Lo Specchietto Retrovisore: spazio alla volatilità! E fu volatilità. Solo per un paio di giorni intendiamoci, ma almeno abbiamo avuto un’istantanea di cosa possa succedere quando gli investitori si affrettano ad uscire da un’unica “trade idea” cavalcata per troppo tempo. L’indice VIX che sornione si assopiva nell’intorno dei 10, improvvisamente accelera sopra il livello dei 16. Il motivo scatenante è tutto politico, vero o presunto che sia, è sufficiente affinché si rientri nei più classici movimenti da “panico”. Gli indici azionari sono stati più reattivi rispetto al credito, che sembra allargare, ma con scambi ridotti. Tuttavia la paura dura appena due giorni e si ritorna a pensare che ogni minima correzione sia in realtà una valida opportunità di acquisto. Vero fino ad un certo punto perché, nel momento in cui l’equity rimbalza, la price action delle altre asset class segnalano qualche anomalia. Soprattutto la curva governativa americana che, per quanto debba riflettere un rimbalzo dell’OIL nelle aspettative di inflazione e sconta ormai per certo l’evento del rialzo a giugno, ha continuato ad appiattirsi sulle scadenze più lunghe. Le vendite sul fronte azionario iniziate nella giornata di mercoledì, sono partite dalla crisi politica americana per via dei rapporti del nuovo governo con la Russia e le vicende relative alle indagini dell’FBI. Il vociferato impeachment del presidente Donald Trump tuttavia sembra essere, se pur circostanziato, frutto di ingigantimento della stampa. Certamente non porta rigore alla nuova amministrazione e Trump perde ancora una volta parte della fiducia incassata nelle elezioni; tuttavia non poteva essere il vero elemento di instabilità sui mercati. E infatti è nella giornata di giovedì che si prende atto della crisi politica brasiliana, questa volta del tutto reale e legata allo schema di corruzione del nuovo Presidente Temer senza soluzione di continuità con la precedente amministrazione. E ci rendiamo conto anche dell’affollamento negli ETF. Al mattino in Europa gli Exchange Traded Funds mostravano indicazioni di apertura tra il -8% e il -12%. La sensazione di un ennesimo trade affollato emergeva subito dal comportamento degli ETF che amplificavano il movimento dell’indice Bovespa. E T F – E x c h a n g e T r a d e d F u nd. Fonte: investimentomigliore.net A farne le spese, la valuta che si deprezza nei confronti del dollaro e il rischio paese complessivo che si innalza di circa 60 punti base portando il CDS sul Brasile a quota 265 punti base. Cosa impariamo dalla settimana appena trascorsa e quale immagine resta impressa nel nostro “Specchietto Retrovisore”? Un imbuto, dal collo sempre più stretto che non sopporta le tensioni del mercato, ci deve far riflettere nel momento in cui allochiamo le nostre risorse, limitate per definizione. Christian Zorico: LinkedIn Profile The Rearview Mirror: April 2017 Go ldi loc ks: let ’s sta rt wi th thi s as su m pti on . On ce again, in March and during the entire first quarter, we had the proof that the current environment is characterized by a level of growth that is not too hot or too cold. In particular, as already highlighted in the past, the reflation trade has begun late in the summer of 2016 and then revitalized by the election of Donald Trump. Focusing on the 10-year Treasury yield we can unsurprisingly realize that the range in last 3 months was between 2.3% and 2.63%. We are now dealing with a 2.39% yield to maturity for a 10-year Treasury even if Boston Fed’s Eric Rosengren together with San Francisco Fed’s John Williams lately pointed out that four hikes could be justified by the end of the year. The reality is that the market participants are embracing a more dovish stance from the FED. Overall New York Fed’s William Dudley, by defining “reasonable” three hikes in 2017, is picturing a situation where the risk of overheating is very low. On the other end, in Europe as well, it seems that there is a lot of uncertainty about next steps from the ECB. Although Mario Draghi, during last press conference started to prepare the market about the idea of less incisive help from the European Central Bank, an official statement by the end of March provided a different picture, surely a more dovish one. Investors have misinterpreted policymakers. I look at this narrative suspiciously. It seems like that the ECB power of clear communication is disappearing or, saying better, that European policymakers are miming the FED colleagues’ in their way to leave the market participants in a foggy expectation outlook. The political uncertainty in Europe is dissolving as well. France election is no more inflating any concerns. By consequence European indexes closed the month in a better shape compared to the “tired” US equity indexes. The new financial theme is a renewed interest for European Stocks, cheaper in their evaluation relative to US ones. This has been helped in their last run by the sustain of inflows. According to Bank of America Merrill Lynch, during the past week, investors preferred to invest in European stock funds, that registered inflows for $1.9 billion rather than their U.S. counterparts have been impacted by $800 million of outflows. The same story holds for the credit space: the gap between the two areas is going to reduce, signalling only 27bps between the EUR and USD iBoxx Investment Grade. The month was also full of political “non-events”. The vote against the Trumpcare and the Article 50 that officially triggered the Brexit had no financial consequences. A small correction of equity indexes seems to appear as a buying opportunity. This is in line with a perfect Goldilocks scenario and whether we won’t face with higher inflation and higher government yields, investors will continue to buy bonds and bond like equity. A continuing sector rotation, as well as a regional rotation, will probably support risky asset for the short term future. Christian Zorico: LinkedIn Profile Lo Specchietto Retrovisore: amministrazione Trump alla "prova del 9" Tra un divieto sull’ingresso negli Stati Uniti per persone e l’altro sui tablet da spedire rigorosamente nelle stive degli aerei provenienti da 8 Paesi inseriti nella lista nera, era inevitabile giungere al primo vero appuntamento politico della nuova amministrazione Trump. Politica la decisione sull’approvazione della riforma sanitaria, perché si evince il grado di consenso che gode il nuovo Presidente da parte del congresso. Non priva di implicazioni economiche perché presagio di quanto difficile sia l’attuazione dell’intera agenda promessa da Trump. Contabilmente, solo da calcoli ragionieristici, è evidente che il taglio fiscale ora diventa più difficile. Non è pertanto un discorso puramente ideologico. Quando si parla di budget, ci si riferisce più propriamente a regole di prudenza e disciplina fiscale. Ogni annuncio o urla mediatica che proviene da Trump o dal portavoce della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan, sembra perdere credibilità. Come si traduce questo primo intoppo politico in termini di reazione dei mercati sembra ancora più arduo decifrarlo. La decisione prevista per giovedì e poi rimandata a venerdì su Trumpcare, ha causato una breve correzione dei mercati azionari. Poi gli indici hanno riguadagnato dai minimi di giornata grazie anche all’ennesima rotazione settoriale. Auriferi e soprattutto Servizi e Enti Ospedalieri hanno fatto la loro parte da leone. Nel frattempo i rendimenti del Treasury continuano a segnare nuovi minimi relativi, scontando poche probabilità per un rialzo a Maggio e incorporando una probabilità poco superiore al 50% per il rialzo di Giugno. Una quasi anomalia, visto il piano di rialzi annunciato dalla FED: credibilità limitata e eccessiva dovishness pesano molto sul livelli della curva US. Ultimo tassello del puzzle? I risultati