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UNIVERSITA' POPOLARE MARIANA
Anno 2016-2017
Corso “L’ABBANDONATO: IL PUNTO DI INCONTRO”
Centro dell’Opera - sala B
Sabato 29 aprile 2017
Lezione 5°/A
Stefan Tobler
La teologia della croce in Lutero
Testo preparato
1. Rilettura ecumenica su Martin Lutero (1483-1546)
Il 2017 è l’anno della commemorazione dei 500 anni dall’inizio della Riforma protestante,
legato inseparabilmente al nome di Martin Lutero. In molte parti del mondo fervono le iniziative
legate a questo anniversario importante. Evidentemente, questa costatazione vale in primo luogo
per i paesi con una popolazione evangelica importante o persino maggioritaria. Ma non solo – e
questa è una novità, frutto del cammino ecumenico degli ultimi decenni. Nel passato, c’erano
due campi ben separati. Gli uni festeggiavano l’inizio della Riforma come evento di liberazione
dal giogo del papato e come kairos di rinascita della Chiesa nello spirito dei primi cristiani e
nella freschezza evangelica; gli altri tacevano oppure ricordavano con rammarico la rottura
dell’unità della Chiesa d’Occidente, o peggio: l’irrompere di una eresia nel cuore dell’Europa.
Il dialogo ecumenico del secolo 20o ha cambiato molto. E’ significativo che proprio a
Roma hanno avuto luogo quest’anno già due convegni importanti: uno all’università Gregoriana,
con partecipanti di tutto il mondo, sul tema “Lutero e i sacramenti”; l’altro al Vaticano,
promosso dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche col titolo “Lutero 500 anni dopo. Una
rilettura della Riforma luterana nel suo contesto storico ed ecclesiale”. Di rilettura si parla, cioè
di uno sguardo nuovo su quello che è successo; sguardo nuovo perché si guarda insieme, studiosi
cattolici e luterani, per superare visioni parziali. Il frutto più signficativo di una tale rilettura è un
documento redatto dalla commissione internazionale di dialogo tra cattolici e luterani col titolo
Dal conflitto alla communione. Papa Francesco ha ricordato questo documento nelle sue parole
rivolte ai partecipanti del convegno al Vaticano, esprimendo – cito – la sua «gratitudine a Dio
accompagnata anche da un certo stupore, al pensiero che non molto tempo fa un convegno del
genere sarebbe stato del tutto impensabile. Parlare di Lutero, cattolici e protestanti insieme, per
iniziativa di un organismo della Santa Sede: veramente tocchiamo con mano i frutti dell’azione
dello Spirito Santo…»1.
E continua:
«Lo studio attento e rigoroso, libero da pregiudizi e polemiche ideologiche, permette alle
Chiese, oggi in dialogo, di discernere e assumere quanto di positivo e legittimo vi è stato
nella Riforma, e di prendere le distanze da errori, esagerazioni e fallimenti, riconoscendo
i peccati che avevano portato alla divisione».
1
Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al convegno promosso dal Pontificio Comitato di Scienze
Storiche su “Lutero 500 anni dopo. Una rilettura della riforma luterana nel suo contesto storico ed ecclesiale”, Sala
Clementina, Venerdì, 31 marzo 2017.
UPM 2016-17 Teologia della croce in Lutero
- p. 1
Sono parole di peso. Il papa parla dello studio “attento e rigoroso” che è la base per una visione
più equilibrata. Questa rigorosità e attenzione, insieme ad una pazienza di molti anni, ha
permesso di redattare il documento già nominato col titolo Dal conflitto alla comunione. I suoi
autori hanno ripreso risultati dalla ricerca su Lutero fatta da studiosi cattolici di tutto il 20º
secolo, studiosi che erano arrivati alla «tesi secondo cui Lutero superò dentro di sé un
cattolicesimo che non era pienamente cattolico»2. Con altre parole: Lutero aveva ragione di voler
correggere degli sbagli di allora, perché non tutto era espressione di un cattolicesimo nel senso
pieno della parola. In parte già il Concilio di Trento, e nel senso più largo poi il Concilio
Vaticano II hanno cercato di ricuperare una più grande pienezza della cattolicità – una cattolicità
evangelica, direi – e proprio così è diventato possibile anche l’avvicinamento ecumenico.
