Dossier N.13 EPATITE C RUOLO DELLA PREDISPOSIZIONE GENETICA NELLA GUARIGIONE SPONTANEA, NELL’EFFICACIA DEL TRATTAMENTO E NELLE DIFFERENZE ETNICHE Prof. Gaetano Idéo Dossier N. 13 Marzo 2011 INTRODUZIONE VIE DI TRASMISSIONE IL VIRUS QUADRO CLINICO DIAGNOSI 4 5 6 7 10 TERAPIA 13 Effetti collaterali dell’interferone e ribavirina 15 FATTORI PREDITTIVI 16 CONCLUSIONI 20 BIBLIOGRAFIA 22 3 INTRODUZIONE Introduzione L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) è la principale causa delle malattie croniche di fegato, inclusa la cirrosi e il carcinoma epatico ed è il motivo più frequente di trapianto epatico nel mondo occidentale (1-3). Nel passato veniva indicata come epatite da virus nonA, nonB e la diagnosi era formulata per esclusione degli altri virus conosciuti. L‘esistenza di questo virus era stata ipotizzata intorno alla metà degli anni ’70; tuttavia solo nel 1989 si è reso disponibile un test specifico per valutare la presenza nel sangue degli anticorpi contro questo nuovo virus (4). Nel mondo ci sono circa 170 milioni di persone infettate dall’HCV (5-7). Fig. 1: Distribuzione geografica dell’epatite da HCV 4 VIE DI TRASMISSIONE 40 Di Stefano, 2002 (Sicilia) 35 Le nazioni con la maggiore prevalenza (da 9% a più di 20%) sono l’Egitto, l’Africa Sub-sahariana (Camerun, Burundi e Gabon), Taiwan, la Mongolia e il Pakistan. Gli indici di prevalenza osservati negli USA, in Canada e Australia sono rispettivamente 1,6%, 0,8% e 1,1%. Nell‘Europa dell‘Est, in donatori di sangue, la percentuale di infezione varia tra lo 0,7% e il Guadagnino, 1987 (Calabria) Osella, 1997 (Puglia) Rafaele, 2001 (Abruzzo) 30 25 20 Majo, 2000 (Campania) Pendino, 2005 (Calabria) 15 Lovisetti, 1998 (Sardegna) Stroffolini, 1995 (Lazio) 10 Bellentani, 1998 (Emilia + Friuli) 5 0 4,9%. Nell‘Europa occidentale, 1980-89 nella popolazione generale, la prevalenza dell’HCV varia tra lo 0,6% della Germania e della Norvegia, lo 0,7% in Inghilterra e l’1,1% in Francia e l’1-2% in Spagna. Mazzeo, 2003 (Emilia-Romagna) Condill, 2002 (Lazio) 1970-79 In Italia il numero di portatori viremici di HCV è circa 1.500.000 (3% della popolazione). Questi dati sono stati ottenuti con studi di prevalenza condotti in differenti aree (8,9-19). La maggior parte delle persone infette hanno più di 50 anni; inoltre c’è un’evidente maggiore presenza nelle regioni del Sud e nelle Isole (Sicilia e Sardegna) rispetto al Centro Italia e al Nord (fig. 1). L’incidenza di tale infezione è notevolmente ridotta negli ultimi 20 anni nella maggior parte delle nazioni dell’Ovest; tuttavia la prevalenza di malattie epatiche severe correlate a questo virus è in aumento. Questo fatto è dovuto alla grande diffusione nel passato di epatite C e il lungo tempo (generalmente più di 20-30 anni) tra l’inizio dell’infezione e le manifestazioni cliniche di malattia avanzata. In Italia i più alti numeri di contagi avvennero negli anni ’50 e ’60, principalmente dovuti al largo uso e abuso di impiego di siringhe di vetro non sempre sterilizzate a dovere; in altre nazioni, invece, come per esempio negli Stati Uniti, la maggior parte dei casi si sono infettati molto più tardivamente, soprattutto in relazione all’uso di droghe per via endovenosa. 1960-69 1950 -59 1940 -49 1930-39 1920 -29 Fig. 1: Prevalenza di HCVRNA positivo in varie regioni italiane, in relazione agli anni di nascita. Grafico ripreso da Mele et al. (8) Vie di trasmissione La principale è quella sanguigna o percutanea (punture con aghi contaminati, tatuaggi, agopuntura, piercing ecc. e fino al 1990 molto frequentemente attraverso le trasfusioni di sangue o di emoderivati). Categorie a rischio sono, o sono stati, gli emofilici, i tossicodipendenti, gli emodializzati e persone che richiedono contatti con sangue umano come i lavoratori per l’emergenza, gli infermieri, ecc. Assai più rara la via sessuale o alla nascita da madre portatrice del virus. L’incidenza della comparsa del virus dopo puntura accidentale varia dallo 0 al 10%. La trasfusione di sangue responsabile fino a 20 anni fa di oltre l‘80% dei casi oggi lo è solo in minima percentuale ed è destinata quasi ad annullarsi con l‘introduzione della determinazione dell‘HCVRNA nel sangue del donatore. 5 IL VIRUS Il virus Il virus dell’epatite C ha un diametro di 30-60 nm con un involucro lipoproteico contenente RNA a singola elica di circa 10.000 basi, appartiene alla famiglia delle flaviviridae ed è il solo membro del genere epacivirus (20,21). Il virus codifica una sola poliproteina di circa 3000 aminoacidi (22) che viene poi suddivisa in molti peptidi strutturali e non strutturali. Le componenti strutturali consistono nel core (C ) e due glicoproteine di superficie (Envelope, E1 ed E2) oltre che in proteine non strutturali nominate NS1, NS2, NS3, NS4, NS5. La figura 2 illustra schematicamente il genoma del virus. Campioni di siero con alte concentrazioni di virus tenute a temperatura ambiente diventano HCVRNA negativi dopo 5 giorni (24). Il genoma del virus si modifica frequentemente; il risultato è che nel siero l’HCV circola non come un’unica specie ma come una popolazione di quasispecie, in cui i genomi virali differiscono nella sequenza nucleotidica dall’1% al 5% (25). La diversità delle quasispecie può essere una delle cause dell’alta percentuale di cronicizzazione della malattia e può contribuire alla resistenza immunologia, in quanto le proteine della superficie