LA PROFEZIA DEL CONCILIO VATICANO II E. Cattaneo S.I. Cinquant’anni fa, l’11 ottobre del 1962, sotto il pontificato di Giovanni XXIII1 veniva inaugurato solennemente nella basilica di S. Pietro in Vaticano il 21° concilio ecumenico della Chiesa Cattolica2. Dunque mezzo secolo è passato da quell’evento, e ciò significa che oggi i cattolici al di sotto dei cinquant’anni non hanno nessuna notizia diretta di quel concilio, conclusosi tre anni dopo, l’8 dicembre del 1965, mentre era papa Paolo VI3. Probabilmente, anche la conoscenza attraverso la lettura dei documenti conciliari è scarsa o nulla nelle nuove generazioni4. Lo svolgimento del Concilio non è stato né semplice né indolore. Lo stesso si deve dire per la sua recezione, anche perché la Chiesa Cattolica viveva allora, come vive adesso, in regioni della terra culturalmente molto distanti tra loro, in alcune delle quali c’era, e c’è ancora, poca o nulla libertà religiosa. Negli anni 1962-65 le Chiese dell’Est Europa, della Cina, del Nord-Vietnam, di Cuba e di altri paesi ancora, erano saldamente sotto il giogo comunista, e furono scarsamente rappresentate al Concilio. Inoltre, la teologia che si è dibattuta nell’aula conciliare, sia di stampo “romano” sia di stampo “nuovo”, era pur sempre una teologia elaborata in Europa. La qualifica teologica dei documenti del Vaticano II varia con i documenti stessi: i più importanti sono le quattro Costituzioni: Lumen gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa; Dei Verbum, Costituzione dogmatica sulla rivelazione, la tradizione e la Scrittura; Sacrosanctum Concilium, Costituzione sulla sacra Liturgia; Gaudium et spes, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Seguono, per importanza, 9 decreti sulla vita interna della Chiesa 5 e 3 dichiarazioni: sull’educazione (Gravissimun ediucationis), sui rapporti con le religioni non cristiane (Nostra aetate) e sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae). Tuttavia il Concilio non ha inteso definire nessun nuova verità di fede (dogma), quindi il suo insegnamento è “autentico”, nel senso che gode dell’autorità di un’assise conciliare ecumenica, approvata dal Papa6, ma intende solo riproporre globalmente la fede della Chiesa Cattolica, nella misura in cui è contenuta nella Scrittura ed è stata proposta dal magistero precedente come definitiva. L’evento e i documenti del Concilio Un concilio è costituito da un evento e insieme dai testi approvati e promulgati. Le due cose sono correlate. L’evento è irrepetibile, e perciò più ci si allontana nel tempo, venendo meno i testimoni 1 Angelo Giuseppe Roncalli (1881-1963), dopo aver lavorato come Nunzio in diverse sedi, fu fatto patriarca di Venezia (1953) e poi nel 1958 fu eletto papa con il nome di Giovanni XXIII. È stato beatificato nel 2000. 2 Non esiste una dichiarazione ufficiale sulla lista dei concili ecumenici. Le Chiese ortodosse separate da Roma riconoscono solo i primi otto, tutti orientali. 3 Giovanni Battista Montini (1897-1978), ordinato nel 1920, dal 1937 al 1954 lavorò alla Segreteria di Stato. Fu fatto poi arcivescovo di Milano, fino a che fu eletto papa il 21 giugno 1963. 4 L’unico documento che potrebbe suscitare ancora un certe interesse per chi è un po’ ai margini della Chiesa, è la costituzione pastorale Gaudium et spes, sulla Chiesa nei suoi rapporti con il mondo moderno. 5 Ad gentes divinitus, sulle missioni; Apostolicam actuositatem, sull’apostolato dei laici; Christus Dominus, sui vescovi; Inter mirifica, sui mezzi di comunicazione sociale; Optatam totius, sulla formazione sacerdotale; Orientalium Ecclesiarum, sulle Chiese Cattoliche Orientali; Perfectae caritatis, su rinnovamento della vita religiosa Presbyterorum Ordinis, sul ministero e la vita dei presbiteri; Unitatis redintegratio, sull’ecumenismo. 6 Paolo VI, Lettera Apostolica In Spiritu Sancto, 8 dicembre 1965 (Enchiridion Vaticanum, 1/532*). 