MARTEDÌ 19 GENNAIO 2016 Notariato Legge di Stabilità 2016 Le “società benefit” ed i limiti di interpretabilità della norma di Antonio Testa - Notaio in Monza, membro effettivo della Commissione Studi Pubblicistici presso il Consiglio Nazionale del Notariato La legge di Stabilità per il 2016 (Legge 28 dicembre 2015 n. 208) si occupa, ai commi dal 378 al 382 dell’articolo unico, di disciplinare l’esercizio di una particolare attività sociale che, accanto alla presenza di uno scopo lucrativo, naturalmente immanente a tutti i tipi sociali di natura commerciale, intenda perseguire specifiche finalità a beneficio dell’intera collettività. E’ evidente come l’intervento normativo, al di là di una genericità che comporta il sollevarsi di non poche problematiche, soprattutto con riguardo ad un esatto e coerente “dimensionamento” dell’oggetto sociale, si inserisce, invero, in un disegno normativo che da alcun tempo sembra avere assunto la tendenza a scardinare la natura tipica della fattispecie societaria, intendendo assicurare, nonostante l’immanente presenza delle peculiarità lucrative, la possibilità di una digressione sul cosiddetto “scopo-fine”, consentendo in tal modo strane commistioni tra le finalità tipicamente commerciali che devono riconoscersi al tipo sociale e finalità, per così dire, “sociali” che possano trarsi a vantaggio della collettività. Non pare che tali tendenze innovative traggano un effettivo spunto da nuove vocazioni imprenditoriali le quali, per loro stessa natura, come da tradizione, non possono che essere legate a forme capitalistiche di pensiero, magari mitigate da certo liberismo economico illuminato. Piuttosto la sensazione che se ne trae è quella di un legislatore particolarmente attento a certe istanze sociali, assolutamente degne di ogni considerazione, ma che stenta poi a trovare moduli strutturali giuridici assolutamente nuovi che siano effettivamente coerenti con scopi socialmente rilevanti per l’intera collettività. Il pensiero, sotto questo aspetto, va immediatamente alle già discutibili forme delle Società sportive dilettantistiche che, ricoprendo la struttura tipica di una società di capitali a scopo lucrativo, assumono diverse attinenze, di fatto, con lo scopo naturalmente immanente alle società cooperative e alle società mutualistiche. Analogamente non può negarsi una naturale similitudine con la fattispecie della “Impresa sociale” di cui al D.Lgs. 24 marzo 2006 n. 155 per la quale, tuttavia, è esplicitamente prevista una particolare destinazione degli utili conseguiti e degli avanzi di gestione che possono esclusivamente essere investiti ad incremento del patrimonio o nello svolgimento dell’attività statutaria, ma non possono formare oggetto di distribuzione di dividendi, nemmeno sotto forme indirette. Sebbene, con la previsione delle società “benefit”, non si sia giunto fino al limite estremo (indicato dalla normativa sulle società sportive dilettantistiche e sulle “Imprese sociali”) di impedire, sotto qualsiasi forma, la distribuzione di utili, sia in forma diretta, che indiretta, è ovvio come l’attenzione dell’interprete debba concentrarsi, a proposito delle società “benefit”, sull’effettivo ruolo riconoscibile al lucro Copyright Wolters Kluwer Italia © Riproduzione riservata oggettivo che naturalmente connatura la struttura societaria tipica delle società commerciali, in modo da indovinare gli esatti perimetri entro i quali possa essere riconosciuta questa nuova, strana, tipologia societaria. Essa, certamente, si inserisce nel nuovissimo filone del cd. “Terzo settore” per il quale lungimiranti vedute del legislatore indirizzate alla tutela di un concetto civilistico di “interesse diffuso”, stenta, tuttavia, ad avviso di scrive, a trovare solide e concrete basi che possano davvero riferirsi al perseguimento di concreti interessi della collettività, sia attraverso l’utilizzo di organizzazioni ufficialmente “non profit”, sia con il ricorso a strane strutturazioni che assumono discutibili commistioni con lo scopo del