L’età dell’imperialismo (1885-1914) Introduzione L’età storica dell’imperialismo fu un’età di trasformazioni sociali e culturali di grandezza tale e con effetti tali da risultare decisiva per l’intera caratterizzazione della storia successiva. E’ insomma in questa età che si profilarono compiutamente i termini della nostra contemporaneità. Fin dalla metà degli anni settanta del XIX secolo, con l'inizio di una delle crisi economiche più gravi per intensità e durata - ricordata come la Grande depressione per l’umanità europea venne profilandosi un profondo, accidentato processo di transizione ad un nuovo mondo storico, e in tutte le forme sociali della cultura dell’epoca (filosofia, arte, scienza, e finanche nella stampa periodica) si può assai agevolmente cogliere la consapevolezza della apertura di una lunga crisi culturale. La Grande depressione non incrinò la cieca fiducia nel progresso, nella scienza e nella tecnica che aveva accompagnato l'affermarsi dell'industrializzazione in Europa, finì però per incidere profondamente sulla struttura delle società industriali, sul rapporto tra economia e politica, tra industria e Stato, come pure sulla stessa mentalità collettiva. La crisi fece crollare la convinzione liberista circa l’esistenza di una naturale armonia del sistema economico capitalista, nella capacità di autoregolazione propria del sistema, ovvero nella capacità di raggiungere automaticamente l'equilibrio ottimale. Ci si accorse in definitiva che, lasciati a se stessi, il mercato e la libera concorrenza non producevano in realtà un progresso perfetto, ma innescavano spesso una serie di contraddizioni di carattere assai violento. Le nuove forme di partecipazione politica Tra il 1871 e i primi due decenni del Novecento, anche la politica, come l'economia, subì una profonda trasformazione. In quegli anni si formò la maggior parte dei sistemi di partito che oggi conosciamo e la lotta politica acquisì le caratteristiche che le sarebbero state proprie fin quasi ai nostri giorni. Il fenomeno che più di ogni altro incise sulla forma stessa della politica e sull'assetto delle istituzioni, anche in questo campo, fu la massificazione : nel giro di pochi decenni la partecipazione alla vita politica da parte delle masse, cioè di gruppi sempre più estesi di popolazione, divenne un fatto normale e permanente in Europa. In realtà, fin dalla rivoluzione francese le masse avevano fatto irruzione sulla scena della storia, ma il loro protagonismo era rimasto un fatto episodico, confinato alle grandi occasioni, alle giornate rivoluzionarie. Alla fine dell'Ottocento, invece, con l'estensione del suffragio, con la nascita dei grandi partiti di massa e con la diffusione di ideologie forti di mobilitazione, la partecipazione della totalità della popolazione alla politica divenne un fatto fisiologico. Ortoleva-Revelli: L'età dell'imperialismo _ 1993 Bruno Mondadori Ed. - pag. 1 Nel periodo che va dall'inizio della Grande depressione (1873) ai primi anni venti del Novecento quasi tutti i paesi europei giunsero alla "democrazia di massa" con la diffusione del suffragio universale maschile a scrutinio segreto. Fu una marcia rapida e travolgente che, per lo meno nell'area europea, portò nel giro di pochi decenni entro l'area della partecipazione politica molti milioni di persone fino ad allora rimaste escluse. SUFFRAGIO. Letteralmente significa voto, ovvero dichiarazione di volontà". Nell'uso politico esprime il grado di estensione dei diritti elettorali: si parla di "suffragio ristretto" quando il diritto di voto spetta soltanto a categorie limitate di cittadini, identificate in base alla quota prederminata di contribuzione al fisco o al titolo di studio; si parla invece di suffragio universale quando a godere del diritto di voto è la totalità dei cittadini al di sopra di una determinata età. Il suffragio universale può essere solo maschile quando dal voto siano escluse le donne. Già alla vigilia del conflitto mondiale almeno cinque paesi europei erano giunti al suffragio universale maschile a voto segreto e uguale (Francia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Italia). Negli anni immediatamente successivi