
globale, riformulando la propria immagine, secondo il progetto di Dio in Cristo. È stato detto
giustamente che in questa prospettiva il Concilio non ha preso e non poteva prendere la via della
formulazione dogmatica, che avrebbe comportato necessariamente l’enunciazione di condanne, di
anathema sit; perciò l’unico modo che aveva la Chiesa per dire se stessa e la propria fede era quello
di «raccontare la propria storia» come «il risultato della storia di Dio con l’uomo»10. In questo
“narrarsi”, la Chiesa cattolica non aveva presente solo se stessa e chi stava al proprio interno, ma
contemporaneamente, se non prevalentemente, chi stava fuori, cercando quei punti di contatto che
potevano aprire al più largo consenso possibile, senza venir meno alla sua identità. Nel fare questo
il Concilio, seguendo l’intuizione di Giovanni XXIII, ha operato un “aggiornamento”, che in realtà
si è rivelato una vera e propria “rifondazione”. Se questa era l’intenzione primaria del papa e del
Concilio, non va però taciuta l’intenzione secondaria, che era quella di imprimere questo
aggiornamento rimanendo nel solco della tradizione cattolica11. Senza questa dimensione
diacronica, l’ermeneutica dei testi conciliari sarebbe monca. Purtroppo, non sempre questo è stato
tenuto presente.
Prima di chiudere questo paragrafo, non possiamo non tener conto di un fattore non previsto né da
Giovanni XXII né dai Padri conciliari, ed è l’irruzione dei mass-media nel Concilio. Il Vaticano II
non si è tenuto a porte chiuse, ma per così dire è circolato sulla piazza dei mezzi di comunicazione
sociale; non si è svolto solo nell’aula conciliare, ma anche nei comunicati stampa dei vari gruppi,
nelle interviste dei vescovi e nelle cronache dei giornalisti. I problemi teologici, i contrasti tra
7
Cfr Storia del Concilio Vaticano II, diretta da G. ALBERIGO, a cura di A. MELLONI, 5 voll. Peeters / Il Mulino,
Bologna 1995-2001.
8
È quello che ha fatto R. DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010, pur nella
correttezza della documentazione storica, che è impressionante e si ferma al 1978, anno della morte di Paolo VI.
9
Così farà Giovanni Paolo II, come vedremo più avanti.
10
P. HÜNERMANN, «Il concilio Vaticano II come evento», in M.T. FATTORI – A. MELLONI (a cura di), L’evento e le
decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1997, p. 80.
11
Questo è evidentissimo nel discorso di apertura fatto da Giovanni XXIII. Non si può negare al Concilio questa
intenzione. Purtroppo ciò è fatto da quei “tradizionalisti” e dai quei “progressisti” che presentano il Vaticano II in
radicale discontinuità con la tradizione cattolica.
2
conservatori e progressisti diventarono di pubblico dominio. Si venne così a creare una “opinione
pubblica” all’interno della Chiesa, facilmente influenzabile da chi aveva in mano i mezzi di
comunicazione e di stampa. Probabilmente è questa una delle cause maggiori della crisi postconciliare. Infatti, l’agitarsi di una “opinione pubblica” all’interno della Chiesa, con la tacita
alleanza tra stampa laica e cattolici del dissenso, ha messo in crisi l’autorità del Magistero e il
concetto stesso di autorità nella Chiesa. Questo insieme di cose ha fatto sì che nel post-concilio sia
passato di tutto. Non però per colpa del Concilio.
