Dossier N.13
EPATITE C
RUOLO DELLA PREDISPOSIZIONE GENETICA
NELLA GUARIGIONE SPONTANEA,
NELL’EFFICACIA DEL TRATTAMENTO
E NELLE DIFFERENZE ETNICHE
Prof. Gaetano Idéo
Dossier N. 13
Marzo 2011
INTRODUZIONE VIE DI TRASMISSIONE
IL VIRUS
QUADRO CLINICO
DIAGNOSI
4
5
6
7
10
TERAPIA
13
Effetti collaterali dell’interferone e ribavirina 15
FATTORI PREDITTIVI 16
CONCLUSIONI
20
BIBLIOGRAFIA
22
3
INTRODUZIONE
Introduzione
L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) è la
principale causa delle malattie croniche di fegato, inclusa la cirrosi e il carcinoma epatico ed è
il motivo più frequente di trapianto epatico nel
mondo occidentale (1-3).
Nel passato veniva indicata come epatite da
virus nonA, nonB e la diagnosi era formulata
per esclusione degli altri virus conosciuti.
L‘esistenza di questo virus era stata ipotizzata
intorno alla metà degli anni ’70; tuttavia solo
nel 1989 si è reso disponibile un test specifico
per valutare la presenza nel sangue degli anticorpi contro questo nuovo virus (4).
Nel mondo ci sono circa 170 milioni di persone
infettate dall’HCV (5-7).
Fig. 1: Distribuzione geografica dell’epatite da HCV
4
VIE DI TRASMISSIONE
40
Di Stefano, 2002 (Sicilia)
35
Le nazioni con la maggiore prevalenza (da 9% a più di 20%) sono
l’Egitto, l’Africa Sub-sahariana
(Camerun, Burundi e Gabon),
Taiwan, la Mongolia e il Pakistan.
Gli indici di prevalenza osservati
negli USA, in Canada e Australia
sono rispettivamente 1,6%, 0,8%
e 1,1%. Nell‘Europa dell‘Est, in
donatori di sangue, la percentuale
di infezione varia tra lo 0,7% e il
Guadagnino, 1987 (Calabria)
Osella, 1997 (Puglia)
Rafaele, 2001 (Abruzzo)
30
25
20
Majo, 2000 (Campania)
Pendino, 2005 (Calabria)
15
Lovisetti, 1998 (Sardegna)
Stroffolini, 1995 (Lazio)
10
Bellentani, 1998 (Emilia + Friuli)
5
0
4,9%. Nell‘Europa occidentale,
1980-89
nella popolazione generale, la
prevalenza dell’HCV varia tra lo
0,6% della Germania e della
Norvegia, lo 0,7% in Inghilterra e l’1,1% in Francia
e l’1-2% in Spagna.
Mazzeo, 2003 (Emilia-Romagna)
Condill, 2002 (Lazio)
1970-79
In Italia il numero di portatori viremici di HCV è circa
1.500.000 (3% della popolazione). Questi dati
sono stati ottenuti con studi di prevalenza condotti in
differenti aree (8,9-19). La maggior parte delle persone infette hanno più di 50 anni; inoltre c’è
un’evidente maggiore presenza nelle regioni del Sud
e nelle Isole (Sicilia e Sardegna) rispetto al Centro
Italia e al Nord (fig. 1).
L’incidenza di tale infezione è notevolmente ridotta
negli ultimi 20 anni nella maggior parte delle nazioni dell’Ovest; tuttavia la prevalenza di malattie epatiche severe correlate a questo virus è in aumento.
Questo fatto è dovuto alla grande diffusione nel
passato di epatite C e il lungo tempo (generalmente
più di 20-30 anni) tra l’inizio dell’infezione e le manifestazioni cliniche di malattia avanzata.
In Italia i più alti numeri di contagi avvennero negli
anni ’50 e ’60, principalmente dovuti al largo uso e
abuso di impiego di siringhe di vetro non sempre
sterilizzate a dovere; in altre nazioni, invece, come
per esempio negli Stati Uniti, la maggior parte dei
casi si sono infettati molto più tardivamente, soprattutto in relazione all’uso di droghe per via endovenosa.
1960-69
1950 -59
1940 -49
1930-39 1920 -29
Fig. 1: Prevalenza di HCVRNA positivo in varie
regioni italiane, in relazione agli anni di nascita.
Grafico ripreso da Mele et al. (8)
Vie di trasmissione
La principale è quella sanguigna o percutanea (punture con aghi contaminati, tatuaggi, agopuntura,
piercing ecc. e fino al 1990 molto frequentemente
attraverso le trasfusioni di sangue o di emoderivati).
Categorie a rischio sono, o sono stati, gli emofilici, i
tossicodipendenti, gli emodializzati e persone che
richiedono contatti con sangue umano come i lavoratori per l’emergenza, gli infermieri, ecc. Assai più
rara la via sessuale o alla nascita da madre portatrice del virus. L’incidenza della comparsa del virus
dopo puntura accidentale varia dallo 0 al 10%.
La trasfusione di sangue responsabile fino a 20 anni
fa di oltre l‘80% dei casi oggi lo è solo in minima
percentuale ed è destinata quasi ad annullarsi con
l‘introduzione della determinazione dell‘HCVRNA nel
sangue del donatore.
5
IL VIRUS
Il virus
Il virus dell’epatite C ha un diametro di 30-60 nm
con un involucro lipoproteico contenente RNA a
singola elica di circa 10.000 basi, appartiene alla
famiglia delle flaviviridae ed è il solo membro del
genere epacivirus (20,21). Il virus codifica una sola
poliproteina di circa 3000 aminoacidi (22) che
viene poi suddivisa in molti peptidi strutturali e non
strutturali. Le componenti strutturali consistono nel core
(C ) e due glicoproteine di superficie (Envelope, E1
ed E2) oltre che in proteine non strutturali nominate
NS1, NS2, NS3, NS4, NS5. La figura 2 illustra
schematicamente il genoma del virus.
Campioni di siero con alte concentrazioni di virus
tenute a temperatura ambiente diventano HCVRNA
negativi dopo 5 giorni (24).
Il genoma del virus si modifica frequentemente; il
risultato è che nel siero l’HCV circola non come
un’unica specie ma come una popolazione di quasispecie, in cui i genomi virali differiscono nella sequenza nucleotidica dall’1% al 5% (25). La diversità
delle quasispecie può essere una delle cause
dell’alta percentuale di cronicizzazione della malattia e può contribuire alla resistenza immunologia, in
quanto le proteine della superficie cambiano rapidamente in risposta alla pressione del sistema immune.
