Rifiuto d`atti d`ufficio. Rapporti fra procedimento penale e disciplinare

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Giunta regionale
Gabinetto del Presidente della Giunta
Servizio Affari Istituzionali
e delle Autonomie Locali
Reg.
del
TIPO
ANNO
NUMERO
PG
2010
1
Maggio 2010
Al Segretario del Comune di
…
A mezzo fax
OGGETTO: parere in merito ad un procedimento disciplinare.
Con nota prot. n. . in data 06.05.2010 il Segretario del Comune di …
pone allo scrivente Servizio i seguenti quesiti in merito alla possibile apertura di un procedimento disciplinare:
1. quando sia possibile configurare, anche in base alla giurisprudenza
penale, il reato di rifiuto/omissione atti d’ufficio;
2. se sia obbligatorio procedere disciplinarmente nei confronti dei due
Agenti “indagati per il reato di rifiuto/omissione atti d’ufficio art.
328 e art.110 c.p..”, pur essendo “palese la loro non colpevolezza”;
3. se, essendo oramai trascorsi i 5 giorni in cui il Capo della struttura
avrebbe dovuto segnalare la circostanza all’Ufficio Procedimenti disciplinari (UPD), lo stesso (UPD) può essere ora ufficialmente informato dalla sottoscritta con propria comunicazione ex comma 4
art. 55 bis del D.Lgs 165 /2001 laddove prevede “ovvero dalla data nella quale l’ufficio ha altrimenti acquisito notizia
dell’infrazione”;
4. se si possa avviare un procedimento disciplinare nei confronti di
altri Funzionari, diversi da quelli indagati ma ritenuti effettivamente Responsabili di infrazioni disciplinari, attivando ora l’UPD con relazione basata su di un proprio personale convincimento.
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Fax: 051.527.5764
INDICE
LIV. 1
LIV. 2
LIV. 3
LIV. 4
LIV. 5
ANNO
NUM
SUB.
a uso interno: DP/_______/__________ Classif.|__79____| |__100__|__110__|__20___|_______|_______| Fasc. |__2009_|___4____|_______|
1. Le fattispecie criminose definite come rifiuto di atti d’ufficio sono individuate, ai sensi e per gli effetti dell’art. 328 c.p., in base al seguente
paradigma normativo:
“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere
compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o
l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta
di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde
per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un
anno o con la multa fino a 1.032 euro. Tale richiesta deve essere redatta
in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della
richiesta stessa”.
La giurisprudenza ha chiarito, in ordine alla natura del reato de quo, che
si tratta di reato di pericolo (Cass. pen., sez. VI, 29-1-2009, n. 13519) la
cui previsione sanziona il rifiuto non già di un atto urgente, bensì di un
atto dovuto, che deve essere compiuto senza ritardo, ossia con tempestività, in modo da conseguire gli effetti che gli sono propri in relazione al
bene oggetto di tutela.
E’ stato anche precisato che, trattandosi di un reato istantaneo, la circostanza che, in conseguenza del rifiuto, l’atto sia compiuto da altro pubblico ufficiale non ha alcun valore scriminante (Cass. pen., sez. VI, 26-42007).
Quanto all’elemento psicologico, nel reato di omissione di atti d’ufficio
esso è ritenuto sussiste quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un
pubblico servizio siano consapevoli di avere ingiustificatamente omesso
di compiere l’atto dovuto.
Tra le varie fattispecie esaminate in sede di giustizia penale possono ricordarsi, in quanto sanzionati, i seguenti comportamenti:
- la mancata adozione di un’ordinanza sindacale di sgombero di una
palazzina priva del certificato di abitabilità e con gravi carenze igienico-sanitarie dovute alla mancata autorizzazione del sistema di
smaltimento dei reflui;
- la condotta del segretario comunale che, a fronte della richiesta di
un consigliere comunale di accesso agli atti, ha omesso di fornirgli
e di rispondere nei termini di legge, essendo irrilevante che gli atti
richiesti non rientrino nelle competenze deliberative del consiglio
(Cass. pen., sez. VI, 8-4-2009, n. 21163);
- la mancata comunicazione, da parte della p.a., entro trenta giorni
dalla richiesta dell’interessato, a norma dell’art. 5 l. n. 241 del
1990, dell’unità organizzativa competente e del nominativo del responsabile del procedimento (in motivazione la corte ha precisato
-
-
-
che siffatta intervenuta nomina del responsabile non esime il superiore gerarchico dall’obbligo di comunicazione: Cass. pen., sez.