Concilio e post-concilio
In effetti, occorre fare una distinzione tra il Concilio e il post-concilio. Quello che abbiamo definito
“lo spirito del concilio”, ha avuto dei contorni dagli effetti imprevedibili, che in alcuni casi hanno
preso il sopravvento sul Concilio stesso. Ciò alimentò enormemente quel senso di entusiasmo e di
ottimismo che finì per contagiare un po’ tutti, a partire dalla maggioranza dei Padri conciliari. In
questo clima di grandi aspettative, tutto pareva più facile: ci si aspettava un immediato
rinnovamento della vita della Chiesa, favorito soprattutto dalla riforma liturgica, che introduceva le
lingue parlate; tra i cristiani sembrava ormai avviato un processo inarrestabile verso l’unità; i
problemi del mondo, certo, erano gravi, come il rischio di una guerra atomica, il divario tra nazioni
ricche e povere, ma fu sopravvalutata l’accoglienza che avrebbe fatto il mondo alle parole del
Vangelo. Sembrava che la Chiesa stesse proprio per diventare quel “lievito” che avrebbe fatto
fermentare tutta la pasta (cfr Mt 13, 33), dimenticando che essa doveva essere, come il suo Maestro,
anche “segno di contraddizione” (cfr Lc 2, 34)12.
In effetti, la realtà del post-concilio mostrò che le cose non erano così semplici. Sotto un certo punto
di vista, anzi, sembrava che la situazione fosse peggiora. In quegli anni centinaia e migliaia di preti
abbandonarono il sacerdozio; nella liturgia cominciarono a circolare preghiere eucaristiche
alternative, e ciascuno si sentiva autorizzato a fare cambiamenti, con le cosiddette “liturgie
selvagge”; le vocazioni sacerdotali e religiose diminuirono drasticamente; nei seminari e nelle
facoltà teologiche molti punti della fede venivano messi in discussione. A tutto questo si aggiunga il
terribile ’68, che investì il mondo studentesco e operaio su scala mondiale, operando una vera e
propria rivoluzione culturale. All’interno della Chiesa cattolica questo mix di circostanze provocò
una crisi tremenda. L’enciclica di Paolo VI, che riaffermava l’illiceità della “pillola”, mostrando le
profonde implicazioni antropologiche provocate da una separazione artificiale tra il valore unitivo e
quello procreativo dell’atto coniugale, fu contestata apertamente, oltre che sulla stampa laica, anche
all’interno del mondo cattolico13. Nella cosiddetta “euforia post-conciliare”, chi in buona fede e chi
meno, tutti si credevano autorizzati a contestare il Magistero e ad adattare la fede alle esigenze del
mondo moderno.
In questo clima, non fa meraviglia il giudizio estremamente negativo che Paolo VI ha dato del postconcilio: ci si aspettava, disse, una primavera per la Chiesa, ma è venuto un rigido inverno14. In altri
12
Nel 1976 il Card. Karol Wojtyła, arcivescovo di Cracovia, predicò un ritiro in Vaticano, poi pubblicato con il titolo:
Segno di contraddizione. Meditazioni, Vita e Pensiero, Milano 1977.
13
Cfr R. MCINERNY, Vaticano II. Che cosa è andato storto?, Fede e cultura, Verona 2009.
14
Paolo VI attribuisce questo esito nefasto all’opera del Maligno: «Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato
il fumo di Satana nel tempio di Dio»; e specifica: «Crediamo in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per
turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico, per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia di aver
3
termini: si è fatta strada una cattiva interpretazione del concilio. Certamente non in tutto, ma
nell’insieme Paolo VI si è mostrato preoccupato dall’andamento preso dal post-concilio.
La figura di Paolo VI è importante per capire il Vaticano II. Per la sua formazione e sensibilità,
Montini era un progressista moderato. Tuttavia da Papa durante il Concilio, pur appoggiando l’ala
progressista su molte tematiche ecclesiologiche, non la seguì sui temi della morale. Paolo VI
scontentò i progressisti quando revocò a sé la questione del celibato sacerdotale, che alcuni
volevano fosse reso facoltativo, e la questione della contraccezione. Su questi due punti, promulgò
due encicliche molto forti: la Coelibatus sacerdotalis (1967) e la Humanae vitae (1968). D’altra
parte, Paolo VI è anche colui che ha sospeso a divinis il vescovo tradizionalista Marcel Lefebvre,
che si era messo a capo di un movimento di dura contestazione del Vaticano II, soprattutto nella sua
riforma liturgica15. Nel suo ultimo discorso, il 29 giugno 1978, quaranta giorni prima della morte,
riassumendo il suo pontificato, Paolo VI disse che due erano i punti che lo avevano caratterizzato:
la tutela della fede16 e la difesa della vita umana17. Pochi allora fecero attenzione a queste messe in
guardia.