aziendali hanno segnato nell’ultimo trimestre un buon andamento. Se confermata questa forza negli utili, l’azionario può ancora segnare nuovi massimi. Restano da fare solo due osservazioni, meglio ancora lasciare il giusto spazio a degli interrogativi un po’ contrarian rispetto al consensus che possiamo osservare nelle valutazioni azionarie. Dal punto di vista macro: se è vero che parte del rally dell’equity è stato trainato dalle promesse di Trump, quel target di crescita del 2%-4% probabilmente è più giusto ridimensionarlo tra l’1% e il 2%. L’incentivo fiscale si potrebbe affievolire, attestandosi vicino all’obiettivo portato avanti dalla precedente amministrazione intorno al 30%, di certo lontano dall’ambizioso taglio sulle aziende previsto tra il 15% e il 20%. E se il micro al momento ci rassicura, ricordiamoci che gli utili sono comunque dei dati che riportano un certo ritardo rispetto allo stato dell’economia. In particolare ai picchi del ciclo si susseguono anche un paio di trimestri in cui le aziende continuano a segnare utili in crescita. Christian Zorico: LinkedIn Profile Lo Specchietto Retrovisore: La questione fiscale! Ormai abbiamo appreso che dovremo convivere con i Tweet di Donald Trump e calibrare le aspettative sull’aggettivazione usata dal Presidente degli Stati Uniti. Un programma tasse “phenomenal” è in arrivo tra poche settimane. Così è stato annunciato, il 9 febbraio, l’intento della nuova amministrazione di agire subito sul piano fiscale. E allora l’equity americano che segna nuovi massimi, e soprattutto lo spread di inflazione che recupera tono, recupera quel terreno perso nei confronti dei rendimenti nominali proprio perché l’idea del reflation trade iniziava a perdere incisività. Però per quanto importante sia l’attività su Twitter del neo eletto Presidente, cerchiamo di guardare assieme alcuni fatti oggettivi. Per quanto ovviamente sia rimasto positivo il legame tra il prezzo dell’OIL e l’andamento dei bond legati all’inflazione, la correlazione è tanto più forte rispetto ai movimenti giornalieri del greggio (sulla parte spot della curva) proprio nei break-even a due anni. Sembra invece aver perso vigore la connessione sul tratto a 5 anni e a 10 anni della curva inflazione. Questo sia perché il prezzo del petrolio spot non tiene in considerazione dell’aumento della produzione dello shale-oil, la cui narrativa trovo riscontro solo nella parte più lunga della curva, sia perché probabilmente le dinamiche inflazionistiche non possono essere guidate solo da un Tweet. Depurando pertanto l’andamento dei prezzi dall’effetto base delle materie prime, restano preponderanti le dinamiche salariali. Essendo anche i salari un perfetto incontro tra domanda e offerta, i fondamentali del lavoro sembrano raccontare una storia diversa da quella analizzata qualche mese fa. La partecipazione al lavoro in aumento, il numero di abbandoni in diminuzione fanno del mercato del lavoro un driver meno incisivo.Forse su tutti gli indicatori, andrà seguito l’andamento sulle aspettative di inflazione per comprendere la bontà del trade relativo a Trump. Anche misure fiscali espansive potrebbero non bastare per rivitalizzare ulteriormente il reflation trade come hanno iniziato ad evidenziare anche in Goldman Sachs, benché fosse fortemente positiva non meno di un mese fa. Lo Specchietto Retrovisore: E' guerra valutaria! Il meeting del 31 gennaio/1 febbraio della FED non sarebbe dovuto essere un evento in grado di influenzare i mercati. Anche attendersi una Janet Yellen in grande spolvero, in stile aggressivo era evidentemente impensabile. Non fosse altro perché della politica fiscale di Trump non si conosce ancora nulla. A Washington sono perfettamente consci dell’ottimismo sia del livello di confidenza dei consumatori che delle aziende, e osservano una crescita e un tasso di inflazione leggermente più sostenuto di quanto previsto. Tutto questo, insieme con l’esigenza di dover “governare” le spese pazze della nuova amministrazione Trump, spinge tuttavia la FED ad essere cautelarmente sull’attesa. Infatti benché la maggior parte dei votanti preveda 3 rialzi nel 2017, sembra essere diventato molto più importante valutare le misure e gli effetti della nuova politica fiscale prima di potersi sbilanciare sulla velocità dei rialzi. Si è avuta l’impressione che siamo giunti in un momento storico in cui alcuni “Tweet” contino di più delle autorità monetarie. Ed ecco infatti che in Europa, il ministro delle finanze tedesco W. Schäuble si senta in dovere di ribadire il suo diniego verso politiche monetarie troppo espansive. Un euro troppo debole aiuta la Germania nelle sue esportazioni era stato l’attacco di Trump. Anche la BOJ, accusata di manipolare la sua valuta, ha reagito mostrando i muscoli andando a comprare “carta” a 10 anni, in modo da portare il rendimento allo 0.11% rispetto allo 0.15%. Siamo in piena guerra valutaria. Ne avevamo parlato proprio nello scorso numero: fare attenzione alla volatilità che proviene dai cambi e dai tassi. Quest’ultima è in grado di spaventare ancora di più rispetto alla volatilità dell’azionario. L’investitore medio non è pronto ad accettare incertezza sui bond e i modelli di Risk Parity non la concepiscono neanche perché abituati a modellare e prendere in considerazione livelli di volatilità ben inferiori. La lettura che si può dare a questo atteggiamento attendista della Fed ricade evidentemente nella propensione di Trump a far discutere di protezionismo, di divieti, attacchi ad istituzioni indipendenti ed esterne agli Stati Uniti. Una chiara volontà di spostare l’attenzione fuori dai propri confini, evidenziando marcatamente possibili detrattori di ricchezza, eventuali capri espiatori. Restiamo pertanto tutti in attesa di valutare quanto promesso in materia fiscale e intanto osserviamo un altro indicatore dello stato di salute degli Stati Uniti. Il tasso di disoccupazione, come evidenziato dal report sul lavoro di venerdì scorso, si attesta al 4.8% rispetto al 4.7% del dato precedente. Un rialzo giustificabile dall’aumento registrato nel numero di persone entrate nella forza lavoro. Buona settimana finanziaria a tutti. Christian Zorico: LinkedIn Profile The Rearview Mirror: February 2017 Let’s find a way to define January: a month characterized by low volatility in the equity market together with a growing turbulence in the bond market. Overall, a lower correlation between asset classes marked the first month of 2017. Ops, I nearly forgot to mention a higher volatility into the FX market, both of the emerging crosses (Mexican Peso and Turkish Lira) but also of the G7 ones (Cable was the main protagonist). I strongly believe that in this environment we should focus much more on the currency behaviour. They can send us clear signals about the real potential risks. In fact the reflation theme after Trump inauguration continued to hold. It is a sufficient condition, but not necessary to explain rising bond yields and equity at all-time highs. The anticipated fiscal policies of the new administration have contributed so far to cement a movement that begun late this summer, i.e. inflation premium started to discount a different scenario since July. At the same time we can argue that outflows from foreign holders together with few concerns over the sustainability of fiscal spending, can be considered further drivers of the current reprising. Translated into uncertainty, we are now reaching a situation whereby equity volatility, measured by the VIX index traded below 11 last week and at the same time the MOVE (Merrill Lynch’s Option Volatility Estimate Index), that measures the implied volatility in U.S. Treasuries yield curve, spiked to 77, a level that allows the spread between the two indexes to reach the levels that we have experienced during the taper tantrum of 2013. Certainly this situation is