Non esistono sistemi di coltura per l’HCV né si
possono infettare con il virus
piccoli animali.
Regioni 3‘
non codificanti
Regioni 5‘
non codificanti
C
E1
E2/
NS1
NS2
NS3
NS4
Proteine ricombinanti diagnostiche
NS5
La diagnosi sierologica è
basata sulla determinazione
di: AntiHCV, HCVRNA qualitativo e quantitativo, genotipi
dell’HCV.
AntiHCV
Si utilizza un test immunoen5.1.1
zimatico (EIA), che risulta
c22-3
c33c
c100-3
NS5
positivo o negativo. Nei casi
c200
dubbi si impiega il test RIBA
(Riverse Immunoblot Assay)
Genoma del virus dell‘epatite C
che evidenzia anticorpi contro
varie componenti del virus.
Fig. 2: Schema del genoma del virus dell’epatite C.
Viene considerato positivo quando sono presenti
almeno due anticorpi; nel caso di presenza di un
solo anticorpo il test è definito indeterminato. E’ comunque consigliabile usare come test di conferma
Il virus dell’epatite C replica nel citoplasma degli
direttamente la ricerca dell’HCVRNA sierico.
epatociti e la produzione di virus è assai elevata;
HCVRNA
ogni giorno si producono da 1010 a 1012 virioni;
Si ricerca la sua presenza o assenza (HCVRNA
esiste anche un rapido tournover del virus con un
qualitativo) e la sua quantità nel sangue (HCVRNA
tempo di dimezzamento di circa 150 minuti (23).
quantitativo). Quest’ultima determinazione ha imporIl virus è inattivato al calore secco a 60°C, dalla
tanza in campo terapeutico, in quanto esiste una
formalina, dal cloroformio e dai solventi organici.
correlazione inversa tra la viremia e la risposta al
6
QUADRO CLINICO
Genotipi dell‘HCV
Il virus dell‘epatite C non è omogeneo, ma a causa
delle differenti mutazioni si riconoscono almeno 6
genotipi principali, ognuno dei quali comprende vari
sottotipi (oltre 50) che a loro volta sono costituiti da
numerosissime varianti (isolati e quasispecie). La
tabella 1 riporta l’eterogeneità del virus dell’epatite
C (26).
Nome
Variazione della
sequenza nucleotidica
Genotipi
30- 50%
Sottotipi
15 - 29%
Isolati
5 -14%
Quasispecie
1- 4%
Tabella 1: Eterogeneità dell’HCV
I genotipi, seguendo la classificazione di Simmonds
sono numerati dall‘1 al 6; hanno in comune almeno
il 50% del genoma. I sottotipi (classificati in a,b,c
ecc) hanno in comune il 70-85% del genoma, men­
tre isolati e le quasispecie differiscono fra loro in
misura minore.
Esiste una differente distribuzione geografica dei
genotipi; così nel mondo occidentale sono più frequenti l‘1, il 2, il 3 (in particolare 1a, 1b, 2a,2b,
2c, 3a). Il genotipo 1 è il più comune negli Stati
Uniti d’America e nel nord Europa, l’1b ha una distribuzione mondiale ed è il più comune, anche il 2a e
2b si ritrovano dovunque e sono particolarmente
dimostrabili nel Giappone e nell’Italia del nord. Il
genotipo 3 è assai frequente in India ed è stato
introdotto negli anni ’60-’70 negli Stati Uniti ed Europa, assai verosimilmente attraverso la diffusione delle
droghe per via endovenosa.
Nel Nord Africa prevale il genotipo 4, mentre il
genotipo 5 prevale nel Sud Africa e il genotipo 6
nell‘Estremo Oriente.
L’importanza della determinazione del genotipo
risiede nel fatto che rispondono differentemente alla
terapia: migliore risposta si ottiene con i genotipi 2 e
3 (27). Inoltre nei soggetti con genotipo 3 si evidenzia molto più frequentemente steatosi epatica alla
biopsia; tale steatosi regredisce se il virus viene eliminato (28).
Quadro clinico
Il rapporto fra infezione asintomatica e sintomatica è
assai elevato (15-20:1).
a) Forme acute
Il periodo di incubazione varia da 2 a 16 settimane,
raramente fino a 30.
Epatite acuta: in oltre il 90% dei casi decorre senza
sintomi e solo in una piccola percentuale il paziente
presenta ittero, notevole astenia, disturbi digestivi,
febbre, nausea, vomito, ecc. In rari casi può comparire anemia aplastica, pancreatite, agranulocitosi.
L’HCVRNA compare entro due settimane
dall’esposizione, mentre l’anti-HCV è più tardivo
evidenziandosi circa 50 giorni dopo l’esposizione,
in corrispondenza con l’aumento delle transaminasi.
Nell‘80% dei casi il virus non viene eliminato. La
guarigione avviene più frequentemente nelle forme
sintomatiche, nei soggetti giovani e di sesso femminile. La fig. 3 mostra un quadro di epatite acuta cronicizzata.
Tempo dopo l‘esposizione
Sintomi
anti-HCV
livelli ALT
trattamento, soprattutto per il genotipo 1. Non esiste
invece alcun rapporto fra viremia ed evolutività della
forma.
HCVRNA
0
1
2
3
Mesi
4
5
6
1
2
3
Anni
4
5
6
Fig. 3: Epatite acuta cronicizzata.
7
Epatite fulminante: nella quale il fegato può venire
completamente distrutto e porta spesso a morte il paziente nel giro di pochi giorni se non viene eseguito
un trapianto urgente. E‘ assai rara, con relativa maggiore frequenza nei soggetti in età matura.
b) Forme croniche
Se il soggetto non elimina il virus entro 6 mesi
dall‘infezione è da considerare cronicamente infetto.
Epatite cronica asintomatica: è la più frequente. La
diagnosi viene posta per caso, in quanto ad un esame eseguito per varie ragioni (chek-up, assicurazione
ecc) vengono riscontrate le transaminasi elevate e la
positività dell‘anti-HCV.
Epatite cronica sintomatica: il sintomo più frequente è
l‘astenia; raramente è presente dispepsia e febbricola. In corso di importante riattivazione della malattia
può comparire subittero o ittero.
Anche nelle forme evolute in cirrosi molti soggetti sono
asintomatici e la malattia può rivelarsi con la comparsa di una complicazione come l’ascite, un’emorragia
digestiva o l’epatocarcinoma.