Il Concilio nell’interpretazione di Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II18, che ha partecipato al Concilio prima come vescovo ausiliare e poi come
arcivescovo di Cracovia, ha fatto continui richiami al Vaticano II, con una paziente e capillare opera
di catechesi. Sarebbe troppo lungo esaminare tutto il suo percorso interpretativo. Ci soffermiamo
solo su alcuni momenti significativi.
Nel 1985, venti anni dopo la chiusura del Concilio, Giovanni Paolo II convocò un sinodo speciale
dei vescovi proprio per riflettere su quel grande evento e dissipare le ombre che qua e là venivano
gettate su di esso. Nella relazione finale, il Sinodo afferma: «Unanimemente abbiamo riconosciuto
il Concilio Vaticano II come grazia di Dio e dono dello Spirito Santo, da cui sono venuti molti frutti
spirituali per la Chiesa universale e per le Chiese particolari, come anche per gli uomini del nostro
tempo. Unanimemente e con gioia abbiamo verificato che il Concilio Vaticano II è una legittima e
valida espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra scrittura e
nella viva tradizione della Chiesa» (n. 2)19. In termini più espliciti, non si può dubitare che la
dottrina e le decisioni prese dal Concilio siano pienamente cattoliche. Va dunque promossa la
conoscenza del Concilio «sia nella lettera che nello spirito» (ivi). Da queste dichiarazioni traspare
chiaramente la presenza di forti resistenze, non tanto su questo o su quel punto, ma sull’insieme del
Vaticano II. I padri sinodali riconoscono che «ci sono state carenze e difficoltà nella recezione del
concilio», «ci sono state anche delle ombre nel tempo post-conciliare» (n. 3). Tuttavia «in nessun
modo si può affermare che quanto è avvenuto dopo il concilio sia stato causato dal concilio» (ivi).
riavuto in pienezza la coscienza di sé» (PAOLO VI, Insegnamenti X [1972], pp. 707-708). Stranamente il discorso del
Papa, a parte le parole che abbiamo citato, è riportato non nel suo tenore letterale, ma sunteggiato.
15
La scomunica di M. Lefebvre è avvenuta però nel 1988, sotto Giovanni Paolo II, avendo egli consacrato quattro
vescovi senza il beneplacito papale. Questa scomunica è stata tolta da Benedetto XVI nel 2010, nella speranza di un
riavvicinamento.
16
Con particolare riferimento alla «Professione di fede» del 1968 (in Insegnamenti VI, pp. 292-299 [latino]; 302-310
[italiano]).
17
PAOLO VI, Insegnamenti XVI (1978), pp. 519-525.
18
Karol Józef Wojtyła (1920-2005), fu ordinato presbitero nel 1946, vescovo titolare di Ombi e ausiliare di Cracovia
nel 1958, arcivescovo di Cracovia nel 1964, creato cardinale nel 1967, eletto Papa il 16 ottobre 1978. È stato beatificato
il 1° maggio 2011.
19
In Enchiridion Vaticanum 9, n. 1780.
4
Nel’annunciare il Grande Giubileo dell’anno 2000, nell’enciclica Tertio millennio adveniente
(1994)20, il Giovanni Paolo II mette a punto quale deve essere la visione giusta del Concilio: «Il
Concilio Vaticano II costituisce un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato
la preparazione prossima al Giubileo del secondo Millennio. Si tratta infatti di un Concilio simile ai
precedenti, eppure tanto diverso; un Concilio concentrato sul mistero di Cristo e della sua Chiesa
ed insieme aperto al mondo. Questa apertura è stata la risposta evangelica all'evoluzione recente del
mondo con le sconvolgenti esperienze del XX secolo, travagliato da una prima e da una seconda
guerra mondiale, dall'esperienza dei campi di concentramento e da orrendi eccidi 21. Quanto è
successo mostra più che mai che il mondo ha bisogno di purificazione; ha bisogno di conversione»
(n. 18; EV 14/1742). Il Papa poi osserva che se è vero che il Vaticano II ha segnato «una epoca
nuova nella vita della Chiesa», lo ha fatto però attingendo al passato: «Nella storia della Chiesa, “il
vecchio” e “il nuovo” sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il “nuovo” cresce dal
“vecchio”, il “vecchio” trova nel “nuovo” una sua più piena espressione» (EV 14/1743). Tutto il n.