alla guerra, e comunque prima del 1920, se ne aggiunsero altri tre (Belgio, Germania, Austria). A questo punto, però, il problema che si poneva per le tradizionali classi dominanti non era più "se" far intervenire nel dibattito politico la totalità della popolazione (questione tipica del modello liberale ottocentesco), ma "come" farla partecipare (problema peculiare di una "democrazia di massa"), cioè in quali forme "organizzare" l'espressione politica delle masse. Non si trattava più di optare pro o contro la democrazia, ma di stabilire per quale tipo di democrazia optare: quale forma di "rappresentanza" costruire. L'ampliamento dell'elettorato cambiava completamente il quadro del dibattito politico e ideologico, e poneva al sistema democratico problemi e compiti nuovi. Intanto, il progressivo processo di ampliamento della cittadinanza politica denotava esiti ambivalenti: per un verso coronava, e per certi versi esauriva, il sogno e il progetto di molti movimenti democratici attivi nella seconda metà dell'Ottocento, ma dall'altra parte produceva anche profonde delusioni. Il modello di democrazia rappresentativa, che si affermava che si affermava con il diritto di voto a tutti, solo in minima parte rispondeva al progetto di concedere a tutti il diritto di "decidere" delle cose pubbliche e di partecipare alla vita delle nazioni. In primo luogo emersero nuove élites ( i nuovi dirigenti che nei diversi paesi trovavano nel voto di massa una nuova legittimazione), spesso altrettanto esclusive e autoritarie delle precedenti aristocrazie. In secondo luogo, la partecipazione di masse crescenti alla vita politica poneva compiti organizzativi inediti per complessità ed estensione. Si comprese che in politica nulla più poteva avvenire secondo processi spontanei di partecipazione, e nulla più poteva avvenire nell'ambito delle semplici e limitate forme organizzative che la politica aveva finora assunto (i club, le associazioni etc etc.) Ormai si presupponeva la costruzione di apparati capaci di inquadrare le masse; di capillari strutture organizzative capaci di disciplinare l'espressione popolare. I partiti politici, su cui si scaricava in buona parte questa funzione di organizzazione Ortoleva-Revelli: L'età dell'imperialismo _ 1993 Bruno Mondadori Ed. - pag. 2 della partecipazione massificata alla politica, si trasformarono ben presto in grandi macchine burocratiche destinate a favorire un vertice di funzionari e gruppi di potere permanenti, che finivano per concentrare in sé ampi poteri di decisione, esautorando quelle stesse masse per dar voce alle quali la stessa organizzazione era nata. ELITE. Questo termine. derivato dal francese, indica il ristretto nucleo di persone che eccellono in qualche settore della vita sociale, i pochi "eletti" che si distinguono per ricchezza, cultura, posizione ecc. Il vocabolo acquistò notorietà e valore alla fine dell'Ottocento, quando una corrente delle nascenti scienze sociali affermò, in polemica con le teorie democratiche, l’idea che sia elitista ogni forma possibile di governo, formulando la legge secondo la quale è sempre una minoranza organizzata di individui "eccellenti" in qualche campo (forza, ricchezza, sapere) a dominare sulla maggioranza disorganizzata.. Parlamentarismo e antiparlamentarismo Sul piano scientifico, la trasformazione del modello democratico ottocentesco trovò elaborazione nell'opera di pensatori come Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels, i fondatori della cosiddetta "teoria dell'elite". Per questi nuovi teorici era palese l'impossibilità della democrazia integrale, e per contro inevitabile la tendenza dei moderni sistemi politici all'oligarchia", cioè alla formazione di una minoranza di governo che avrebbe finito per dominare sulla maggioranza. Sul piano politico concreto, invece, l'ampliamento della base elettorale si espresse nella crescente antitesi tra parlamentarismo e antiparlamentarismo, ovvero nel determinarsi di una netta contrapposizione, nell'ambito di tutti gli schieramenti politici, a destra come a sinistra, di correnti ed orientamenti che facevano dell'azione parlamentare il proprio scopo principale e di correnti