1 diretti, più se ne perde la memoria. Entrano allora in campo gli storici7. Sarebbe però ingenuo pensare che si possa fare una storia senza un’interpretazione, come se l’evento stesso sfuggisse a questa regola. L’evento, in effetti, non è stato vissuto da tutti i padri conciliari allo stesso modo. C’è stata una minoranza, di notevole consistenza, che ha vissuto negativamente il modo con cui il Concilio stava procedendo. Sarebbe così possibile scrivere una storia del Vaticano II nella prospettiva della minoranza perdente8. Questo però, nella misura in cui diventa un giudizio di valore, è antistorico. È giusto tenere conto delle minoranze nel fare la storia dei dibattiti, ma una volta che i testi sono stati approvati e hanno avuto la promulgazione papale, i documenti diventano magistero autentico della Chiesa tutta, ed è questo che rende possibile rileggere l’evento conciliare, pur nel suo travaglio, come un fatto positivo, come un’esperienza di conversione e di grazia9. Dunque è il Concilio nel suo risultato finale che illumina tutto l’evento, proprio perché l’evento in se stesso è qualcosa in divenire. Quanto ai documenti di questo particolare Concilio, non essendo formulati in proposizioni definitorie, per essere adeguatamente compresi vanno visti nel loro insieme, che non è la semplice somma dei testi, ma è costituito dallo spirito che li abita, e questo si può ricavare solo a partire dall’intenzione primaria che ha guidato prima Giovanni XXIII e poi i Padri conciliari. Come si può definire o descrivere questo “spirito del Concilio”? È la Chiesa che ripensa se stessa in modo globale, riformulando la propria immagine, secondo il progetto di Dio in Cristo. È stato detto giustamente che in questa prospettiva il Concilio non ha preso e non poteva prendere la via della formulazione dogmatica, che avrebbe comportato necessariamente l’enunciazione di condanne, di anathema sit; perciò l’unico modo che aveva la Chiesa per dire se stessa e la propria fede era quello di «raccontare la propria storia» come «il risultato della storia di Dio con l’uomo»10. In questo “narrarsi”, la Chiesa cattolica non aveva presente solo se stessa e chi stava al proprio interno, ma contemporaneamente, se non prevalentemente, chi stava fuori, cercando quei punti di contatto che potevano aprire al più largo consenso possibile, senza venir meno alla sua identità. Nel fare questo il Concilio, seguendo l’intuizione di Giovanni XXIII, ha operato un “aggiornamento”, che in realtà si è rivelato una vera e propria “rifondazione”. Se questa era l’intenzione primaria del papa e del Concilio, non va però taciuta l’intenzione secondaria, che era quella di imprimere questo aggiornamento rimanendo nel solco della tradizione cattolica11. Senza questa dimensione diacronica, l’ermeneutica dei testi conciliari sarebbe monca. Purtroppo, non sempre questo è stato tenuto presente. Prima di chiudere questo paragrafo, non possiamo non tener conto di un fattore non previsto né da Giovanni XXII né dai Padri conciliari, ed è l’irruzione dei mass-media nel Concilio. Il Vaticano II non si è tenuto a porte chiuse, ma per così dire è circolato sulla piazza dei mezzi di comunicazione sociale; non si è svolto solo nell’aula conciliare, ma anche nei comunicati stampa dei vari gruppi, nelle interviste dei vescovi e nelle cronache dei giornalisti. I problemi teologici, i contrasti tra 7 Cfr Storia del Concilio Vaticano II, diretta da G. ALBERIGO, a cura di A. MELLONI, 5 voll. Peeters / Il Mulino, Bologna 1995-2001. 8 È quello che ha fatto R. DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, Lindau, Torino 2010, pur nella correttezza della documentazione storica, che è impressionante e si ferma al 1978, anno della morte di Paolo VI. 9 Così farà Giovanni Paolo II, come vedremo più avanti. 10 P. HÜNERMANN, «Il concilio Vaticano II come evento», in M.T. FATTORI – A. MELLONI (a cura di), L’evento e le decisioni. Studi sulle dinamiche del concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1997, p. 80. 11 Questo è evidentissimo nel discorso di apertura fatto da Giovanni XXIII. Non si può negare al Concilio questa intenzione. Purtroppo ciò è fatto da quei “tradizionalisti” e dai quei “progressisti” che presentano il Vaticano II in radicale discontinuità con la tradizione cattolica. 