profitto, ma ove tale scopo viene calmierato da vincoli, più o meno intensi, che conducono al “low profit”. Al di là degli aspetti interpretativi che occorre dedicare alla normativa in discorso, è opportuno anzitutto eliminare alcuni dubbi di principio. E, sotto questa ottica, occorre immediatamente chiarire come, in primo luogo, la previsione normativa non abbia determinato la nascita di un nuovo “tipo sociale”. Le società “benefit”, infatti, per espressa disposizione legislativa, possono essere costituite attraverso l’utilizzo di uno dei tipi previsti dal Libro V, titoli V e VI del Codice Civile, e quindi ricoprire uno dei tipi previsti per le società commerciali (di persone o di capitali), per le società cooperative e per le società mutualistiche di assicurazione. In secondo luogo, al contrario di ciò che accade per le Società sportive dilettantistiche, non sono previsti benefici particolari, né in termini fiscali-tributari, né in termini di deroghe alle norme di diritto sostanziale. Di guisa che, una volta scelto il tipo sociale che più si conformi alle esigenze esplicitate dalla compagine sociale, anche le società “benefit” dovranno seguire la disciplina tipica del tipo sociale prescelto ed essere sottoposte alla normativa fiscale e tributaria che tipicamente riguardi il tipo. Dal punto di vista operativo, poi, a parte la previsione che, nella denominazione o nella ragione sociale, tali società hanno facoltà di introdurre le parole “Società benefit” o l’abbreviazione “SB”, utilizzando tale specifica denominazione nei titoli eventualmente emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi, non si riscontrano peculiari presupposti, né di capitale minimo, né in termini di specifiche competenze da doversi riconoscere in capo ai componenti degli organi di gestione, né, tanto meno, in 13 MARTEDÌ 19 GENNAIO 2016 termini di eventuali riserve di legge o di caratteristiche particolari richieste in capo ai soci o in capo ai rappresentanti legali della società. Sicché, per quanto appare da una prima valutazione dell’impatto normativo, l’unica peculiarità da rispettare nell’affrontare la costituzione di una società “benefit” è quella che si ricollega alla strutturazione dell’oggetto sociale e alla sua esplicitazione in termini letterali. Qui è il caso che l’operatore del diritto presti più di una certa attenzione in quanto la società che debba qualificarsi come “società benefit” deve avere un oggetto sociale ove si indichi, accanto allo scopo-mezzo necessario al perseguimento del lucro, la specifica finalità di beneficio comune che la società intende conseguire mediante la propria attività. Lo statuto, poi, provvederà ad individuare il soggetto o i soggetti (verosimilmente coincidenti con coloro che ricoprono la carica di amministratori) a cui spetti il compito di essere affidatari delle specifiche funzioni che dovranno consentire il perseguimento delle finalità sociali per le quali la società si è attribuita la qualifica di “società benefit”. In tal modo, dal quadro sin qui fatto, è chiaro ed evidente come la caratteristica della “società benefit” è collegata ad una precisa individuazione della finalità benefica contenuta nell’oggetto sociale e, quindi, nell’attribuzione di una specifica responsabilità dell’organo amministrativo che è chiamato a rispondere, secondo la disciplina tipica relativa alla responsabilità degli amministratori, non solo di atti di “mala gestio” che possano arrecare danno alla società medesima e quindi alla compagine sociale che la componga, ma anche di una condotta che possa dirsi scriteriata rispetto alle finalità sociali che, accanto a quelle lucrative, siano previste dall’oggetto sociale. Sotto questo profilo, è evidente come la previsione di una società “benefit” abbia aggiunto una ulteriore valenza all’oggetto sociale che, più volte bistrattato sotto l’aspetto delle presunte limitazioni che esso imponga all’attività della società e sotto l’aspetto della congruenza del capitale impiegato per il raggiungimento dello scopo-mezzo, sembra