19 è una mirabile sintesi dello spirito del Concilio: «Il Concilio, pur non assumendo i toni severi di
Giovanni Battista, quando sulle rive del Giordano esortava alla penitenza ed alla conversione (cf. Lc
3, 1-17), ha manifestato in sé qualcosa dell'antico Profeta, additando con nuovo vigore agli uomini
di oggi il Cristo, l' “Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (cf. Gv 1, 29), il
Redentore dell'uomo, il Signore della storia. Nell'Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere
pienamente fedele al suo Maestro, si è interrogata sulla propria identità, riscoprendo la profondità
del suo mistero di Corpo e di Sposa di Cristo. Ponendosi in docile ascolto della Parola di Dio, ha
riaffermato la universale vocazione alla santità; ha provveduto alla riforma della liturgia, “fonte e
culmine” della sua vita; ha dato impulso al rinnovamento di tanti aspetti della sua esistenza a livello
universale e nelle Chiese locali; si è impegnata per la promozione delle varie vocazioni cristiane, da
quella dei laici a quella dei religiosi, dal ministero dei diaconi a quello dei sacerdoti e dei Vescovi;
ha riscoperto, in particolare, la collegialità episcopale, espressione privilegiata del servizio pastorale
svolto dai Vescovi in comunione col Successore di Pietro. Sulla base di questo profondo
rinnovamento, il Concilio si è aperto ai cristiani delle altre Confessioni, agli aderenti ad altre
religioni, a tutti gli uomini del nostro tempo. In nessun altro Concilio si è parlato con altrettanta
chiarezza dell'unità dei cristiani, del dialogo con le religioni non cristiane, del significato specifico
dell'Antica Alleanza e di Israele, della dignità della coscienza personale, del principio della libertà
religiosa, delle diverse tradizioni culturali all'interno delle quali la Chiesa svolge il proprio mandato
missionario, dei mezzi di comunicazione sociale» (n. 19; EV 14/1744)). Vi è dunque nel Vaticano II
«un’enorme ricchezza di contenuti ed un linguaggio nuovo, prima sconosciuto», che «costituiscono
quasi un annuncio di tempi nuovi. I Padri conciliari hanno parlato con il linguaggio del Vangelo,
con il linguaggio del discorso della montagna e delle Beatitudini» (n. 20; EV 14/1745). Il vista del
Grande Giubileo del 2000, il Papa invita a un esame di coscienza sul passato e anche sul presente, e
questo esame di coscienza «non può non riguardare anche la recezione del Concilio, questo grande
dono dello Spirito alla Chiesa» (n, 36; EV 14/1780). Segue una serie di domande che sono
significative della direzione in cui vogliono portare: «In che misura la parola di Dio è divenuta più
pienamente anima della teologia e ispiratrice di tutta l’esistenza cristiana, come chiedeva la Dei
Verbum? È vissuta la liturgia come “fonte e culmine” della vita ecclesiale, secondo l’insegnamento
20
In Enchiridion Vaticanum14, nn. 1714-1820.
Questa idea del Concilio come risposta a una “evoluzione” del mondo moderno sarà ripresa da Benedetto XVI, come
vedremo più avanti.
21
5
della Sacrosanctum Concilium? Si consolida, nella Chiesa universale e in quelle particolari,
l’ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri e alle varie
forme di partecipazione del popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un
sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l’autentico spirito (mentem)
del Concilio Vaticano II? Questo interrogativo gravissimo deve riguardare anche il tipo di rapporto
tra la Chiesa e il mondo: le direttive conciliari – offerte nella Gaudium et spes e negli altri
documenti – circa un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato tuttavia da un attento
discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità, restano ancora valide, e ci chiamano a
un impegno ancora maggiore» (ivi)22.
