Obesità, ormoni ed esercizio fisico L’obesità non è una semplice alterazione estetica, ma una vera e propria patologia che aumenta il rischio di molte malattie gravi riducendo aspettativa e qualità di vita. L’aumento della morbilità associato al grave sovrappeso è mediato da alterazioni endocrine e metaboliche favorite dalla sedentarietà e da uno stile di vita scorretto. Anche in questo contesto l’attività fisica è il mezzo ideale per favorire il dimagrimento, mantenere il peso raggiunto ed opporsi a queste pericolose modificazioni ormonali. Modificazioni endocrine collegate all’obesità GH: il soggetto obeso produce meno GH di un individuo normopeso. Nonostante i valori basali rientrino nella norma, i picchi secretori sono meno frequenti e la produzione totale risulta pertanto inferiore. Il GH è un ormone molto importante responsabile dell’acccrescimento staturale del bambino. Nell’adulto il GH garantisce il trofismo muscolare e osseo, aumentando le masse muscolari a discapito di quelle adipose. Per questo motivo è un ormone particolarmente apprezzato dagli sportivi che cercano in tutti i modi di aumentarne i livelli adottando strategie più o meno lecite. L’esercizio fisico è già di per sé un potente stimolo per la secrezione di GH. La risposta di questo ormone diventa massima in corso di esercizi anaerobici con elevata produzione di acido lattico. Tuttavia un aumento significativo dei livelli plasmatici di GH è osservato già per esercizi di bassa intensità (50% del VO2max) che risultano sicuramente più adatti al soggetto obeso. Ormoni tiroidei: i livelli plasmatici di T4 (forma inattiva) sono normali, ma aumenta il turnover di T3 (forma attiva). La maggiore produzione di ormoni tiroidei viene quindi prontamente neutralizzata dall'aumentata velocità di smaltimento. Questi ormoni sono i principali regolatori del metabolismo corporeo. In caso di ipotiroidismo (ridotta produzione di T3 e T4) il metabolismo basale si riduce del 40%; al contrario un soggetto ipertiroideo ha un metabolismo corporeo accelerato, superiore fino al 25-50% rispetto alla norma. In alcuni casi l’obesità è causata proprio da una ridotta funzionalità tiroidea. L’attività fisica, dal canto suo, non può fare molto per riportare la situazione nella norma. Tuttavia il regolare esercizio, indipendentemente dalla presenza o meno di alterazioni tiroidee, tende ad aumentare il metabolismo, aumentando le masse muscolari e migliorando l’attività metabolica complessiva. Endorfine: i livelli plasmatici basali rientrano nella norma, ma scompare il ritmo circadiano e vi è scarsa risposta agli stimoli secretori. Questi ormoni sono dotati di una potente attività analgesica ed eccitante; la loro azione è paragonabile a quella della morfina. L’attività fisica è un potente stimolo per la secrezione di endorfine e ciò spiega il senso di benessere e appagamento che, nonostante la fatica profusa, compare al termine di un esercizio fisico. 1 ACTH e cortisolo: il ritmo circadiano è conservato, ma aumenta il turn-over. Il cortisolo, prodotto in risposta all'ormone ipofisario ACTH, ha effetti distrettuali in quanto stimola lo sviluppo del tessuto adiposo sottocutaneo nel tronco e nell’addome. Nonostante durante l’attività sportiva di durata aumenti la secrezione di cortisolo l’esercizio non ne influenza significativamente i livelli plasmatici basali. Asse gonadale: nel maschio diminuiscono i livelli plasmatici di testosterone e di alcune proteine deputate al suo trasporto (SHBG). Se da un lato i livelli di testosterone libero rientrano comunque nella norma, dall'altro gli obesi presentano livelli di estrogeni leggermente superiori. Nel tessuto adiposo si concentra infatti un enzima chiamato aromatasi in grado di trasformare il testosterone in estradiolo. Gli estrogeni sono ormoni tipicamente femminili in grado di influenzare la distribuzione corporea del tessuto adiposo concentrandolo soprattutto a livello delle cosce e dei glutei. Nella donna l’obesità si correla a menarca (comparsa del primo flusso mestruale) precoce con frequenti disturbi