Obiettivamente si riscontra epatomegalia e nelle forme più avanzate splenomegalia, presenza di spider
nevi, ecc.
Le transaminasi possono essere costantemente aumentate con valori simili, più o meno elevati oppure si può
assistere a saltuarie importanti riaccensioni con transaminasi che da quasi normali si incrementano di 10-20
volte per poi ridiscendere nel giro di qualche settimana o mese. Queste riacutizzazioni provocano rapidi
peggioramenti della malattia epatica con comparsa
di cirrosi in tempi relativamente brevi. E’ stato osservato che tale comportamento avviene soprattutto in pa­
zienti portatori del genotipo 2.
Il virus dell’epatite C è ritenuto responsabile di varie
altre patologie interessanti organi al di fuori del fegato
(tabella 2). Alcune sono dimostrate con certezza,
mentre altre possono essere associazioni fortuite La
più frequente e accertata è la comparsa di crioglobu8
line che sono immunocomplessi costituiti dall’antigene
virale, i rispettivi anticorpi, immunoglobuline, fattore
reumatoide e complemento.
La presenza di crioglobuline è assai frequente
nell’epatite C (30-40% dei casi): usualmente è asintomatica; in circa il 2% dei soggetti le crioglobuline precipitano nei piccoli vasi sanguigni di differenti distretti
causando:
a) artralgie
b) sindrome di Raynaud
c) c omparsa di petecchie soprattutto agli arti inferiori
(per l’occlusione dei piccoli vasi sottocutanei)
d) neuropatie per occlusione dei vasa nervorum
e) glomerulopatie per occlusione dei vasi glomerulari.
L‘eliminazione del virus è seguita generalmente dalla
scomparsa delle crioglobuline e dalla risoluzione della sindrome vasculitica, con l’eccezione della neuropatia e, se già presente, dell’insufficienza renale che
generalmente persistono.
Patologie
Evidenza
dell‘associazione
Crioglobulinemia mista
+++
Porfiria cutanea tarda
+
Lichen planus
+
Sindrome Sicca
+
Linfoma a basso grado di
malignità
+
-
Tiroidite autoimmune
+
-
Anemia aplastica
?
Poliarterite nodosa
?
Eritema nodoso
?
Fibrosi polmonare idiopatica
?
Tabella 2: Patologie associate all’infezione da HCV
Evoluzione
L’evoluzione della malattia è assai variabile ed è in­
fluenzata anche dalle caratteristiche e dalle abitudini
dell’ospite. I fattori più frequentemente associati alla
rapidità di evoluzione dell’epatite verso la fibrosi e la
cirrosi epatica sono:
• Fattori genetici (29)
• Infezione acquisita in età avanzata (30)
• Sesso maschile (30,31)
• Razza nera (32)
• Coinfezione HBV (33)
• Coinfezione HIV (34)
• Schistosomiasi (35)
• Steatoepatite (36)
• Aumento ferro epatico (37)
• Consumo di alcol (38)
• Fumo (39)
La figura 4 riassume l’evoluzione dell’epatite C.
Fase acuta
20% Guarigione
80% cronicizzazione
75% lenta evoluzione
60% lenta evoluzione
25% cirrosi
40%
scompenso, epatocarcinoma o trapianto
Fig. 4: Storia naturale dell’infezione da HCV
9
DIAGNOSI
Per l’epatite cronica:
Anamnesi: trasfusioni di sangue prima del 1990,
comportamenti a rischio nel passato.
Sintomatologia : astenia, dispepsia, ecc.
Laboratorio:
• Elevazione dei livelli di transaminasi. Per ampi periodi possono essere normali.
• Elevazione variabile della fosfatasi alcalina e gGT
• Tempo di protrombina normale o lievemente ridotto
Diagnosi
Per l’epatite acuta:
Anamnesi: nelle settimane precedenti ricoveri in ospedale, interventi odontoiatrici, comportamenti a rischio
(piercing, tatuaggi, rapporti sessuali non protetti, ecc.).
Sintomatologia: Astenia, forma influenzale, disturbi
digestivi, subittero, ecc.
Laboratorio: incremento delle transaminasi, bilirubina.
Diagnosi sierologica:
• HCV: anti-HCV, HCV RNA (*)
(*) Solo l’HCV RNA consente la diagnosi di epatite
acuta C, in fase precoce prima della sieroconversione
e nei soggetti che non sviluppano anticorpi anti-HCV
come gli immunodepressi.
Esami strumentali: Ecografia. Riduzione delle dimensioni epatiche nelle epatiti fulminanti.
10
• Albumina e colinesterasi normali o lievemente ridotte
• I pazienti devono essere tenuti sotto controllo, con
ripetuti esami del sangue per valutare l’evoluzione
della malattia e per decidere l’eventuale trattamento.
• P resenza dei marcatori virali specifici:
- AntiHCV
- HCVRNA qualitativo e quantitativo,
- Genotipi dell’HCV.
Esami strumentali: ecografia, biopsia epatica e
fibroscan.
– Biopsia epatica – viene valutata
1. l’ attività (minima, lieve, moderata. severa)
2. la gradazione (grading), cioè il grado di infiammazione e necrosi con un punteggio (score) che può
variare a seconda delle classificazioni . La più seguita è quella di Ishak (40) il cui score varia da 0
a 18. Tiene conto dell’attività infiammatoria periportale (da 0 a 4), della necrosi confluente nel lobulo epatico (da 0 a 6), della necrosi e infiammazioni focali (da 0 a 4) e infine dell’infiammazione
portale (da 0 a 4). Dalla somma di tali punteggi si
evince che l’epatite può essere:
Grado 1-4: epatite cronica minima
Grado 5-9: epatite cronica lieve
Grado 10-15: epatite cronica moderata
Grado 16-18: epatite cronica severa.
3. la stadiazione (staging), cioè lo stadio di malattia
che si ottiene quantizzando l’estensione della fibrosi. Secondo la classificazione di Ishak lo score varia da 0 a 6, per cui la fibrosi può essere:
Stadio 0: assenza di fibrosi
Stadio 1: fibrosi minima
Stadio 2: fibrosi lieve
Stadio 3: fibrosi moderata
Stadio 4: fibrosi severa
Stadio 5-6: cirrosi
Esistono altre classificazioni, come quelle di Knodell
(41) (necrosi periportale e a ponte da 0 a 10, degenerazione e necrosi focale intralobulare da 0 a 5, infiammazione portale da 0 a 5, quindi grading da 0
a 20 e staging da 0 a 5) e di Sheuer (42) (grading
da 0 a 4 e staging da 0 a 4) e il sistema METAVIR
utilizzato soprattutto in Francia (43) (grading da 0 a 6
e staging da 0 a 4).
