COMO, BASILICA S. ABBONDIO 30 AGOSTO 2013 PRIMI VESPRI, SOLENNITÀ DI SANT’ABBONDIO CREDERE E RAGIONARE Qualcuno potrebbe pensare che Teodoreto di Ciro e Abbondio di Como avessero del buon tempo, perché con i barbari alle porte, le divisioni tra l’Impero d’Oriente e quello d’Occidente, le carestie, le pestilenze a quant’altro, si andavano ad occupare delle virgole e degli accenti sulla questione dell’identità di Gesù, e facevano addirittura un Concilio su queste cose, cercando in tutti i modi di rendere comprensibile e ragionevole la verità di Gesù. Gente che ha tempo da perdere: cosa produce questa preoccupazione, cosa può garantire questa fatica del concilio di Calcedonia? Ecco, cari fratelli e sorelle, partirei da qui, per riflettere brevemente con voi sul tema che abbiamo scelto per il messaggio di quest’anno, che ho intitolato: «Le due ali dello Spirito umano». Ricordo un romanzo francese che nel titolo menzionava la paura di volare. Quanto è diffusa questa paura! Volete volare fratelli e sorelle? Volete che la nostra vita sia un volo alto? Ci sono, direi, due condizioni: essere pronti a credere, in modo serio, cioè critico e ragionevole, ed essere pronti a ragionare, in modo corretto e formalmente ineccepibile, a partire dall’incontro con la realtà, e non soltanto dai presupposti trascendentali del modo di funzionare della ragione stessa. Scusate se uso qualche parola un po’ difficile, ma ciò che vorrei comunicarvi è che questa connessione tra la ragione e la fede è l’unico rapporto, l’unica relazione, l’unico legame che può tirarci fuori dal fango primordiale e farci volare. Giovanni Paolo II nel 1998, ventesimo del suo Pontificato, iniziava così una delle sue Encicliche più importanti, quella che passa alla storia con il nome di «Fides et Ratio»: fede e ragione. La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità, e senza queste due ali, o anche solo con quello che resta di loro, come nelle ali di una gallina, lo spirito umano non vola, non riesce a spiccare se non qualche timido salto, nel «pollaio» costruito intorno a una cultura e a una religione ridotte alla gestione miope della soddisfazione di desideri immediati e alla previsione a breve delle condizioni metereologiche dei prossimi sette giorni. Una fede non ragionata, non critica, non aperta alla ricerca della verità e del senso delle cose (pensiamo a Sant’Abbondio che va a Costantinopoli), si traduce ben presto in fondamentalismo intollerante e violento, e di questo sono pieni i giornali. Una fede come questa si alimenta alla duplice fonte della paura e dell’interesse dei suoi fedeli: la paura del fallimento, l’inferno, da un lato, e l’interesse per il proprio vantaggio, il proprio personale paradiso, dall’altro, 1 traducendosi in cieca adesione alla volontà di potenza di un Dio padrone, chiuso nei suoi cieli e, ciò che è peggio, alla volontà di potenza dei suoi potenti rappresentanti in terra. Una fede incapace di ragionare, e di dare a chiunque chiede le ragioni che la mettono in grado di sostenere la speranza umana, non è una fede degna dell’uomo, anzi, come disse qualcuno a voi noto, diventa «oppio dei popoli». Ma anche una ragione umana bloccata nel compiacimento delle proprie forze, e nella totale autonomia delle proprie capacità, si trasforma inevitabilmente in ideologia fanatica e disumana, cosa di cui pure abbiamo, ancora oggi, larghi esempi. Una ragione bloccata nel compiacimento di sé pretende di produrre la verità dal suo stesso seno, senza essere fecondata dall’incontro con l’ «altro da sé», con il dato dell’esperienza, con la manifestazione di una verità che la precede e la invita a riflettere e a scoprire il senso e il valore delle cose, che sono il campo della sua inesausta e avventurosa indagine. Che bello pensare alla ragione umana così, mentre, senza apertura al dato e alla fede, sragiona e tradisce se stessa. Con questa serie di affermazioni, che la citata Enciclica del Papa descrive e commenta, vorrei giustificare il messaggio di Sant’Abbondio