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10-10-2013
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DANNUNZIANA
Celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio
3 agosto | 21 settembre 2013
Parco dei Priori | Fossacesia (Ch)
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DANNUNZIANA
Celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio
3 agosto ore 18.30
Inaugurazione della mostra “Dannunziana”
presentazione di Bruno Bandini
in esposizione le opere di:
Lino Alviani, Salvatore Anelli, Paola Babini, Mauro Bendandi, Maria Luisa Borra, Carmine Calvanese,
Gianni Celano Giannici, Gianni Cella, Giorgio T. Costantino, Giancarlo Costanzo, Giuliano Cotellessa,
Domenico Difilippo, Paolo D’Orazio, Davide Ferro, Franco Flaccavento, Raimondo Galeano, Cristina Gardumi,
Gabriele Lamberti, Ettore LeDonne, Luigi Leonidi, Fabrizio Mariani, Paola Martelli, Luigi Mastrangelo,
Nanni Menetti, Olinsky (Paolo Sandano), Gianni Pedullà, Francesco Petrosillo, Tarcisio Pingitore,
Loredana Raciti, Leonardo Santoli, Gianfranco Sergio, Mario Serra, Gabriele Talarico, Luisa Valentini.
Performances:
Raimondo Galeano, Cristina Gardumi, Leonardo Santoli
5 agosto ore 19.30
Rossella Arrizza in concerto
7 agosto ore 21.30
Massimo Santilli, presentazione del libro
“Pensieri, parole e omissioni in terra dannunziana”, Ed. Tracce
10 agosto ore 21,30
Alessandro Trapasso, in concerto “Progetto Goldberg”
13 agosto
ore 16 - Art Mob Violetta Mastrodonato e Marcello Specchio
ore 21.30 - Manuela Formichella soprano,
Marco Ciccone pianoforte - concerto lirico
7 settembre ore 18
Mandra Cerrone in “Silent Family” - Performance
21 settembre ore 18 - finissage mostra
Presentazione dell’ultima opera letteraria di Dacia Maraini
Un sogno teatrale - Rizzoli editore
presenta, Maria Rosaria La Morgia
“Lettere d’amore a Barbara Leoni”
rilettura scenica delle lettere di Gabriele D’Annunzio
a cura di Dacia Maraini
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DANNUNZIANA
Celebrazioni per il 150° anniversario della nascita di Gabriele D’Annunzio
direzione artistica
Lino Alviani e Loredana Iannucci
in collaborazione con
Fabrizio Mariani e Leonardo Santoli
testo critico
Bruno Bandini
Si ringraziano:
progetto grafico Fabrizio Mariani
Stampa Arti Grafiche Picene
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Dannunziana
C’è uno spazio silenzioso dove chiunque può stabilire di viverci per crearsi un percorso senza limiti, per costruirsi una propria opportunità, per aprirsi a momenti di confronto, per ritrovare quella poetica indispensabile ad alimentare il proprio intimo.
Piccole o grandi enclave, porti necessari all’approdo dei viaggiatori dell’anima.
Dannunziana è questo, un incontro di viaggiatori che per propria necessità hanno stabilito un rapporto diretto e personale con i temi e i valori della tradizione più congeniali alla natura della propria ricerca, trovando il modo di custodirla, proteggerla, per
trasformarla in manufatto, gesto o riflessione. Così come diceva John Cage dicendo
che il compito del compositore è quello di determinare le condizioni affinchè i suoni,
di per sé già esistenti, si manifestassero per essere ascoltati, San Giovanni in Venere
col suo Parco dei Priori, con la sua atmosfera limpida e primitiva, i suoi silenzi che
tolgono il respiro, i suoi lunghi orizzonti è il luogo perfetto per accogliere uomini e
donne che incarnano con la loro fatica e la loro intelligenza, momenti intimi autentici
del fare artistico.
“Dannunziana è anche una piccola popolazione di artisti-artigiani che come il vecchio
“funesta”, ovvero il raccontatore di storie, ci narra attraverso le immagini, la parola, il
canto il racconto della propria arte.