going to converge in some way. We started to bet on rising equity volatility or, in other words, we were expecting a correction in current valuations. However the S&P Index can even continue to show little volatility in an endless sector rotation. Surely we are facing high levels of uncertainty, politically speaking; hence a cautioness profile is highly recommended. On the other hand, the classical safe haven is appearing to provide no parachute in this environment. Unless we don’t see a panic zone, it would be difficult to assist at a completely rebounce of bonds. Whether the Federal Reserve will continue to show a hawkish stance, we are going to see higher yields levels to reflect the new monetary policy. It will be a very complicated game, by tempting to control the dollar and facing with the new fiscal policies. Ops, I was forgetting again, at a certain point the market would like to consider and analyze the measures that Mr Trump promised and eventually their impact on GDP, rather than chatting and twitting about a debatable ban. Eventually the markets need some proof to confirm them to be positioned for the right direction. Christian Zorico: LinkedIn Profile 47° World Economic Forum: alla ricerca di una “leadership reattiva e responsabile”, fra il dilagare di populismi, diseguaglianze sociali e crisi umanitarie. Raffaello Castellano (110) “Viviamo in un mondo interconnesso e frenetico in cui le nuove tecnologie, i cambiamenti demografici e le trasformazioni politiche hanno conseguenze sociali ed economiche di vasta portata. Oggi più che mai, i leader hanno bisogno di condividere le idee e le innovazioni su come navigare meglio il futuro.” È questa la nota di presentazio ne, sul sito, del 47esimo World Economic Forum (WEF), in agenda dal 17 al 20 gennaio a Davos in Svizzera. Il titolo scelto quest’anno è “La leadership reattiva e responsabile” e non poteva essere altrimenti, visto che questo Forum si svolge in un clima teso e inquieto, soprattutto dal punto di vista politico, dopo i due voti sconcertanti che hanno caratterizzato il 2016, la Brexit e Trump. Il dilagare del populismo nei Paesi d’Occidente preoccupa i leader mondiali e soprattutto europei, in vista delle elezioni in Francia, Germania e Olanda, che si terranno nel 2017. A ribadire questa preoccupazione, non lascia dubbi, ciò che si legge in un’altra nota di presentazione del Forum: “A meno che non abbiate vissuto su Marte, sarete consapevoli del fatto che il 2016 è stato un periodo turbolento, con una reazione contro la globalizzazione che ha portato a due risultati delle urne sorprendenti e un aumento del populismo in Occidente”. L’evento di quest’anno si concentrerà su quattro sfide chiave per il 2017: la collaborazione globale, il rilancio della crescita economica, la riforma del capitalismo e la preparazione per la quarta rivoluzione industriale, che passa attraverso l’era digitale. Tra le sessioni, anche un focus sulle crisi umanitarie. A tener banco in questi giorni di vigilia anche la lista dei partecipanti. L’ospite più atteso è Xi Jinping, primo presidente cinese a partecipare al Forum di Davos. La sua presenza testimonia il peso crescente della Cina nel contesto mondiale. Il grande assente è invece il neo eletto presidente americano Donald Trump, che ancora una volta sta facendo capire quanto poca importanza rivestano alcuni Paesi, in particolare quelli europei. A peggiorare l’umore ed aggravare l’inquietudine e l’insoddisfazione sociale di quest’anno, ci si mette pure il nuovo rapporto di Oxfam, “Un’economia per il 99%”, che si concentra sulla forbice tra ricchi e poveri e su quanto si stia estremizzando. Diffusa oggi, alla vigilia del World Economic Forum, la ricerca mette in evidenza come l’1% della popolazione mondiale possiede, sin dal 2015, più ricchezza netta del restante 99%. I poveri sono sempre più poveri e i mega Paperoni si arricchiscono ad un ritmo così paurosamente veloce, che si potrebbe veder nascere il primo trillionaire (ovvero un individuo che possiederà più di 1.000 miliardi di dollari) nei prossimi 25 anni. Una cifra che si consuma solo spendendo 1 milione di dollari al giorno per 2.738 anni. Continuando a spulciare i dati del rapporto si rimane atterriti! ■ 8 persone nel 2016 possedevano la stessa ricchezza netta (426 miliardi di dollari) dei 3,6 miliardi ■ ■ ■ di persone più povere del mondo, quasi la metà dell’intera popolazione mondiale; 1 persona su 10 nel mondo vive con meno di 2 dollari al giorno; 10 tra le più grandi multinazionali hanno generato nel 2015/16 profitti superiori a quanto raccolto dalle casse pubbliche dei 180 Paesi più poveri al mondo; In Italia l’1% più ricco era in possesso nel 2016 del 25% della ricchezza nazionale. Da soli, i primi 7 super Paperoni italiani possedevano oltre 30 volte la ricchezza del 30% più povero dei connazionali. Speriamo davvero che questo WEF proponga delle linee guida per eliminare queste profonde diseguaglianze sociali, per avere davvero dei leader, siano essi politici, economici o d’azienda, “reattivi e responsabili”. The Rearview Mirror – January 2017 Christian Zorico (97) Could the post-election rally be considered as a snow flurry? And what about the US long-term yield upswing? Was it a positioning for a further reprising? We can keep on by attempting to answer whether the greenback will continue to strengthen against the other currencies. And so on, if we knew in advance the pattern of all asset classes, it would be an easy task, for portfolio managers and for investors, to make money. On top of it, the upcoming year will be characterized by a series of political events: overall the Presidential Election in France, expected in April, and the Federal Election in Germany late in September are contributing to make any market prediction less valuable. In fact, as for the 2016, it will be crucial to focus not only to the outcome rather than evaluating the spectrum of consequences in terms of growth, fiscal measures and social sustainability. Indeed being a political expert will be more efficacious than owing a crystal ball, if any. In less than two weeks we are going to face with the first unknown: the US Presidential inauguration due to the 20th of January will unveil the plan of action of Mr Trump. A reasonable assumption is to have no idea where asset prices are headed so that no asset allocation will be provided in this article, but some factors to take into account once we are called to allocate our limited resources. A way to analyze what happened is to highlight the word “panic”. A possible reading behind the recent rally is the powerful buying fire of some hedge funds and activists that have missed to track the equity performance so far and decided to participate for the Christmas rally. Still we are not talking about panic, but a large number of investors could react in a bullish way by panicking of missing the opportunity to jump into this exuberant rally, i.e. the Dow Jones Industrial Average has gained almost 9 percent and the S&P 500, tapping record highs, is up around 6%. This behaviour can provide support to the current price action even if we are already in overbought territory. Another way to read the word panic is to focus on nominal yields. Since Mr. Trump’s election, 10year Treasury have sold off 80bp by reaching a high of 2.65% and reinforcing the reflationary momentum. Such steepening of the yield curve is perfectly in line with a new environment where an expanding fiscal policy will push the inflation higher and force the FED to overreact adequately. Clearly a real risk is a possible shock due to a panic reaction. In fact the proliferation of VaR sensitive investors, increased the risk of stop losses triggers when a volatility shock arrives. Investors will be forced to reduce their duration; the process is self-reinforcing at least until the