30. Interpretazione e integrazione (schema lezione)

30. Interpretazione e integrazione (schema lezione)
INTERPRETAZIONE E INTEGRAZIONE
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO
NOZIONE: operazione diretta a ricostruire il significato del contratto, necessaria
per individuare gli effetti che dal contratto medesimo possono derivare.
Il legislatore pone una serie di criteri interpretativi (art. 1362 – 1371), rivolti tanto
alle parti quanto al giudice, alla luce dei quali questa operazione deve essere
condotta. Le disposizioni sull’interpretazione del contratto sono norme di legge la
cui inosservanza da parte del Giudice di merito rende la sentenza impugnabile
attraverso ricorso per Cassazione.
Si è già chiarito che le norme interpretative mirano ad attribuire un significato alle
parole ed ai comportamenti attraverso cui le parti hanno manifestato la loro volontà
contrattuale. In questo senso, le suddette norme vengono tradizionalmente distinte
in due classi:
Art. 1362 – 1365: regole di interpretazione soggettiva. Mirano a ricostruire la
comune intenzione dei contraenti: a determinare cioè il significato che le
parti hanno voluto attribuire a quel contratto.
Art. 1367 – 1371: regole di interpretazione oggettiva. Allorquando non è
possibile ricostruire il significato che il contratto ha assunto per le parti, le
disposizioni in questione attribuiscono al regolamento negoziale un
significato che le legge ritiene obiettivamente congruo.
PRINCIPIO DI GERARCHIA: le norme sull’interpretazione oggettiva trovano
applicazione solamente quando, attraverso i principi che governano
l’interpretazione soggettiva, non è possibile ricostruire l’effettiva volontà degli
stipulanti.
INTERPRETAZIONE SOGGETTIVA: art. 1362: nell’interpretare il contratto si
deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al
significato letterale delle parole. Il testo contrattuale costituisce il punto di partenza
da cui l’interprete deve muovere per ricostruire il significato che i contraenti hanno
inteso attribuire al regolamento negoziale, ciò malgrado egli deve tenere conto
anche di altri elementi: tra questi, si segnala in particolare la condotta tenuta tanto
in fase di trattative quanto durante l’esecuzione del contratto (art. 1362, comma 2).
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IRRILEVANZA DEL PRINCIPIO IN CLARIS NON FIT INTERPRETATIO : non si
può affermare che un testo contrattuale chiaro e incontrovertibile non possa
costituire oggetto di interpretazione. A quel negozio si dovrà attribuire il significato
che emerge limpidamente dalla manifestazione della volontà degli stipulanti, ma
l’individuazione di questo significato costituisce comunque il risultato di una
attività interpretativa.
INTERPRETAZIONE OGGETTIVA: allorquando non è possibile ricostruire la
comune intenzione delle parti, il legislatore, tramite le regole di interpretazione
oggettiva, individua il significato che l’ordinamento ritiene congruo per il negozio
in questione.
Tra i criteri di interpretazione oggettiva, particolare importanza assume il disposto
dell’art. 1367, ispirato al generale principio di conservazione del contratto. Nel caso
in cui risulti controverso il significato dell’intero contratto o di alcune clausole
inserite nel regolamento contrattuale, il contratto o le clausole devono interpretarsi
nel senso i cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne
avrebbero alcuno.
INTERPRETAZIONE DI BUONA FEDE (ART. 1366 C.C.): la norma in esame
rappresenta il “punto di sutura” tra le regole di interpretazione soggettiva e quelle
di interpretazione oggettiva. In linea generale, impone a ciascuno tra i contraenti di
tenere, anche nella fase di interpretazione del negozio, una condotta ispirata ai
canoni di correttezza e lealtà. Di conseguenza, tale disposizione preclude alle parti
di ricorrere ad interpretazioni cavillose ed irragionevoli del testo contrattuale,
dirette ad attribuire al negozio un significato diverso da quello su cui l’altro
contraente aveva ragionevolmente fatto affidamento.
INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO
Il contratto è tradizionalmente definito come un atto di autonomia privata:
attraverso l’accordo, le parti scelgono infatti liberamente di vincolarsi ad un
determinato regolamento negoziale per disciplinare i loro reciproci interessi in base
ai principi contenuti nel regolamento in questione.
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Tuttavia, tali principi non costituiscono esclusivamente il prodotto della volontà
degli stipulanti: l’art. 1374 statuisce infatti che il contratto obbliga le parti non solo a
quanto è nel medesimo espresso (cioè, a quanto le medesime parti hanno
convenzionalmente stabilito), ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano
secondo la legge, gli usi o l’equità. La legge, gli usi e l’equità possono cioè
concorrere a determinare il contenuto della lex contractus, operando quali fonti di
integrazione del negozio giuridico.
Esistono due diverse forme di integrazione del contratto: l’integrazione suppletiva
e l’integrazione cogente.
INTEGRAZIONE SUPPLETIVA
Tende a coprire le eventuali lacune presenti nella disciplina pattizia elaborata dalle
parti (Roppo: integrazione suppletiva come “amica” dell’autonomia privata):
qualora i contraenti abbiano cioè omesso di regolare un determinato aspetto del loro
rapporto, la disciplina di tale aspetto del rapporto viene individuata attraverso il
ricorso ad una fonte eteronoma.
Operano quali fonti di intergrazione suppletiva del contratto:
1) La legge, attraverso quelle disposizioni qualificate come norme dispositive o
derogabili. Si tratta cioè di norme destinate a trovare applicazione solamente
qualora gli stipulanti non abbiano disposto diversamente (v. art. 1498 c.c. in
tema di pagamento del prezzo nella compravendita).
2) Gli usi, così intendendosi gli usi normativi di cui all’art. 8 disp. prel. La norma
consuetudinaria viene applicata solo se la lacuna del regolamento contrattuale
non può essere colmata attraverso il ricorso ad una noma di legge.
3) L’equità. Qualora la carenza presente nel contenuto del negozio non possa
essere superata attraverso il ricorso ad una disposizione di legge o ad una norma
consuetudinaria, spetterà al giudice concorrere a determinare la lex contractus
attraverso una valutazione equitativa, ispirata cioè al criterio della giustizia del
caso singolo.
Es.: periodo di comporto. Può spettare al giudice il compito di individuare la
durata del periodo di assenza per malattia del lavoratore che il datore di lavoro è
tenuto a sopportare prima di poter procedere all’interruzione del rapporto di
lavoro.
In certi casi, poi, è la stessa legge a demandare al giudice il compito di stabilire in
via equitativa determinati aspetti del regolamento contrattuale (v. art. 1384,
riduzione della penale manifestamente eccessiva; art. 1525 (equo compenso
spettante al venditore con patto di riservato dominio).
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INTEGRAZIONE COGENTE: Alle norme dispositive o derogabili si
contrappongono le norme imperative o inderogabili, così definendosi quelle
disposizioni – stabilite dal legislatore a tutela di un interesse generale – a cui i
privati devono conformarsi nell’esercizio dell’autonomia privata ad essi
riconosciuta. Se una regola convenzionale viola una norma imperativa, la regola
pattizia deve considerarsi nulla e viene sostituita automaticamente dal principio
contenuto nella norma imperativa. La nullità della suddetta regola convenzionale
non determina la nullità dell’intero contratto (art. 1339 e 1419 comma 2). Es.: art.
1500, sul prezzo di riscatto; art. 1501, relativo al termine per l’esercizio del riscatto.
INTEGRAZIONE SECONDO BUONA FEDE: art. 1375. La buona fede opera quale
fonte di integrazione del contratto imponendo a ciascuna tra le parti, al di là di
quanto espressamente previsto dal negozio e fermo restando il limite
dell’apprezzabile sacrificio, l’obbligo di porre in essere tutte le attività necessarie per
consentire all’altro contraente la realizzazione dell’interesse a cui quest’ultimo
aspira attraverso la stipulazione (Es: dovere di cooperazione; dovere di modifica
della propria prestazione; dovere di sopportare lievi inesattezza nella prestazione di
controparte).
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