DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA Corso di Laurea Magistrale in Informatica Umanistica BROCCOLINO Fabrizia Gagliardi Matricola: 527612 ANNO ACCADEMICO 2014/2015 SOMMARIO 1. L’EMIGRAZIONE ITALIANA NEGLI STATI UNITI 3 2. CARATTERISTICHE 4 3. CARATTERISTICHE DIALETTALI 6 3.1 FONOLOGIA 3.2 MORFOSINTASSI 3.3 LESSICO 4. PREVISIONI PER IL FUTURO 6 7 8 9 Il broccolino è una varietà linguistica parlata dagli italoamericani di Brooklyn, uno dei cinque distretti della città statunitense di New York. 1. L’EMIGRAZIONE ITALIANA NEGLI STATI UNITI Tra le mete migratorie nel periodo postunitario, oltre ai paesi europei come Francia, Svizzera e Germania, figurano anche Stati Uniti, Argentina e Brasile. Nel periodo 1880 e il 1914 più di quattro milioni e mezzo di italiani, provenienti soprattutto dall’Italia meridionale, sbarcarono negli Stati Uniti1. Gli espatri dall’Italia raggiunsero quasi i sei milioni, prima di arrestarsi nel 1976, quando iniziarono i rientri2. Dopo la prima guerra mondiale il governo statunitense impose restrizioni per i flussi migratori emanando l’Immigration Act o Barred Zone Act, che richiedeva un test di alfabetizzazione per tutti gli immigrati di età superiore ai 16 anni e, più tardi, l’Immigration Act o Johnson Act (1924) limitò il numero delle entrate dei migranti negli Stati Uniti. Secondo Tullio De Mauro è possibile studiare l’emigrazione italiana su tre profili: demografico: in quanto causa del diradamento della popolazione soprattutto nell’Italia meridionale; economico: migliorano i salari, i contratti di lavoro e gli immigrati inviano denaro a coloro che erano rimasti in patria; linguistico: sfoltì l’analfabetismo e la massa di dialettofoni soprattutto nel Sud Italia, dove la scuola si sviluppò solo a cavallo della prima guerra mondiale. La dialettofonia esclusiva si attestava al 97,5% negli anni dell’unificazione 3 , ma andò diminuendo: dall’86-90% nel 1861 al 23-32% nel 19514 arrivando al 20% negli anni Ottanta5. Per gli emigrati il registro di comunicazione prevalente erano i dialetti locali e non venivano a conoscenza dell’italiano standard, a causa della distanza tra i due paesi. Treccani.it, L’Enciclopedia Italiana, voce: Italoamericano, Hermann W.Haller, <http://www.treccani.it/enciclopedia/italoamericano_(Enciclopedia-dell'Italiano)/>, ultima consultazione: 18 dicembre 2014 2 Ibidem 3 Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari: Laterza, 1976, p. 43 4 Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p. 5 5 Gensini S., Elementi di storia linguistica italiana, Bergamo-Bari-Firenze: Minerva, 1985a, 1 I dialetti avevano anche un sostrato culturale e identitario, un ricordo della vita in Italia, mentre l’apprendimento dell’inglese voleva dire successo e ascesa sociale6. Si crearono comunità dialettofone prevalentemente meridionali, dove però le attitudini degli italiani verso l’italiano erano più negative che positive, i genitori, per esempio, erano contrari all’insegnamento dell’italiano ai figli7. In questo contesto socioculturale i contatti tra lingua e dialetto contribuirono a creare un continuum linguistico che non aveva delimitazioni nette e che, accanto all’inglese, passava dall’italiano dialettale al dialetto italianizzato, ai pidgin di tipo italoamericano, ai dialetti arcaici8. 2. CARATTERISTICHE Sono state individuate cinque fasi che ripercorrono lo sviluppo della lingua italiana nel nord America9: nella prima l’italiano e, più spesso, il dialetto regionale prevalgono sull’inglese che è relegato ad espressioni fisse come Ok, that’s al right o Yeah; nella seconda fase la conoscenza dell’inglese è ancora debole, ma avviene il code switching (il cambio del codice linguistico) a cui si fa risalire una prima forma di italoamericano, caratterizzato da un linguaggio che ha spesso base napoletana e siciliana10; la terza fase è caratterizzata dall’utilizzo dell’italoamericano nelle comunità italiane. Vi è ancora il cambiamento di codice dove la base è l’italoamericano e l’inglese è la lingua di sostituzione; nella quarta fase si utilizza soprattutto l’inglese, mentre l’italoamericano passa in secondo piano; Infine, nella quinta fase c’è una totale scomparsa delle influenze italoamericane dato che i parlanti sono ormai monolingui in inglese. Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p. 4 7 Y. Correa-Zoli, «The language of Italian American», in C. Ferguson e S. Heath, Language in the USA, Cambrige: Cambrige Press, 1981, pp. 239-256 8 Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p. 5 9 R. Di Pietro, «Language as a marker of Italian ethnicity», in Studi emigrazione, vol. 42, 1976, pp. 207-217 10 R. Di Pietro, «Bilinguismo e italiano come lingua seconda negli Stati Uniti», in Il veltro, 1986, p 17 6 Dagli studi sugli italo-americani di New York e Long Island si rileva l’esistenza di una lingua franca non-standard11, omogenea e parlata da emigrati provenienti dal Sud Italia che la usavano per la comunicazione “alta” al fuori dall’ambito della famiglia, in cui prevalevano dialetti stretti o varie forme di pidgin12. La presenza di una lingua franca condivisa da chi proveniva da regioni diverse dell’Italia potrebbe essere il risultato del dialect levelling (livellamento dialettale) grazie al quale la grande varietà di dialetti converge verso una forma comune. Alcuni esempi lessicali sono l’utilizzo di scudo (probabilmente risalente ai primi immigrati dall’Italia poco dopo l’unificazione) con il significato di ‘dollaro’, oppure pezzo/pezza usati con il medesimo significato (che si riferisce all’usanza di tagliare le monete d’oro in parti uguali, ognuno con valore di un dollaro13). La lingua franca italo-americana si distingue per la prevalenza di caratteristiche dialettali sugli anglicismi e sui tratti popolari14. Il suo utilizzo varia a seconda di fattori come età, generazione, sesso, livello di scolarizzazione, inserimento sociale, itinerario migratorio15. Basando l’analisi sul fattore generazionale, i soggetti anziani – quindi appartenenti alla prima generazione – sono emigrati soprattutto dalle zone rurali dell’Italia meridionale e si sono stabiliti negli Stati Uniti senza una valida preparazione sociale e culturale 16 . Sono quelli che non hanno acquisito perfettamente l’inglese e presentano un alto grado di convergenza tra dialetto e inglese. I giovani della prima generazione che, invece, hanno frequentato la scuola in Italia, hanno una competenza migliore nell’italiano standard. Lasciano penetrare alcuni termini dialettali nel loro registro alto che è privo di convergenza con l’inglese. Tuttavia, per questa generazione il quadro resta molto vario e i confini con la prima “Quando invitati a parlare l’italiano standard, i soggetti producevano infatti tale varietà semiformale, fatto che permette di assumere la presenza di una lingua franca italoamericana, che si sarebbe formata tra gli emigranti dialettofoni provenienti da Calabria, Campania, Sicilia, Puglia, Lucania, Lazio, Abruzzo e Molise. […] Naturalmente le condizioni specifiche delle lingue degli emigrati, associate alle caratteristiche sociali peculiari nel contesto della nuova società, producevano una varietà parlata “alta” nuova e diversa negli Stati Uniti. (Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italoamericani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p.8) 11 Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p. 4 13 Di Pietro R., «Bilinguismo e italiano come lingua seconda negli Stati Uniti», in Il veltro, 1986, p. 16 14 Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p.8 15 Treccani.it, L’Enciclopedia Italiana, voce: Italoamericano, Hermann W.Haller, <http://www.treccani.it/enciclopedia/italoamericano_(Enciclopedia-dell'Italiano)/>, ultima consultazione: 18 dicembre 2014 16 Hermann W.Haller, «Come si parla l’italiano negli Stati Uniti», in Italiano e oltre, 1986, n.1, pag 37 12 possono essere in qualche caso sfumati: dipendono, per esempio, dagli anni d’istruzione in Italia e negli Stati Uniti, dall’atteggiamento linguistico dei genitori e dei parenti, l’influenza dei coetanei americani e dell’istruzione scolastica nel nuovo paese17. Con la seconda generazione di giovani l’inglese è la varietà dominante, ma