new yields level will induce market participants that are not exposed to VaR model to enter into the trade. We already experienced such a movement in May 2015 within the Bund sell-off or in June 2013 with the “Taper Tantrum”. Certainly the announcement of a fiscal expansion by the Trump administration will help dissolve some doubts. Although part of its plan is largely expected by the market, investors could continue to support last trend because a pro-business approach by the new administration will be offset by a tighter monetary policy. Still I believe that in the absence of a full visibility of fiscal policy, we should avoid any strong convincing trade idea; for investors that already have speculate into Trump my best advice is to sell the inauguration. In both scenario of disappointing or even supportive message, I consider that time a good opportunity of getting out. Moreover as we pointed out several times, the hunting for yield has pushed everything higher. It seems to be the same trade. Hence, we have seen a reprising into yields so far but not the same for the high yield world and for the equity as well. Keep in mind that a panic reaction is always possible also for the equity, moreover for the fact that volatility is trading at its historical minimum. Stay cash for a larger than usual part of your portfolio. A gradual repair of the global economy is still supportive, thus in this environment any market corrections could offer some real opportunities. Back to the beginning of the article to answer the last question. What about the Dollar? I believe that Mr Trump will not like a strong dollar. In this case the currency will act against its fiscal purposes. But again timing is everything. Christian Zorico: LinkedIn Profile Lo Specchietto Retrovisore: Yellen e una possibile guerra valutaria Christian Zorico (97) L’ultimo appuntamento con lo Specchietto Retrovisore per quest’anno: i prossimi lunedì del 26 Dicembre e del 2 Gennaio, non verrà pubblicato il consueto aggiornamento. Il primo numero di Gennaio invece sarà l’occasione per fare il punto sull’anno appena trascorso e provare ad identificare i temi che potrebbero essere cruciali per l’anno che ci apprestiamo a vivere. Ma intanto guardiamo ancora una volta nello specchietto della nostra automobile finanziaria che ci ha accompagnato per tutto l’anno: appare chiaro il viso della Yellen che finalmente riesce ad alzare di 25 punti base il tasso di riferimento, dopo tanti obbligati rinvii e praticamente del tutto scontato dal mercato. Quello che invece è stato inaspettato è la previsione di tre rialzi per il 2017 invece dei precedenti due. Quasi a voler rafforzare l’idea del reflation trade pur tuttavia evidenziando qualche perplessità sulla bontà di un’espansione fiscale in questo particolare periodo. Infatti pur riconoscendo nelle voci della Yellen e di Bernanke un chiaro invito a fare della politica fiscale un ulteriore boost negli anni passati, la Chairman della FED ha aperto gli occhi sulla possibile inutilità di misure espansive da parte dell’amministrazione Trump, ora che il tasso di disoccupazione è sotto il livello del 5%. Certamente a guardare la price action dei governativi americani sembra che il timore inflazione sia nell’aria, una sorta di cartina di tornasole sulla credibilità che si porta dietro l’effetto Trump. Ma a ben vedere, parte del movimento del Treasury nelle ultime settimane, è derivato dalla riduzione di riserve da parte della Cina che ha visto diminuire di oltre 100 Billions l’ammontare in Treasury detenuto (passando da circa 1.250 Billions di Giugno a poco più di 1.100 Billions aggiornato al 31 ottobre). Dietro questo trend si può immaginare un lapalissiano, quanto subliminale messaggio a favore dell’America di non continuare in politiche che rafforzino il dollaro. Ancora una volta sembra delinearsi una vera guerra valutaria e, probabilmente, la chiave di lettura per comprendere l’evoluzione delle asset class di riferimento nei prossimi mesi, passa proprio dal ruolo delle valute e dell’importanza strategica del biglietto verde. The Rearview Mirror – December 2016 Christian Zorico (97) Only one word to describe November: Trumpeffect. Mr Trump won the 2016 election by stealing traditional Democrats’ votes away from the “blue” states of Michigan, Pennsylvania and Wisconsin. Focusing on those votes, much more than the Ohio or Florida ones, helps us better understand what of Trump campaign has made the difference. Apparently looking as a mix of an outsider and anti-establishment, surely an unorthodox Republican, the new President has spoken to the blue-collar white voter by accusing globalization for their critical job situation, specifically low wages pressure and positions losses. Hence, we can explain the recent equity rally as a clear consequence of Trump promises to outspend Clinton. On the other hand, by refusing to adopt a Republican orthodoxy in perceiving a fiscal austerity, the bond market collapsed. On Sunday 4 December, the new US President tweeted “The U.S. is going to substantially reduce taxes and regulations on businesses, but any business that leaves our country for another country”. By using Twitter, Donald Trump promised a 35% tax on products sold inside the U.S. by any business that fired American workers and built a new factory or plant in another country. The big movement that nominal yields experienced in last month, due to a reprising of BEI (BreakEven Inflation), is in line with a reflationary trade. In fact, 10yr US Treasury yield surged more than 50bps since election’s outcome. Moreover the sell-off has been driven by the O.P.E.C. decision to cut its production by 1.2 mb/d bringing its ceiling to 32.5 mb/d, by the 1st of January 2017. On top of it, the long term has been hammered since the new nominee Treasury secretary indicated that he is open to the issuance of longer-term debt. The 30yr Treasury yield reached 3.05 per cent area after Steven Mnuchin, the former Goldman Sachs trader and hedge fund manager nominated by Mr Trump has declared that they are also considering ultra-long bond sales. G r a f i c o U S 1 0 Y , U n i t e d S t a t e s, NYSE. Fonte: Investing.com To sum up, governments bonds have been selling off in anticipation of new fiscal measures. After having benefited from a positioning on the short-end of the curve and a preference versus floaters, I believe it is the right time to investigate whether this reprising could be considered as a buy opportunity. Even if it is clear that rates have bottomed, we should take into consideration the internal and external effects of this new environment. Internally, a 100bp climb would add on an additional $200 billion to the US budget. The US debt weight of $20 trillion is not a negligible issue. Moreover I can not believe that Mr Trump will be in love with a strong dollar. On the other hand, Emerging Markets will suffer as well on the hard currency debt issued during last years, reflecting into a poorer balance conditions and in a sluggish growth. For all these reasons, I will seriously monitor the indication from the December FOMC. We are going to approach to a new year characterized by several political tests that can be considered as a catalyst for a renewed interest in safe haven. Christian Zorico: LinkedIn Profile Lo Specchietto Retrovisore: speciale Elezioni USA Christian Zorico (97) A poche ore dal voto che eleggerà il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America, siamo in “trepida” attesa perchè l’esito risulta quanto mai incerto e forse perchè molto controverso qualunque sia il risultato. Cerchiamo di rileggere assieme gli ultimi accadimenti che hanno condizionato una delle campagne elettorali più brutte della storia americana. Brutta negli attacchi allo stato di salute della signora Clinton, brutta e perversa nel solo discutere