assumere, al cospetto di tale nuova figura societaria, una speciale rilevanza con riferimento al necessario bilanciamento da conseguire tra l’interesse dei soci ed il perseguimento delle finalità di beneficio comune. Dimodoché, l’eventuale inosservanza dei limiti dell’oggetto sociale da parte degli organi deputati alla gestione della società, non solo potrà determinare un danno sociale interno (inteso come danno nei confronti degli interessi della società stessa che conduce ad una responsabilità meramente interna dell’organo di gestione nei confronti della società, attivabile con l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministrazione), ma, altresì, ad un nuovo spazio di responsabilità dell’amministratore il quale, non avendo ottemperato all’osservanza degli obblighi connessi alla finalità di tutela di interessi comuni che la società intendeva perseguire, ha di fatto realizzato anche un danno esterno nei confronti dei terzi destinatari, in origine, dei benefici derivanti dall’attività di beneficio sociale che la società si era ripromessa di conseguire. Anche se, in mancanza di validi strumenti normativi Copyright Wolters Kluwer Italia © Riproduzione riservata che possano consentire un’azione di responsabilità attivata dal terzo, si può immaginare come lo sforzo di coerenza che dovrebbe porsi in capo all’organo amministrativo in queste peculiari figure societarie, rischia di restare piuttosto annacquato dalla necessaria mediazione discendente dalla necessità che l’azione di responsabilità debba comunque avere l’input iniziale a cura e a volontà dei soci. Tutto quanto precede porta alla necessità di individuare esattamente nell’oggetto sociale lo specifico fine benefico che, accanto a quello lucrativo, è perseguito dall’ente societario. La norma, sul punto, risulta alquanto generica, limitandosi a descrivere uno scopo che sia genericamente orientato ad operazioni, atti ed attività che in modo responsabile, sostenibile e trasparente, consentano di arrecare beneficio a favore di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti ed associazioni ed altri portatori di interesse. In assenza di tratti caratteristici del beneficio comune che siano stati esattamente delineati dal legislatore, la novella assume tutto il solito conosciuto sapore di una “boutade” normativa orientata al perseguimento del fine esclusivo di captare populisticamente il favore della collettività al cospetto di trovate politiche che, di fatto, si limitano ad una inutile auto-referenziabilità. Ma il danno concretamente deducibile da una tale novella è quello di un inutile e quanto mai dubbio incedere terminologico che sarà riservato a certi oggetti sociali i quali, poi, alla luce di una concreta e realistica interpretazione del loro significato, non mancheranno di esporre il notaio rogante (e, lo si ricordi, omologante) l’atto costitutivo della società, a possibili, potenziali, responsabilità per i casi di un (presunto) non esatto svolgimento della funzione di adeguamento o, piuttosto, di un altrettanto presunto svolgimento della propria funzione di adeguamento oltre i limiti normativi consentiti. Come non ricordare, a tal proposito, e a tacer d’altro, la recente cronaca legata agli atti di vincolo di destinazione di cui all’art. 2645-ter C.C., che, in analogia a quanto previsto dalla novella sulle società “benefit” erano nati con l’evidente scopo di realizzare “interessi diffusi” meritevoli di tutela ma che, mancando di una precisa e puntuale circoscrizione di tali interessi, normativamente determinata, hanno prestato il fianco ad impavide distrazioni delle loro finalità, con conseguenze spesso aberranti che hanno condotto, di poi, il legislatore a dover intervenire con assunzioni di posizioni altrettanto discutibili le quali, per l’evidente ragione di dover difendere preminentemente l’interesse del terzo alla luce della norma di cui all’art. 2740 C.C., hanno portato alla luce norme (come quella del novello art. 2929-bis C.C.) capaci di sopprimere - di fatto - l’originario