Loredana Iannucci
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bruno
bandini
E’ nato a Russi (Ra) nel 1952. Laureato in
Filosofia (Firenze, 1976), insegna "Estetica"
all'Accademia di Belle Arti di Bologna ed è incaricato per l'insegnamento di Storia delle comunicazioni visive presso l’ISIA di Urbino.
Collabora alle riviste “Meta” e “Carte d’arte”.Tra
le pubblicazioni: I linguaggi della critica (Rimini,
1996), Antropologia del sentire. Per un’estetica
antropologica (Ravenna, 1997), Progetto e sortilegio
(Ravenna,
1998), Apparenze.
Fenomenologie della luce (Ravenna, 1999),
Licinio Farini fotografo pittorialista (Ravenna,
2009), Michele Provinciali, le décor du caravanserail (Roma, 2006), Utopia & Nostalgia"
(Ravenna, 2011), Bello. Istruzioni per l'uso
(Ravenna, 2012).Tra le esposizioni curate: Le
porte dell?Oriente (Ravenna, Istanbul, Atene,
1990-91); G.B.Piranesi. Vedute, capricci, carceri (Rodi, Atene, 1991); Omphalos (Catania, La
Valletta, 1991); La grafica italiana contemporanea (Atene, Istanbul, La Valletta, Lisbona,
Caracas, Montevideo, Bogotà, 199394);b44°Premio Suzzara (Suzzara, 2004); 45°
Premio Suzzara (Suzzara, 2006); 46° Premio
Suzzara (Suzzara, 2008); Nuova Icona (Urbino,
2009); Fratelli in Italia (Ravenna, 2011).
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Retoriche del bello
“Gli mancava qualunque senso di qualità per le arti visive”. Così, impietoso,
annota nel diario Bernard Berenson: Gabriele D’Annunzio, grande poeta e
straordinario “delibatore di parole” manifesta un gusto discutibile in materia d’arte e di arredamento, nonostante sapesse reagire in modo
schietto ed autentico alla bellezza di un paesaggio ed alla ricchezza
delle forme naturali.
Insomma, un letterato squisito negato per le arti belle: il contrario
di Charles Baudelaire, per capirci.
D’altra parte non è facile immaginare un uomo più complesso,
animato da una complessa relazione con tutte le declinazioni
della sfera del visivo: dalle pittura alla fotografia, della decorazione all’arredo, dall’illustrazione alla scultura, dall’architettura
alla tecnologia. Un uomo che non esita ad accostare Giotto e
Alma Tadema, Piero di Cosimo e Dante Gabriel Rossetti,
Memling e Okusai.
Il protagonista de Il Piacere, Andrea Sperelli, è un esteta come il barone Des Esseintes, l’abitatore solitario di una
“religione della bellezza” resa celebre nel romanzo A
ritroso di Joris Karl Huysmans - che cerca di incarnare
la massima paterna secondo la quale “bisogna fare la
propria vita come un’opera d’arte”. La prosaicità dell’universo borghese lo indigna, la “qualità” della vita non può
che risiedere in un processo voluttuoso in grado di far
coincidere bellezza ed esistenza. Anche se questa tensione può provocare intime sofferenze.
In ogni caso l’opera di D’Annunzio costituisce un vero e
proprio florilegio di citazioni artistiche (un vecchio studio ne
enumera quasi cinquecento). E dentro c’è davvero di tutto: arte
egizia e minoica, ellenistica ed etrusca, bizantina e romanica,
gotica e rinascimentale. Mario Praz, non meno perfido di
Berenson, si compiace che il “vate” si sia arrestato - o quasi al Cinquecento, immergendo ogni “memoria visiva” nel “miele
dorato del suo stile”.
Un po’ come se per D’Annunzio si trattasse di difendere una
forma di bellezza “inutile e pura”. E questo nonostante non si
possa parla di una vera e propria “estetica” dannunziana. Non
è come Charles Baudelaire o come Edgar Allan Poe: esprime
una fitta rete di pensieri sull’arte, specie negli articoli dedicati a
Michetti, come strumento che tiene la natura come modello o
come veicolo per evocare idee, simboli, manifestazioni filosofiche.