che, al contrario, intendevano contrapporre alla "falsa democrazia" rappresentativa parlamentare forme "più autentiche" e radicali di partecipazione, a base "nazionalista", "corporativa" o "classista". Fu così che sul piano organizzativo, infine, le culture politiche si divisero tra l'accettazione del modello burocratico da un lato (tesseramento, identificazione di particolari funzioni partitiche, statuti di partito ecc.), quale strumento particolarmente adeguato alla nuova fase, con l’implicazione necessaria di modelli di relazione all’interno del partito fortemente centralizzati e strutturati, e dall’altro lato il rifiuto invece, della burocratizzazione e della stessa "forma partitica di organizzazione", a cui veniva preferito il modello del "movimento", fondato sulla mobilitazione permanente dei suoi mèmbri e su sconosciute forme leaderistiche e plebiscitarie di rappresentanza. All'insegna di queste nuove problematiche, ormai lontanissime dall'orizzonte politico-culturale ottocentesco, si sarebbe costituita nelle sue linee essenziali la politica europea del Novecento. Canale essenziale di comunicazione tra società e Stato, i partiti subirono per primi l'impatto della massificazione della politica. Forma di organizzazione dell'elettorato per eccellenza, essi divennero punto di riferimento centrale della vita politica nell'epoca in cui la dimensione di massa faceva dell'associazionismo uno strumento imprescindibile nella politica. La maggior parte dei partiti europei di tipo liberale erano nati in epoca di suffragio ristretto, rigorosamente basato sulla proprietà; erano poco inclini alle grandi contrapposizioni ideologiche, privi di forme permanenti di organizzazione, e Ortoleva-Revelli: L'età dell'imperialismo _ 1993 Bruno Mondadori Ed. - pag. 3 tendevano a fare del parlamento il luogo principale, se non l'unico, della propria attività. Per essi la sfida mossa dalla trasformazione del modello democratico fu mortale: le novità del sistema politico imponevano infatti la scelta tra un adattamento rapido alle nuove circostanze e l'estinzione. In generale le metamorfosi di questo tipo di partito (i cosiddetti "partiti di notabili", espressione di ristretti gruppi di interesse, dotati di scarsissima organizzazione perché sorti, solitamente, intorno a singoli personaggi di prestigio) riguardarono prima di tutto l'organizzazione interna. Primo obiettivo fu la creazione di strutture permanenti. Era infatti indispensabile radicare l'organizzazione politica nelle realtà urbane laddove non ci si poteva affidare a quella società tradizionale caratteristica delle aree rurali che era stata, nei decenni precedenti, la forza principale del ceto dei "notabili". Inoltre, mentre un partito che metteva al centro della propria azione il parlamento poteva accontentarsi di strutture organizzative effimere e fragili, ciò diveniva impensabile per un partito che vedeva come proprio compito principale la direzione dello Stato e il controllo delle sue risorse economiche e politiche. Si trattava di organizzare una base sociale che fosse stabile, per ottenere e mantenere il potere politico; a tale scopo diveniva assolutamente indispensabile una struttura solida e duratura. L'altro grande mutamento che si imponeva riguardava infine i rapporti con le classi sociali. Nati come partiti della proprietà, i movimenti politici tradizionali avevano bisogno per sopravvivere di estendere NAZIONALISMO. Nel primo Ottocento l’idea di nazione, intesa come comunità di suolo, la loro influenza anche ai ceti non tradizioni e ideali, aveva svolto la funzione di possidenti, che accedevano in quegli sostenere il diritto dei popoli all'esercizio del anni al diritto di voto, e di cercare di potere politico ed all'indipendenza, contro il strappare l'egemonia politica al legittimismo sancito dal congresso di Vienna. Lo movimento socialista attraverso una sviluppo della industrializzazione, con i fenomeni sorta di coalizione di interessi diversi. sociali e politici a essa connessi, determinò un profondo mutamento nei caratteri dell'ideologia Solo pochi partiti tradizionali, in nazionalista. I caratteri principali del Europa, riuscirono a fare un tale salto