Nell’anno 2000, proprio in occasione di un convegno internazionale sul Vaticano II, Giovanni
Paolo II fa la sintesi più compiuta del suo pensiero sul Concilio. Esso, dice, «è stato un dono dello
Spirito alla sua Chiesa», e «rimane come un evento fondamentale» per capire la Chiesa di oggi (n.
1)23. Il Papa che, come abbiamo notato, ha partecipato personalmente a tutto il Concilio, lo ricorda
come «un’esperienza di fede», intesa come un «abbandonarsi a Dio senza riserve
nell’atteggiamento di chi si fida e ha la certezza di essere amato. È proprio questo atto di abbandono
a Dio che, da un esame sereno degli Atti, emerge sovrano» (n. 2). Dunque i documenti del Concilio
vanno letti in quest’ottica dell’evento: «Chi volesse avvicinare il Concilio prescindendo da questa
chiave di lettura si priverebbe della possibilità di penetrarne l’anima profonda [corsivo nel testo]. È
solo in una prospettiva di fede che l’evento conciliare si apre ai nostri occhi come un dono di cui è
necessario saper cogliere la ricchezza ancora nascosta» (ivi). Giovanni Paolo II insiste sulla
necessità «che non vada persa la genuina intenzione dei Padri conciliari; essa piuttosto deve essere
recuperata superando interpretazioni prevenute e parziali [corsivo nel testo], che hanno impedito di
esprimere al meglio la novità del Magistero conciliare» (n. 4). Una sana ermeneutica si porrà
sempre «all’interno del tessuto di fede e non al di fuori di esso. Leggere il Concilio supponendo che
esso comporti una rottura con il passato, mentre in realtà esso si pone nella linea della fede di
sempre [corsivi nel testo], è decisamente fuorviante » (ivi)24. L’intervento del Papa si chiude con
un’affermazione tra le più ardite che siano mai state fatte sul Concilio: esso «è stato una vera
profezia per la vita della Chiesa; continuerà ad esserlo per molti anni del terzo millennio appena
iniziato [corsivo nel testo] (n. 9)25.
Benedetto XVI e il Vaticano II
Ricordiamo che Joseph Ratzinger, presbitero dal 1951, era presente a Roma a partire dalla seconda
sessione del Concilio (settembre-dicembre 1963) in qualità di perito teologo. Benedetto XVI è
entrato direttamente nel dibattito sull’ermeneutica del Concilio con il celebre discorso alla Curia
romana del 22 dicembre 2005. Non potendo riportare per intero la parte che riguarda il nostro tema,
siamo costretti a farne una sintesi, sperando di darne una corretta interpretazione. Ci accorgiamo
subito che Benedetto XVI non esita ad affrontare i nodi intellettuali dei problemi. Nella prima parte,
il Papa fa un po’ la storia della recezione e dice che «due ermeneutiche contrarie si sono trovate a
confronto e hanno litigato tra loro: l’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre
22
Notiamo la menzione delle quattro grandi Costituzioni conciliari.
GIOVANNI PAOLO II, «Udienza al Convegno Internazionale sull’attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II», 27
febbraio 2000 (in Insegnamenti XXIII/1, p. 272).
24
Notiamo come questa affermazione valga sia contro i “tradizionalisti” che contro i “progressisti”.
25
GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti XXIII/1, p. 278.
23
6
più visibilmente, ha portato e porta frutti». La prima è chiamata «ermeneutica della discontinuità e
della rottura», mentre la seconda «ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità».
Benedetto poi si dilunga nel descrivere la dinamica insita nell’ermeneutica della discontinuità: è lo
“spirito” del Concilio, dice questa corrente, che deve guidare l’interpretazione dei testi, i quali sono
spesso frutto di compromesso; essere fedeli al Concilio significa dunque essere fedeli al suo spirito,
andando coraggiosamente al di là dei testi.