cambiano rapidamente in risposta alla pressione del sistema immune. Non esistono sistemi di coltura per l’HCV né si possono infettare con il virus piccoli animali. Regioni 3‘ non codificanti Regioni 5‘ non codificanti C E1 E2/ NS1 NS2 NS3 NS4 Proteine ricombinanti diagnostiche NS5 La diagnosi sierologica è basata sulla determinazione di: AntiHCV, HCVRNA qualitativo e quantitativo, genotipi dell’HCV. AntiHCV Si utilizza un test immunoen5.1.1 zimatico (EIA), che risulta c22-3 c33c c100-3 NS5 positivo o negativo. Nei casi c200 dubbi si impiega il test RIBA (Riverse Immunoblot Assay) Genoma del virus dell‘epatite C che evidenzia anticorpi contro varie componenti del virus. Fig. 2: Schema del genoma del virus dell’epatite C. Viene considerato positivo quando sono presenti almeno due anticorpi; nel caso di presenza di un solo anticorpo il test è definito indeterminato. E’ comunque consigliabile usare come test di conferma Il virus dell’epatite C replica nel citoplasma degli direttamente la ricerca dell’HCVRNA sierico. epatociti e la produzione di virus è assai elevata; HCVRNA ogni giorno si producono da 1010 a 1012 virioni; Si ricerca la sua presenza o assenza (HCVRNA esiste anche un rapido tournover del virus con un qualitativo) e la sua quantità nel sangue (HCVRNA tempo di dimezzamento di circa 150 minuti (23). quantitativo). Quest’ultima determinazione ha imporIl virus è inattivato al calore secco a 60°C, dalla tanza in campo terapeutico, in quanto esiste una formalina, dal cloroformio e dai solventi organici. correlazione inversa tra la viremia e la risposta al 6 QUADRO CLINICO Genotipi dell‘HCV Il virus dell‘epatite C non è omogeneo, ma a causa delle differenti mutazioni si riconoscono almeno 6 genotipi principali, ognuno dei quali comprende vari sottotipi (oltre 50) che a loro volta sono costituiti da numerosissime varianti (isolati e quasispecie). La tabella 1 riporta l’eterogeneità del virus dell’epatite C (26). Nome Variazione della sequenza nucleotidica Genotipi 30- 50% Sottotipi 15 - 29% Isolati 5 -14% Quasispecie 1- 4% Tabella 1: Eterogeneità dell’HCV I genotipi, seguendo la classificazione di Simmonds sono numerati dall‘1 al 6; hanno in comune almeno il 50% del genoma. I sottotipi (classificati in a,b,c ecc) hanno in comune il 70-85% del genoma, men­ tre isolati e le quasispecie differiscono fra loro in misura minore. Esiste una differente distribuzione geografica dei genotipi; così nel mondo occidentale sono più frequenti l‘1, il 2, il 3 (in particolare 1a, 1b, 2a,2b, 2c, 3a). Il genotipo 1 è il più comune negli Stati Uniti d’America e nel nord Europa, l’1b ha una distribuzione mondiale ed è il più comune, anche il 2a e 2b si ritrovano dovunque e sono particolarmente dimostrabili nel Giappone e nell’Italia del nord. Il genotipo 3 è assai frequente in India ed è stato introdotto negli anni ’60-’70 negli Stati Uniti ed Europa, assai verosimilmente attraverso la diffusione delle droghe per via endovenosa. Nel Nord Africa prevale il genotipo 4, mentre il genotipo 5 prevale nel Sud Africa e il genotipo 6 nell‘Estremo Oriente. L’importanza della determinazione del genotipo risiede nel fatto che rispondono differentemente alla terapia: migliore risposta si ottiene con i genotipi 2 e 3 (27). Inoltre nei soggetti con genotipo 3 si evidenzia molto più frequentemente steatosi epatica alla biopsia; tale steatosi regredisce se il virus viene eliminato (28). Quadro clinico Il rapporto fra infezione asintomatica e sintomatica è assai elevato (15-20:1). a) Forme acute Il periodo di incubazione varia da 2 a 16 settimane, raramente fino a 30. Epatite acuta: in oltre il 90% dei casi decorre senza sintomi e solo in una piccola percentuale il paziente presenta ittero, notevole astenia, disturbi digestivi, febbre, nausea, vomito, ecc. In rari casi può comparire anemia aplastica, pancreatite, agranulocitosi. L’HCVRNA compare entro due settimane dall’esposizione, mentre l’anti-HCV è più tardivo evidenziandosi circa 50 giorni dopo l’esposizione, in corrispondenza con l’aumento delle transaminasi. Nell‘80% dei casi il virus non viene eliminato. La guarigione avviene più frequentemente nelle forme sintomatiche, nei soggetti giovani e di sesso femminile. La fig. 3 mostra un quadro di epatite acuta cronicizzata. Tempo dopo l‘esposizione Sintomi anti-HCV livelli ALT trattamento, soprattutto per il genotipo 1. Non esiste invece alcun rapporto fra viremia ed evolutività della forma. HCVRNA 0 1 2 3 Mesi 4 5 6 1 2 3 Anni 4 5 6 Fig. 3: Epatite acuta cronicizzata. 7 Epatite fulminante: nella quale il fegato può venire completamente distrutto e porta spesso a morte il paziente nel giro di pochi giorni se non viene eseguito un trapianto urgente. E‘ assai rara, con relativa maggiore frequenza nei soggetti in età matura. b) Forme croniche Se il soggetto non elimina il virus entro 6 mesi dall‘infezione è da considerare cronicamente infetto. Epatite cronica asintomatica: è la più frequente. La diagnosi viene posta per caso, in quanto ad un esame eseguito per varie ragioni (chek-up, assicurazione ecc) vengono riscontrate le transaminasi elevate e la positività dell‘anti-HCV. Epatite cronica sintomatica: il sintomo più frequente è l‘astenia; raramente è presente dispepsia e febbricola. In corso di importante riattivazione della malattia può comparire subittero o ittero. Anche nelle forme evolute in cirrosi molti soggetti sono