di nazionalismo di fine Ottocento si rivelarono: qualità e a mantenere l'egemonia. Gli l'esaltazione della nazione come entità ideale e altri entrarono in crisi, creando profondi morale superiore a tutti gli altri valori; il rifiuto vuoti di potere e situazioni più o meno della ragione come guida nella condotta dell'uomo e l'esaltazione del sentimento e della drammatiche di instabilità. tradizione; la lotta contro le ideologie individualistiche (liberalismo), umanitarie (cattolicesimo), internazionaliste (socia-lismo); la svalutazione dei principi democratici e delle istituzioni parla-mentari; la sostituzione della lotta fra le classi con la lotta fra le nazioni; la teorizzazione del diritto alla conquista ai danni dei popoli ritenuti inferiori e l'esaltazione della guerra come necessità e come valore. I nuovi movimenti conservatori reazionari e In questo vuoto di azione politica delle classi notabili, maturarono, alla fine del XIX secolo, nuovi movimenti conservatori che raggiunsero un notevole consenso sociale; essi esprimevano idee avverse alla democrazia ed un esasperato nazionalismo, fondato sul mito della razza e su un irrazionale e aggressivo antisemitismo. Nel corso degli anni ottanta e novanta, Ortoleva-Revelli: L'età dell'imperialismo _ 1993 Bruno Mondadori Ed. - pag. 4 comparvero nello stesso tempo e in diversi paesi europei nuovi movimenti politici. Queste nuove formazioni poggiavano anch'esse su una base di massa, ma erano espressione di ideologie radicalmente diverse, e spesso contrapposte, a quelle del movimento operaio. Inoltre questi movimenti erano radicati per lo più negli strati "declassati" delle grandi città (piccola borghesia, sottoproletariato, comunità di classe operaia in formazione), sebbene non fossero privi di appoggi tra gli stessi lavoratori dell'industria e, soprattutto nell'Europa orientale, tra i contadini. Componevano un programma variegato, che andava dal filocattolicesimo esasperato al più profondo tradizionalismo. E’ in questa categoria politica che ritroviamo i gruppi ed i giornali francesi diretti da Eduard Drumont (La libre parole), e poi da Charles Maurras (Action francaise), la demagogia "comunitaria" del partito liberal-tedesco fondato in Austria da Georg von Schönerer, il dichiarato e fanatico filozarismo de l'Unione del popolo russo e de la Lega dell'arcivescovo Michele, che si organizzarono in Russia all'inizio del nuovo secolo, su una base già consolidata dai terribili pogrom organizzati contro gli ebrei vent'anni prima. Ciò che univa l'insieme di questi movimenti e ne faceva un modello nuovo di organizzazione di massa era il nazionalismo esasperato (e generalmente fondato sul richiamo a un passato mitico, a carattere razziale) e il violento odio antiebraico. AUTORITARISMO. Orientamento politico-culturale che esalta e sottolinea la funzione insostituibile del principio di autorità fra gli uomini, di contro ai principi di libertà e di eguaglianza della tradizione liberale ed illuministica. Esso esprime una concezione centralista della società, in cui il potere discende sempre dall'alto ed è concesso uno scarso grado di autonomia ai singoli componenti dello stato, le cui interrelazioni devono ordinate e strutturate da un principio superiore. Con lo stesso termine si indica anche un tipico atteggiamento psicologico e personale, che consiste nel rifiuto della discussione e del pieno confronto fra le opinioni al fine della persuasione, in nome della assolutezza del comando, della costrizione e, al limite, della efficacia maggiore dell’aggressività nei confronti dei dissenzienti o dei subordinati. Il pangermanesimo e il panslavismo La passione nazionalista, che fu alla base di tutti quei movimenti, non era in contraddizione con il loro carattere internazionale: le teorie razziste, che contrapponevano gli "ariani" agli ebrei, ai mongoli ed ai negri, si diffusero dalla Francia alla Gran Bretagna, e di qui alla Germania, toccando anche gli Stati Uniti. Ciò si spiega perché da un lato il carattere razziale che veniva attribuito all'identità nazionale andava oltre i confini degli stati emersi dalle rivoluzioni nazionali dei decenni precedenti; dall'altro perché