Le fig. 5 e 6 riportano un esempio di epatite cronica
attiva e di cirrosi.
Fig. 5: Epatite cronica attiva
Pertanto, ad esempio, si troverà scritto per una bio­
psia epatica:
Epatite cronica da HCV lieve (con lieve infiammazione portale, parziale necrosi della lamina limitante,
scarsi infiltrati nei lobuli epatici, minima fibrosi diffusa).
Gradazione (grading) =7
Stadiazione (staging)= 1
Score totale (secondo Ishak)= 8
Fig. 6: Fegato cirrotico. Le cicatrici dividono l‘organo
in noduli rigenerativi di varia ampiezza. Epatite cronica da HCV con cirrosi (infiammazione portale
moderata, parziale necrosi della lamina limitante,
scarsi infiltrati nei lobuli epatici, cirrosi).
Grading = 10, Staging = 6.
11
Fibroscan
Dal 2004 abbiamo a disposizione un apparato, denominato Fibroscan che con un metodo semplice, non
invasivo, ripetibile, può valutare direttamente la fibrosi
del fegato. Il principio su cui si basa è relativamente
semplice: più il fegato è fibrotico più è “duro”. Per
misurare la “durezza” dell’organo il Fibroscan si avvale di una tecnologia innovativa e brevettata,
l’elastometria impulsionale, che consiste nel produrre
una piccola vibrazione su una superficie cutanea, in
corrispondenza del lobo epatico destro, che si propaga per una certa profondità nel fegato. Con l’ausilio
di una fonte di emissione di ultrasuoni integrata nella
sonda dello strumento si è in grado di stabilire la velocità di propagazione dell’onda: maggiore è la velocità di propagazione, maggiore è la durezza del fegato e quindi il grado di fibrosi qualora questa sia
presente (44-46). E’ stata documentata una buona
capacità diagnostica nelle epatiti croniche e nella cirrosi (47,48). E’ anche possibile prevedere la presenza o meno di varici esofagee importanti in corso di
cirrosi (49).
12
Il Fibroscan non sostituisce del tutto la biopsia epatica che può dare altre indicazioni, come l’estensione
della necrosi (morte) cellulare, dell’infiammazione e il
grado di grasso presente nelle cellule; tuttavia ne
limita certamente l’uso. Dobbiamo comunque segna­
lare che la biopsia epatica è imprecisa nello studiare
la fibrosi (errori di campionamento, inadeguatezza
del frustolo, ecc (50,51 ).
Inoltre recentemente sono stati anche suggeriti semplici tests sierologici variamente associati che sembrano
correlarsi più o meno significativamente con il grado
di fibrosi del fegato in corso di epatite cronica. Tra
questi il più utile sembra essere il Fibrotest studiato in
particolare dal gruppo di Poynard (52-54 ).
Un portatore con lenta o assente evoluzione della
malattia si distingue da un portatore con più rapida
evoluzione seguendolo con attenzione, ripetendo
sovente il test delle transaminasi, oltre ad altri esami
che valutino la funzione del fegato (livelli di albumina, colinesterasi, attività protrombinica, ecc.). Soggetti con valori di transaminasi costantemente normali
e senza alterazioni della funzione epatica negli anni
è assai verosimile che non abbiano una malattia
progressiva. Al contrario chi ha esami modificati ha
una forma di epatite più o meno evolutiva.
TERAPIA
Terapia
Lo scopo della terapia (fig.7) è quello di inibire la
moltiplicazione del virus o meglio di eliminarlo definitivamente in modo da ridurre l’infiammazione e la
fibrosi del fegato. Ottenendo questo diminuiscono
fortemente i rischi di evoluzione verso la cirrosi e il
carcinoma epatico e ovviamente si aumenterà la
sopravvivenza.
SCOPO DEL TRATTAMENTO
80
60
La risposta alla terapia si definisce come:
a. R isposta sostenuta: l’HCVRNA è costantemente
negativo per 6 mesi dopo la fine del trattamento.
E’ stato osservato che oltre il 90% di questi soggetti continuano nel tempo ad avere la negatività
del virus con transaminasi normali e netto miglioramento istologico
b. R isposta con relapse: l’HCVRNA risulta negativo
alla fine della terapia ma ricompare alla sua
sospensione
c. R isposta con breakthrough: durante il trattamento
si assiste alla negativizzazione dell’HCVRNA che
però ricompare durante il trattamento stesso.
d. N
on risposta: l’HCVRNA non si negativizza mai.
La fig. 8 riassume il netto miglioramento della percentuale di risposta virologica sostenuta negli anni,
passando dall’Interferone in monoterapia,
all’aggiunta di Ribavirina e, infine, all’associazione
Interferone Peghilato + Ribavirina. (55-64).
41 %
SVR 40
30
20
18 %
10
0
IFN
IFN + RIBA
PEGIFN + RIBA
Fig. 8: E voluzione della terapia dell’epatite cronica C
per 48 settimane con evidente miglioramento della SVR
E’ stato osservato in un ampio lavoro di Hadziyannis
et al. che esiste una netta diversità di risposta tra genotipi 1 e 2/3 (fig. 9 e 10) (60).
Inoltre, mentre per il genotipo 1 la terapia deve protrarsi per 48 settimane, per i genotipi 2 e 3 è suffi­
ciente un trattamento di 24 settimane con anche minore
dosaggio di Ribavirina (60).