2 conservatori e progressisti diventarono di pubblico dominio. Si venne così a creare una “opinione pubblica” all’interno della Chiesa, facilmente influenzabile da chi aveva in mano i mezzi di comunicazione e di stampa. Probabilmente è questa una delle cause maggiori della crisi postconciliare. Infatti, l’agitarsi di una “opinione pubblica” all’interno della Chiesa, con la tacita alleanza tra stampa laica e cattolici del dissenso, ha messo in crisi l’autorità del Magistero e il concetto stesso di autorità nella Chiesa. Questo insieme di cose ha fatto sì che nel post-concilio sia passato di tutto. Non però per colpa del Concilio. Concilio e post-concilio In effetti, occorre fare una distinzione tra il Concilio e il post-concilio. Quello che abbiamo definito “lo spirito del concilio”, ha avuto dei contorni dagli effetti imprevedibili, che in alcuni casi hanno preso il sopravvento sul Concilio stesso. Ciò alimentò enormemente quel senso di entusiasmo e di ottimismo che finì per contagiare un po’ tutti, a partire dalla maggioranza dei Padri conciliari. In questo clima di grandi aspettative, tutto pareva più facile: ci si aspettava un immediato rinnovamento della vita della Chiesa, favorito soprattutto dalla riforma liturgica, che introduceva le lingue parlate; tra i cristiani sembrava ormai avviato un processo inarrestabile verso l’unità; i problemi del mondo, certo, erano gravi, come il rischio di una guerra atomica, il divario tra nazioni ricche e povere, ma fu sopravvalutata l’accoglienza che avrebbe fatto il mondo alle parole del Vangelo. Sembrava che la Chiesa stesse proprio per diventare quel “lievito” che avrebbe fatto fermentare tutta la pasta (cfr Mt 13, 33), dimenticando che essa doveva essere, come il suo Maestro, anche “segno di contraddizione” (cfr Lc 2, 34)12. In effetti, la realtà del post-concilio mostrò che le cose non erano così semplici. Sotto un certo punto di vista, anzi, sembrava che la situazione fosse peggiora. In quegli anni centinaia e migliaia di preti abbandonarono il sacerdozio; nella liturgia cominciarono a circolare preghiere eucaristiche alternative, e ciascuno si sentiva autorizzato a fare cambiamenti, con le cosiddette “liturgie selvagge”; le vocazioni sacerdotali e religiose diminuirono drasticamente; nei seminari e nelle facoltà teologiche molti punti della fede venivano messi in discussione. A tutto questo si aggiunga il terribile ’68, che investì il mondo studentesco e operaio su scala mondiale, operando una vera e propria rivoluzione culturale. All’interno della Chiesa cattolica questo mix di circostanze provocò una crisi tremenda. L’enciclica di Paolo VI, che riaffermava l’illiceità della “pillola”, mostrando le profonde implicazioni antropologiche provocate da una separazione artificiale tra il valore unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale, fu contestata apertamente, oltre che sulla stampa laica, anche all’interno del mondo cattolico13. Nella cosiddetta “euforia post-conciliare”, chi in buona fede e chi meno, tutti si credevano autorizzati a contestare il Magistero e ad adattare la fede alle esigenze del mondo moderno. In questo clima, non fa meraviglia il giudizio estremamente negativo che Paolo VI ha dato del postconcilio: ci si aspettava, disse, una primavera per la Chiesa, ma è venuto un rigido inverno14. In altri 12 Nel 1976 il Card. Karol Wojtyła, arcivescovo di Cracovia, predicò un ritiro in Vaticano, poi pubblicato con il titolo: Segno di contraddizione. Meditazioni, Vita e Pensiero, Milano 1977. 13 Cfr R. MCINERNY, Vaticano II. Che cosa è andato storto?, Fede e cultura, Verona 2009. 