il nazionalismo almeno nel caso austriaco e in quello russo portava questi movimenti alla rivendicazione di un'unificazione totale dei gruppi etnici e quindi tendeva a unire tra loro diverse nazionalità che si supponevano congiunte in un'unica stirpe. Così il nazionalismo tedesco diveniva pangermanesimo e il nazionalismo russo diveniva invece panslavismo. Sempre di più in questi stessi gruppi si sottolineava il peso di una comune identità europea, o bianca o (con termine razzista e pseudoscientifico) caucasica, contro gli ebrei e i popoli asiatici e africani oggetto della colonizzazione. Sviluppo estremo del nazionalismo, questi movimenti ne segnavano in un certo senso anche la fine, in quanto indicavano come sbocco del Ortoleva-Revelli: L'età dell'imperialismo _ 1993 Bruno Mondadori Ed. - pag. 5 movimento nazionale non più lo Stato-nazione ottocentesco, ma una sorta di grande comunità di stirpe, unita più dall'odio per gli estranei alla stirpe stessa (gli ebrei nel suo seno, i popoli colonizzati all'esterno), che non da una reale identità comune. In questa versione del nazionalismo la storia cessava di essere il centro unificante della nazione e cedeva il posto al "sangue", a un'impalpabile unità biologica che poi, di fatto, coincideva sempre e solamente con un dato culturale e non biologico, con il ceppo linguistico. Pangermanesimo e panslavismo trovarono d'altra parte la loro massima base propagandista nel progressivo disfacimento dei due grandi imperi che assoggettavano gran parte dell'Europa orientale, l'Impero austroungarico e quello ottomano, e nella crisi politica ormai decennale dell'Impero russo. Accanto al nazionalismo, un altro importante tratto comune dei movimenti reazionari era la disposizione a creare una società marcata dall’autoritarismo, ed inoltre l'avversione per le istituzioni democratiche. RAZZA / RAZZISMO. Con il In una società dove il tradizionale sistema termine razza si intende un gruppo gerarchico stava franando, la richiesta di umano dotato di caratteristiche un'autorità in grado di imporsi e di farsi obbedire, fisiche ereditarie comuni, indipendentemente dalla lingua, dalla di un capo, si presentava come strumento per un nazionalità, dagli usi e dai costumi ritorno a un passato perduto di ordine e di praticati. Essa riguarda solo il tranquillità: un passato collocato nel Medioevo dai patrimonio biologico, ovvero movimenti di ispirazione religiosa (come la destra genotipico degli individui, e non ha cattolica francese) o, addirittura, nella mitica età nulla a che vedere con le peculiarità dei Nibelunghi (come in Germania). Tutti i politico-sociali o culturali che ultranazionalisti, del resto, si contraddistinguono i diversi popoli, movimenti per definire i quali si adopera invece rifacevano all'autorità di uno Stato forte, che era il termine etnia. rappresentata dalla Russia zarista per i panslavisti, Il razzismo è invece l’atteggiamento e dalla Germania bismarckiana per i che — senza alcun fondamento pangermanisti. scientifico — attribuisce ai caratteri razziali rilevanze politiche, sociali o culturali. Razzista è dunque chi ritiene che alle differenze biologiche o somatiche tra i diversi popoli della terra siano associabili differenze morali, sociali, intellettuali tali da stabilire una gerarchia tra le razze, distinguendo tra razze "'superiori" e "inferiori". Tipicamente razzista è la tesi — formulata già da Arthur de Gobineau in Essai sur l'inegalité des races humaines (1853) — che la commistione delle razze, inquinando i cosiddetti "tipi puri", sia la causa della decadenza delle civiltà, e che quindi l'unione tra individui di razze differenti vada evitato come uno dei mali peggiori. Risvolto dell'autoritarismo e dell'odio antidemocratico era il rifiuto del conflitto sociale e politico tipico della democrazia. Scopo di questa nuova ed emergente cultura reazionaria era la restaurazione dello "spirito comunitario", nell'impresa come nella città e nel sistema politico. Questi movimenti si presentavano come rappresentanti non di specifici interessi, ma dell'intera nazione: anche quando erano organizzati in partito, non nascondevano di mirare a identificare il proprio partito