Sembrerebbe qui che il Papa critichi solo l’ala progressista e non quella tradizionalista, sebbene
entrambe si pongano nell’ermeneutica della discontinuità, ma con segno opposto26. Ora è proprio
all’ala tradizionalista a cui indirettamente si rivolge Benedetto XVI, forse nella parte più
impegnativa del suo discorso, quando abbozza un’analisi del rapporto tra la Chiesa e l’età moderna.
Il problema dunque sta molto prima del Vaticano II. Questo rapporto – riassumiamo il pensiero del
Papa - ebbe un inizio molto problematico con il processo a Galileo, fu spezzato dall’Illuminismo
(Kant) e dalla rivoluzione francese, fino a diventare uno scontro ideologico aperto con il liberalismo
radicale e il positivismo scientista. La Chiesa (Pio IX) reagì a tale spirito dell’età moderna «con
aspre e radicali condanne». A questo punto – ed è la parte più interessante del suo discorso - la
lettura che Benedetto XVI fa del mondo moderno capovolge la situazione prospettata dai
tradizionalisti: per spiegare loro le aperture del Vaticano II, il Papa afferma che non è stata la
Chiesa a cambiare nei suoi principi (immutabili), ma è stato il mondo moderno che ha conosciuto
sviluppi imprevedibili: la rivoluzione americana offriva un modello di Stato moderno laico, garante
della libertà religiosa, ma non neutro riguardo ai valori; le scienze naturali e storiche riconoscevano
gradualmente il limite del loro metodo, con ripercussioni anche in campo esegetico; infine, i crimini
del regime nazionalsocialista imponevano di definire in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e la
fede di Israele. Il Concilio Vaticano II ha voluto rispondere a questi tre cerchi di domande, che
aspettavano una risposta: 1) La relazione tra fede e scienze moderne; 2) il rapporto tra Chiesa e
Stato moderno; 3) il problema della libertà religiosa, con una nuova definizione del rapporto tra
fede cristiana e religioni del mondo. Certo, afferma papa Benedetto, nel dare le risposte a questi
problemi, sono emerse nella Chiesa forme di discontinuità, anche forte, rispetto al passato, ma
sarebbe erroneo fermarsi ai mutamenti presi in se stessi; occorre andare a fondo nelle questioni per
vedere la sostanziale continuità. Questa affermazione della “continuità” non è un semplice “luogo
comune” abituale nei documenti della curia romana, come alcuni affermano, per coprire chissà
quali manovre di potere, ma è un vero sforzo di comprensione di ciò che veramente accade. Non
possiamo qui addentrarci nel dettaglio. In definitiva, dice il Papa, «la Chiesa è, tanto prima quanto
dopo il Concilio, la stessa Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, in cammino attraverso i tempi;
essa prosegue “il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”,
annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr Lumen gentium, 8)». Il pensiero di
Benedetto XVI sul concilio può essere così sintetizzato: «Possiamo oggi con gratitudine volgere il
nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta
ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario
rinnovamento della Chiesa».
Di fronte all’affermazione: “Il Vaticano II ha segnato una svolta epocale nella chiesa”, gli uni dicono. “Meno male,
era ora!”, mentre gli altri dicono: “Purtroppo!”.
26
7
Alcune recenti decisioni di Benedetto XVI, come l’autorizzazione a celebrare secondo il Messale di
S. Pio V27 (2007) e l’abolizione delle scomuniche ai vescovi del movimento scismatico ispirato a
M. Levebvre (2009), hanno messo in fibrillazione i “progressisti”, i quali temono ormai che lo
“spirito del concilio” – come inteso da loro - sia stato affossato. I “tradizionalisti” da parte loro
mettono l’accento soprattutto sulla crisi scoppiata nella Chiesa dopo il Concilio e tuttora aperta,
vedendovi un rapporto di causa ad effetto, secondo il detto: “Chi semina vento, raccoglie tempesta”.
La tempesta che ha investito la Chiesa, secondo questa interpretazione, non sarebbe altro che
l’effetto del Concilio stesso, che sarebbe stato a sua volta dominato dallo spirito “modernista”, che
da tempo stava minando la Chiesa28. Qualcuno ha scritto: «L’evidenza dei fatti indica, in questo
senso, il Concilio Vaticano II come una della maggiori calamità, se non la maggiore, della storia
della Chiesa»29. Siamo agli antipodi del pensiero dei papi.