SVR Genotipo 1
60
51 %
50
SVR
Fig. 7: Scopo della trattamento dell’epatite cronica C
58 %
50
A breve termine:
• Risposta Virologica sostenuta (SVR)
A lungo termine :
• Miglioramento istologia
• Prevenzione cirrosi e HCC
• Prevenzione complicazioni
• Aumento sopravvivenza
Terapia nei pazienti mai trattati
Risposta virologica sostenuta (SVR)
70
40
30
41 %
40 %
n =118
n =250
29 %
20
10
n =101
n =271
0
PegIFNa2a
RBV 800
PegIFNa2a
RBV 1000/1200
PegIFNa2a
PegIFNa2a
RBV 1000/1200
RBV 800
Fig. 9: Risposta virologica sostenuta in pazienti con epatite
cronica C genotipo 1 trattati con Interferone Peghilato e Ribavirina per 24 o 48 settimane a differenti dosaggi di Riba
13
80
78 %
78 %
77 %
73 %
70
60
SVR
50
40
n=106
n =162
n=165
n =111
30
20
10
Fig. 10: Risposta virologica sostenuta in pazienti con
n=101
epatite cronica C genotipi 2/3 trattati con Interferone
0
PegIFNa2a
RBV 800
PegIFNa2a
PegIFNa2a
RBV 800 RBV 1000/1200
PegIFNa2a
RBV 1000/1200
Peghilato e Ribavirina per 24 o 48 settimane a differenti
48 settimane
24 settimane
dosaggi di Riba
Pertanto l’attuale trattamento dell’epatite cronica C in pazienti mai trattati precedentemente o che hanno avuto
ripresa (relapse) della malattia dopo sospensione di un trattamento con IFN in monoterapia o IFN + Ribavirina, è:
Interferone Peghilato alfa2b 1,5 μg/Kg/settimana
o Interferone Peghilato alfa2a 180 μg /settimana
+
se genotipi 1/4: Ribavirina 1000-1200 mg x 48 settimane
se genotipi 2/3: Ribavirina 800-1000 mg x 24 settimane
Il genotipo 4 è assimilabile come risposta al genotipo 1 (62,63).
La fig 11 riporta le attuali linee guida riguardanti la terapia delle epatiti croniche C nei genotipi 1/4 in funzione
della risposta virologica durante il trattamento (cosiddetto “stop and go”).
Fig. 11: Linee guida generali
genotipo 1/4
riguardanti la terapia dell’epatite
PEGIFNa2a 180 + Ribavirina (1000-1200 mg)
Settimana 12
HCVRNA neg
Riduzione viremia
>100 volte
Riduzione viremia
<100 volte
continua
continua
STOP
Settimana 24
Settimana 48
14
STOP
HCVRNA neg
HCVRNA pos
continua
STOP
STOP
Il dosaggio di Ribavirina dipende dal peso corporeo
del paziente (1200 mg se il peso è uguale o superiore
a 75 Kg, 1000 mg se inferiore o uguale a 75 Kg.)
cronica C nei genotipi 1/4
Effetti collaterali
dell’interferone e ribavirina
Come si vede se l’HCVRNA non si negativizza entro
tre mesi o almeno si riduce di 100 volte, la terapia
deve essere sospesa, in quanto, proseguendo, le
probabilità di ottenere una risposta sostenuta variano
dallo 0 al 3% (58,59).
In ogni caso il trattamento va interrotto se l’HCVRNA
risulta ancora positivo al 6° mese. Nel caso in cui
l’HCVRNA appaia negativo dopo 4 settimane, il
trattamento può interrompersi alla settimana 24, in
particolare se il paziente presenta prima del trattamento una bassa viremia e scarsa fibrosi (65-72).
Sempre nel genotipo 1 per soggetti che alla settimana 12 non negativizzano il virus, pur avendo ridotto
la concentrazione viremica di almeno 100 volte, e
sono negativi alla settimana 24, la terapia dovrebbe
essere prolungata oltre la settimana 48 (fino alla
settimana 72-96) per ottenere una risposta soddisfacente (73-77).
Le attuali linee guida riguardanti la terapia nei genotipi 2/3 sono schematizzate nella figura 12.
genotipo 2/3
PEGIFN + Ribavirina (600-800 mg)
Settimana 12
HCVRNA neg
continua
Settimana 24
ca C consiste nella combinazione di Interferone
Peghilato associato alla Ribavirina. Questo induce
una risposta virologica sostenuta (SVR) (cioè negativizzazione dell’HCVRNA 6 mesi dopo la sospensione della terapia) in circa 42-51% dei pazienti infettati con il genotipo 1 e in circa il 76-84% di quelli
portatori del genotipo 2 o 3. Questi risultati sono
stati ottenuti nella maggior parte degli studi clinici
randomizzati e controllati (58-64).
Dobbiamo però aggiungere che l’efficacia del trattamento può essere differente in pazienti presi a caso,
rispetto a quelli arruolati in studi controllati (tipicamente hanno un’età inferiore a 65 anni); inoltre esistono
differenze nella prevalenza di co-morbilità, di indice
di massa corporea, ecc.
Infatti in uno studio italiano multicentrico di sorve­
glianza la risposta virologica sostenuta nel genotipo
1 e 2/3 sono stati rispettivamente del 39% e del
63,5%, inferiori a quelle osservate nei trial clinici
controllati (84).
Effetti collaterali dell’interferone
e ribavirina
Gli effetti collaterali dell’Interferone e della Ribavirina
(58-60,85,86) sono riportati nelle figure 13 e 14
HCVRNA pos
STOP
Effetti collaterali dell‘Interferone
Sindrome simil
influenzale
stanchezza, febbre, poco appetito,
brividi, mal di testa, dolori alle ossa
e alle articolazioni ecc: è assai frequente; in genere si attenua o sparisce
dopo le prime settimane.
Sindrome neuropsichiatrica
apatia, cambiamento del carattere,
insonnia, ansia, depressione, ridu­
zione della libido (interesse sessuale)
ecc.
Vari
diarrea, nausea, dolori addominali,
prurito, dimagramento, perdita dei
capelli.
Alterazioni di
laboratorio
riduzione dei leucociti, delle piastrine, dei globuli rossi, proteinuria
Malattie
autoimmuni
in particolare disfunzioni della
tiroide.
STOP
Il dosaggio di Ribavirina dipende dal peso corporeo del paziente (1000
mg se il peso è uguale o superiore a 75 Kg, 800 mg se inferiore o
uguale a 75 Kg.)
Fig. 12: Linee guida generali riguardanti la terapia
dell’epatite cronica C nei genotipi 2/3
Nel genotipo 2/3, se l’HCVRNA si negativizza
dopo 4 settimane di trattamento, la durata della
terapia può limitarsi a 12-16 settimane, soprattutto
se il paziente ha un peso normale, è giovane, ha
una bassa viremia e una scarsa fibrosi. (78-83).
Riassumendo, il trattamento attuale dell’epatite croni-
Fig. 13: Effetti collaterali dell‘Interferone
15
FATTORI PREDITTIVI
Effetti collaterali della Ribavirina
•D
isturbi digestivi, generalmente modesti che tendono ad attenuarsi
•R
ash cutanei con prurito, raramente tali da richiedere la sospensione del trattamento
• Insonnia
•D
isturbi respiratori come dispnea, tosse, faringite, in
genere modesti
•E
molisi con anemia: è l’effetto collaterale più frequente (un modesto calo dell’emoglobina avviene in
quasi tutti i pazienti). Nel 20 % dei casi è assai marcato, tale da richiedere la riduzione e nel 6 -7% dei
casi la sospensione del farmaco.