14 Paolo VI attribuisce questo esito nefasto all’opera del Maligno: «Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio»; e specifica: «Crediamo in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio Ecumenico, per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia di aver 3 termini: si è fatta strada una cattiva interpretazione del concilio. Certamente non in tutto, ma nell’insieme Paolo VI si è mostrato preoccupato dall’andamento preso dal post-concilio. La figura di Paolo VI è importante per capire il Vaticano II. Per la sua formazione e sensibilità, Montini era un progressista moderato. Tuttavia da Papa durante il Concilio, pur appoggiando l’ala progressista su molte tematiche ecclesiologiche, non la seguì sui temi della morale. Paolo VI scontentò i progressisti quando revocò a sé la questione del celibato sacerdotale, che alcuni volevano fosse reso facoltativo, e la questione della contraccezione. Su questi due punti, promulgò due encicliche molto forti: la Coelibatus sacerdotalis (1967) e la Humanae vitae (1968). D’altra parte, Paolo VI è anche colui che ha sospeso a divinis il vescovo tradizionalista Marcel Lefebvre, che si era messo a capo di un movimento di dura contestazione del Vaticano II, soprattutto nella sua riforma liturgica15. Nel suo ultimo discorso, il 29 giugno 1978, quaranta giorni prima della morte, riassumendo il suo pontificato, Paolo VI disse che due erano i punti che lo avevano caratterizzato: la tutela della fede16 e la difesa della vita umana17. Pochi allora fecero attenzione a queste messe in guardia. Il Concilio nell’interpretazione di Giovanni Paolo II Giovanni Paolo II18, che ha partecipato al Concilio prima come vescovo ausiliare e poi come arcivescovo di Cracovia, ha fatto continui richiami al Vaticano II, con una paziente e capillare opera di catechesi. Sarebbe troppo lungo esaminare tutto il suo percorso interpretativo. Ci soffermiamo solo su alcuni momenti significativi. Nel 1985, venti anni dopo la chiusura del Concilio, Giovanni Paolo II convocò un sinodo speciale dei vescovi proprio per riflettere su quel grande evento e dissipare le ombre che qua e là venivano gettate su di esso. Nella relazione finale, il Sinodo afferma: «Unanimemente abbiamo riconosciuto il Concilio Vaticano II come grazia di Dio e dono dello Spirito Santo, da cui sono venuti molti frutti spirituali per la Chiesa universale e per le Chiese particolari, come anche per gli uomini del nostro tempo. Unanimemente e con gioia abbiamo verificato che il Concilio Vaticano II è una legittima e valida espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra scrittura e nella viva tradizione della Chiesa» (n. 2)19. In termini più espliciti, non si può dubitare che la dottrina e le decisioni prese dal Concilio siano pienamente cattoliche. Va dunque promossa la conoscenza del Concilio «sia nella lettera che nello spirito» (ivi). Da queste dichiarazioni traspare chiaramente la presenza di forti resistenze, non tanto su questo o su quel punto, ma sull’insieme del Vaticano II. I padri sinodali riconoscono che «ci sono state carenze e difficoltà nella recezione del concilio», «ci sono state anche delle ombre nel tempo post-conciliare» (n. 3). Tuttavia «in nessun modo si può affermare che quanto è avvenuto dopo il concilio sia stato causato dal concilio» (ivi). riavuto in pienezza la coscienza di sé» (PAOLO VI, Insegnamenti X [1972], pp. 707-708). Stranamente il discorso del Papa, a parte le parole che abbiamo citato, è riportato non nel suo tenore letterale, ma sunteggiato. 15 La scomunica di M. Lefebvre è avvenuta però nel 1988, sotto Giovanni Paolo II, avendo egli consacrato quattro vescovi senza il beneplacito papale. Questa scomunica è stata tolta da Benedetto XVI nel 2010, nella speranza di un riavvicinamento. 16 Con particolare riferimento alla «Professione di fede» del 1968 (in Insegnamenti VI, pp. 292-299 [latino]; 302-310 [italiano]). 17 PAOLO VI, Insegnamenti XVI (1978), pp. 519-525. 18 Karol Józef Wojtyła (1920-2005), fu ordinato presbitero nel 1946, vescovo titolare di Ombi e ausiliare di Cracovia nel 1958, arcivescovo di Cracovia nel 1964, creato cardinale nel 1967, eletto Papa il 16 ottobre 1978. È stato beatificato il 1° maggio 2011. 19 In Enchiridion Vaticanum 9, n. 1780. 