asintomatici e la malattia può rivelarsi con la comparsa di una complicazione come l’ascite, un’emorragia digestiva o l’epatocarcinoma. Obiettivamente si riscontra epatomegalia e nelle forme più avanzate splenomegalia, presenza di spider nevi, ecc. Le transaminasi possono essere costantemente aumentate con valori simili, più o meno elevati oppure si può assistere a saltuarie importanti riaccensioni con transaminasi che da quasi normali si incrementano di 10-20 volte per poi ridiscendere nel giro di qualche settimana o mese. Queste riacutizzazioni provocano rapidi peggioramenti della malattia epatica con comparsa di cirrosi in tempi relativamente brevi. E’ stato osservato che tale comportamento avviene soprattutto in pa­ zienti portatori del genotipo 2. Il virus dell’epatite C è ritenuto responsabile di varie altre patologie interessanti organi al di fuori del fegato (tabella 2). Alcune sono dimostrate con certezza, mentre altre possono essere associazioni fortuite La più frequente e accertata è la comparsa di crioglobu8 line che sono immunocomplessi costituiti dall’antigene virale, i rispettivi anticorpi, immunoglobuline, fattore reumatoide e complemento. La presenza di crioglobuline è assai frequente nell’epatite C (30-40% dei casi): usualmente è asintomatica; in circa il 2% dei soggetti le crioglobuline precipitano nei piccoli vasi sanguigni di differenti distretti causando: a) artralgie b) sindrome di Raynaud c) c omparsa di petecchie soprattutto agli arti inferiori (per l’occlusione dei piccoli vasi sottocutanei) d) neuropatie per occlusione dei vasa nervorum e) glomerulopatie per occlusione dei vasi glomerulari. L‘eliminazione del virus è seguita generalmente dalla scomparsa delle crioglobuline e dalla risoluzione della sindrome vasculitica, con l’eccezione della neuropatia e, se già presente, dell’insufficienza renale che generalmente persistono. Patologie Evidenza dell‘associazione Crioglobulinemia mista +++ Porfiria cutanea tarda + Lichen planus + Sindrome Sicca + Linfoma a basso grado di malignità + - Tiroidite autoimmune + - Anemia aplastica ? Poliarterite nodosa ? Eritema nodoso ? Fibrosi polmonare idiopatica ? Tabella 2: Patologie associate all’infezione da HCV Evoluzione L’evoluzione della malattia è assai variabile ed è in­ fluenzata anche dalle caratteristiche e dalle abitudini dell’ospite. I fattori più frequentemente associati alla rapidità di evoluzione dell’epatite verso la fibrosi e la cirrosi epatica sono: • Fattori genetici (29) • Infezione acquisita in età avanzata (30) • Sesso maschile (30,31) • Razza nera (32) • Coinfezione HBV (33) • Coinfezione HIV (34) • Schistosomiasi (35) • Steatoepatite (36) • Aumento ferro epatico (37) • Consumo di alcol (38) • Fumo (39) La figura 4 riassume l’evoluzione dell’epatite C. Fase acuta 20% Guarigione 80% cronicizzazione 75% lenta evoluzione 60% lenta evoluzione 25% cirrosi 40% scompenso, epatocarcinoma o trapianto Fig. 4: Storia naturale dell’infezione da HCV 9 DIAGNOSI Per l’epatite cronica: Anamnesi: trasfusioni di sangue prima del 1990, comportamenti a rischio nel passato. Sintomatologia : astenia, dispepsia, ecc. Laboratorio: • Elevazione dei livelli di transaminasi. Per ampi periodi possono essere normali. • Elevazione variabile della fosfatasi alcalina e gGT • Tempo di protrombina normale o lievemente ridotto Diagnosi Per l’epatite acuta: Anamnesi: nelle settimane precedenti ricoveri in ospedale, interventi odontoiatrici, comportamenti a rischio (piercing, tatuaggi, rapporti sessuali non protetti, ecc.). Sintomatologia: Astenia, forma influenzale, disturbi digestivi, subittero, ecc. Laboratorio: incremento delle transaminasi, bilirubina. Diagnosi sierologica: • HCV: anti-HCV, HCV RNA (*) (*) Solo l’HCV RNA consente la diagnosi di epatite acuta C, in fase precoce prima della sieroconversione e nei soggetti che non sviluppano anticorpi anti-HCV come gli immunodepressi. Esami strumentali: Ecografia. Riduzione delle dimensioni epatiche nelle epatiti fulminanti. 10 • Albumina e colinesterasi normali o lievemente ridotte • I pazienti devono essere tenuti sotto controllo, con ripetuti esami del sangue per valutare l’evoluzione della malattia e per decidere l’eventuale trattamento. • P resenza dei marcatori virali specifici: - AntiHCV - HCVRNA qualitativo e quantitativo, - Genotipi dell’HCV. Esami strumentali: ecografia, biopsia epatica e fibroscan. – Biopsia epatica – viene valutata 1. l’ attività (minima, lieve, moderata. severa) 2. la gradazione (grading), cioè il grado di infiammazione e necrosi con un punteggio (score) che può variare a seconda delle classificazioni . La più seguita è quella di Ishak (40) il cui score varia da 0 a 18. Tiene conto dell’attività infiammatoria periportale (da 0 a 4), della necrosi confluente nel lobulo epatico (da 0 a 6), della necrosi e infiammazioni focali (da 0 a 4) e infine dell’infiammazione portale (da 0 a 4). Dalla somma di tali punteggi si evince che l’epatite può essere: Grado 1-4: epatite cronica minima Grado 5-9: epatite cronica lieve Grado 10-15: epatite cronica moderata Grado 16-18: epatite cronica severa. 