Fig. 14: Effetti collaterali della Ribavirina
Fattori predittivi
I fattori predittivi di ridotta risposta alla terapia correlati al paziente sono il sesso maschile, l’età avanzata, la menopausa, la lunga durata dell’infezione, il
consumo di alcol, il fumo, il sovrappeso, l’aumento
di ferro nel sangue e nel fegato, la coinfezione con
HBV/HIV, la presenza di steatosi, di fibrosi o cirrosi
e infine l’immunosoppressione (87-105).
Importanti sono poi, come abbiamo visto, alcune
caratteristiche legate al virus come i genotipi 1 e 4
che rispondono meno del 2 e 3 e l’alta viremia che,
particolarmente nei genotipi 1, predice una minore
probabilità di eliminazione virale (55-62, 87-105).
L’ipotesi che nell’epatite cronica C le caratteristiche
genetiche dell’ospite potessero giocare un ruolo
essenziale nell’ottenere una risposta virologica sostenuta con il trattamento, è stato più volte ipotizzato,
considerando anche la diversa percentuale di guarigione in razze e gruppi etnici differenti (106 -109).
Ad esempio negli Stati Uniti, in uno studio di confronto è stato osservato che i bianchi latini hanno avuto
una SVR del 34% rispetto al 49% dei bianchi non
latini, i quali hanno anche mostrato dopo terapia
miglioramenti istologici assai più evidenti rispetto ai
primi (108). Ed ancora negli Stati Uniti, confrontando l’efficacia di Interferone Peghilato e Ribavirina tra
un uguale gruppo di bianchi e neri, sovrapponibili
per genotipi, carica virale, caratteristiche dell’ospite,
la percentuale dei primi che hanno eliminato definitivamente il virus è stata del 52%, mentre quella dei
secondi del 19% (106). Infine assai significativo è un
recentissimo lavoro di Muir et al (109) che in un
lavoro multicentrico (318 Centri Americani) su
un‘assai ampia casistica, costituita da 3070 pazienti
con epatite cronica C appartenenti a diversi gruppi
etnici, ha evidenziato che la terapia è stata in grado
di ottenere un SVR nel 59% degli asiatici, nel 44%
dei bianchi caucasici, nel 38% degli ispanici e infine
nel 22% degli africani americani.
Molte ricerche sono state condotte per scoprire
l’eventuale ruolo di fattori genetici dell’ospite che
16
spiegassero queste evidenti differenze ed anche la
variabile risposta terapeutica in individui apparentemente identici.
Tutte le istruzioni necessarie alle cellule per le loro
attività sono contenute nel DNA (acido deossiribonucleico).
I risultati sono stati contraddittori e nessuna proposta,
apparsa inizialmente interessante, è assurta a test
convincente, utile, facilmente applicabile (110-122).
Nel DNA l’informazione è conservata in sequenze di
DNA chiamate geni che influenzano tutte le caratteristiche degli organismi viventi. Nell’uomo sono presenti circa 25.000 geni.
Solo alla fine del 2009 si è avuta l’indubbia conferma dell’importante ruolo della predisposizione genetica per poter predire la risposta al trattamento antivirale nei soggetti con epatite cronica C.
Sono state dimostrate alcune variazioni a livello del
gene Interleuchina 28B (IL28B) localizzato nel cromosoma 19 (123-125).
Inoltre queste variazioni possono spiegare anche la
spontanea guarigione delle epatiti acute C che si
realizzano in circa il 25% dei pazienti e certamente
le differenze razziali ed etniche osservate nelle rispo­
ste terapeutiche.
Prima di presentare i dati è bene riassumere brevemente in termini semplici i più importanti concetti
basilari di genetica.
Nelle cellule il DNA con i geni è contenuto nei nuclei;
non è libero in essi, ma si trova in strutture chiamate
cromosomi, trasmessi metà dal padre e metà dalla
madre.
Nell’uomo ci sono 23 coppie di cromosomi di cui
22, detti autosomici, sono identici, mentre nell’ultima
coppia sono uguali nella femmina (XX), diversi nel
maschio (XY).
Il DNA di qualunque organismo è costituito da un
insieme di NUCLEOTIDI che possono essere paragonati a dei “mattoncini” che, unendosi insieme, formano una casa.
I semplici componenti di ogni nucleotide sono :
a) un gruppo fosforico (uguale per tutti)
b) uno zucchero, deossiribosio (uguale per tutti)
c) una delle seguenti basi azotate : adenina (A),
citosina (C), guanina (G) e timina (T).
Quindi le differenze dei nucleotidi dipendono solo
dalla presenza di una diversa base azotata.
Triplette di basi azotate contigue lungo il DNA, chiamate codoni (ad esempio AAC,oppure ATC,ecc.)
sono la chiave del codice genetico, in quanto ogni
tripletta è in grado di codificare (in maniera che non
è necessario spiegare in questo contesto) uno dei 20
aminoacidi costituenti delle proteine che sono molecole indispensabili per il corretto funzionamento degli
esseri viventi.
Solo una parte del DNA è codificante (cioè produce
gli aminoacidi e quindi le proteine); il resto ha la
funzione di mantenere l’integrità strutturale dei cromosomi e regolare dove, quando e in che quantità
produrre le proteine stesse.
17
Riassumendo in ogni cellula, a parte i globuli rossi,
abbiamo il nucleo dove esistono 23 coppie di cromosomi divisi in circa 25.000 geni, costituiti da più
di 3 miliardi di nucleotidi.
Il DNA non è costituito da un singolo filamento, ma
accoppiato saldamente ad un altro filamento: le due
strutture non sono lineari ma formano una doppia
elica. Per ogni filamento esiste uno scheletro laterale
(costituito da deossiribosio e gruppo fosforico) con
all’interno la base azotata. E’ interessante notare che
le due basi azotate che si fronteggiano nei due filamenti sono complementari e definite: così l’adenina
ha sempre davanti a sé la timina e la citosina la
guanina; le basi fra i due filamenti sono unite con un
legame all’idrogeno non molto solido, per cui tutto
l’intero filamento può essere separabile. Ciò permette che l’informazione genetica possa essere duplicata prima delle divisioni cellulari (replicazione del
DNA); la cellula infatti nel dividersi deve trasmettere
lo stesso patrimonio genetico alle cellule figlie. Ciò
avviene assai facilmente : il primo filamento, dopo la
divisione, ricostruisce davanti a sé il secondo, mentre
il secondo, ricostruisce il primo. Pertanto avremo due
identici doppi filamenti di DNA che si disporranno
nelle due nuove cellule con un completo corredo
cromosomico.