4 Nel’annunciare il Grande Giubileo dell’anno 2000, nell’enciclica Tertio millennio adveniente (1994)20, il Giovanni Paolo II mette a punto quale deve essere la visione giusta del Concilio: «Il Concilio Vaticano II costituisce un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato la preparazione prossima al Giubileo del secondo Millennio. Si tratta infatti di un Concilio simile ai precedenti, eppure tanto diverso; un Concilio concentrato sul mistero di Cristo e della sua Chiesa ed insieme aperto al mondo. Questa apertura è stata la risposta evangelica all'evoluzione recente del mondo con le sconvolgenti esperienze del XX secolo, travagliato da una prima e da una seconda guerra mondiale, dall'esperienza dei campi di concentramento e da orrendi eccidi 21. Quanto è successo mostra più che mai che il mondo ha bisogno di purificazione; ha bisogno di conversione» (n. 18; EV 14/1742). Il Papa poi osserva che se è vero che il Vaticano II ha segnato «una epoca nuova nella vita della Chiesa», lo ha fatto però attingendo al passato: «Nella storia della Chiesa, “il vecchio” e “il nuovo” sono sempre profondamente intrecciati tra loro. Il “nuovo” cresce dal “vecchio”, il “vecchio” trova nel “nuovo” una sua più piena espressione» (EV 14/1743). Tutto il n. 19 è una mirabile sintesi dello spirito del Concilio: «Il Concilio, pur non assumendo i toni severi di Giovanni Battista, quando sulle rive del Giordano esortava alla penitenza ed alla conversione (cf. Lc 3, 1-17), ha manifestato in sé qualcosa dell'antico Profeta, additando con nuovo vigore agli uomini di oggi il Cristo, l' “Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (cf. Gv 1, 29), il Redentore dell'uomo, il Signore della storia. Nell'Assise conciliare la Chiesa, proprio per essere pienamente fedele al suo Maestro, si è interrogata sulla propria identità, riscoprendo la profondità del suo mistero di Corpo e di Sposa di Cristo. Ponendosi in docile ascolto della Parola di Dio, ha riaffermato la universale vocazione alla santità; ha provveduto alla riforma della liturgia, “fonte e culmine” della sua vita; ha dato impulso al rinnovamento di tanti aspetti della sua esistenza a livello universale e nelle Chiese locali; si è impegnata per la promozione delle varie vocazioni cristiane, da quella dei laici a quella dei religiosi, dal ministero dei diaconi a quello dei sacerdoti e dei Vescovi; ha riscoperto, in particolare, la collegialità episcopale, espressione privilegiata del servizio pastorale svolto dai Vescovi in comunione col Successore di Pietro. Sulla base di questo profondo rinnovamento, il Concilio si è aperto ai cristiani delle altre Confessioni, agli aderenti ad altre religioni, a tutti gli uomini del nostro tempo. In nessun altro Concilio si è parlato con altrettanta chiarezza dell'unità dei cristiani, del dialogo con le religioni non cristiane, del significato specifico dell'Antica Alleanza e di Israele, della dignità della coscienza personale, del principio della libertà religiosa, delle diverse tradizioni culturali all'interno delle quali la Chiesa svolge il proprio mandato missionario, dei mezzi di comunicazione sociale» (n. 19; EV 14/1744)). Vi è dunque nel Vaticano II «un’enorme ricchezza di contenuti ed un linguaggio nuovo, prima sconosciuto», che «costituiscono quasi un annuncio di tempi nuovi. I Padri conciliari hanno parlato con il linguaggio del Vangelo, con il linguaggio del discorso della montagna e delle Beatitudini» (n. 20; EV 14/1745). Il vista del Grande Giubileo del 2000, il Papa invita a un esame di coscienza sul passato e anche sul presente, e questo esame di coscienza «non può non riguardare anche la recezione del Concilio, questo grande dono dello Spirito alla Chiesa» (n, 36; EV 14/1780). Segue una serie di domande che sono significative della direzione in cui vogliono portare: «In che misura la parola di Dio è divenuta più pienamente anima della teologia e ispiratrice di tutta l’esistenza cristiana, come chiedeva la Dei Verbum? È vissuta la liturgia come “fonte e culmine” della vita ecclesiale, secondo l’insegnamento 20 In Enchiridion Vaticanum14, nn. 1714-1820. Questa idea del Concilio come risposta a una “evoluzione” del mondo moderno sarà ripresa da Benedetto XVI, come vedremo più avanti. 