3. la stadiazione (staging), cioè lo stadio di malattia che si ottiene quantizzando l’estensione della fibrosi. Secondo la classificazione di Ishak lo score varia da 0 a 6, per cui la fibrosi può essere: Stadio 0: assenza di fibrosi Stadio 1: fibrosi minima Stadio 2: fibrosi lieve Stadio 3: fibrosi moderata Stadio 4: fibrosi severa Stadio 5-6: cirrosi Esistono altre classificazioni, come quelle di Knodell (41) (necrosi periportale e a ponte da 0 a 10, degenerazione e necrosi focale intralobulare da 0 a 5, infiammazione portale da 0 a 5, quindi grading da 0 a 20 e staging da 0 a 5) e di Sheuer (42) (grading da 0 a 4 e staging da 0 a 4) e il sistema METAVIR utilizzato soprattutto in Francia (43) (grading da 0 a 6 e staging da 0 a 4). Le fig. 5 e 6 riportano un esempio di epatite cronica attiva e di cirrosi. Fig. 5: Epatite cronica attiva Pertanto, ad esempio, si troverà scritto per una bio­ psia epatica: Epatite cronica da HCV lieve (con lieve infiammazione portale, parziale necrosi della lamina limitante, scarsi infiltrati nei lobuli epatici, minima fibrosi diffusa). Gradazione (grading) =7 Stadiazione (staging)= 1 Score totale (secondo Ishak)= 8 Fig. 6: Fegato cirrotico. Le cicatrici dividono l‘organo in noduli rigenerativi di varia ampiezza. Epatite cronica da HCV con cirrosi (infiammazione portale moderata, parziale necrosi della lamina limitante, scarsi infiltrati nei lobuli epatici, cirrosi). Grading = 10, Staging = 6. 11 Fibroscan Dal 2004 abbiamo a disposizione un apparato, denominato Fibroscan che con un metodo semplice, non invasivo, ripetibile, può valutare direttamente la fibrosi del fegato. Il principio su cui si basa è relativamente semplice: più il fegato è fibrotico più è “duro”. Per misurare la “durezza” dell’organo il Fibroscan si avvale di una tecnologia innovativa e brevettata, l’elastometria impulsionale, che consiste nel produrre una piccola vibrazione su una superficie cutanea, in corrispondenza del lobo epatico destro, che si propaga per una certa profondità nel fegato. Con l’ausilio di una fonte di emissione di ultrasuoni integrata nella sonda dello strumento si è in grado di stabilire la velocità di propagazione dell’onda: maggiore è la velocità di propagazione, maggiore è la durezza del fegato e quindi il grado di fibrosi qualora questa sia presente (44-46). E’ stata documentata una buona capacità diagnostica nelle epatiti croniche e nella cirrosi (47,48). E’ anche possibile prevedere la presenza o meno di varici esofagee importanti in corso di cirrosi (49). 12 Il Fibroscan non sostituisce del tutto la biopsia epatica che può dare altre indicazioni, come l’estensione della necrosi (morte) cellulare, dell’infiammazione e il grado di grasso presente nelle cellule; tuttavia ne limita certamente l’uso. Dobbiamo comunque segna­ lare che la biopsia epatica è imprecisa nello studiare la fibrosi (errori di campionamento, inadeguatezza del frustolo, ecc (50,51 ). Inoltre recentemente sono stati anche suggeriti semplici tests sierologici variamente associati che sembrano correlarsi più o meno significativamente con il grado di fibrosi del fegato in corso di epatite cronica. Tra questi il più utile sembra essere il Fibrotest studiato in particolare dal gruppo di Poynard (52-54 ). Un portatore con lenta o assente evoluzione della malattia si distingue da un portatore con più rapida evoluzione seguendolo con attenzione, ripetendo sovente il test delle transaminasi, oltre ad altri esami che valutino la funzione del fegato (livelli di albumina, colinesterasi, attività protrombinica, ecc.). Soggetti con valori di transaminasi costantemente normali e senza alterazioni della funzione epatica negli anni è assai verosimile che non abbiano una malattia progressiva. Al contrario chi ha esami modificati ha una forma di epatite più o meno evolutiva. TERAPIA Terapia Lo scopo della terapia (fig.7) è quello di inibire la moltiplicazione del virus o meglio di eliminarlo definitivamente in modo da ridurre l’infiammazione e la fibrosi del fegato. Ottenendo questo diminuiscono fortemente i rischi di evoluzione verso la cirrosi e il carcinoma epatico e ovviamente si aumenterà la sopravvivenza. SCOPO DEL TRATTAMENTO 80 60 La risposta alla terapia si definisce come: a. R isposta sostenuta: l’HCVRNA è costantemente negativo per 6 mesi dopo la fine del trattamento. E’ stato osservato che oltre il 90% di questi soggetti continuano nel tempo ad avere la negatività del virus con transaminasi normali e netto miglioramento istologico b. R isposta con relapse: l’HCVRNA risulta negativo alla fine della terapia ma ricompare alla sua sospensione c. R isposta con breakthrough: durante il trattamento si assiste alla negativizzazione dell’HCVRNA che però ricompare durante il trattamento stesso. d. N on risposta: l’HCVRNA non si negativizza mai. La fig. 8 riassume il netto miglioramento della percentuale di risposta virologica sostenuta negli anni, passando dall’Interferone in monoterapia, all’aggiunta di Ribavirina e, infine, all’associazione Interferone Peghilato + Ribavirina. (55-64). 