del ciclo e maggiore tendenza all’atresia follicolare. Sono frequenti irsutismo e policistosi ovarica. Insulina: il rischio di sviluppare un diabete mellito di tipo II è doppio per ogni incremento di peso del 20% rispetto alla norma. Nel soggetto obeso la comparsa del diabete è legata all’insulinoresistenza che la precede. In questa prima fase, vera e propria anticamera del diabete, diminuisce la capacità legante dell’insulina, per calo del numero e dell’affinità dei recettori di membrana. A causa delle difficoltà che il glucosio incontra nel passaggio dal torrente circolatorio ai tessuti, la glicemia aumenta. Nonostante l'elevata concentrazione ematica di glucosio le cellule sono affamate perché solo una piccola quota di esso riesce a raggiungerle. Questa carenza di glucosio a livello cellulare stimola il fegato a produrne di nuovo e a riversarne in circolo quantitativi ulteriori. Si entra così in un circolo vizioso dal quale l’organismo tenta di uscire aumentando la produzione e la secrezione di insulina. Arrivati ad un punto limite le cellule pancreatiche deputate alla produzione di questo ormone vanno incontro, a causa del troppo lavoro, ad un declino funzionale, spalancando le porte del diabete. Considerando che circa l’80% del glucosio ingerito è utilizzato dal muscolo si può intuire il ruolo dell’esercizio fisico nella prevenzione del diabete. La regolare pratica di attività aerobiche migliora l’utilizzazione cellulare di glucosio e potenzia l’azione dell’insulina, diminuendo sensibilmente il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2. L’esercizio fisico migliora anche l’assetto lipidico ematico e la funzionalità cardiocircolatoria, riducendo il rischio di malattie cardiovascolari. Contemporaneamente si assiste ad una riduzione del rischio di sviluppare alcune forme tumorali (cancro al colon) e ad un miglioramento complessivo dell’umore ( lo sport riduce la comparsa di depressione ed ansia associata al sovrappeso ). 2 Prescrizione di esercizio e obesità L’attività fisica è un valido supporto alla restrizione calorica che, in assenza del suo contributo, fallisce nella stragrande maggioranza dei casi. Lo stesso obeso dovrebbe rendersi conto che il suo grave sovrappeso è la conseguenza diretta della ridotta attività fisica. Qualcuno sostiene che il maggiore appetito indotto dall’esercizio finisce per opporsi al calo ponderale. In realtà, come abbiamo visto nella prima parte di questo articolo, l’attività fisica va ad innescare una serie di modificazioni endocrine e metaboliche, in grado di favorire il dimagrimento indipendentemente dal contenuto calorico della dieta. Ovviamente un’assunzione smodata di cibo si oppone al calo ponderale, tuttavia è bene non imporre restrizioni caloriche eccessive, difficili da sopportare sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il dispendio energetico legato all’esercizio è massimo per attività tipicamente aerobiche come il ciclismo, la marcia, il nuoto di durata o lo sci di fondo. Tali discipline sportive risultano anche particolarmente adatte ai soggetti sovrappeso, in quanto non sottopongono il sistema scheletrico e quello cardiovascolare alle grosse sollecitazioni tipiche degli sport anaerobici. La scelta dell’attività fisica è molto importante non solo dal punto di vista prettamente metabolico ma anche da quello psicologico. Costringere un soggetto a svolgere un'attività che non gradisce significa aumentare il suo ripudio verso un qualcosa che già percepisce come ostile e frustrante. Per lo stesso motivo è bene evitare situazioni che possano creare imbarazzo, evidenziando invece i progressi, anche modesti, compiuti nella disciplina sportiva praticata. Infine non bisogna dimenticare che, nonostante le apparenze, un soggetto obeso, anche di giovane età, potrebbe essere portatore di patologie che richiedono precauzioni particolari. Un’accurata indagine sul profilo medico del cliente è quindi d’obbligo. Molto importante è anche il dialogo e la collaborazione con altre figure professionali (psicologo, medico, dietologo ecc.). 3