21 5 della Sacrosanctum Concilium? Si consolida, nella Chiesa universale e in quelle particolari, l’ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri e alle varie forme di partecipazione del popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l’autentico spirito (mentem) del Concilio Vaticano II? Questo interrogativo gravissimo deve riguardare anche il tipo di rapporto tra la Chiesa e il mondo: le direttive conciliari – offerte nella Gaudium et spes e negli altri documenti – circa un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato tuttavia da un attento discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità, restano ancora valide, e ci chiamano a un impegno ancora maggiore» (ivi)22. Nell’anno 2000, proprio in occasione di un convegno internazionale sul Vaticano II, Giovanni Paolo II fa la sintesi più compiuta del suo pensiero sul Concilio. Esso, dice, «è stato un dono dello Spirito alla sua Chiesa», e «rimane come un evento fondamentale» per capire la Chiesa di oggi (n. 1)23. Il Papa che, come abbiamo notato, ha partecipato personalmente a tutto il Concilio, lo ricorda come «un’esperienza di fede», intesa come un «abbandonarsi a Dio senza riserve nell’atteggiamento di chi si fida e ha la certezza di essere amato. È proprio questo atto di abbandono a Dio che, da un esame sereno degli Atti, emerge sovrano» (n. 2). Dunque i documenti del Concilio vanno letti in quest’ottica dell’evento: «Chi volesse avvicinare il Concilio prescindendo da questa chiave di lettura si priverebbe della possibilità di penetrarne l’anima profonda [corsivo nel testo]. È solo in una prospettiva di fede che l’evento conciliare si apre ai nostri occhi come un dono di cui è necessario saper cogliere la ricchezza ancora nascosta» (ivi). Giovanni Paolo II insiste sulla necessità «che non vada persa la genuina intenzione dei Padri conciliari; essa piuttosto deve essere recuperata superando interpretazioni prevenute e parziali [corsivo nel testo], che hanno impedito di esprimere al meglio la novità del Magistero conciliare» (n. 4). Una sana ermeneutica si porrà sempre «all’interno del tessuto di fede e non al di fuori di esso. Leggere il Concilio supponendo che esso comporti una rottura con il passato, mentre in realtà esso si pone nella linea della fede di sempre [corsivi nel testo], è decisamente fuorviante » (ivi)24. L’intervento del Papa si chiude con un’affermazione tra le più ardite che siano mai state fatte sul Concilio: esso «è stato una vera profezia per la vita della Chiesa; continuerà ad esserlo per molti anni del terzo millennio appena iniziato [corsivo nel testo] (n. 9)25. Benedetto XVI e il Vaticano II Ricordiamo che Joseph Ratzinger, presbitero dal 1951, era presente a Roma a partire dalla seconda sessione del Concilio (settembre-dicembre 1963) in qualità di perito teologo. Benedetto XVI è entrato direttamente nel dibattito sull’ermeneutica del Concilio con il celebre discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005. Non potendo riportare per intero la parte che riguarda il nostro tema, siamo costretti a farne una sintesi, sperando di darne una corretta interpretazione. Ci accorgiamo subito che Benedetto XVI non esita ad affrontare i nodi intellettuali dei problemi. Nella prima parte, il Papa fa un po’ la storia della recezione e dice che «due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro: l’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre 22 Notiamo la menzione delle quattro grandi Costituzioni conciliari. GIOVANNI PAOLO II, «Udienza al Convegno Internazionale sull’attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II», 27 febbraio 2000 (in Insegnamenti XXIII/1, p. 272). 24 Notiamo come questa affermazione valga sia contro i “tradizionalisti” che contro i “progressisti”. 25 GIOVANNI PAOLO II, Insegnamenti XXIII/1, p. 278. 