41 % SVR 40 30 20 18 % 10 0 IFN IFN + RIBA PEGIFN + RIBA Fig. 8: E voluzione della terapia dell’epatite cronica C per 48 settimane con evidente miglioramento della SVR E’ stato osservato in un ampio lavoro di Hadziyannis et al. che esiste una netta diversità di risposta tra genotipi 1 e 2/3 (fig. 9 e 10) (60). Inoltre, mentre per il genotipo 1 la terapia deve protrarsi per 48 settimane, per i genotipi 2 e 3 è suffi­ ciente un trattamento di 24 settimane con anche minore dosaggio di Ribavirina (60). SVR Genotipo 1 60 51 % 50 SVR Fig. 7: Scopo della trattamento dell’epatite cronica C 58 % 50 A breve termine: • Risposta Virologica sostenuta (SVR) A lungo termine : • Miglioramento istologia • Prevenzione cirrosi e HCC • Prevenzione complicazioni • Aumento sopravvivenza Terapia nei pazienti mai trattati Risposta virologica sostenuta (SVR) 70 40 30 41 % 40 % n =118 n =250 29 % 20 10 n =101 n =271 0 PegIFNa2a RBV 800 PegIFNa2a RBV 1000/1200 PegIFNa2a PegIFNa2a RBV 1000/1200 RBV 800 Fig. 9: Risposta virologica sostenuta in pazienti con epatite cronica C genotipo 1 trattati con Interferone Peghilato e Ribavirina per 24 o 48 settimane a differenti dosaggi di Riba 13 80 78 % 78 % 77 % 73 % 70 60 SVR 50 40 n=106 n =162 n=165 n =111 30 20 10 Fig. 10: Risposta virologica sostenuta in pazienti con n=101 epatite cronica C genotipi 2/3 trattati con Interferone 0 PegIFNa2a RBV 800 PegIFNa2a PegIFNa2a RBV 800 RBV 1000/1200 PegIFNa2a RBV 1000/1200 Peghilato e Ribavirina per 24 o 48 settimane a differenti 48 settimane 24 settimane dosaggi di Riba Pertanto l’attuale trattamento dell’epatite cronica C in pazienti mai trattati precedentemente o che hanno avuto ripresa (relapse) della malattia dopo sospensione di un trattamento con IFN in monoterapia o IFN + Ribavirina, è: Interferone Peghilato alfa2b 1,5 μg/Kg/settimana o Interferone Peghilato alfa2a 180 μg /settimana + se genotipi 1/4: Ribavirina 1000-1200 mg x 48 settimane se genotipi 2/3: Ribavirina 800-1000 mg x 24 settimane Il genotipo 4 è assimilabile come risposta al genotipo 1 (62,63). La fig 11 riporta le attuali linee guida riguardanti la terapia delle epatiti croniche C nei genotipi 1/4 in funzione della risposta virologica durante il trattamento (cosiddetto “stop and go”). Fig. 11: Linee guida generali genotipo 1/4 riguardanti la terapia dell’epatite PEGIFNa2a 180 + Ribavirina (1000-1200 mg) Settimana 12 HCVRNA neg Riduzione viremia >100 volte Riduzione viremia <100 volte continua continua STOP Settimana 24 Settimana 48 14 STOP HCVRNA neg HCVRNA pos continua STOP STOP Il dosaggio di Ribavirina dipende dal peso corporeo del paziente (1200 mg se il peso è uguale o superiore a 75 Kg, 1000 mg se inferiore o uguale a 75 Kg.) cronica C nei genotipi 1/4 Effetti collaterali dell’interferone e ribavirina Come si vede se l’HCVRNA non si negativizza entro tre mesi o almeno si riduce di 100 volte, la terapia deve essere sospesa, in quanto, proseguendo, le probabilità di ottenere una risposta sostenuta variano dallo 0 al 3% (58,59). In ogni caso il trattamento va interrotto se l’HCVRNA risulta ancora positivo al 6° mese. Nel caso in cui l’HCVRNA appaia negativo dopo 4 settimane, il trattamento può interrompersi alla settimana 24, in particolare se il paziente presenta prima del trattamento una bassa viremia e scarsa fibrosi (65-72). Sempre nel genotipo 1 per soggetti che alla settimana 12 non negativizzano il virus, pur avendo ridotto la concentrazione viremica di almeno 100 volte, e sono negativi alla settimana 24, la terapia dovrebbe essere prolungata oltre la settimana 48 (fino alla settimana 72-96) per ottenere una risposta soddisfacente (73-77). Le attuali linee guida riguardanti la terapia nei genotipi 2/3 sono schematizzate nella figura 12. genotipo 2/3 PEGIFN + Ribavirina (600-800 mg) Settimana 12 HCVRNA neg continua Settimana 24 ca C consiste nella combinazione di Interferone Peghilato associato alla Ribavirina. Questo induce una risposta virologica sostenuta (SVR) (cioè negativizzazione dell’HCVRNA 6 mesi dopo la sospensione della terapia) in circa 42-51% dei pazienti infettati con il genotipo 1 e in circa il 76-84% di quelli portatori del genotipo 2 o 3. Questi risultati sono stati ottenuti nella maggior parte degli studi clinici randomizzati e controllati (58-64). Dobbiamo però aggiungere che l’efficacia del trattamento può essere differente in pazienti presi a caso, rispetto a quelli arruolati in studi controllati (tipicamente hanno un’età inferiore a 65 anni); inoltre esistono differenze nella prevalenza di co-morbilità, di indice di massa corporea, ecc. Infatti in uno studio italiano multicentrico di sorve­ glianza la risposta virologica sostenuta nel genotipo 1 e 2/3 sono stati rispettivamente del 39% e del 63,5%, inferiori a quelle osservate nei trial clinici controllati (84). Effetti collaterali dell’interferone e ribavirina Gli effetti collaterali dell’Interferone e della Ribavirina (58-60,85,86) sono riportati nelle figure 13 e 14 HCVRNA pos STOP Effetti collaterali dell‘Interferone Sindrome simil influenzale stanchezza, febbre, poco appetito, brividi, mal di testa, dolori alle ossa e alle articolazioni ecc: è assai frequente; in genere si attenua o sparisce dopo le prime settimane. Sindrome neuropsichiatrica apatia, cambiamento del carattere, insonnia, ansia, depressione, ridu­ zione della libido (interesse sessuale) ecc. Vari diarrea, nausea, dolori addominali, prurito, dimagramento, perdita dei capelli. Alterazioni di laboratorio riduzione dei leucociti, delle piastrine, dei globuli rossi, proteinuria Malattie autoimmuni in particolare disfunzioni della tiroide. STOP Il dosaggio di Ribavirina dipende dal peso corporeo del paziente (1000 mg se il peso è uguale o superiore a 75 Kg, 800 mg se inferiore o uguale a 75 Kg.) Fig. 12: Linee guida generali riguardanti la terapia dell’epatite cronica C nei genotipi 2/3 Nel genotipo 2/3, se l’HCVRNA si negativizza dopo 4 settimane di trattamento, la durata della terapia può limitarsi a 12-16 settimane, soprattutto se il paziente ha un peso