Continua il documento, parlando della ricerca cattolica su Lutero:
«In modo nuovo, Lutero venne rappresentato come una persona di intenso fervore
religioso e un rigoroso uomo di preghiera. […] Lucide analisi storiche condotte da altri
teologi cattolici mostrarono che a portare alla divisione della Chiesa non furono le
questioni cruciali di cui si occupò la Riforma, come la dottrina della giustificazione, ma
piuttosto le critiche mosse da Lutero alla situazione della Chiesa del suo tempo, che
scaturivano da tali questioni».3
In questa lezione dell’UPM facciamo proprio questo: ci avviciniamo alla figura di Lutero
prendendo di mira un elemento essenziale del suo pensiero, la sua teologia della croce, nella
prospettiva di scoprire una parte dell’eredità cristiana comune, che ci unisce.
2
3
Dal Conflitto alla Comunione, nº 21 (pubblicato in lingua italiana in Il Regno 2013, pp. 353ss).
Ibid., nº 22.
UPM 2016-17 Teologia della croce in Lutero
- p. 2
2. L’uomo davanti a Dio
Dio: chi sei? dove sei? Il grido dell’umanità, la sua ricerca di sempre era anche quella di
Lutero. E’ stata descritta tante volte la contesa di Lutero con se stesso, con la tradizione teologica
di cui era erede, con la spiritualità del tardo medioevo in cui viveva; aveva davanti a se
l’immagine di un Dio giusto e santo, ma anche lontano; sapeva della grazia che Dio dona, ma
solo a chi merita e collabora con questa grazia. Questa contesa era per lui una questione di vita e
morte, e soltanto trovando Dio poteva essere da parte della vita. «Come posso trovare un Dio
misericordioso?», così la formula famosa con la quale si riassume in genere la ricerca di Lutero,
ricerca che formava il filo conduttore nel suo studio della Bibbia (che portava avanti per tutta la
sua vita, avendo la rispettiva cattedra nell’università di Wittenberg) come anche nella sua vita
religiosa (prima come monaco agostiniano, poi come padre di famiglia).
Non viviamo più nel 16o secolo. La forma in cui poniamo oggi la domanda di Dio non è la
stessa di quella di Lutero, almeno in gran parte, considerando tutti gli avvenimenti storici degli
ultimi secoli e i cambiamenti radicali nelle scienze e nella filosofia. Ma la serietà esistenziale
della domanda rimane la stessa, il travaglio dell’uomo che cerca Dio, che spera in Dio, che
dispera non trovandolo, che lo nega, che lo respinge o almeno pensa di poterlo fare. Anche oggi
l’uomo fa l’esperienza di Dio – o al contrario l’esperienza dell’assenza di Dio, dell’apparente
assenza almeno. E’ da chiedersi se le risposte trovate da Lutero non possano essere di luce anche
per l’uomo di oggi.
«Come posso trovare un Dio misericordioso?», così si chiedeva Lutero. La domanda
nasceva da un travaglio del tutto personale, che però era anche il travaglio di molte altre persone
del suo tempo. Prima di maturare una nuova prospettiva sulla fede (che lo ha portato poi a
diventare protagonista della Riforma), Lutero – monaco agostiniano appunto – si vedeva
completamente indegno davanti alla grandezza e santità di Dio, nell’impossibilità di
raggiungerlo, al punto da disperare della propria salvezza. Si sforzava con tutti i mezzi che
metteva a disposizione la spiritualità cristiana in cui viveva: le preghiere, i digiuni, la ricerca
delle virtù, lo studio della teologia. Ma chi mai può dire di essere arrivato? Nessuno,
evidentemente. E se nessuno può sapere di sé stesso che è degno davanti a Dio, che merita la
grazia, allora dov’è la consolazione della fede?, dov’è la pace dell’anima? Sarà questa la vita
cristiana?, la continua incertezza di eventualmente non farcela, di non meritare il dono della
salvezza?