L’arte - e questo ritengo sia di grande interesse anche per questa esposizione che alla figura di D’Annunzio fa in qualche modo riferimento - non è soltanto
manifestazione di una abilità tecnica, ma anche attività autonoma, spontanea, capace di superare ogni artificio. Ispirazione e volontà tecnica che cooperano per trascinare il naturalismo verso una ricerca dell’ “assoluto”, di un “archetipo”,
verso un’espressione unica, verso una perfezione che si potrebbe definire “stile”.
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In fondo è tutto qui, se letto con attenzione, il contenuto del dramma del contemporaneo, incapace di perseguire - secondo alcuni - il fine di una bellezza che si dà
ormai come pallido retaggio di un passato in cui il soggetto dispone di una
visione “sostanziale” dei rapporti fenomenici.
Detto altrimenti: se crolla il concetto di sostanza, allora viene meno
anche il suo correlato, il concetto di apparenza. E dunque la stessa
idea di un “soggetto” capace di ridurre l’immediatezza sensibile in un
sistema di previsioni e di leggi, in grado di pronunciare proposizioni
(sia chiaro, sono proposizioni anche le “opere” d’arte) vere, cioè di
significare o di essere riducibili ai dati dell’osservazione-rappresentazione, entra in crisi.
Insomma, la metafisica del soggetto, la metafisica dell’interpretare come conoscenza del mondo “vero”, collassa.
La nostra relazione con il mondo va riscritta in termini di funzionalità, di uso, non di “riflessione”. Abbiamo a che fare con
un esserci contraddittorio e dinamico ad un tempo e con un
soggetto che è calato in questa dimensione dinamico-contraddittoria. Dunque, come partecipiamo a questo processo? E quali sono le forme di questa partecipazione?
In un contesto simile anche la “verità” non può che
essere “costruita”. Essa è il processo che rende il
mondo formulabile, che dà nome a questo processo.
Essa è una forma di organizzazione del materiale sensibile tale da consentircene l’uso; è una funzione di questo
nostro bisogno. Questo, in fondo, è il Wille zur Macht: una
fondazione e demistificazione del giudizio, grazie alla
quale il soggetto riscopre una propria funzione attiva,
creativa, ma, allo stesso tempo, perde ogni privilegio “prospettico”, ogni primato gnoseologico.
Ed anche la dimensione estetica partecipa di questo tumulto
antimetafisico in cui si esalta la relazione conflittuale e processuale tra interpretazione e “fatti”.
Certo, possiamo anche ignorare questa prospettiva. Pensare
che essa ci consegni al relativismo più cinico ed al nichilismo
più spietato. Possiamo ripristinare la trascendentalità delle
forme ed il ruolo di un’intuizione che è capace di rendere ragione delle sostanze eterne che occorre ritrovare nel mondo.
Possiamo celebrare una religione della bellezza intesa come
fine ultimo dell’operare degli uomini.
Eppure i fanatici nascondono sempre un dubbio inconfessabile.
Ad esempio quello di riflettere sul fatto che le immagini sono composizioni di segni e che i segni, per definizione, sono strumenti per dar
ordine, per strutturare, per fornire delle regole. Regole che hanno un intrinseco valore convenzionale. Regole che, correttamente applicate, possono dare buoni risultati, buone
immagini (non per forza “vere” o non per forza “belle”).
Si può rispondere, poeticamente, che il “bello” è l’instaurazione di una dismisura, un evento che eccede, una sorta di domanda di infinito. Il proble-
ma è chi stabilisce se ci troviamo di fronte a questo evento? Chi decide cosa? Chi parla di
essenze, diceva Wittgenstein, manifesta un profondo bisogno della convenzione, o
forse constata una convenzione. D’altra parte la stessa convenzione richiede di
essere riconosciuta, che ognuno di noi giochi seguendo determinate regole,
che ognuno di noi giochi lo stesso gioco.
Pur nella vaghezza - la dis-misura, l’infinito da inseguire, l’eccedenza da
constatare - si rimane comunque ancorati alla richiesta di individuare
delle regole, che abbiamo la capacità di ordinare e di rendere comprensibile-comunicabile il mondo. Regole che si possano impiegare perché possono fornire buoni risultati. Convenzioni per dare
validità ad un gioco comune.