Pertanto tutte le cellule contengono l’intero genoma
umano; la diversa funzione, attività o blocco dei
geni nelle varie cellule fa in modo che una cellula
muscolare abbia struttura e attività diversa da una
cellula epatica o cerebrale, ecc.
Completata l‘intera mappatura del genoma umano
sono iniziati gli studi riguardanti le eventuali diversità
nelle sequenze del DNA tra le varie specie e, soprattutto, fra diverse razze e fra individui sani o affetti da
molteplici patologie.
Ebbene, nell’uomo il 99,9% delle sequenze del DNA
sono perfettamente identiche. Nel restante 0,1% si
evidenzia una variabilità individuale.
In genere si distingue la Mutazione Genetica dal Polimorfismo Genetico, anche se si tratta sempre di presenza di cambiamenti nella sequenza del DNA. Pos18
sono insorgere spontaneamente o essere indotte da
mutageni, come sostanze chimiche o radiazioni.
In pratica la Mutazione è assai più rara, comparendo
in meno dello 0,05% della popolazione e spesso causa evidenti malattie (Xeroderma Pigmentosum, Sindrome di Werner, ecc.).
I Polimorfismi sono variazioni di sequenza che compaiono, invece assai più frequentemente, interessando
più dell’1% della popolazione. Tali modifiche, generalmente silenti, possono essere presenti all’interno di
regioni codificanti o non codificanti, interessare sequenze del DNA, ma nell’80% dei casi la variazione
interessa soltanto un Nucleotide (da cui il nome di
SNP = Single Nucleotide Polimorfism= polimorfismo
di un singolo nucleotide).
Il più frequente SNP consiste in una sostituzione nella
sequenza delle basi, in un dato punto del DNA,
dell’adenina con una guanina, ma sono presenti tanti
altri tipi di sostituzione come una citosina al posto di
una timina, un’adenina al posto di una citosina, e così
via.
Si calcola che ogni 2-300 nucleotidi ce ne sia uno
così modificato; pertanto sono presenti nel genoma
umano 10-30 milioni di potenziali SNPs. Ne sono
stati identificati oltre 4.000.000 e della maggioranza
dei quali non si conoscono le conseguenze.
Ritornando all’epatite cronica C e al suo trattamento,
alla fine del 2009 tre gruppi di ricercatori indipendenti in Australia, Giappone e USA (123-125) hanno
condotto uno studio in pazienti affetti da questa patologia, valutando su un amplissimo numero (centinaia
di migliaia) di singoli polimorfismi genetici (SNP) distri­
buiti lungo tutto il genoma, se esistesse un rapporto tra
qualcuno degli SNP rispetto ai soggetti normali, e
sopra­ttutto se esistesse una relazione con la risposta
alla terapia.
E’ stato scoperto che soltanto 7 singole modifiche nucleotidiche localizzate nel cromosoma 19 a livello del
gene IL28B (Interleuchina 28B) che codifica
l’Interferone λ hanno un rapporto con la maggiore o
minore probabilità di risposta. Queste ricerche sono
state confermate ed estese da molti Gruppi in ogni
parte del mondo (126-138).
Il più utile SNP si è rivelato essere quello denominato
rs12979860: le due basi azotate della coppia di
nucleotidi (paterna e materna) possono essere entrambe Citosina (CC) o entrambe Timina (TT) o Citosina
Timina (CT). La frequenza CC (in particolare nei genotipi 1) si è evidenziata nettamente maggiore nei soggetti che rispondevano alla terapia. La fig. 15 riporta
il rapporto tra le percentuali di Risposte Sostenute
dopo Terapia (SVR) e le variazioni dello SNP osservate
nei Pazienti con Genotipo 1.
Epatite cronica C genotipo 1
Relazione tra le variazioni nel gene IL28B
e Risposta Virologica Sostenuta alla terapia (SVR)
SNP rs12979860
Basi azotate
CC
CT
TT
Ge,’09 (125)
79%
26%
Thompson,’09 (130)
69%
Stattermayer,’10 (131)
79%
43%*
Rallon,’10 (128)
75%
38%*
Pineda,’10 (136)
50%
17%*
33%
27%
Nei genotipi 2 e 3 (soprattutto in quest’ultimo) le
differenti percentuali sono meno eclatanti. Infatti i
portatori CC hanno ottenuto una SVR nell’81% dei
casi trattati, mentre per i non CC le percentuali sono
state intorno al 69%.
Con il Genotipo 3 Rallon et al. non hanno osservato
alcuna differenza significativa, mentre per Aparicio
et al. i pazienti con CC (che peraltro erano anche
HIV positivi) hanno presentato una SVR nel 50% dei
trattati, mentre i non portatori di CC nel 17% (fig. 17).
Altro dato importante è che in corso di epatite acuta
C i portatori del genotipo CC hanno maggiore probabilità di guarire spontaneamente rispetto a coloro
che hanno il genotipo TT o anche CT (126,137,
139,140). Dalla fig. 18 si evince, infatti, che i primi
eliminano il virus entro poche settimane in circa il
62% dei casi contro meno del 18% degli altri.
Epatite cronica C genotipi 2/3 o solo 3
Relazione tra le variazioni del gene IL28B
e Risposta Virologica Sostenuta alla terapia (SVR)
SNP rs12979860
Basi azotate
*CT e TT sono valutati insieme
Fig. 15: Percentuale di SVR in rapporto alle differenti basi
dello SNP studiato. Lo studio di Pineda comprendeva pa­
zienti HIV/HCV positivi
CC
Epatite cronica C genotipo 4
Relazione tra le variazioni del gene IL28B
e Risposta Virologica Sostenuta alla terapia (SVR)
Stattermayer, ’10 (131)
80,5%
74%*
82%
75%
58%
Genotipi 3
Rallon,’10 (128)
Aparicio,’10 135
nessuna differenza
50%
17%
*CT e TT sono valutati insieme
Fig. 17: P ercentuale di SVR in rapporto alle differenti basi
dello SNP studiato
Epatite acuta C
Relazione tra le variazioni del gene IL28B
e guarigione spontanea
SNP rs12979860
SNP rs12979860
Basi azotate
Basi azotate
CC
TT
Genotipi 2/3
Mangia, ’10 (133)
In presenza di CC l’eliminazione definitiva del Virus
dell’epatite C dopo terapia è stata osservata in circa
il 71% dei casi, mentre in presenza di CT o TT la
percentuale è stata di circa il 31%.