In questa ricerca, Lutero trovò una risposta nella Scrittura, specialmente nelle epistole di
San Paolo; una risposta in sé tutt’altro che originale, perché era semplicemente il cuore della
fede cristiana: Gesù Crocifisso, il Dio che si è dato per noi. In Lutero però, questa eterna verità
della fede è diventata una tale luce che ha cambiato radicalmente la sua visione su Dio e
sull’uomo. Il fatto che in seguito si è scatenato intorno alla sua persona un movimento di
Riforma della Chiesa, che poi ha portato alla perdita dell’unità nella Chiesa d’Occidente, è
dovuto ad una combinazione di fattori, di cui non possiamo parlare in questo luogo. E’
importante invece sottolineare che ciò che formava il cuore della teologia di Lutero – la
giustificazione dell’uomo donata in Cristo per pura grazia di Dio e accolta nella fede – oggi non
ci divide più, ma ci unisce, come è stata costatata nella cosiddetta “Dichiarazione congiunta sulla
dottrina della giustificazione” tra Chiesa cattolica e Federazione mondiale luterana nell’anno
19994.
Ci avviciniamo allora al tema più specifico della lezione di oggi, la teologia della croce.
Abbiamo detto che la luce del Crocifisso ha cambiato radicalmente la visione di Lutero su Dio e
4
Vedi la pubblicazione su
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/documents/rc_pc_chrstuni_doc_31101999_cathluth-joint-declaration_it.html
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- p. 3
sull’uomo. Vogliamo toccare tutti e due i punti, sulla base di alcuni testi di Lutero, per poi
concludere con uno sguardo sulla libertà dell’uomo inclusa in questa prospettiva di fede.
3. La visione su Dio – il Dio visibile
Nell’anno 1519, in mezzo agli anni decisivi per la Riforma protestante (tra il 1517 con le
95 tesi contro le indulgenze, dalle quali ha preso il via il processo contro Lutero, e la sua
scomunica nel 1521), Lutero ha scritto un breve testo con 28 tesi in preparazione di una disputa
teologica a Heidelberg, come allora si usava organizzare nell’ambiente accademico. Queste 28
tesi, constituite ognuna di una frase riassuntiva e un breve commento di qualche riga, formano un
testo molto denso e contengono molti elementi di ciò che è il cuore del pensiero del Riformatore.
In esso oppone – nei suoi numeri 19-24 – una cosiddetta “teologia della gloria” alla “teologia
della croce”. Solo quest’ultima è in grado di descrivere l’agire del Dio di Gesù Cristo, solo essa
indica la via dell’uomo alla salvezza.
L’uomo – così descrive nella prima parte della disputa – è messo davanti alla legge di Dio
santa e buona, che lo chiama ad una vita retta e senza peccato. Questa visione di grandezza e
santità dovrebbe portare l’uomo all’unica conclusione salvatrice: a quella di ammettere che non
potrà mai corrispondere a questa santità e grandezza divine, perché essendo peccatore, ha perso
l’innocenza, ha perso il potere necessario, ha perso la strada. Dio è venuto in Cristo a salvarci –
l’unico atteggiamento giusto sarebbe riconoscersi peccatori e cioè incapaci di essere all’altezza
di Dio, e accettare questo dono. Invece l’uomo non vuole essere umile. Non vuole accettare che
non ce la fa. Vuole essere lui l’artefice della propria salvezza, almeno parzialmente. Si sforza
con mille opere cosiddette buone – ma tanto in quanto queste opere servono ad affermare se
stessi, a chiudere gli occhi davanti alla realtà della lontananza da Dio, diventano espressione del
peccato. Paradossalmente dunque, Lutero può dire che proprio «le opere degli uomini, per
quanto siano splendenti e apparentemente buone, […] sono peccati mortali»5, se poniamo la
fiducia in esse e diamo a noi stessi la gloria, togliendo la gloria a Dio.
In questo modo l’uomo che non accetta nell’umiltà la verità del suo stato di peccatore,
arriva anche ad una visione sbagliata di Dio. Crede di potersi avvicinare con la sua intelligenza
all’altezza di Dio e di poter conoscere gli attributi divini, con un pensiero che parte dalla
creazione e arriva in cielo. Inevitabilmente si vanta, contemplando la potenza del proprio
pensiero che è arrivato a tanto. Ma in questo modo, volendosi alzare dalla terra in cielo, in verità
non arriva a Dio, ma sbaglia del tutto. Arriva ad una immagine di Dio costruita dalla propria
intelligenza, ad un idolo, ma non al Dio di Gesù. Perché il Dio di Gesù ha fatto il movimento
opposto: è sceso. E’ sceso fino a noi, e anche di più: si è fatto mettere in croce. «Soltanto nel
Cristo crocifisso è la vera teologia e la conoscenza di Dio»6.