è evidente la diglossia costituita dall’inglese e dagli elementi dialettali, popolari e angloamericani acquisiti da genitori e nonni. Si verifica il degrado nella competenza della varietà alta con discorsi zoppicanti, pieni di ripetizioni, autocorrezioni, silenzi disperati, quando non capita la parola giusta18. Si tratta di una generazione nata in America da genitori italiani. Generalmente tende al monolinguismo anglofono, che si rivela anche quando si tenta di parlare italiano: per esempio è frequente l’utilizzo di andar fuori con il significato di uscire, perché tradotto dall’inglese going out; oppure il plurale del verbo ne la gente mi trattavano, che si spiega considerando il plurale del sostantivo inglese people19. Le indagini sulle comunità di New York hanno rivelato che la perdita dell’italiano diminuisce con l’avanzare dell’età nella prima generazione, ma lo slittamento linguistico, e quindi l’avviarsi dell’italiano ad essere percepito come lingua straniera, aumenta con l’avanzare dell’età nella seconda generazione20. 3. CARATTERISTICHE DIALETTALI 3.1 FONOLOGIA L’incontro dinamico tra l’inglese, l’italiano standard e le caratteristiche dialettali regionali ha prodotto un grado di dialettalità variabile21. I tratti dialettali più frequenti, tipici dei dialetti meridionali, si riscontrano nella sonorizzazione di /p/ e /t/ intervocaliche (lasciado, trovado), la sonorizzazione della /t/ Ibidem, pag 38. Haller distingue le due generazioni grazie all’età media al momento dell’emigrazione (11,7 contro 25 anni dei parlanti di prima generazione), per la media superiore di anni d’istruzione (12,2 della prima generazione di giovani, contro 7,2 anni per la prima generazione), per l’età media inferiore (44,5 contro 57,3), e per la permanenza più lunga negli Stati Uniti (31,8 contro 27,5) 18 Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p.19 19 Hermann W.Haller, «Come si parla l’italiano negli Stati Uniti», in Italiano e oltre, 1986, n.1, p. 39 20 Italoamericano in Treccani.it – L’Enciclopedia Italiana, <http://www.treccani.it/enciclopedia/italoamericano_(Enciclopedia-dell'Italiano)/>, ultima consultazione: 18 dicembre 2014 21 Molti degli esempi riportati sono tratti da Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italoamericani di Hermann W.Haller. L’indagine è stata svolta tra il 1978 e il 1979 sulle comunità metropolitane di New York. 17 tra –n e vocale (tando), l’assimilazione di rl a –rr- (parro per parlo, parrano per parlano) e nd a -nn- (quanno). Altre caratteristiche sono l’apocope (so iuta, so cambiate), la sincope (mi rcordo, certament) e le consonanti raddoppiate come la b (subbito)22. Questi residui dialettali prevalgono negli individui anziani, di prima generazione, diventati bilingui in età adulta. 3.2 MORFOSINTASSI È la morfosintassi ad avere il maggior numero di elementi dialettali, soprattutto per gli emigrati di prima generazione. Tra gli emigrati che hanno frequentato alcuni anni di scuola in Italia, si possono trovare giovani che parlano correttamente l’italiano e altri che hanno qualche incertezza. Nel complesso sono in grado di tenere separate le varie lingue ma, avendo vissuto in un ambiente dialettofono anche negli Stati Uniti e, a fronte di un’inerzia linguistica, presentano molti dei tratti morfosintattici elencati di seguito. Gli italo-americani sostituiscono spesso l’articolo determinativo con a, soprattutto se femminile singolare (a giobba, a gente, a luce, a lavatrice). Il pronome personale atono ci si unisce spesso alla forma verbale andando a sostituire la terza persone singolare e plurale italiana (gli, le, loro). Alcuni esempi: se incontri uno non ci (gli) puoi parlare, ci (loro) danno i soldi23. Comune nei dialetti meridionali è anche l’amplificazione del comparativo degli aggettivi (più meglio). La congiunzione che è spesso usata con funzione polisemica: a highschool che io sono andato (funzione locale), ho lasciato l’Italia che avevo diciannove anni (funzione temporale)24; o può sostituire il pronome relativo: la temperatura che non mi sono mai potuta adattare. Gli aggettivi possessivi