gli imbarazzi personali di Mr Trump, bruttissima ancora nello scandolo riaperto dall’FBI sul server di mail private di Hilary. Ed è proprio dal 28 di Ottobre che i “giochi” si sono riaperti e Donald Trump ha recuperato parte del divario dei voti nei confronti della sua rivale; le conseguenze di una sua possibile elezione si sono materializzate in una price action che ha visto premiare i safe haven a discapito degli asset piu’ rischiosi. Più nello specifico una media degli exit polls offerta da “Real Clear Politics” mostra di come il vantaggio di 4.6% a favore di Clinton sia sceso a soli 1.7% (dati aggiornati al 5 novembre). Traslando dal linguaggio della politica al mondo finanziario, lo YEN insieme al Franco Svizzero hanno guadagnato nella scorsa settimana oltre il 2%. Un altro indicatore di corsa verso il “sicuro” è stato l’apprezzamento dell’oro (circa 3%) e dell’argento in salita oltre il 4.5%. Sicuramente le materie prime indicatrici di voglia di sicurezza, hanno beneficiato anche per la debolezza del dollaro. Quest’ultimo, insieme all’azionario americano, hanno evidentemente sofferto sia per l’incertezza accresciuta (si teme anche per il cinema del riconteggio dei voti) che per una più probabile vittoria del candidato repubblicano. È come se improvvisamente le coperture dall’evento Trump si siano materializzate. Chiaramente il Peso Messicano si è deprezzato, l’azionario dell’America Latina ha perso circa il E l e z i o n i USA: Clinton Vs Trump. Fonte: http://www.telegraph.co.uk/ 5%, ma a farne le spese sono anche gli indici europei e asiatici (con il Giappone che paga anche l’apprezzamento della sua moneta). Se infatti le azioni Europee stornano circa il 4% del loro valore rispetto alla settimana precedente, sembra evidente il messaggio di fondo: qualora venisse eletto Donald Trump, presidente dell’America, allora gli USA sono il posto dove conviene parcheggiare i propri soldi per un investitore americano. Almeno in chiave “relative” rispetto agli altri indici azionari, l’equtity americano dovrebbe sovraperformare. Nel lungo termine (e sapete bene quanto io sia poco incline a parlare del lungo termine) entrambi i candidati, con il taglio promesso delle tasse e l’incremento della spesa pubblica, dovrebbero essere positivi per l’azionario e almeno in chiave teorica, negativi per i Treasury. Ma guardiamo più da vicino le relative differenze e cerchiamo di restringere il campo temporale. Innanzitutto, la “festa” in caso di una vittoria di Clinton si esaurirebbe in pochi punti percentuali. Recupererebbe quanto perso nelle precedenti tornate e probabilmente avrebbe poco spazio ancora, anche perchè il mercato scontava già un simile esito fino alla fine del mese di ottobre. In realtà la sua volontà di agire sul capital gain per gli investimenti speculativi di più breve durata cosi come l’intento di calmierare la pressione sui prezzi dei medicinali, lascerebbe due vittime speciali sul terreno. Il settore dei finanziari cosi come l’health care ne uscirebbero con le ossa rotte. C’è da dire che sono due settori che hanno sofferto sin da inizio anno e soprattutto valgono i giusti distinguo. Infatti all’interno del settore legato alla salute, se da un lato i produttori di medicine vedrebbero i loro margini ridursi, è anche vero che gli enti ospedalieri cosi come le aziende più legate ai servizi, potrebbero beneficiare ancora dei sussidi dell’Affordable Care Act. A beneficiare sicuramente dell’elezione del candidato democratico, sarebbe invece il settore legato alle energie alternative. Mentre uno dei settori chiave su cui puntare in caso di vittoria di Trump è quello legato alle costruzioni e al mantenimento di infrastrutture. Nella realtà però questi sono discorsi validi nel lungo termine. Ancora una volta fatemi citare J.M. Keynes: “In the long run, we are all dead”. Quello che appare evidente guardando le quotazioni americane è che risultano davvero molto costose e non solo guardando i valori storici, ma soprattutto guardando alla situazione presente di fine ciclo economico. Ignorando però l’esito delle elezioni, mi viene più facile pensare che saranno gli assets fuori gli Stati Uniti a mostrare più volatilità nei giorni prossimi. In caso di vittoria della Clinton, sarei compratore di assets Europei e Giapponesi. Il reverse del trade visto nell’ultima settimana prenderebbe forma. Quello che temo di più sinceramente è un riconteggio dei voti. Il mercato in definitiva odia una prolungata situazione di incertezza. Appuntamento al prossimo Specchietto Retrovisore. Christian Zorico: LinkedIn Profile La Copertina d’Artista – Ottobre 2016 Raffaello Castellano (110) Un manifesto, un telegramma, una vera e propria icona fa da copertina al nostro 30esimo numero di Smart Marketing. Il messaggio è chiaro, quasi cristallino, nella sua immediatezza, come solo un’opera pop sa essere. Vediamo nella metà superiore tre leader politici che il martellamento mediatico ha reso ormai familiari: da destra riconosciamo un iroso Donald Trump, al centro una decisa Angela Merkel e, a sinistra, un’accigliata Hillary Clinton. I due candidati alla presidenza americana stanno litigando e la Merkel pare quasi in posa per uno spot elettorale, ma è la metà inferiore dell’opera a colpirci ancora di più. Vediamo tre bidoni metallici che nella forma ricordano la Campbell Soup di Andy Warhol e nei colori di sfondo il pacchetto di sigarette della Marlboro; ma è quello disegnato sopra ai fusti che è infinitamente più interessante, il volto, anzi meglio, la testa di una ragazza dall’espressione terrorizzata, ed insieme rassegnata, ci osserva mentre un rivolo nero, non di sangue, ma di un altro liquido, gli scorre sulla guancia. Sul bidone centrale, una grossa iscrizione ci chiarisce ancor meglio la natura del liquido e il messaggio generale dell’opera: “Oil & Money no Humanity”. M i g u e l G o m e z , l’artista di questo numero di Smart Marketing. L’opera ci attrae e ci respinge nello stesso tempo, il suo messaggio ci arriva in faccia, forte e sonoro, come uno schiaffo; tutto in quest’opera è collocato per crearci un senso di disagio, di nervosismo, quasi di rabbia. Proviamo disagio davanti alla rabbia dei due contendenti alla presidenza americana: essi litigano, ma i loro toni esacerbati, le loro urla sono quasi udibili. Proviamo nervosismo davanti al dito puntato della Merkel, che pare scimmiottare i manifesti di propaganda statunitensi per il reclutamento dello Zio Sam. Ora come allora, veniamo chiamati al sacrificio, al dovere di stato, all’abnegazione per un alto e non ben definito ideale europeo. Proviamo rabbia e disagio per quella donna raffigurata sui bidoni di petrolio, anzi, per la sua testa che pare tagliata sul patibolo degli interessi internazionali. Soprattutto una cosa ci procura disagio: quel rivolo di sangue/petrolio che le cola dalla bocca, sappiamo che sgocciolando sul pavimento si sta addensando in una pozza, è come un torrente in piena, melmoso e putrescente, ci travolgerà con il suoi flutti. La donna pare osservarci, anzi, il suo sguardo suona come una condanna, perché in un mondo di consumatori compulsivi, come noi siamo, nessuno di noi, è esente da colpe e responsabilità. A b b a n d o n o , a c r ilico su tela. Una dichiarazione d’intenti, un manifesto artistico/politico, delle intenzioni e delle passioni che si agitano nel cuore e nell’animo dell’artista Miguel Gomez, al secolo Michele Loiacono, classe 1962, che fin da piccolissimo, ha la fortuna di frequentare gli atelier di Pablo Picasso, Bernard Buffet e Salvador Dalì. Frequenta il Liceo artistico di Bari e dopo un pellegrinaggio artistico per le strade d’Europa, rientra in patria e frequenta l’Accademia di Torino. Sulla scena artistica dal 1978, quando a Bari vince il premio per L’artista più giovane d’Italia, Miguel Gomez sperimenta tecniche e materiali diversi, come