Non dobbiamo dunque cercare il Dio invisibile (immaginato, in certo senso “creato” dalla
nostra intelligenza speculativa), ma il Dio visibile, il Dio in Gesù, il Dio fatto uomo, il Dio in
mezzo alla storia umana, il Dio crocifisso. Certamente anche per Lutero, in questo movimento di
discesa, Dio non cessa di essere Dio, non cessa di avere tutti i suoi attributi di maestà, ma li ha
nascosti (per così dire), ha fatto prevalere il suo attributo supremo, l’amore, per il quale si è
donato a noi uomini in Gesù. Gesù-uomo è il Dio visibile.
In questo senso è da capire il suo rifiuto categorico di una teologia della gloria: quando
l’uomo pensa di potersi alzare fino alla gloria di Dio, cerca in fondo la gloria propria – ed è nel
peccato mortale. Mortale, perché non accetta la vita che gli viene data gratuitamente in Gesù.
«Chi ignora Cristo, ignora il Dio nascosto nella passione. Tale uomo predilige le opere alla
passione, la gloria alla croce, la potenza alla debolezza, la sapienza alla stoltezza».
5
6
Disputa di Heidelberg, nº III.
Tesi di Heidelberg, nº XX.
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- p. 4
Chi ragiona così, fa confusione tra bene e male, li scambia; e certamente non trova mai Dio,
perché «Dio non può essere trovato se non nella passione e in croce» 7.
Lutero era convinto: non possiamo dire chi è Dio in se stesso. Non dobbiamo neanche
volerlo dire – Lutero respinge appunto ogni tentativo di conoscenza speculativa di Dio che cerca
di entrare nel mistero –, sarebbe una espressione della tendenza dell’uomo di andare oltre i limiti
che gli sono posti da Dio, sarebbe superbia. Ma non vuol dire che siamo messi a tacere. Dio
stesso ha parlato. Tenendoci sul fondamento sicuro della rivelazione biblica che parla
dell’operare di Dio per il bene della sua creazione, possiamo e dobbiamo dire chi è Dio per noi,
Dio per me. Il Dio che si è donato a noi fino alla morte in croce, ecco tutto l’interesse di Lutero.
Perciò non parla mai di Dio senza parlare dell’uomo; ogni discorso su Dio è sempre allo stesso
tempo un avvicinarsi alla verità su noi stessi. Teologia e antropologia sono inseparabili.
4. La visione sull’uomo – peccatore e giusto simultaneamente
Nel capitolo precedente, siamo già entrati nell’argomento antropologico, per forza. Per
approfondirlo ulteriormente, propongo un brano di una lettera che Lutero ha scritto nel 1516,
dunque ancora negli albori della Riforma e prima della rottura con l’autorità ecclesiastica. Scrive
ad un confratello che si trovava in un altro convento del suo ordine. In una sola pagina descrive
la situazione dell’uomo davanti alla verità di Dio. Scrive tra l’altro:
«Pertanto, mio caro fratello, impara Cristo e questi crocifisso, impara a cantare a lui e a
dirgli, mentre disperi di te stesso: “Tu, Signore Gesù, sei la mia giustizia, mentre io sono
il tuo peccato; tu hai preso su di te quanto è mio, e mi hai dato quanto è tuo; hai preso su
di te quello che non eri e mi hai dato quello che io non ero”. Stai attento di non mirare un
bel giorno ad una tale purezza che non vuoi più aver l’impressione di essere peccatore, ed
anzi neppure esserlo. Perché Cristo non abita se non nei peccatori. Per questo infatti è
disceso dal Cielo, dove abitava fra i giusti, per abitare anche fra i peccatori».8
Una frase di questo brano è particolarmente provocatoria: Cristo non abita se non nei peccatori.
Pare andare contro ogni buon senso, contro ogni sensibilità religiosa. Dove posso trovare il Dio
giusto e santo? Non c’è la sua presenza luminosa in particolare nei giusti, nei santi, modelli di
vita cristiana? Lutero certamente non negherebbe di per sé questa presenza. Ma è molto
categorico quando si tratta della domanda a che cosa deve mirare l’uomo, che cosa deve cercare.