vengono spesso utilizzati in posizione postnominale, tendenza tipica dei dialetti meridionali: a casa tua, il dialetto tuo. Per le forme verbali spesso avere è usato come verbo intransitivo (ho venuto, ho ritornato, m’ha piaciuto), mentre essere è usato come verbo transitivo (sono vista). Il presente dei verbi ausiliari è il tempo più usato, mentre occorre spesso la confusione tra Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p.10 23 Ibidem, p. 11 24 Ibidem, p.12 22 il condizionale e il congiuntivo nei periodi ipotetici (se in Italia ci fusse u travagghiu giusto, fosse differente)25. Mentre la seconda generazione, costituita da coloro che sono nati negli Stati Uniti, presenta l’ausiliare avere seguito da infinito, ma è ipotizzabile che ci sia una convergenza con l’inglese (had to+infinito). Inoltre è frequente l’assenza di accordo tra genere e numero fra sostantivi e aggettivi: la gente sono diversi. 3.3 LESSICO Per il lessico si distinguono due tendenze principali: l’occorrenza di dialettismi nell’italo-americano e l’uso di anglicismi. Nel primo caso tra i pochi esempi si riscontra l’uso di imparare e insegnarsi soprattutto per emigrati provenienti dalle regioni meridionali (mi sono imparato, si sono imparato); tenere viene spesso usato con il significato di avere (teneva due anni, tengo assai nostalgia). Per i soggetti di seconda generazione si notano infiltrazioni di variazioni individuali nella parlata (pazienz, necessitate, amichi) a causa dell’incertezza nell’utilizzo dei dialetti. Gli anglicismi compaiono in numero minore nella varietà alta parlata dagli italoamericani. Negli individui anziani tra i pochi prestiti si notano jobless (disoccupato), standard, nice (carino), retire (andare in pensione). Alcuni calchi usati sono carta verde (the green card, il permesso di lavoro per gli emigrati negli Stati Uniti) e italiani americani (dall’inglese Italian Americans)26. Nelle generazioni successive, la lacuna linguistica d’italiano viene colmata da calchi come: Mi sento comodo a parlare inglese, dall’inglese to feel comfortable; ritornare indietro, corrispondente a to go back; ritirarsi dal lavoro preso da to retire from work. La tendenza alla pidginizzazione, con il conio di parole nuove, risponde all’esigenza di una comunicazione immediata. Tra le voci più popolari compaiono27: bosso ingl. Boss «capo» carro ingl. Car «macchina» Ibidem, pp. 13-15 Hermann W.Haller, «Come si parla l’italiano negli Stati Uniti», in Italiano e oltre, 1986, n.1, p. 38 27 Ibidem, p. 34 25 26 fattoria ingl. Factory «fabbrica» storo ingl. Store «negozio» farma ingl. Farm «fattoria» fornitura ingl. Furniture «mobili» giobba ingl. Job «lavoro» grosseria ingl. Grocery «generi alimentari» trobolo ingl. Trouble «guaio» bisinisse ingl. Business «affare» draivare ingl. to drive «guidare» germanese ingl. German «tedesco» marchetta ingl. Market «mercato» tichetta ingl. Ticket «biglietto» I più competenti nell’uso del lessico italo-americano sono gli anziani con limitata esperienza linguistica sia in inglese sia in italiano. Questi termini sono destinati a cadere in disuso nelle comunità italo-americane, poiché già dalla prima generazione di giovani, sebbene conosciuti, non vengono più utilizzati. La varietà alta dei nonni è diventata la loro varietà bassa. 4. PREVISIONI PER IL FUTURO Nel 2011 il censimento negli Stati Uniti ha rilevato che 723.632 italiani parlano italiano come madrelingua 28 e, secondo un rilevamento del 2009, 80.752 29 lo parlano come lingua seconda. Rispetto al 2000 dove l’italiano si trovava al 6º-7º posto tra le lingue più parlate in casa (1.008.370 parlanti)30, nel 2010 è sceso al 9º-10º posto31, superato da coreano, tedesco e russo. Camille Ryan, Language Use in the United States: 2011, in U.S. Census Bureau, 2011, pp. p.3. URL consultato il 22/12/2014 29 Camille Ryan, Enrollments in Language Other Than English in United States Institutions of Higher Education, Fall 2009 (PDF) in The Modern Language Association of America, 2010, p. 15. URL consultato il 22/12/14. 