23 6 più visibilmente, ha portato e porta frutti». La prima è chiamata «ermeneutica della discontinuità e della rottura», mentre la seconda «ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità». Benedetto poi si dilunga nel descrivere la dinamica insita nell’ermeneutica della discontinuità: è lo “spirito” del Concilio, dice questa corrente, che deve guidare l’interpretazione dei testi, i quali sono spesso frutto di compromesso; essere fedeli al Concilio significa dunque essere fedeli al suo spirito, andando coraggiosamente al di là dei testi. Sembrerebbe qui che il Papa critichi solo l’ala progressista e non quella tradizionalista, sebbene entrambe si pongano nell’ermeneutica della discontinuità, ma con segno opposto26. Ora è proprio all’ala tradizionalista a cui indirettamente si rivolge Benedetto XVI, forse nella parte più impegnativa del suo discorso, quando abbozza un’analisi del rapporto tra la Chiesa e l’età moderna. Il problema dunque sta molto prima del Vaticano II. Questo rapporto – riassumiamo il pensiero del Papa - ebbe un inizio molto problematico con il processo a Galileo, fu spezzato dall’Illuminismo (Kant) e dalla rivoluzione francese, fino a diventare uno scontro ideologico aperto con il liberalismo radicale e il positivismo scientista. La Chiesa (Pio IX) reagì a tale spirito dell’età moderna «con aspre e radicali condanne». A questo punto – ed è la parte più interessante del suo discorso - la lettura che Benedetto XVI fa del mondo moderno capovolge la situazione prospettata dai tradizionalisti: per spiegare loro le aperture del Vaticano II, il Papa afferma che non è stata la Chiesa a cambiare nei suoi principi (immutabili), ma è stato il mondo moderno che ha conosciuto sviluppi imprevedibili: la rivoluzione americana offriva un modello di Stato moderno laico, garante della libertà religiosa, ma non neutro riguardo ai valori; le scienze naturali e storiche riconoscevano gradualmente il limite del loro metodo, con ripercussioni anche in campo esegetico; infine, i crimini del regime nazionalsocialista imponevano di definire in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e la fede di Israele. Il Concilio Vaticano II ha voluto rispondere a questi tre cerchi di domande, che aspettavano una risposta: 1) La relazione tra fede e scienze moderne; 2) il rapporto tra Chiesa e Stato moderno; 3) il problema della libertà religiosa, con una nuova definizione del rapporto tra fede cristiana e religioni del mondo. Certo, afferma papa Benedetto, nel dare le risposte a questi problemi, sono emerse nella Chiesa forme di discontinuità, anche forte, rispetto al passato, ma sarebbe erroneo fermarsi ai mutamenti presi in se stessi; occorre andare a fondo nelle questioni per vedere la sostanziale continuità. Questa affermazione della “continuità” non è un semplice “luogo comune” abituale nei documenti della curia romana, come alcuni affermano, per coprire chissà quali manovre di potere, ma è un vero sforzo di comprensione di ciò che veramente accade. Non possiamo qui addentrarci nel dettaglio. In definitiva, dice il Papa, «la Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica, in cammino attraverso i tempi; essa prosegue “il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunziando la morte del Signore fino a che Egli venga (cfr Lumen gentium, 8)». Il pensiero di Benedetto XVI sul concilio può essere così sintetizzato: «Possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa». Di fronte all’affermazione: “Il Vaticano II ha segnato una svolta epocale nella chiesa”, gli uni dicono. “Meno male, era ora!”, mentre gli altri dicono: “Purtroppo!”. 26 7 Alcune recenti decisioni di Benedetto XVI, come l’autorizzazione a celebrare secondo il Messale di S. Pio V27 (2007) e l’abolizione delle scomuniche ai vescovi del movimento scismatico ispirato a M. Levebvre (2009), hanno messo in fibrillazione i “progressisti”, i quali temono ormai che lo “spirito del concilio” – come inteso da loro - sia stato affossato. I “tradizionalisti” da parte loro mettono l’accento soprattutto sulla crisi scoppiata nella Chiesa dopo il Concilio e tuttora aperta, vedendovi un rapporto di causa ad effetto, secondo il detto: “Chi semina vento, raccoglie tempesta”. La tempesta che ha investito la Chiesa, secondo questa interpretazione, non sarebbe altro che l’effetto del Concilio stesso, che sarebbe stato a sua volta dominato