Non deve cercare la santità, ma il Santo; non la giustizia, ma il Giusto. Quando giustizia e santità
sono considerati attributi dell’uomo, valori in sé, l’uomo si impadronisce di essi, non vuol più
essere considerato peccatore, almeno in parte – e in quell’istante si allontana dalla verità, si
allontana da Cristo. Santità e giustizia sono un dono di Dio, non risultato delle virtù dell’uomo.
Ma sono un dono veramente: quando Cristo abita nei peccatori, quei peccatori non sono più gli
stessi di prima.
Lo diciamo ancora una volta con una frase presa dalla disputa di Heidelberg:
«L’amore di Dio non trova, ma crea ciò che è amabile, mentre l’amore umano si riferisce
a quello che è amabile. […] Siccome l’amore di Dio vive nell’uomo, ama i peccatori, i
cattivi, gli stolti, i deboli, per farli giusti, buoni, sapienti, forti […]. Perciò i peccatori
sono belli perché sono amati, non vengono amati perché sono belli. […] L’amore della
croce, nato dalla croce, è quello che non si reca lì dove trova il bene del quale usufruisce,
ma che porta il bene dove manca».9
Lutero descrive due prospettive sull’uomo, vere tutte le due. Se l’uomo guarda se stesso,
non può vedere altro che la realtà del peccato. L’uomo, anche quando si sforza di essere buono
7
Tesi di Heidelberg, nº XXI.
Lettera di Lutero al confratello Georg Spenlein del 1516 (WABr 1,35, …). Traduzione dal latino da Hubertus
Blaumeiser.
9
Tesi di Heidelberg, nº XXVIII.
8
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- p. 5
moralmente, rimane lontano da Dio, è perciò peccatore in tutto il suo essere, nel bene e nel male.
Sta proprio qui la definizione di peccato: un atteggiamento dell’uomo che vede la sua vita a
prescindere da Dio. L’uomo invece visto dalla prospettiva di Dio in Cristo, che è venuto tra noi e
in noi, è amato, è colmato di ogni bene, è giusto, perché giustificato da Cristo. In questa luce va
capita la formula famosa per esprimere la visione di Lutero sull’uomo: simul iustus et peccator,
cioè “simultaneamente giusto e peccatore”. Questa formula non è da capire come espressione di
gradualità, nel senso che ogni uomo è sempre un po’ peccatore e un po’ giusto. Invece intende
esprimere che c’è questa doppia verità sull’uomo: in se stesso rimane del tutto peccatore perché
incapace di alzarsi a Dio, anche con il migliore che c’è di umano in lui; in Cristo invece è del
tutto giusto perché lo è come dono ricevuto.
L’unico modo di corrispondere a questa doppia realtà è accettare il dono: ecco la fede, ecco
perché per Lutero la fede occupa il posto centrale nella sua antropologia. L’uomo è se stesso
quando crede, perché è nella verità davanti a Dio.
Lo dice quasi 20 anni dopo, ancora una volta in modo conciso. Nel 1536 scrive 40 tesi col
titolo De homine, “Sull’uomo”. Non c’è speranza – dice lì – che l’uomo possa conoscere se
stesso «finché non si contempla nella stessa sorgente che è Dio». L’uomo rimane peccatore e
sottomesso al male e alla morte, «che sia re, signore o servo, sapiente e giusto, dotato di qualsiasi
bene di questa terra»10. Solo in Cristo è liberato, nel Cristo accolto nella fede; al punto che
Lutero lo chiama una vera e propria definizione dell’uomo ciò che l’apostolo Paolo scrive nella
lettera ai Romani 3,28: L’uomo è giustificato per la fede11.
5. La doppia libertà dell’uomo
Nella prospettiva di ciò che abbiamo detto, si aprono le due parti di quello che per Lutero è
la libertà dell’uomo.
L’uomo, per quanto si trovi in un cammino di fede, non è mai senza travagli, senza
tentazioni, senza momenti di oscurità. Anzi: proprio chi ha cominciato a capire qualcosa
dell’amore di Dio, si rende tanto di più conto della propria mancanza, della propria debolezza,
del proprio nulla. Anche chi ha rinunciato alla fiducia nelle proprie forze ed è cosciente che
soltanto nella fede in Gesù trova la sua salvezza, può entrare in momenti di crisi: quando mai
può sapere di se stesso che crede veramente? La mia fede è retta, è giusta, oppure mi illudo di
credere? Ancora una volta, su un altro piano, l’uomo è chiamato a non guardare se stesso.