normale, è giovane, ha una bassa viremia e una scarsa fibrosi. (78-83). Riassumendo, il trattamento attuale dell’epatite croni- Fig. 13: Effetti collaterali dell‘Interferone 15 FATTORI PREDITTIVI Effetti collaterali della Ribavirina •D isturbi digestivi, generalmente modesti che tendono ad attenuarsi •R ash cutanei con prurito, raramente tali da richiedere la sospensione del trattamento • Insonnia •D isturbi respiratori come dispnea, tosse, faringite, in genere modesti •E molisi con anemia: è l’effetto collaterale più frequente (un modesto calo dell’emoglobina avviene in quasi tutti i pazienti). Nel 20 % dei casi è assai marcato, tale da richiedere la riduzione e nel 6 -7% dei casi la sospensione del farmaco. Fig. 14: Effetti collaterali della Ribavirina Fattori predittivi I fattori predittivi di ridotta risposta alla terapia correlati al paziente sono il sesso maschile, l’età avanzata, la menopausa, la lunga durata dell’infezione, il consumo di alcol, il fumo, il sovrappeso, l’aumento di ferro nel sangue e nel fegato, la coinfezione con HBV/HIV, la presenza di steatosi, di fibrosi o cirrosi e infine l’immunosoppressione (87-105). Importanti sono poi, come abbiamo visto, alcune caratteristiche legate al virus come i genotipi 1 e 4 che rispondono meno del 2 e 3 e l’alta viremia che, particolarmente nei genotipi 1, predice una minore probabilità di eliminazione virale (55-62, 87-105). L’ipotesi che nell’epatite cronica C le caratteristiche genetiche dell’ospite potessero giocare un ruolo essenziale nell’ottenere una risposta virologica sostenuta con il trattamento, è stato più volte ipotizzato, considerando anche la diversa percentuale di guarigione in razze e gruppi etnici differenti (106 -109). Ad esempio negli Stati Uniti, in uno studio di confronto è stato osservato che i bianchi latini hanno avuto una SVR del 34% rispetto al 49% dei bianchi non latini, i quali hanno anche mostrato dopo terapia miglioramenti istologici assai più evidenti rispetto ai primi (108). Ed ancora negli Stati Uniti, confrontando l’efficacia di Interferone Peghilato e Ribavirina tra un uguale gruppo di bianchi e neri, sovrapponibili per genotipi, carica virale, caratteristiche dell’ospite, la percentuale dei primi che hanno eliminato definitivamente il virus è stata del 52%, mentre quella dei secondi del 19% (106). Infine assai significativo è un recentissimo lavoro di Muir et al (109) che in un lavoro multicentrico (318 Centri Americani) su un‘assai ampia casistica, costituita da 3070 pazienti con epatite cronica C appartenenti a diversi gruppi etnici, ha evidenziato che la terapia è stata in grado di ottenere un SVR nel 59% degli asiatici, nel 44% dei bianchi caucasici, nel 38% degli ispanici e infine nel 22% degli africani americani. Molte ricerche sono state condotte per scoprire l’eventuale ruolo di fattori genetici dell’ospite che 16 spiegassero queste evidenti differenze ed anche la variabile risposta terapeutica in individui apparentemente identici. Tutte le istruzioni necessarie alle cellule per le loro attività sono contenute nel DNA (acido deossiribonucleico). I risultati sono stati contraddittori e nessuna proposta, apparsa inizialmente interessante, è assurta a test convincente, utile, facilmente applicabile (110-122). Nel DNA l’informazione è conservata in sequenze di DNA chiamate geni che influenzano tutte le caratteristiche degli organismi viventi. Nell’uomo sono presenti circa 25.000 geni. Solo alla fine del 2009 si è avuta l’indubbia conferma dell’importante ruolo della predisposizione genetica per poter predire la risposta al trattamento antivirale nei soggetti con epatite cronica C. Sono state dimostrate alcune variazioni a livello del gene Interleuchina 28B (IL28B) localizzato nel cromosoma 19 (123-125). Inoltre queste variazioni possono spiegare anche la spontanea guarigione delle epatiti acute C che si realizzano in circa il 25% dei pazienti e certamente le differenze razziali ed etniche osservate nelle rispo­ ste terapeutiche. Prima di presentare i dati è bene riassumere brevemente in termini semplici i più importanti concetti basilari di genetica. Nelle cellule il DNA con i geni è contenuto nei nuclei; non è libero in essi, ma si trova in strutture chiamate cromosomi, trasmessi metà dal padre e metà dalla madre. Nell’uomo ci sono 23 coppie di cromosomi di cui 22, detti autosomici, sono identici, mentre nell’ultima coppia sono uguali nella femmina (XX), diversi nel maschio (XY). Il DNA di qualunque organismo è costituito da un insieme di NUCLEOTIDI che possono essere paragonati a dei “mattoncini” che, unendosi insieme, formano una casa. I semplici componenti di ogni nucleotide sono : a) un gruppo fosforico (uguale per tutti) b) uno zucchero, deossiribosio (uguale per tutti) c) una delle seguenti basi azotate : adenina (A), citosina (C), guanina (G) e timina (T). Quindi le differenze dei nucleotidi dipendono solo dalla presenza di una diversa base azotata. Triplette di basi azotate contigue lungo il DNA, chiamate codoni (ad esempio AAC,oppure ATC,ecc.) sono la chiave del codice genetico, in quanto ogni tripletta è in grado di codificare (in maniera che non è necessario spiegare in questo contesto) uno dei 20 aminoacidi costituenti delle proteine che sono molecole indispensabili per il corretto funzionamento degli esseri viventi. Solo una parte del DNA è codificante (cioè produce gli aminoacidi e quindi le proteine); il resto ha la funzione di mantenere l’integrità strutturale dei cromosomi e regolare dove, quando e in che quantità produrre le proteine stesse. 