dallo spirito “modernista”, che da tempo stava minando la Chiesa28. Qualcuno ha scritto: «L’evidenza dei fatti indica, in questo senso, il Concilio Vaticano II come una della maggiori calamità, se non la maggiore, della storia della Chiesa»29. Siamo agli antipodi del pensiero dei papi. Resta il fatto che la Chiesa cattolica in questi ultimi cinquant’anni è stata investita da una crisi profonda, che viene da lontano e che è sostanzialmente una crisi di fede. Non per nulla Benedetto XVI ha indetto un anno della fede in concomitanza con il cinquantesimo del Vaticano II30. Ma poiché la fede, come virtù teologale è un dono soprannaturale, che si fonda non sulla ragione umana, ma sulla rivelazione divina, la crisi della fede prende la forma storica di una crisi di autorità, quando cioè non si sa più chi ascoltare, perché troppe sono le voci, fuori e dentro la Chiesa, che pretendono di giudicare in materia di fede e di morale31. Per quanto riguarda la Chiesa, diciamo che veri “vincitori” usciti dal Concilio sono quelli che, grazie alle aperture conciliari e nonostante i limiti del post-concilio, hanno corrisposto alla grazia di Gesù Cristo attraverso una vera conversione, hanno fatto l’esperienza dell’amore di Dio mediante il perdono dei loro peccati e hanno trovato la riconciliazione con Dio e con la Chiesa. Invece i veri “sconfitti” sono coloro che, progressisti o tradizionalisti, hanno perso la carità ecclesiale e si sono eretti a giudici della fede, pur non avendo nessun titolo per farlo. Conclusione In conclusione, seguendo l’insegnamento di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nonché il consenso unanime dei vescovi cattolici e di gran parte del popolo di Dio, possiamo affermare che: 1) Il Concilio Vaticano II è stato una grazia per la Chiesa; 2) la dottrina contenuta nei documenti del Vaticano II è pienamente cattolica e conforme alla tradizione32; 3) se qualcuno la interpreta in modo distorto, la colpa non è dei documenti, ma dell’interprete33; 4) tuttavia, il Vaticano II non va assolutizzato; esso porta l’impronta della storia, sottolinea alcuni aspetti della dottrina cattolica che 27 Lettera Apostolica Summorum Pontificum del 7 luglio 2007 (in Insegnamenti III, 2, pp. 20-24, con una lettera di accompagnamento, ibid. pp. 25-29). 28 L’ultimo vero bastione sarebbe stato il papa s. Pio X. Già con Pio XII, dicono, ci sarebbe stato qualche cedimento; non per nulla il Papa aveva come confessore il gesuita biblista Agotino Bea, creato poi cardinale, e che avrà con il suo Segratariato per l’unità dei cristiani, un influsso determinante (ahimé!) su tutto il Concilio. 29 P. CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 169, citato da R. DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II, cit., 588. 30 BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Motu Proprio «La porta della fede», dell’11 ottobre 2011. 31 Giustamente il Concilio ha detto che il Magistero non è superiore alla Parola di Dio (Dei Verbum, 10). Infatti il Magistero interviene quando c’è un conflitto di interpretazioni. 32 Chiedere, come fa qualcuno, che si verifichi la continuità del Vaticano II con i venti Concili precedenti, «per dissipare le ombre e i dubbi che da quasi mezzo secolo rendono sofferente la Chiesa» (R. DE MATTEI, Il Concilio Vaticano II, cit., 591), significa dubitare della cattolicità del Concilio, cioè mettere in dubbio la sua ortodossia. 33 Anche la Bibbia può essere interpretata in maniere distorta, ma non è certo colpa della Bibbia. 8 prima erano stati trascurati, ma non intende dire tutto, e soprattutto non intende negare le verità cattoliche già definite; 5) il Vaticano II, seguendo l’intuizione del Beato Giovanni XXIII, ha scelto di difendere la verità rivelata non solo emanando condanne e anatemi, ma proponendola nella sua pienezza e bellezza. Sotto questo aspetto il Concilio non ha certo esaurito il suo compito, ma ha inaugurato un metodo di evangelizzazione sempre antico e sempre nuovo, che chiama alla corresponsabilità tutti i cattolici, per portare il Vangelo a tutti gli uomini. 9