l’incisione che lo porterà, dal 1987 al 1994, a collaborare con artisti quali Emilio Greco, Aligi Sassu, Renzo Vespignani ed Enrico Baj. Dal 1994 si dedica alla ricerca di nuove espressioni artistiche e dal 2009, oltre che con la pittura, Miguel Gomez si esprime attraverso la body art, la performance art, la video art e le installazioni. Nel 2013 inizia la collaborazione, producendo un video art e performance, con l’artista Vincenzo Lo Sasso (artista che ha fatto parte della factory di Andy Warhol), partecipando con il video art “The creature of birth and sorrow”, alla mostra “I fiori dell’aglio”. Sempre nel 2013 collabora, con una sua performance di body art, alla mostra antologica del M° William Tode, ultimo artista vivente del gruppo dei neorealisti ed ex direttore dell’Ufficio Studi del museo degli Uffizi di Firenze. Curatore di eventi internazionali quali Women in…Art, Xchange, attualmente è art director per le arti visive e performative di Artoteca Vallisa, Santa Teresa dei Maschi-Bari, art director di Notti Sacre d’Arte, presidente dell’A.P.S Federico II Eventi e direttore artistico di Bibart, Biennale Internazionale d’Arte di Bari città Metropolitana. M a t e r e t F i l i u s , acrilico su tela. Dal 1978 ad oggi ha esposto in oltre 70 mostre in Australia, USA, Grecia, Francia, Inghilterra, Germania, Olanda, Croazia ed Italia. Ultime mostre: 2016 Personale “Mater et Filius”, Palazzo Vescovile di Lucera (FG); Personale di pittura “Women’s”, Calleria Ce.Ma.Ci, Matera; 2015 Videoart “La Creazione”, Cattedrale di Barletta; Videoart “La Creazione”, Duomo di Cerignola, Cattedrale di Troia, Cattedrale di San Sabino Bari; Videoart “Tango del amor sin palabras”, Buje-Croazia; Video art “Neiala”, Polo Museale di Ascoli Satriano (FG); Arte Notte video art “Women”, Piazza San Rocco Cerignola; Performance su “Homo homini virus”, con Antonio Bilo Canella, Daniele Casolinio e Ilaria Palomba, per il compleanno di Nero Gallery presso il Brancaleone, Roma; Personale “Women’s”, Club Mad; C i n t y a , a c r i l ico su tela. Video Art “Poema della Croce”, per concerto della Polifonica Biagio Grimaldi sulle musiche della “Via Crucis” di Franz Liszt; Performance “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” con Ilaria Paolmba, Daniele Casolino, Closer Roma; 2014 Performance ‘Io sono un’opera d’arte’ con Ilaria Paolmba, Art Gallery under the road Bari; Personale ‘Madonne’, Chiesa di Santa Teresa dei Maschi Bari; Personale ‘Madonne’, Cattedrale San Pietro Apostolo Cerignola (FG); Personale ‘Madonne’, polo museale Ascoli Satriano (FG); Personale ‘Women’s’, Home Gallery ‘Find me’, Policoro (MT); “Pollination London Biennale” Londra (GB). Per informazioni e per contattare l’artista Miguel Gomez: [email protected] Ricordiamo ai nostri lettori ed agli artisti interessati che è possibile candidarsi alla selezione della seconda edizione di questa interessante iniziativa scrivendo alla nostra redazione: [email protected] Editoriale Ottobre 2016 – Raffaello Castellano Raffaello Castellano (110) Un autunno caldo, anzi bollente, è quello che si prospetta essere questo del 2016. Mai come ora calza a pennello questa espressione giornalistica, spesso abusata. Ovviamente non c’entrano le condizioni meteorologiche, ai cui cambi di temperatura, spesso repentini, oramai ci siamo abituati, vista quella che, con buona pace dei termo-scettici, gli esperti chiamano estremizzazione del clima. Quello che farà alzare le temperature e causerà violenti e improvvisi temporali sarà la politica, sia a livello locale, con l’imminente referendum costituzionale, sia a livello globale, con l’elezione del nuovo presidente americano del prossimo 8 novembre. Ma ci sono anche altre faccende, alcune delle quali paiono scomparse dalle agende politiche globali, ma che ancora devono fare sentire i loro effetti più profondi e drammatici sullo scacchiere internazionale, come ad esempio la Brexit, della quale sempre meno telegiornali, soprattutto nostrani, parlano, ma che nell’immediato futuro causerà diversi problemi sia alla Comunità Europea che alla Gran Bretagna. In particolare verrà colpita l’Irlanda, come ci ricorda Paddy Agnew, corrispondente del The Irish Times a Roma, da un’interessante articolo sull’ultimo numero del bimestrale The Good Life: “Non dimentichiamo che le 6 contee settentrionali, delle 32 totali del Paese, sono parte del Regno Unito e soggette al governo britannico, mentre le altre 26 costituiscono la Repubblica d’Irlanda, indipendente dal 1921. In pratica questo significa che la Brexit ha ridisegnato il confine nord-sud dell’Irlanda. Quando il Regno Unito si chiamerà definitivamente fuori dall’Unione Europea, il confine tra le due Irlande diventerà di fatto un confine esterno tra Unione Europea e Regno Unito. Il vecchio confine, che è stato gradualmente eliminato in conseguenza dell’accordo di pace del venerdì santo del 1998, sarà quindi ripristinato. L’importanza del ripristino di questa frontiera non può essere sottovalutato.” Quindi, situazioni non previste che rischiano di scoppiare come la nitroglicerina al minimo scossone. Mentre scrivo questo editoriale la scena mediatica è intasata dall’imminente tornata elettorale americana. Dopo 8 anni di governo a guida democratica con Barak Obama come primo presidente nero, gli Americani si trovano a dover scegliere fra un presidente donna, Hilary Clinton, politica di razza ma, ahimè, poco empatica e che molti vedono appartenere all’establishment del potere, e dall’altra un outsider che di più non si può, il tycoon, Donald Trump, inviso perfino ai repubblicani più estremi, che in questa campagna elettorale infuocata non ha fatto mancare una “buona parola” a nessuno: immigrati, messicani, mussulmani, donne, etc.. Ma la situazione internazionale, e quella statunitense in particolare, è così ingarbugliata che non mi sorprenderei se il giorno 9 novembre l’America si risvegliasse con un presidente estremista e populista, che però ha saputo catalizzare le ansie e le inquietudini di tutti quei dimenticati che si sentono abbandonati non solo dalla società e dalla politica, ma pure e soprattutto dalla storia. L a c o p e r t i n a d i questo mese realizzata dall’artista Miguel Gomez, il titolo è Oil & money no humanity. Ma, come spesso succede, i veri cronisti del contemporaneo sono gli artisti e non noi giornalisti, ed anche questo mese un artista, Miguel Gomez, al secolo Michele Loiacono (classe 1962), di Bari, ci ha omaggiato del suo talento realizzando la splendida copertina di questo mese, dal titolo “Oil & money no humanity” che, grazie all’immediatezza propria della pop art, non richiede alcuna spiegazione, e che calza come un guanto all’argomento di questo ottobre “politico” che cita un indimenticabile film di Alan J. Pakula: “Tutti gli uomini del presidente”. Ma, oltre al consueto appuntamento con “La Copertina d’Artista”, in chiusura voglio parlare anche di due neo acquisti della nostra redazione, due professioniste del marketing e della comunicazione che d’ora in poi impreziosiranno con i loro contributi il nostro magazine. La prima è Stefania Alvino, di Roma (ma d’origini campane), e la seconda la goriziana Cristina Skarabot, della quale potete già leggere un primo interessante articolo. Cosa altro dire? Poco o nulla: come ho ribadito poche righe fa, con l’esempio di Trump la politica negli ultimi anni, soprattutto dopo la crisi del 2008, sembra sempre di più inadeguata a fornire risposte, nè tantomeno a prospettare alcuna visione di futuro; l’ondata di populismi, partiti di estrema desta o estrema sinistra, del voto non per qualcuno ma contro qualcuno, sembrano tutte teste della stessa Idra che ha un nome ben preciso e si chiama paura, la stessa paura di cui parlava, profeticamente, qualche anno fa il filosofo Zygmunt Bauman nel suo saggio “Paura Liquida”, quando diceva che la paura aumenta