17 Riassumendo in ogni cellula, a parte i globuli rossi, abbiamo il nucleo dove esistono 23 coppie di cromosomi divisi in circa 25.000 geni, costituiti da più di 3 miliardi di nucleotidi. Il DNA non è costituito da un singolo filamento, ma accoppiato saldamente ad un altro filamento: le due strutture non sono lineari ma formano una doppia elica. Per ogni filamento esiste uno scheletro laterale (costituito da deossiribosio e gruppo fosforico) con all’interno la base azotata. E’ interessante notare che le due basi azotate che si fronteggiano nei due filamenti sono complementari e definite: così l’adenina ha sempre davanti a sé la timina e la citosina la guanina; le basi fra i due filamenti sono unite con un legame all’idrogeno non molto solido, per cui tutto l’intero filamento può essere separabile. Ciò permette che l’informazione genetica possa essere duplicata prima delle divisioni cellulari (replicazione del DNA); la cellula infatti nel dividersi deve trasmettere lo stesso patrimonio genetico alle cellule figlie. Ciò avviene assai facilmente : il primo filamento, dopo la divisione, ricostruisce davanti a sé il secondo, mentre il secondo, ricostruisce il primo. Pertanto avremo due identici doppi filamenti di DNA che si disporranno nelle due nuove cellule con un completo corredo cromosomico. Pertanto tutte le cellule contengono l’intero genoma umano; la diversa funzione, attività o blocco dei geni nelle varie cellule fa in modo che una cellula muscolare abbia struttura e attività diversa da una cellula epatica o cerebrale, ecc. Completata l‘intera mappatura del genoma umano sono iniziati gli studi riguardanti le eventuali diversità nelle sequenze del DNA tra le varie specie e, soprattutto, fra diverse razze e fra individui sani o affetti da molteplici patologie. Ebbene, nell’uomo il 99,9% delle sequenze del DNA sono perfettamente identiche. Nel restante 0,1% si evidenzia una variabilità individuale. In genere si distingue la Mutazione Genetica dal Polimorfismo Genetico, anche se si tratta sempre di presenza di cambiamenti nella sequenza del DNA. Pos18 sono insorgere spontaneamente o essere indotte da mutageni, come sostanze chimiche o radiazioni. In pratica la Mutazione è assai più rara, comparendo in meno dello 0,05% della popolazione e spesso causa evidenti malattie (Xeroderma Pigmentosum, Sindrome di Werner, ecc.). I Polimorfismi sono variazioni di sequenza che compaiono, invece assai più frequentemente, interessando più dell’1% della popolazione. Tali modifiche, generalmente silenti, possono essere presenti all’interno di regioni codificanti o non codificanti, interessare sequenze del DNA, ma nell’80% dei casi la variazione interessa soltanto un Nucleotide (da cui il nome di SNP = Single Nucleotide Polimorfism= polimorfismo di un singolo nucleotide). Il più frequente SNP consiste in una sostituzione nella sequenza delle basi, in un dato punto del DNA, dell’adenina con una guanina, ma sono presenti tanti altri tipi di sostituzione come una citosina al posto di una timina, un’adenina al posto di una citosina, e così via. Si calcola che ogni 2-300 nucleotidi ce ne sia uno così modificato; pertanto sono presenti nel genoma umano 10-30 milioni di potenziali SNPs. Ne sono stati identificati oltre 4.000.000 e della maggioranza dei quali non si conoscono le conseguenze. Ritornando all’epatite cronica C e al suo trattamento, alla fine del 2009 tre gruppi di ricercatori indipendenti in Australia, Giappone e USA (123-125) hanno condotto uno studio in pazienti affetti da questa patologia, valutando su un amplissimo numero (centinaia di migliaia) di singoli polimorfismi genetici (SNP) distri­ buiti lungo tutto il genoma, se esistesse un rapporto tra qualcuno degli SNP rispetto ai soggetti normali, e sopra­ttutto se esistesse una relazione con la risposta alla terapia. E’ stato scoperto che soltanto 7 singole modifiche nucleotidiche localizzate nel cromosoma 19 a livello del gene IL28B (Interleuchina 28B) che codifica l’Interferone λ hanno un rapporto con la maggiore o minore probabilità di risposta. Queste ricerche sono state confermate ed estese da molti Gruppi in ogni parte del mondo (126-138). Il più utile SNP si è rivelato essere quello denominato rs12979860: le due basi azotate della coppia di nucleotidi (paterna e materna) possono essere entrambe Citosina (CC) o entrambe Timina (TT) o Citosina Timina (CT). La frequenza CC (in particolare nei genotipi 1) si è evidenziata nettamente maggiore nei soggetti che rispondevano alla terapia. La fig. 15 riporta il rapporto tra le percentuali di Risposte Sostenute dopo Terapia (SVR) e le variazioni dello SNP osservate nei Pazienti con Genotipo 1. Epatite cronica C genotipo 1 Relazione tra le variazioni nel gene IL28B e Risposta Virologica Sostenuta alla terapia (SVR) SNP rs12979860 Basi azotate CC CT TT Ge,’09 (125) 79% 26% Thompson,’09 (130) 69% Stattermayer,’10 (131) 79% 43%* Rallon,’10 (128) 75% 38%* Pineda,’10 (136) 50% 17%* 33% 27% Nei genotipi 2 e 3 (soprattutto in quest’ultimo) le differenti percentuali sono meno eclatanti. Infatti i portatori CC hanno ottenuto una SVR nell’81% dei casi trattati, mentre per i non CC le percentuali sono state intorno al 69%. Con il Genotipo 3 Rallon et al. non hanno osservato