con lo Stato, e ad abolire tutti gli altri partiti e gli elementi di divisione. L'ANTISEMITISMO Probabilmente il più forte elemento unificante dei movimenti reazionari di massa nati tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento fu l'odio antiebraico, che in quel periodo Ortoleva-Revelli: L'età dell'imperialismo _ 1993 Bruno Mondadori Ed. - pag. 6 venne ribattezzato con il termine di antisemitismo. Le radici dell'antisemitismo, che si diffuse con straordinaria violenza in quel periodo, e che avrebbe fatto una nuova e ancor più tragica comparsa nell'Europa del 1930, erano tanto profonde quanto complesse. Alcune di esse sono da rintracciare essenzialmente nell'identificazione, da parte dei settori più retrivi dell'opinione pubblica, del processo di emancipazione ebraico successivo alla rivoluzione francese con la crisi dell'ordine sociale precapitalista; nella caduta delle forme di convivenza proprie della civiltà contadina e nell'affermazione del capitalismo. Nel nuovo sistema sociale fondato sull’impersonalità del mercato, un'importanza crescente l’aveva il capitale finanziario, in cui la presenza ebraica era particolarmente forte per ragioni storiche SIONISMO. Movimento politico ebraico che, come si legge nella sua (l'esclusione degli ebrei dalle regole che vietavano carta costitutiva, redatta a Basilea il ai cristiani l'intermediazione monetaria): ne seguì 29 agosto 1897, «ha per scopo di l'identificazione piena dell'ebreo con il denaro, creare in Palestina una sede con la forza di sradicamento che è propria della nazionale per il popolo ebraico società di mercato, con la mobilità sociale di garantita dal diritto pubblico». Il contro alla persistenza auspicata dei modelli termine fu usato per la prima volta nel 1890 da Nathan Birnbaum, ma tradizionali di stabilità. Si diffuse infine un vero e gli inizi del movimento si fanno proprio ressentiment, l'invidia sociale, il rancore risalire al decennio precedente, da parte di quegli strati della media borghesia, quando studenti ebrei delle università insidiati dallo sviluppo della grande impresa e del russe, polacche e romene fondarono capitale finanziario, che vedevano nell'ebreo il le prime colonie ebraiche in Palestina. Nella religione ebraica il privilegiato e il "diverso". ritorno a Sion e alla terra d’Israele L'antisemitismo nasceva così in collegamento con delle comunità disperse nella una forma tutto sommato nostalgica di reazione diaspora rappresenta un’aspirazione anticapitalista, che cercava di attribuire a un centrale, ribadita nelle preghiere quotidiane, ma fino ad allora gruppo specifico le responsabilità di mutamenti quest’aspirazione non aveva mai sociali vissuti come catastrofici. Di fronte ad un assunto un concreto significato simile atteggiamento divenivano irrilevanti le politico. La situazione cominciò a scelte degli ebrei stessi in tema di emancipazione: mutare negli ultimi decenni coloro che accettavano di inserirsi pienamente dell’Ottocento, anche in seguito nella società cristiana venivano addotti a prova all’inasprirsi delle violenze antisemite in Russia e in Polonia, e della volontà ebraica di impadronirsi del mondo; dopo l’esplosione dell’affare Dreyfus coloro che, viceversa, volevano mantenere in Francia (1894 al 1906). l'autonomia culturale e religiosa dell'ebraismo, o addirittura puntavano alla formazione di un'autonoma nazione ebraica (il sionismo) erano indicati come la dimostrazione della "inassimilabilità" degli ebrei, della loro irriducibile estraneità alla società cristiana. Mentre nell'Europa occidentale l’antisemitismo nacque “spontaneamente” nell’opinione pubblica, nella sua parte orientale, invece, l'antisemitismo fu apertamente organizzato dallo Stato e dalla Chiesa ortodossa: l'ondata di pogrom che in Russia e in Polonia seguirono, nel 1881, l'attentato che uccise lo zar Alessandro II, ebbe carattere sistematico e fu diretta dall'alto, come pure le ricorrenti persecuzioni che si susseguirono nell'Est europeo fino alla prima guerra mondiale, le quali, peraltro, provocarono massicce ondate di emigrazione dei gruppi ebrei. Ortoleva-Revelli: L'età dell'imperialismo _ 1993 Bruno Mondadori Ed. - pag. 7