Allora, oggi, è possibile immaginare un luogo in cui il vigore formale della convenzione sia sottoposto ad una critica radicale?
Uno spazio in cui le regole si moltiplicano fino al punto da rendere problematico e conflittuale il rapporto osservazione-significato?
Forse affrontare la pienezza della dimensione estetica nella
grande confusione delle lingue che si dispiega dopo la “fine
della grandi narrazioni”, all’interno del clima che abbiamo
chiamato post-modernità, significa innanzi tutto rimanere
fedeli ai limiti che il ragionamento sul “bello” si è dato, o
ha riconosciuto. Occorre limitarsi a mostrare, a descrivere: il tema del mutamento delle regole - e dunque del
“gioco” - non può essere affrontato a partire dall’indicazione di una nuova convenzione (è giudicabile “bello”
quanto di conforma ad un codice, ad una normativa che
viene a-priori indicata dal pensiero).
Diversamente si rischia di tradire, in modo superstizioso,
quella facoltà di distinguere che era stata indicata già nella
seconda metà del Seicento. «La bellezza, egregio signore scrive Spinoza nel 1674 in una lettera indirizzata a Boxel -, non
è tanto una qualità dell’oggetto che si contempla, quanto un
effetto prodotto sul contemplante … Alcune cose, che di lontano sono belle, diventano brutte, viste da vicino: onde le cose,
in sé considerate o rispetto a Dio, non sono né belle né brutte». La bellezza non è una qualità che si impone, bensì il frutto di un giudizio: è relativa all’immaginazione.
Insomma, il campo è aperto all’esercizio della critica, che opera
non sulle cause, ma sugli effetti prodotti dall’osservazione delle
cose. Qui ci si può sbizzarrire a piacimento. La posizione della
riflessione filosofica deve, o dovrebbe essere differente.
Il gioco tuttavia non è facile: le posizioni possono essere facilmente confuse. E non per forza volutamente, in modo colpevole e
proditorio. Insomma, confondere le cause con gli effetti è un problema
che è stato più volte affrontato dopo Spinoza e le soluzioni sono molteplici ed in qualche
misura anche lecite. Il fatto è che bisognerebbe essere molto più chiari e conseguenti
in merito alle risoluzioni che intendiamo fornire nel momento in cui parliamo di “bellezza”.
Bruno Bandini
• catalogo d'annunziana
10-10-2013
13:21
Pagina 68
loredana
raciti
E’ nata a Khartoum in Sudan da madre di origini montenegrine e da padre italiano. Dopo gli studi artistici a Roma e
l’Accademia di Moda e Costume lavora come stilista. Entra
nel mondo dell’arte con il movimento Metropolismo. Attratta
dalla Emotion Painting il percorso lavorativo si evolve in una
direzione poliedrica. La sua ricerca è sempre mobile, non
convenzionale. Un Nomadismo aperto a culture lungo l’asse
Oriente-Occidente, sedimento di potenzialità espressive. Il
suo lavoro, informale, astratto, spesso onirico surrealista,
accede a molteplici interazioni creative. Questa visione di uno
stato di Transavance è sfaccettato da tanti frammenti del suo
sentire e vivere l'arte, come fosse un richiamo primario per i
colori dell'anima di un essere vivente. Le sue opere riflettono
una raffinata ironia che conduce ad un sottinteso dialogare
tra il sogno e la realtà. Interrogandosi costantemente sui
misteri della condizione umana sempre scissa tra spirito e
materia.
Desiderando D’Annunzio
tecnica fotografica su tela, 2013
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• catalogo d'annunziana
10-10-2013
13:22
Pagina 80
performances
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• catalogo d'annunziana
dacia
maraini
10-10-2013
13:22
Pagina 86
un sogno teatrale
21 settembre
presentazione dell’ultima opera letteraria di Dacia Maraini
Un sogno teatrale - Rizzoli editore
presentazione Maria Rosaria La Morgia
“Lettere d’amore”: rilettura scenica delle lettere di Gabriele D’Annunzio
a cura di Dacia Maraini
86
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10-10-2013
13:22
Chiuso in tipografia
Arti Grafiche Picene
nel mese di luglio 2013
Tiratura 1.500 copie
Pagina 88
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