30 Language Use and English-Speaking Ability: 2000, http://www.census.gov/prod/2003pubs/c2kbr-29.pdf, URL consultato il 22/12/2014 28 New York è lo stato dove su 213.785 individui al di sopra dei 5 anni, il 27,97% parla italiano32. Non è possibile prevedere con certezza quale sarà il destino dell’italo-americano e, in generale, dell’italiano in America, ma alcuni indizi indicano che la loro sopravvivenza è messa in dubbio. La limitazione dell’utilizzo dell’italiano all’ambiente domestico e familiare nelle comunità italo-americane spiega il degrado della competenza linguistica in questa varietà nelle generazioni più giovani 33 . Infatti, se da un lato le giovani generazioni possono sviluppare un bilinguismo italiano/inglese, mano a mano che ci si allontana dalla generazione dei primi immigrati, l’inglese viene appreso sempre più come madrelingua, mentre l’italiano è relegato ad essere la lingua seconda. Tuttavia le iscrizioni ai corsi erogati in italiano sul suolo statunitense hanno registrato una crescita del 3,0% nel 2009 34 e continuano a registrare un aumento positivo. È chiaro che per mantenere in vita una lingua, uno dei fattori determinanti è l’appoggio delle autorità scolastiche e di quanti ne sostengono l’inserimento nei sistemi educativi35. Già negli anni Ottanta l’italo-americano era considerato dagli emigrati una varietà bassa, dovuta a una situazione socioeconomica sfavorevole, ma comunque una varietà affettiva. In questo periodo l’«italiano» inteso dalle prime generazioni era diverso rispetto alle seconde. Per gli anziani l’italiano era il dialetto o l’italiano regionale, per i più giovani l’italiano era la varietà italo-americana mista al continuum linguistico degli emigrati36. A preferire il dialetto come madrelingua erano gli emigrati di prima generazione, anche se gli conferivano minore importanza, mentre la prima generazione di giovani era favorevole al mantenimento del dialetto perché non ostacolava l’apprendimento dell’inglese. In questo caso la scelta era probabilmente dettata dalla volontà di mantenere vive le proprie origini. http://www.mla.org/map_data URL consultato il 22/12/14 Ibidem 33 Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p. 21 34 Camille Ryan, Enrollments in Language Other Than English in United States Institutions of Higher Education, Fall 2009 (PDF) inThe Modern Language Association of America, 2010, p.11. URL consultato il 22/12/2014. 35 Di Pietro R. (1986), «Bilinguismo e italiano come lingua seconda negli Stati Uniti», in Il veltro, p. 21 36 Hermann W.Haller, Una lingua perduta e ritrovata. L’italiano degli italo-americani, Firenze: La Nuova Italia, 1993, p. 48. I risultati di Haller derivano da un campione di sette voci registrate poi fatte ascoltare a un’ottantina di italo-americani dell’area metropolitana di New York che dovevano valutare soggettivamente l’italo-americano 31 32 L’inglese è ovviamente la varietà colta e di prestigio opposta alla varietà italoamericana mista (dialetto e inglese), perché percepita dalla maggior parte degli emigrati come “scorretta”, adatta a un uso informale37. Per la salvaguardia dell’italiano negli Stati Uniti è vivo il desiderio di mantenerne l’uso e di insegnarlo ai bambini con l’appoggio dell’educazione bilingue38. Ciò nonostante non è da trascurare che le risposte a studi e questionari riflettono una volontà ideale più che la realtà effettiva. Il processo di americanizzazione, la mancanza di stabilità dell’italiano parlato e il più frequente bilinguismo italiano/inglese della nuova emigrazione, dovuta alla conoscenza dell’italiano standard, ci dicono che le varietà parlate negli Stati Uniti subiscono un processo di ristrutturazione 39 . In questo contesto è probabile che il broccolino utilizzato dagli italo-americani di New York subisca una diminuzione significativa. Tuttavia, non è da trascurare l’influenza del made in Italy e il sempre vivo interesse culturale per l’Italia 40 che potrebbero avere ripercussioni positive nella diffusione della lingua italiana all’estero. Ibidem p. 51 Ibidem p. 55 39 Hermann W.Haller, «Come si parla l’italiano negli Stati Uniti», in Italiano e oltre, 1986, n.1, p. 39 40 Ibidem 37 38