Neanche la fede – l’unico atteggiamento umano giusto davanti a Dio – è opera sua, è possesso
suo. L’uomo è nelle mani di Dio non perché crede, ma perché Dio lo tiene. Tutto per Lutero è
ancorato nella Parola di Dio, la Parola di promessa che ci è stata data (in tutta la Scrittura, ma in
particolare nello stesso Figlio), la promessa che Dio ci ama; e questa promessa di Dio è una
roccia sicura. Dio non si contraddice, Dio non inganna. Riferendosi alla lettera ai Colossesi 3,3
dove l’apostolo dice che la nostra vita «è nascosta con Cristo in Dio», Lutero interpreta i
momenti in cui, per la nostra sensibilità, Dio pare lontano – ma non di meno siamo salvi, perché
la salvezza è tutta in Dio, tutta in Cristo, anche quando è nascosta alla nostra sensibilità; la
salvezza non dipende dalla nostra percezione limitata. La fede, in questi momenti di oscurità, è
«nuda fiducia nella Sua misericordia»12. Quando l’uomo si abbandona in questo modo all’amore
di Dio (promesso, e perciò sicuro), quando sa che l’ancora della sua vita è sempre lassù e non su
questa terra, trova una grande libertà. Sa che, qualsiasi cosa gli succeda, non può cadere fuori
dalle mani del Padre.
L’uomo liberato in questo senso, cammina ora nella scia di Cristo – ecco l’altra parte di ciò
che Lutero intende con libertà. Riprendo ancora una volta l’ultima frase della citazione tratta
dalla disputa di Heidelberg: «L’amore della croce, nato dalla croce, è quello che non si reca lì
10
Disputa De homine nº 25.
Ibid. nº 32.
12
Tesi di Heidelberg, nº IV.
11
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- p. 6
dove trova il bene del quale usufruisce, ma che porta il bene dove manca». La via di Cristo che
veniva dal cielo per abitare tra noi peccatori, ora è anche la nostra via, di noi che possiamo
vivere in corrispondenza col dono ricevuto. E’ la grandezza dell’uomo, la sua nobiltà divina:
l’uomo si dona ai prossimi come ha fatto Gesù, e «diventiamo l’uno per l’altro quasi un altro
Cristo», come scrive Lutero nel suo trattato sulla Libertà cristiana dell’anno 152013. La teologia
della croce si fa qui una «spiritualità della croce»14, esprime la vita cristiana in corrispondenza
col dono ricevuto. E questa spiritualità della croce è sempre anche spiritualità di risurrezione,
perché – essendo espressione della vita di Cristo – porta in sé la promessa della vita.
Doppiamente dunque il cristiano vive una vita “estatica”, una vita libera. Concludiamo
questa lezione con le ultime frasi del trattato sulla libertà cristiana, dove Lutero scrive:
«Un cristiano non vive in se stesso, ma in Cristo e nel suo prossimo – altrimenti
non sarebbe un cristiano. In Cristo vive per la fede, nel prossimo per l’amore. Per la fede
viene rapito su, sopra di sé, in Dio; per l’amore, d’altra parte, scende di nuovo e vive nel
prossimo, rimanendo però sempre in Dio e nell’amore Suo, come dice nel Vangelo di
Giovanni: “In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire
e scendere sul Figlio dell'uomo” (Gv 1,51). Ecco tutto sulla libertà, che è spirituale e
vera, e rende liberi i nostri cuori da ogni peccato, legge e ordine […]; supera tutte le altre
libertà esterne tanto quanto il cielo supera la terra»15.
Indice
1. Rilettura ecumenica su Martin Lutero (1483-1546)
2. L’uomo davanti a Dio
3. La visione su Dio – il Dio visibile
4. La visione sull’uomo – peccatore e giusto simultaneamente
5. La doppia libertà dell’uomo
1
3
4
6
8
13
De libertate christiana, Studienausgabe Band 2, Leipzig 1992, 298 (preso dalla versione latina).
Riprendo questa espressione da un tema di Hubertus Blaumeiser.
15
De libertate christana, 304 (traduzione dalla versione latina).
14
UPM 2016-17 Teologia della croce in Lutero
- p. 7
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