MORBO DI WILSON, DECISIVA L'ADESIONE LONGTERM AGLI ANTI-RAME IN FASE PRESINTOMATICA 03 gennaio 2014 L’impiego di agenti anti-rame in pazienti con diagnosi di morbo di Wilson (WD) ma clinicamente presintomatici permette di prevenire efficacemente lo sviluppo conclamato della patologia. È però estremamente importante l’adesione alla terapia. Lo dimostra uno studio condotto in Polonia e presentato sull’European Journal of Neurology. «Il WD è un disturbo ereditario autosomico recessivo del metabolismo del rame che determina accumulo dell’elemento in vari organi, tra cui fegato, cervello e cornea» ricorda Karolina Dziezyc, coordinatore del team dell’Istituto di Psichiatria e Neurologia di Varsavia che ha condotto la ricerca. «La patologia è dovuta alla ridotta funzione di una ATPasi di tipo P trasportatrice di rame, dovuta a mutazioni patogene in entrambi gli alleli del gene ATP7B sul cromosoma 13». «Gli agenti farmacologici utilizzati per trattare il WD rimuovono l’eccesso di rame e ne prevengono il riaccumulo» prosegue Dziezyc. In questo studio sono stati impiegati la D-penicillamina (DPA), che agisce favorendo l’escrezione urinaria del metallo e ne previene il riaccumulo, o il solfato di zinco (Zn), che interferisce con l’assorbimento dell’elemento a livello intestinale. «Si ritiene che un trattamento anti-rame nei soggetti presintomatici potrebbe prevenire la patologia ma non esistono forti prove che supportino tale tesi» spiegano gli autori. Pertanto «lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare l’efficacia e la sicurezza di un trattamento di questo tipo in pazienti con diagnosi di WD ma non ancora sintomatici nell’ambito di uno screening familiare di un paziente sintomatico. Particolare attenzione è stata posta all’adesione alla terapia». Sono stati analizzati i dati relativi a 87 pazienti consecutivi senza sintomi clinici di WD, i quali erano stati identificati tra il 1957 e il 2009 mediante screening familiare. La diagnosi era stata posta mediante lo studio del metabolismo del rame (misurazione nel siero dei livelli di ceruloplasmina e della concentrazione di rame, escrezione urinaria del rame nelle 24 ore) e test genetici (genotipizzazione di ATP7B). Tutti questi soggetti, dal momento della diagnosi, sono stati trattati nel 66,7% dei casi con Zn oppure, nel 33,3% dei restanti casi, con DPA. Nel corso di un follow-up mediano di 12 anni, il 63% dei pazienti (n=55) si è mantenuto privo di sintomi clinici da WD, il 15% (n=13) ha sviluppato sintomi neuropsichiatrici e il 24% (n=21) è andato incontro a disfunzione del fegato (compresi 5 casi di exitus per insufficienza epatica). Si è osservata mancata osservanza del trattamento per almeno 3 mesi consecutivi in 39 pazienti, e in 12 casi l’assenza di compliance si è estesa oltre i 12 mesi. L’analisi multivariata – spiegano i ricercatori – ha dimostrato che la probabilità di sviluppare un WD sintomatico era aumentata in modo indipendente dalla mancata adesione al trattamento (odds ratio=24,0; 95%CI: 6,0-99,0). Dall’analisi di Kaplan-Meier è risultato che i pazienti aderenti alla terapia mostravano una probabilità significativamente maggiore di rimanere liberi da sintomi, e la loro sopravvivenza globale era simile al tasso di sopravvivenza osservato nella popolazione generale. Gli autori sottolineano che «tutti i 13 pazienti che hanno sviluppato sintomi neuropsichiatrici erano non aderenti al trattamento. Dieci di questi hanno sviluppato sintomi neurologici, 2 hanno mostrato sintomi sia neurologici sia psichiatrici (depressione) e un paziente ha evidenziato un sintomo psichiatrico isolato (disturbo d’ansia). I sintomi neurologici erano tipici del WD: tremore delle mani (91%), disartria (25%), ipertono muscolare (16%) e tremore del capo (8%). Tutti i disturbi erano lievi e i pazienti sono rimasti indipendenti nelle attività della vita quotidiana». Da notare che non si è rilevata alcuna associazione tra inosservanza della terapia prescritta e tipo di farmaco. «La ragione più frequente della mancata adesione è l’assenza di sintomi» commentano gli autori. «Probabilmente i soggetti con qualche disturbo erano più motivati nell’assumere i farmaci prescritti». In ogni caso, dallo studio è emerso che sia la terapia con Zn sia quella con DPA erano ugualmente in grado di prevenire la comparsa del WD conclamato, a condizione che i pazienti fossero aderenti al trattamento. «La terapia» ribadiscono gli autori «dovrebbe essere iniziata nei pazienti con diagnosi di WD prima della comparsa di sintomi. Una volta che si è identificato un caso indice, i medici dovrebbero immediatamente cercare di esaminare i membri di primo grado della famiglia, perché a volte la patologia si manifesta con un’improvvisa insufficienza epatica. Lo screening è raccomandato anche in fratelli e sorelle più anziani, dato che la malattia conclamata può manifestarsi anche dopo i 40 anni». La storia naturale del WD è peraltro poco nota ed è difficile predire lo sviluppo dei sintomi in presenza o assenza di terapia. «Nel nostro studio» osservano gli autori «i pazienti che smettevano di assumere completamente i farmaci impiegavano di solito più di 10 anni prima di divenire sintomatici». Proprio per questo – è la conclusione – la compliance a lungo termine al trattamento anti-rame è fondamentale per evitare lo sviluppo della patologia conclamata. Arturo Zenorini Dziezyc K, Karlinski M, Litwin T, Czlonkowska A. Compliant treatment with anti-copper agents prevents clinically overt Wilson's disease in pre-symptomatic patients. Eur J Neurol, 2013 Dec 7. [Epub ahead of print] leggi