Resta il fatto che la Chiesa cattolica in questi ultimi cinquant’anni è stata investita da una crisi
profonda, che viene da lontano e che è sostanzialmente una crisi di fede. Non per nulla Benedetto
XVI ha indetto un anno della fede in concomitanza con il cinquantesimo del Vaticano II30. Ma
poiché la fede, come virtù teologale è un dono soprannaturale, che si fonda non sulla ragione
umana, ma sulla rivelazione divina, la crisi della fede prende la forma storica di una crisi di autorità,
quando cioè non si sa più chi ascoltare, perché troppe sono le voci, fuori e dentro la Chiesa, che
pretendono di giudicare in materia di fede e di morale31.
Per quanto riguarda la Chiesa, diciamo che veri “vincitori” usciti dal Concilio sono quelli che,
grazie alle aperture conciliari e nonostante i limiti del post-concilio, hanno corrisposto alla grazia di
Gesù Cristo attraverso una vera conversione, hanno fatto l’esperienza dell’amore di Dio mediante il
perdono dei loro peccati e hanno trovato la riconciliazione con Dio e con la Chiesa. Invece i veri
“sconfitti” sono coloro che, progressisti o tradizionalisti, hanno perso la carità ecclesiale e si sono
eretti a giudici della fede, pur non avendo nessun titolo per farlo.
Conclusione
In conclusione, seguendo l’insegnamento di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nonché
il consenso unanime dei vescovi cattolici e di gran parte del popolo di Dio, possiamo affermare che:
1) Il Concilio Vaticano II è stato una grazia per la Chiesa; 2) la dottrina contenuta nei documenti del
Vaticano II è pienamente cattolica e conforme alla tradizione32; 3) se qualcuno la interpreta in modo
distorto, la colpa non è dei documenti, ma dell’interprete33; 4) tuttavia, il Vaticano II non va
assolutizzato; esso porta l’impronta della storia, sottolinea alcuni aspetti della dottrina cattolica che
27
Lettera Apostolica Summorum Pontificum del 7 luglio 2007 (in Insegnamenti III, 2, pp. 20-24, con una lettera di
accompagnamento, ibid. pp. 25-29).
28
L’ultimo vero bastione sarebbe stato il papa s. Pio X. Già con Pio XII, dicono, ci sarebbe stato qualche cedimento;
non per nulla il Papa aveva come confessore il gesuita biblista Agotino Bea, creato poi cardinale, e che avrà con il suo
Segratariato per l’unità dei cristiani, un influsso determinante (ahimé!) su tutto il Concilio.
29
P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 169, citato da R. DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II,
cit., 588.
30
BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Motu Proprio «La porta della fede», dell’11 ottobre 2011.
31
Giustamente il Concilio ha detto che il Magistero non è superiore alla Parola di Dio (Dei Verbum, 10). Infatti il
Magistero interviene quando c’è un conflitto di interpretazioni.
32
Chiedere, come fa qualcuno, che si verifichi la continuità del Vaticano II con i venti Concili precedenti, «per dissipare
le ombre e i dubbi che da quasi mezzo secolo rendono sofferente la Chiesa» (R. DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II,
cit., 591), significa dubitare della cattolicità del Concilio, cioè mettere in dubbio la sua ortodossia.
33
Anche la Bibbia può essere interpretata in maniere distorta, ma non è certo colpa della Bibbia.
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prima erano stati trascurati, ma non intende dire tutto, e soprattutto non intende negare le verità
cattoliche già definite; 5) il Vaticano II, seguendo l’intuizione del Beato Giovanni XXIII, ha scelto
di difendere la verità rivelata non solo emanando condanne e anatemi, ma proponendola nella sua
pienezza e bellezza. Sotto questo aspetto il Concilio non ha certo esaurito il suo compito, ma ha
inaugurato un metodo di evangelizzazione sempre antico e sempre nuovo, che chiama alla
corresponsabilità tutti i cattolici, per portare il Vangelo a tutti gli uomini.
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