interesse diffuso che la norma sui vincoli di destinazione si era curata di tutelare. In conclusione, al di là di considerazioni che rappresentano il rischio di scadere in disquisizioni lontane da problematiche tecnico-giuridiche, la sensazione è quella di avere comunque a che fare con una disciplina poco organica e di sicura difficile applicabilità pratica laddove - come si è avuto modo di verificare - la genericità della norma sulle finalità sociali perseguibili non consente l’approntamento di 14 MARTEDÌ 19 GENNAIO 2016 un oggetto sociale capace di resistere alle “intemperie” che potrebbero scatenarsi al cospetto di situazioni societarie di dubbia interpretabilità. A meno che, come sembrerebbe essere l’interpretazione della “ratio” più consona al dettato normativo, attraverso la creazione di una società “benefit”, il legislatore non abbia inteso aprire un varco ufficiale a talune istanze di mecenatismo illuminato derivanti da alcuni imprenditori i quali, nello svolgimento della propria attività lucrativa d’impresa, assumono, nel contempo, l’obbligo ufficiale di destinare (volontariamente, e non in base a disposizioni coercitive di legge) una parte dei profitti, in via diretta o indiretta, all’esecuzione di un disegno che persegua effetti positivi nei confronti di categorie di persone, enti, collettività specificamente indicate, ambiti territoriali, attività culturali e sociali, enti od associazioni. Alla luce di tali istanze, allora, si potrebbe tentare, al fine di consentire un primo input operativo, di realizzare un oggetto sociale-tipo, idoneo a soddisfare l’interesse socialmente utile e, nel contempo, il rispetto della disciplina attualmente a disposizione. Esempio di oggetto sociale di “società benefit” La società ha per oggetto lo svolgimento delle attività di: - realizzazione di giardini pubblici e privati, di aree ornamentali a verde; - coltivazione, manutenzione, cura, di: ville, parchi, giardini privati e pubblici, giardini pensili, aree di verde attrezzato; - potatura, taglio e tagli artistici di piante, alberi di basso ed alto fusto, coltivazioni intensive ed estensive. Copyright Wolters Kluwer Italia © Riproduzione riservata La società, nel perseguimento del proprio scopo lucrativo attraverso lo svolgimento delle suddette attività, si prefigge altresì, in qualità di “società benefit”, di attuare, mediante operazioni, atti ed attività, che devono essere condotti con i criteri della trasparenza, responsabilità degli agenti, sostenibilità, l’ulteriore scopo, socialmente orientato, per la tutela e la salvaguardia del territorio e dell’ambiente che fa capo alla Comunità Montana denominata “...”. A tal fine le decisioni degli amministratori, ai quali è altresì affidato il compito di bilanciare gli interessi dei soci con il perseguimento delle finalità di beneficio comune anzidette, dovranno essere orientate nel rispetto anche degli obblighi che siano coerenti con lo sviluppo e con il perseguimento del benefit sopra citato. La società, al fine di conseguire il proprio oggetto, e quindi in via strumentale al perseguimento dello stesso, potrà altresì compiere tutte le operazioni commerciali, industriali ed immobiliari e, sia pure in via non prevalente ma del tutto accessoria e strumentale e comunque con espressa esclusione di qualsiasi attività svolta “da e nei confronti del pubblico”, operazioni finanziarie e mobiliari, potrà aprire conti correnti e contrarre mutui dal lato passivo, concedere fidejussioni con limiti massimi di garanzia prestabiliti, avalli, garanzie anche reali a favore di chiunque, sia nell’interesse proprio che di terzi, nonché assumere, allo scopo di stabile investimento e non al fine del collocamento presso il pubblico, sia direttamente che indirettamente, interessenze, quote di partecipazione, in altre società italiane od estere costituite o costituende, aventi scopi affini o analoghi al proprio, sempreché, per la misura e per l’oggetto della partecipazione, non risulti - di fatto - modificato l’oggetto sociale sopraesposto. 15