LA DIPENDENZA DA INTERNET TERESA BICCHETTI4 LUGLIO 20160 0 2 VIEWS 0SHARES 0000 L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive la dipendenza patologica come quella condizione psichica, e talvolta anche fisica, causata dall’interazione tra una persona e una sostanza tossica. Tale interazione determina un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione. Nella società del XXI secolo, accanto alle forme già studiate di dipendenza, compaiono le cosiddette New Addictions (“Nuove Dipendenze”), che comprendono tutte quelle forme di dipendenza in cui l’oggetto è un comportamento o un’attività lecita e socialmente accettata. Per la maggior parte delle persone queste attività sono parte integrante del normale svolgimento della vita quotidiana e talvolta rappresentano una forma di “aiuto” in particolari situazioni di stress, ma per alcuni individui possono assumere caratteristiche patologiche, fino a provocare gravissime conseguenze come la compromissione delle relazioni interpersonali, del funzionamento scolastico o lavorativo, del tempo libero, della salute fisica e psichica. Tra i principali tipi di dipendenza comportamentali si annoverano quelle da esercizio fisico, da cibo, da lavoro, dalle tecnologie e in particolare da Internet. Il mondo della rete è entrato a far parte della vita quotidiana di milioni di persone ormai da tempo, rappresenta di sicuro un’importante risorsa ma, se mal gestita, può diventare un pericolo e l’abuso può trasformarsi in una vera e propria dipendenza. Nella metà degli anni Novanta la psicologa statunitense Kimberly Young è stata la prima a tentare di dare una sorta di dignità scientifica ai fenomeni di apparente dipendenza dalla rete. Il termine Internet Addiction Disorder, IAD (Dipendenza da Internet) è stato coniato nel 1995 da Ivan Goldberg, psichiatra e docente alla Columbia University di New York, e nel 2013 tale forma di dipendenza è stata inserita nel DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) come diagnosi sperimentale. L’IAD racchiude in sé diverse forme e sottocategorie legate alla tecnologia e al mondo della rete: game, dipendenza dai videogiochi di rete; sex, dipendenza dalla visione e scambio di materiale pornografico e dalla frequentazione di chat per soli adulti; social network, dipendenza dalle relazioni interpersonali virtuali; info surfing, dipendenza dalla continua ed estenuante ricerca di notizie su internet; net compulsion, dipendenza dallo shopping online, dalle aste online, da eBay, dal trading finanziario; gambling, dipendenza dal gioco d’azzardo online. La dipendenza dalla rete passa attraverso tre fasi: il coinvolgimento (per curiosità, gratificazioni emozionali, sensoriali, culturali, sociali) la sostituzione (le nuove tecnologie sostituiscono ciò che manca o è inaccessibile nella vita reale) la fuga (diventa un antidoto efficace a stress e sofferenza; in questa fase si instaura la dipendenza). La rete quindi ha assunto progressivamente la valenza di una fuga nell’illusorio a scapito del reale, diventando un “rifugio della mente”, esperienza di isolamento e di sottrazione del Sé dalla realtà ordinaria, luogo mentale ma anche comportamento ripetitivo, rito, abitudine personale, in cui ci si ritira quando si vuole sfuggire a una realtà ritenuta insostenibile perché angosciosa. Scrive Steiner: “il rifugio funziona come una zona della mente in cui non si deve affrontare la realtà, in cui le fantasie e l’onnipotenza possono esistere senza controllo e qualunque cosa è permessa. È spesso questa caratteristica che costituisce l’attrattiva del rifugio per il paziente”. La dinamica della dipendenza tecnologica sembra centrata sull’impellenza del desiderio, sull’immediatezza della gratificazione e la necessità della realizzazione in tempo reale. Le conseguenze di un uso eccessivo e incontrollato della rete possono avere delle ripercussioni negative sia sulla salute che sulla vita familiare e sociale dell’individuo. La persistente privazione di sonno, ad esempio, può portare irritabilità, agitazione psicomotoria, può nuocere al sistema immunitario, aumentando la vulnerabilità a diverse malattie. La mancanza di esercizio fisico e la postura (lo stare seduti per ore davanti al computer) possono causare mal di schiena, sindrome del tunnel carpale, affaticamento agli occhi, irregolarità dei pasti, scarsa cura del corpo. Aumentando progressivamente le ore di collegamento, diminuisce il tempo da dedicare anche alle relazioni familiari e sociali. L’Iad è un emergente disturbo in grande aumento negli ultimi decenni. Una ricerca condotta dall’Università di Hong Kong e pubblicata sulla rivista Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking rivela che il 6% della popolazione mondiale soffrirebbe di tale disturbo. In Europa la dipendenza da Internet riguarda il 2,6% della popolazione, in Medio Oriente ne sono affette 10,9 persone su cento. I giovani (i cosiddetti nativi digitali) risultano particolarmente adattabili ai nuovi dispositivi tecnologici, ma sono anche i più vulnerabili alla dipendenza, specie in adolescenza, momento in cui la struttura della personalità dell’individuo è in fase di consolidamento ed espansione. Secondo una ricerca promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, i soggetti più a rischio sono gli adolescenti di sesso maschile, il 27 % tra gli 11 ed i 14 anni ed il 36 % tra i 15 ed i 17 si dichiara dipendente da Internet, mentre tra le ragazze le medie nelle identiche fasce d’età scendono al 16 ed al 22 %. A tal proposito, sarebbe importante promuovere attitudini “sane” nei confronti delle nuove tecnologie, attraverso il processo educativo familiare e scolastico, per favorire quindi una vera e propria cultura dell’utilizzo, evidenziando anche i numerosi fattori positivi. Le strategie di trattamento possono essere diverse a seconda del tipo di disagio in cui si è coinvolti. Si può intervenire attraverso i gruppi di auto-aiuto, la psicoterapia individuale e il counseling terapeutico.