VI, 23-4-2009, n. 32837);
la condotta del vigile urbano che ha omesso deliberatamente di dichiarare in contravvenzione i conducenti di veicoli in sosta vietata,
ancorché la contravvenzione sia successivamente contestata dagli
agenti della polizia stradale (Cass. pen., sez. VI, 26-4-2007);
la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che, posto
telefonicamente al corrente di una grave sintomatologia riferita dal
familiare di un paziente, non si rechi presso il suo domicilio per effettuare un accurato esame clinico, indispensabile per
l’accertamento delle reali condizioni di salute e l’adozione delle determinazioni del caso, dovendosi ritenere irrilevante il fatto che le
condizioni di salute del paziente non siano poi risultate gravi in
concreto e che nessuna terapia sia stata prescritta all’esito del
successivo ricovero ospedaliero (Cass. pen., sez. VI, 7-4-2008;
Cass. pen., sez. VI, 15-5-2007);
la mancata definizione di una domanda di concessione edilizia con
mancata esposizione delle ragioni del ritardo, ove l’istante era stato comunque messo a conoscenza degli impedimenti che non avevano permesso la definizione della procedura (Cass. pen., sez. VI,
5-6-2007).
2. I due elementi di cui si chiede una valutazione di rilevanza sono
l’essere “soggetti a indagine” e l’essere “palesemente non colpevoli”.
La norma in relazione alla quale va condotto l’esame è l’art. 4 co. 1 del
contratto collettivo nazionale di lavoro del personale non dirigente del
comparto regioni e autonomie locali (quadriennio normativo 2006-2009
biennio economico 2006-2007), che impone all’ente, nel caso in cui
siano commessi in servizio “fatti illeciti di rilevanza penale”, di “iniziare il
procedimento disciplinare ed inoltrare la denuncia penale ..”.
Dunque la norma non parla di indagini né di colpevolezza, ma di fatti
illeciti (id est fatti vietati o non consentiti né giustificati dall'ordinamento
giuridico) e di rilevanza penale (cioè di fatti che integrino condotte
astrattamente idonee a soddisfare il paradigma normativo di fattispecie
di reato).
Il passaggio dalla possibilità astratta che la condotta integri gli estremi
del reato alla verifica dell’effettiva ed avvnuta commissione di un reato
punibile dall’ordinamento con una sanzione penale è effettuato
attraverso il processo penale, che è preceduto dalla fase delle indagini
(penali, nel procedimento penale, il cui esito può essere la richiesta di
rinvio a giudizio o la richiesta di archiviazione) e può essere affiancato
dal procedimento disciplinare (generalmente sospeso sino alla sentenza
definitiva, che rappresenta l’esito del processo penale).
Ad avviso dello scrivente il corretto percorso logico da seguire può
pertanto essere quello di verificare se il fatto commesso sia
astrattamente idoneo a rappresentare un illecito di rilevanza penale.
Solo in caso di risposta postiva a questa verifica si dovrà applicare la
disposizione di cui al citato art. 4 co. 1, che impone di iniziare il
procedimento disciplinare.
Nessun rilievo hanno sul punto i convincimenti personali relativi alla
colpevolezza e all’esito del procedimento penale: se anche lo scrivente
esprimesse un parere favorevole all’archiviazione del procedimento esso
non potrebbe avere alcun valore in sede penale, spettando le indagini e
le relative conclusioni solo all’autorità giudiziaria.