lì dove: “La fiducia si trova in difficoltà nel momento in cui ci rendiamo conto che il male si può nascondere ovunque; che esso non è distinguibile in mezzo alla folla, non ha segni particolari né usa carta d’identità; e che chiunque potrebbe trovarsi a essere reclutato per la sua causa, in servizio effettivo, in congedo temporaneo o potenzialmente arruolabile”. Quindi, benché siamo tutti impauriti, siamo tutti potenzialmente una fonte od un innesco per altre paure, cerchiamo tutti di tenerlo a mente. Raffaello Castellano Editoriale Ottobre 2016 – Ivan Zorico Ivan Zorico (116) Da mesi stiamo vivendo una stagione politica molto calda. Come si suole dire in questi casi, ci troviamo in perenne campagna elettorale. Campagne elettorali nelle quali i leader politici, del vecchio e nuovo continente, stanno misurando il proprio consenso accentrando sulle proprie figure l’esito di campagne referendarie e scelte politiche forti (o, se volete, discutibili). Non a caso, per questo mese, abbiamo individuato in “Tutti gli uomini del Presidente” il titolo/argomento madre del nostro mensile. Il titolo strizza evidentemente l’occhio al nome del film del 1976, diretto da Alan J. Pakula, che pone al centro le vicende relative alla presidenza Nixon ed alle sue conseguenti dimissioni da presidente degli USA. E come sappiamo, nei giorni scorsi, Trump ha rievocato proprio il famigerato scandalo “Watergate” per incalzare Hillary Clinton dopo l’annuncio dell’Fbi sulla riapertura dell’inchiesta sulle email, riferite a quando l’ex First Lady era Segretario di Stato. Ma andiamo con ordine. A giugno, Il referendum sulla Brexit ha determinato, oltre all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la conseguente fine (almeno per ora) dell’attività politica dell’ex Primo Ministro inglese David Cameron, “reo” di aver personalizzato ed agganciato il suo destino politico con l’esito del referendum stesso; perdendo, quindi, su entrambi i fronti. Ad inizio ottobre, in Ungheria, si è svolto il referendum sui migranti, che se da un lato ha visto per la prima volta in 10 anni il premier nazional-conservatore Orbàn in minoranza, ha comunque sancito che una grossa fetta di ungheresi è contraria alle quote di ripartizione di migranti decise dalla Ue. L’8 novembre, il popolo americano è chiamato ad eleggere il proprio presidente tra il più che eccentrico (ed a volte imbarazzante) Trump ed una mai del tutto amata Clinton. L’esito è ancora incerto, data la candidatura indipendente del repubblicano Trump e gli scandali che nelle ultime ore stanno interessando la candidata democratica. Tutto si deciderà, come sempre negli ultimi giorni. A dicembre, in Italia, si terrà il referendum costituzionale. Assisteremo, certamente, ad un passaggio storico: se vince il SI l’azione di governo ed il Governo stesso (con Renzi in prima fila) saranno fortemente rinforzati, se vince il NO ci sarà una inevitabile crisi di stabilità del Governo. Manca ancora tanto; un mese in politica è un tempo estremamente lungo per fare delle previsioni convincenti. Se Renzi riuscirà a compattare il proprio partito forse avrà qualche chance di vittoria. Se invece le spaccature in seno al PD non saranno sanate, il fronte del NO avrà dalla sua anche un altro alleato. La disputa è aperta e i 2 opposti schieramenti stanno affilando le armi della retorica che ormai da secoli determinano i vincitori (e i perdenti) delle dispute elettorali. Siano queste tradizionali o svolte al tempo di internet. Ivan Zorico La politica del 2016: si fa anche a colpi di Tweet Cristina Skarabot (7) Si sente sempre più spesso parlare di Tweetpolitics, segno che Twitter nonostante la recente crisi che sta vivendo, sia sempre più usato non solo dalle celebrità ma anche nella comunicazione politica italiana ed internazionale e stia diventando il centro del dibattito pubblico. Possibilità di disintermediazione che ha portato alla capacità di aggregare conversazioni, immediatezza del linguaggio e veloce propagazione dei contenuti ne fanno uno strumento adatto a quella politica che sempre più usa la Rete al fianco dei mass media tradizionali. Twitter dunque come luogo di osservazione della rappresentazione della politica, ruolo di una narrazione rete-centrica che ha cambiato il rapporto tra politica e cittadini, elemento questo ben rappresentato dal caso del Movimento 5 Stelle. Potremmo pensare a Twitter come nicchia evolutiva nel panorama dei mass media, come una realtà che rende immediatamente visibili a tutti una molteplicità di sfere pubbliche raccontate con immediatezza grazie all’uso di immagini forti e al linguaggio diretto. Basta un hashtag (pensiamo ai recenti #bastaunsi e #votono del referendum costituzionale) per raccogliere pensieri che uniscono la quotidianità del cittadino e la politica dei grandi nomi italiani, consentendo una autorappresentazione della sfera pubblica che non è coinvolta nella mediazione dei mass media. Proprio in quest’ottica Twitter si fa interessante, al di là del numero di utenti attivi in Italia che sono oggi quasi 5 milioni. Ma che uso fanno i politici di questo strumento? Oggi Twitter viene utilizzato per la gestione in prima persona (anche se spesso dietro ogni politico c’è un ufficio comunicazione che ne segue i profili social) della propria immagine e comunicazione unita alla creazione di una relazione più diretta e informale con i cittadini. Con Twitter la comunicazione politica di è evoluta in ottica di fare personal branding grazie ad hashtag studiati ad hoc: oltre a quelli dedicati al referendum vorrei ricordare i precedenti #lavoltabuona di Matteo Renzi e #chiedoasilo di Matteo Salvini. Ma è nata anche la possibilità attraverso questo mezzo di ascoltare le richieste dei cittadini, testare temi elettorali, parlare come agenzia stampa ai pubblici connessi ai media. Pensiamo al profilo Twitter del Presidente del Consiglio, aggiornato con anticipazioni politiche e decisioni e i cui tweet vengono molto spesso ripresi per fare da titoli agli articoli dei principali quotidiani. Twitter quindi anche come fonte informativa della politica e come cassa di risonanza dei messaggi proposti dalla televisione. Da notare come sia Matteo Renzi che Matteo Salvini scrivano dei tweet affermativi (si concludono con un punto esclamativo) per attivare la comunità o lanciano hashtag studiati per costruire visibilità con strategie tipiche delle celebrità della musica e dello spettacolo. P o l i t i c a q u i n d i sempre più digitalizzata, con tutti o quasi i rappresentati dei partiti che hanno una presenza su Twitter più o meno attiva, con i migliori esponenti di questo modo di comunicare da ritrovarsi forse proprio in Matteo Renzi o Beppe Grillo. Ma Twitter può rappresentare un efficace strumento per fare politica anche all’interno delle amministrazioni comunali e regionali, qualora se ne seguano alcune regole di base. 1. Attenzione all’avatar che deve comprendere un’immagine ben leggibile e inconfondibile su tutti i profili social. 2. Aggiornamento costante, consiglio che per quanto banale spesso viene trascurato per mancanza di tempo portando quindi il profilo a perdere efficienza. Un consiglio in più? Usare i tool per la programmazione come Hootsuite. 3. Una voce unica: è importante scrivere tutti i Tweet con lo stesso stile di comunicazione anche se nella realtà sono più persone a occuparsi dell’account. 4. Educazione: è vietato nel modo più assoluto essere volgari o postare commenti inappropriati in quanto i follower cercano informazione. 