di quest’anno, perché qualcuno non pensi che anche il Vescovo abbia del buon tempo, per occuparsi di cose assolutamente inutili. Come di consueto, il messaggio si rivolge non solo ai credenti, perché verifichino la qualità umana, ragionevole e matura della loro fede, ma a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, qualunque sia la loro fede o la ricerca razionale di un senso alla vita, perché insieme ci si renda conto di quanto sia importante orientare il futuro dell’umanità oltre due pericolosissimi scogli: quello di una ragione rassegnata al nulla della verità, il nichilismo che si accontenta di poche brevi risposte a miopi domande, e quello di una fede irrazionale ed emotiva, che chiude gli occhi alla ragione, e si nutre solo di risposte immediate alle paure e ai desideri più inquietanti che lo spirito umano porta con sé. Chi può negare che queste due deviazioni, l’una riguardante la ragione, l’altra riguardante la fede, siano presenti nel tessuto umano e sociale dei nostri tempi, della nostra società e delle nostre comunità di credenti. Cari fratelli e sorelle, se mi avete seguito fin qui, vi rendete conto di quanto sia importante che ci assumiamo questo duplice compito, a partire dalle relazioni brevi, quelle che viviamo in famiglia, quindi nelle agenzie educative nella scuola prima di tutto - e poi con i vicini, i colleghi di lavoro, nello scambio culturale, nella piazza della città o nel circolo degli amici: se abbiamo a cuore il futuro dei nostri figli e vogliamo costruire con loro e per loro una società più libera, più vera, più ricca di passioni liete, per cui valga la pena di lottare e impegnarsi, dobbiamo curare e umanizzare sia la nostra ragione sia la nostra fede, altrimenti i nostri figli resteranno sempre nel «nido» oppure, uscendone, cadranno miseramente a terra e non voleranno mai. Questo penso sia il compito che Sant’Abbondio accettò di svolgere, per la verità nella fede e per una ragione umana capace di scrutare i misteri più profondi della vita; questo il compito che ci testimonia l’apostolo Paolo, che 2 abbiamo ascoltato in due passi delle sue lettere, con i quali voglio terminare la presentazione del messaggio di quest’anno. Lascio a voi la ripresa di quanto abbiamo ascoltato nella lettura breve di questo vespro, tratta dalla Lettera di Paolo ai Corinzi, e aggiungo quanto l’Apostolo scrive ai cristiani di Efeso. Ai Corinzi Paolo dice che l’uomo spirituale, cioè l’uomo che possiede una sintonia con lo Spirito di Gesù, trova il giudizio vero sulle cose con la sua ragione, ma in base all’incontro con il Signore. La nostra ragione, cioè, si accende, si illumina, si sente stimolata ed è capace di elaborare un futuro ricco di senso e di speranza perché noi abbiamo il pensiero di Cristo, il che non vuol dire che pensiamo a Gesù, ma che impariamo a pensarla come Lui: non abbiamo soltanto le emozioni di Gesù, le sue garanzie, la sua protezione (magica o superstiziosa…), ma il suo pensiero, la capacità di pensare come Lui. Nella Lettera agli Efesini, invece, troviamo una preghiera che voglio fare mia per voi, e ci mostra come Paolo fosse preoccupato che il suo annuncio di fede non cadesse di fronte a gente che, credendo, rinunciava a pensare, ma fosse accolto da gente che, proprio perché incontrava Gesù Cristo attraverso la sua parola, diventava sempre più capace di farsi delle domane e di pensare in una maniera nuova e profonda. Cito: “Io, Paolo, piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome, perché conceda a voi, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell’uomo interiore: che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere, con tutti i santi, quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo, che sorpassa ogni conoscenza già acquisita, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. A Colui che in tutto ha il potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a Lui la gloria nella Chiesa in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli» (Ef 3, 14-21). 3