Occorrerà pertanto attendere le valutazioni che saranno espresse
merito dall’autorità giudiziaria1: nessuna rilevanza penale in caso
richiesta di archiviazione accolta dal gip, opposta conclusione nel caso
richiesta di rinvio a giudizio, cui seguirà l’obbligo di iniziare
procedimento disciplinare.
in
di
di
il
3. La risposta è positiva. Nel caso di valutazione positiva circa la
necessità di avviare il procedimento disciplinare lo stesso potrà essere
avviato in base alla procedura di cui all’art. 55 bis (co. 4 ultima parte)
del D.lgs. n. 165/2001 come novellato dalla riforma Brunetta (d.lgs. n.
150/2009), per essere poi immediatamente sospeso, ai sensi dell’art. 4
co. 1 del citato CCNL, che prescrive: “il procedimento disciplinare rimane
sospeso fino alla sentenza definitiva”.
Nel caso di specie i termini per la contestazione dell'addebito decorrono
dalla data nella quale l'ufficio ha altrimenti acquisito notizia
dell'infrazione, ma si sottolinea che la decorrenza del termine per la
conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima
acquisizione della notizia dell'infrazione.
1
Questa interpretazione valorizza il dato normativo dell’art. 4 citato, il quale, imponendo
di sospendere, dopo l’avvio, il procedimento disciplinare sino alla sentenza definitiva,
presuppone, senza nominarla, l’intervenuta richiesta di rinvio a giudizio: poiché non avrebbe senso instaurare a mantenere aperto un procedimento disciplinare in attesa di
una sentenza che non arriverà mai nel caso sia intervenuta l’archiviazione, per dare un
significato compiuto alla norma si è intesa la locuzione “rilevanza penale” come equivalente a “rinvio a giudizio”, anche se la formulazione letterale non lo consentirebbe (ma
l’interpretazione sistematica depone in questo senso).
La violazione di tali termini comporta,
decadenza dall'azione disciplinare.
per
l'amministrazione,
la
L’art. 4 co. 4 prevede poi che “il procedimento disciplinare sospeso ai
sensi del presente articolo è riattivato entro 180 giorni da quando l’ente
ha avuto notizia della sentenza definitiva e si conclude entro 120 giorni
dalla sua riattivazione”, mentre il co. 7 dispone che “in caso di sentenza
penale irrevocabile di assoluzione si applica quanto previsto dall’art. 653
c.p.p. e l’ente dispone la chiusura del procedimento disciplinare sospeso,
dandone
comunicazione
all’interessato.
Ove
nel
procedimento
disciplinare sospeso, al dipendente, oltre ai fatti oggetto del giudizio
penale per i quali vi sia stata assoluzione, siano state contestate altre
violazioni, oppure qualora l’assoluzione sia motivata “perché il fatto non
costituisce illecito penale”, non escludendo quindi la rilevanza
esclusivamente disciplinare del fatto ascritto, il procedimento medesimo
riprende per dette infrazioni”.
Altre possibili conclusioni del procedimento penale sono disciplinate dai
commi dell’art. 4 del ccnl successivi al 7^ (nonché nella legge 27-3-2001
n. 97, “norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento
disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti
delle amministrazioni pubbliche”) cui si rimanda per brevità.
4. Anche in questo caso la risposta è positiva. La valutazione circa le
infrazioni disicplinari commesse dai dipendenti e la conseguente apertura
del procedimento disciplinare spettano al responsabile, con qualifica
dirigenziale, della struttura in cui il dipendente lavora, il quale, quando
ha notizia di comportamenti punibili con taluna delle sanzioni disciplinari
di cui all’art. 55 bis d.lgs. n. 165/2001, co. 1, primo periodo, non oltre
venti giorni contesta per iscritto l'addebito al dipendente medesimo e lo
convoca per il contraddittorio a sua difesa, con l'eventuale assistenza di
un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale
cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato, con un preavviso di
almeno dieci giorni.
La procedura è regolata dai commi successivi dell’art. 55 bis del d.lgs. n.
165/2001.
Fidando di aver esaurientemente risposto ai quesiti sottopostimi porgo
cordiali saluti.
Avv. Roberto Tommasi
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