5. Sfruttare tutto: Twitter offre molteplici strumenti che vanno al di là del semplice hashtag o condivisione di foto e video ed è bene sfruttare tutte le potenzialità offerte dal mezzo variando le pubblicazioni e alternando la tipologia del contenuto. Twitter quindi come risorsa fondamentale per fare politica e comunicare rapidamente ai sostenitori durante la campagna territoriale. Seguire questi piccoli consigli permetterà al politico di muoversi in modo sicuro e proficuo e approfittare della sana visibilità che questo social dona naturalmente. Da “Tutti gli uomini del Presidente” a “Sbatti il mostro in prima pagina”, da “Quarto Potere” a “Vogliamo i colonnelli”: quando il giornalismo fa politica. Domenico Palattella (34) Tra Usa e Italia una serie di film costruiti come delle vere e proprie inchieste giornalistiche, hanno portato alla luce momenti di storia spesso nascosti. Il cosiddetto “giornalismo d’inchiesta” non ha fatto altro che rialzare polveroni ormai sopiti, o riportare alla luce scandali meritevoli di una loro versione cinematografica. Il giornalismo che descrive la politica attraverso il cinema dunque; non la politica che entra nella pellicola, con le classiche ingerenze di cui è piena la storia del cinema. Il cosiddetto giornalismo d’inchiesta ha offerto quindi a registi e sceneggiatori un ventaglio di potenzialità tutt’altro che indifferente. Il film più importante e celebrato, per capire la valenza e il significato di questo genere cinematografico piuttosto particolare è “Tutti gli uomini del presidente”(1976), capolavoro di Alan J.Pakula. Indiscussa pietra miliare quando si parla di cinema d’inchiesta, il film è interpretato da una coppia di protagonisti d’eccezione, Dustin Hoffman e Robert Redford, nei rispettivi ruoli dei cronisti del Washington Post Carl Bernstein e Bob Woodward. Basato sull’omonimo non-fiction book di Bernstein e Woodward, Tutti gli uomini del presidente è un’esemplare ricostruzione dell’inchiesta, iniziata nell’estate del 1972, che due anni più tardi avrebbe portato alle dimissioni del Presidente Richard Nixon, coinvolto in prima persona nello scandalo Watergate. Film magistrale per la capacità di fondere il senso dello spettacolo con il rigore della messa in scena e la denuncia contro i soprusi della politica, Tutti gli uomini del presidente è un classico intramontabile ricompensato con quattro premi Oscar: miglior attore supporter per Jason Robards, miglior sceneggiatura, miglior scenografia e miglior sonoro. Con “Tutti gli uomini del Presidente” siamo negli anni ’70, proprio nel periodo in cui l’Italia è scossa dalle stragi brigatiste e dai tumulti sociali e politici. In questo clima culturale, nettamente diverso da quello del decennio precedente, si sviluppa il cosiddetto “cinema sociale e politico”, che ha in Elio Petri il suo autore più importante e in Gian Maria Volontè, la maschera italica della corruzione e dell’abuso di potere tipico di gran parte della classe politica italiana. Con “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”(1970), l’accoppiata raggiunge i massimi livelli e l’Oscar come miglior film straniero. Uno splendido thriller psicoanalitico sulla cristallizzazione e le aberrazioni del potere che analizza in chiave grottesca i metodi e i fini degli apparati polizieschi. Il film attribuisce poi, ai rappresentanti del potere un’eccessiva coscienza (ancorchè negativa) del proprio ruolo e della propria funzione. Resta molto convincente, anche per merito della perfetta interpretazione di Gian Maria Volonté, la descrizione di “un piccolo personaggio della piccola borghesia meridionale che non ha la possibilità di accesso a un potere diverso da quello burocratico e che sfoga nell’autorità le sue repressioni sessuali e di classe”. E poi l’anno successivo c’è il film “Sbatti il mostro in prima pagina”, ancora interpretato da Gian Maria Volontè e diretto da Marco Bellocchio, è forse il film da cui ha preso spunto Alan J.Pakula, per la sua precisa descrizione del caso Watergate, che sconvolse l’America nel 1972. Un’aberrante campagna giornalistica diffamatoria nei confronti di un extraparlamentare di sinistra, condotta da un redattore capo, sullo sfondo di un’Italia cupa, grigia, che ha smarrito la spensieratezza del boom economico e si prepara alla strategia della tensione, con la rivoluzione sessantottina ormai andata verso il definitivo fallimento. Il potere della diffamazione a mezzo stampa, il potere della politica che si serve dei mass-media, nel bene e nel male. Ma giunti a questo punto, val la pena citare il film capostipite di tale genere, quel “Quarto Potere”(1942), di Orson Welles, ripetutamente eletto dai critici come “il film più bello di tutti i tempi”. Opera capitale nella storia del cinema è il ritratto di un magnate della stampa (sempre Orson Welles) e di un mistero che si porterà nella tomba, e sul quale indagherà un volenteroso giornalista. Sullo sfondo della vicenda, l’America che avanza e che si candida ad essere il motore trainante dell’intero Globo terrestre. Quello di “Quarto Potere” è il ritratto faustiano di un americano al “cento per cento”, ed un opera capitale nella storia del cinema. Il modello assoluto per capire il giornalismo d’inchiesta e ancora di più per capire come si crea un film d’inchiesta politica o sociale. Ritornando in Italia, c’è un film del 1973, ingiustamente dimenticato, vuoi per la valenza culturale che esso riveste, vuoi per il merito di descriverci, con grande precisione storico-sociologica un pezzo nascosto di storia patria. Il 5 marzo 1973 arriva sugli schermi “Vogliamo i colonnelli”, un soggetto che Mario Monicelli, insieme ad Age e Scarpelli, ha concepito qualche anno prima ispirandosi alle voci che giravano per l’Italia su un imminente colpo di stato. Sfruttando la tematica del gruppo di imbecilli che si mettono insieme per combinare un’impresa più grossa di loro, Monicelli e i due sceneggiatori seguono le vicende di un manipolo di militari e fascisti irriducibili che portano avanti un tentativo di golpe naufragato nel ridicolo, capitanati da un vanaglorioso onorevole di destra (Ugo Tognazzi). La pellicola è scatenata, con un tono grottesco, acido e cattivissimo di perfida efficacia, e con una spassosa galleria di fascisti cialtroni e di militari rimbambiti. Alle spalle, precisi riferimenti al tentato golpe del generale De Lorenzo (scoperto e denunciato dall’Espresso nel 1969, cinque anni dopo i fatti) e a quello ancora più farsesco di Junio Valerio Borghese del dicembre del 1970. La pellicola procede esattamente come il golpe del 1970, e sui quali Monicelli e sceneggiatori si erano documentati corposamente: i campi di addestramento paramilitari preparatori al fallito golpe Borghese, la mancata occupazione della Rai, il progettato arresto del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Un film di violenta satira politica, un film che mette a nudo e rende pubblico un pezzo di storia segreta della repubblica italiana e dei rischi che la sua democrazia ha corso, e forse è proprio per quanto denuncia, che il film viene ritirato quasi subito dal mercato: sabotato, ritirato nelle sale dopo pochi giorni di proiezioni, ci si adopera nei piani alti perché la pellicola sparisca il prima possibile dalla circolazione. E “Vogliamo i colonnelli” diviene così una delle pellicole che ha incassato meno nella storia del cinema italiano. Un film scomodo, troppo scomodo per ciò che denunciava, ma preziosissimo: un documento storico, realisticamente ineccepibile, retto dalla memorabile interpretazione di Ugo Tognazzi. E oggi? E oggi c’è “Il caso Spotlight”(2015), di Tom McCarthy. La storia di come il Boston Globe rivelò – con un’inchiesta alla vecchia maniera, forse l’ultima del suo genere già nell’epoca digitale – lo scandalo dei preti pedofili a Boston. Ma anche la storia di come lo stesso giornale l’aveva trascurata. Di sei nomination, ha vinto due Oscar, tra cui il più importante per il miglior film. Bisogna dire la verità, non c’è nulla di originale, all’interno del fatto che sia effettivamente un grande film, i modelli di riferimento sono quelli citati qui sopra e alla loro grandezza, che si vinca l’Oscar o meno, è difficile se non impossibile arrivarci.