Risultati sovrapponibili sono stati evidenziati anche
nel Genotipo 4 (SVR nei CC 82,5%, nei non CC
30,5%). (fig.16).
CT
CT
CC
CT
TT
53%
29,5%
23%
Tilmann, ’10 (137)
64%
24,5%
6%
Mangia ’10 (139)
69%
23%
0%
TT
Stattermayer, ’10 (131)
85%
38%
Pineda, ’10 (136)
80%
25%
*CT e TT sono valutati insieme
Fig. 16: P ercentuale di SVR in rapporto alle differenti basi
dello SNP studiato
Thomas, ’09 (126)
Fig. 18: P ercentuale di eliminazione spontanea del virus in
rapporto alle differenti basi dello SNP studiato
19
CONCLUSIONI
Dati molto recenti dimostrano che il polimorfismo del
gene IL28B influenza sia l’evoluzione dei pazienti
trapiantati di fegato per cirrosi legata al virus
dell’epatite C, sia la risposta terapeutica al trattamento della ripresa epatitica. Inoltre i migliori risultati si
otterrebbero utilizzando donatori e riceventi con il
genotipo CC del SNP del gene IL28B (141-145).
Notevoli differenze nelle percentuali di presenza di
CC (che, ripetiamo, predicono una più favorevole
risposta alla terapia) sono state evidenziate in differenti gruppi etnici (125, 146) e ciò spiega le ben
note varie percentuali di risposte terapeutiche osservate in questi pazienti (125) (fig. 19).
120
Epatite cronica C
100
80
96 %
76 %
60
72 %
55 %
70 %
50 %
40
23 %
20
0
SVR
Asiatici
Caucasici
americani
Frequenza C
Ispanici
americani
Africani
americani
Fig. 19: Risposta virologica sostenuta (SVR) in vari gruppi
etnici in rapporto alle differenti basi dello SNP studiato.
Infine esistono dei dati preliminari, anche se non del
tutto concordanti, che suggeriscono come il polimorfismo a livello del gene IL28B potrebbe condizionare
la maggiore o minore severità della malattia con più
o meno rapida progressione verso la cirrosi e
l’epatocarcinoma (147-151).
Simili risultati, anche se lievemente meno significativi,
sono stati osservati anche con la genotipizzazione di
un altro SNP, l’rs8099917 le cui basi riscontrate
sono TT, GG o GT con nettamente maggiore risposta
terapeutica o guarigione spontanea in coloro che
presentano gli alleli T (123, 124, 134, 138).
20
Conclusioni
Dal momento che i farmaci per il trattamento dell’epatite
C hanno frequenti effetti collaterali, soltanto una
parte dei pazienti sono presi in considerazione per il
trattamento. La percentuale di soggetti HCV positivi
che vengono realmente trattati tra quelli inviati a
Centri clinici di II o III livello di riferimento,
variano da 26 al 64% secondo il tipo di
Centro considerato e l’area geografica
(152-157).
Se poi teniamo conto della popolazione
generale in aree molto endemiche, il numero
40%
di pazienti HCVRNA positivi realmente trattati
è molto più basso (meno del 20%) (157). In
questi soggetti il trattamento antivirale è stato
giudicato non necessario a causa della
persistente normalità dei livelli di transaminasi o perché l’epatite si era dimostrata
poco aggressiva alla biopsia epatica o perché i
pazienti avevano un’età superiore a 65-70 anni; altri
della popolazione infetta non sono stati sottoposti a
terapia per controindica­zioni medico-psichiatriche,
per abuso di alcol o droghe, per la presenza di
cirrosi scompensata o epatocarcinoma, per dimostrata intolleranza all’Interferone e Ribavirina in precedenti tentativi o per rifiuto di un’eventuale terapia.
In conclusione, in Italia la percentuale di pazienti
affetti da epatite cronica C realmente trattati tra i
soggetti inviati a Centri di riferimento può essere
considerata intorno al 45%, mentre nella popolazione
generale attualmente non è superiore al 20%.
Il test per uno di questi polimorfismi genetici a livello
del gene IL28B (SNP rs1979860) è ora commercialmente disponibile. Può essere utile la sua valutazione? La risposta è senza dubbio affermativa, in quan-
to la determinazione del genotipo dello SNP in
questione (CC, CT o TT) può fornirci precise indicazioni nel singolo paziente per predire le maggiori o
minori probabilità di eliminare definitivamente il virus
con la terapia. In pratica il test può aiutare il Clinico
per ritagliare la durata e magari il tipo di trattamento
che sia più appropriato a quel determinato soggetto:
ciò anche alla luce dei futuri farmaci che fra breve si
assoceranno all’IFN Peghilato e Ribavirina.
Un’importante conseguenza sarà che molti più pazienti,
con previsto risultato favorevole al test IL-28B, verranno
trattati: per esempio soggetti con età superiore ai
65- 70 anni, affetti da cirrosi, con transaminasi normali
o con malattia scarsamente evolutiva alla biopsia,
ecc. Dall’altro lato alcuni pazienti teoricamente trattabili saranno esclusi dalla terapia se il risultato del
polimorfismo dimostrerà ridotta probabilità di risposta
terapeutica, almeno in alcuni nel sottogruppi di soggetti come anziani, cirrotici, non respon­sivi a precedenti terapie, con presenza di co-morbidità.
Si può prevedere che il numero dei soggetti trattati
aumenterà dal 20 al 50% nella popolazione generale e dal 45% al 75-80% per i pazienti riferiti a Centri
clinici di II o III livello.
L’ultima considerazione è che, conoscendo con certezza i soggetti maggiormente responsivi, ci sarà
una netta maggiore efficace risposta terapeutica con
definitiva eliminazione del virus. Ne conseguirà una
riduzione di evoluzioni verso la cirrosi e l’epato­
carcinoma e una diminuita necessità di tra­pianti di
fegato. Caleranno i costi generali, ma soprattutto
moltissimi pazienti e i loro familiari avranno un miglio­
ramento della qualità della vita con ovvio aumento
della sopravvivenza dei primi.
Potranno essere interessati a tale esame un numero
variabile da 10.000 a 100.000 persone.
21
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