alcuna differenza significativa, mentre per Aparicio et al. i pazienti con CC (che peraltro erano anche HIV positivi) hanno presentato una SVR nel 50% dei trattati, mentre i non portatori di CC nel 17% (fig. 17). Altro dato importante è che in corso di epatite acuta C i portatori del genotipo CC hanno maggiore probabilità di guarire spontaneamente rispetto a coloro che hanno il genotipo TT o anche CT (126,137, 139,140). Dalla fig. 18 si evince, infatti, che i primi eliminano il virus entro poche settimane in circa il 62% dei casi contro meno del 18% degli altri. Epatite cronica C genotipi 2/3 o solo 3 Relazione tra le variazioni del gene IL28B e Risposta Virologica Sostenuta alla terapia (SVR) SNP rs12979860 Basi azotate *CT e TT sono valutati insieme Fig. 15: Percentuale di SVR in rapporto alle differenti basi dello SNP studiato. Lo studio di Pineda comprendeva pa­ zienti HIV/HCV positivi CC Epatite cronica C genotipo 4 Relazione tra le variazioni del gene IL28B e Risposta Virologica Sostenuta alla terapia (SVR) Stattermayer, ’10 (131) 80,5% 74%* 82% 75% 58% Genotipi 3 Rallon,’10 (128) Aparicio,’10 135 nessuna differenza 50% 17% *CT e TT sono valutati insieme Fig. 17: P ercentuale di SVR in rapporto alle differenti basi dello SNP studiato Epatite acuta C Relazione tra le variazioni del gene IL28B e guarigione spontanea SNP rs12979860 SNP rs12979860 Basi azotate Basi azotate CC TT Genotipi 2/3 Mangia, ’10 (133) In presenza di CC l’eliminazione definitiva del Virus dell’epatite C dopo terapia è stata osservata in circa il 71% dei casi, mentre in presenza di CT o TT la percentuale è stata di circa il 31%. Risultati sovrapponibili sono stati evidenziati anche nel Genotipo 4 (SVR nei CC 82,5%, nei non CC 30,5%). (fig.16). CT CT CC CT TT 53% 29,5% 23% Tilmann, ’10 (137) 64% 24,5% 6% Mangia ’10 (139) 69% 23% 0% TT Stattermayer, ’10 (131) 85% 38% Pineda, ’10 (136) 80% 25% *CT e TT sono valutati insieme Fig. 16: P ercentuale di SVR in rapporto alle differenti basi dello SNP studiato Thomas, ’09 (126) Fig. 18: P ercentuale di eliminazione spontanea del virus in rapporto alle differenti basi dello SNP studiato 19 CONCLUSIONI Dati molto recenti dimostrano che il polimorfismo del gene IL28B influenza sia l’evoluzione dei pazienti trapiantati di fegato per cirrosi legata al virus dell’epatite C, sia la risposta terapeutica al trattamento della ripresa epatitica. Inoltre i migliori risultati si otterrebbero utilizzando donatori e riceventi con il genotipo CC del SNP del gene IL28B (141-145). Notevoli differenze nelle percentuali di presenza di CC (che, ripetiamo, predicono una più favorevole risposta alla terapia) sono state evidenziate in differenti gruppi etnici (125, 146) e ciò spiega le ben note varie percentuali di risposte terapeutiche osservate in questi pazienti (125) (fig. 19). 120 Epatite cronica C 100 80 96 % 76 % 60 72 % 55 % 70 % 50 % 40 23 % 20 0 SVR Asiatici Caucasici americani Frequenza C Ispanici americani Africani americani Fig. 19: Risposta virologica sostenuta (SVR) in vari gruppi etnici in rapporto alle differenti basi dello SNP studiato. Infine esistono dei dati preliminari, anche se non del tutto concordanti, che suggeriscono come il polimorfismo a livello del gene IL28B potrebbe condizionare la maggiore o minore severità della malattia con più o meno rapida progressione verso la cirrosi e l’epatocarcinoma (147-151). Simili risultati, anche se lievemente meno significativi, sono stati osservati anche con la genotipizzazione di un altro SNP, l’rs8099917 le cui basi riscontrate sono TT, GG o GT con nettamente maggiore risposta terapeutica o guarigione spontanea in coloro che presentano gli alleli T (123, 124, 134, 138). 20 Conclusioni Dal momento che i farmaci per il trattamento dell’epatite C hanno frequenti effetti collaterali, soltanto una parte dei pazienti sono presi in considerazione per il trattamento. La percentuale di soggetti HCV positivi che vengono realmente trattati tra quelli inviati a Centri clinici di II o III livello di riferimento, variano da 26 al 64% secondo il tipo di Centro considerato e l’area geografica (152-157). Se poi teniamo conto della popolazione generale in aree molto endemiche, il numero 40% di pazienti HCVRNA positivi realmente trattati è molto più basso (meno del 20%) (157). In questi soggetti il trattamento antivirale è stato giudicato non necessario a causa della persistente normalità dei livelli di transaminasi o perché l’epatite si era dimostrata poco aggressiva alla biopsia epatica o perché i pazienti avevano un’età superiore a 65-70 anni; altri della popolazione infetta non sono stati sottoposti a terapia per controindica­zioni medico-psichiatriche, per abuso di alcol o droghe, per la presenza di cirrosi scompensata o epatocarcinoma, per dimostrata intolleranza all’Interferone e Ribavirina in precedenti tentativi o per rifiuto di un’eventuale terapia. In conclusione, in Italia la percentuale di pazienti affetti da epatite cronica C realmente trattati tra i soggetti inviati a Centri di riferimento può essere considerata intorno al 45%, mentre nella popolazione generale attualmente non è superiore al 20%. Il test per uno di questi polimorfismi genetici a livello del gene IL28B (SNP rs1979860) è ora commercialmente disponibile. Può essere utile la sua valutazione? La risposta è senza dubbio affermativa, in quan- to la determinazione del genotipo dello SNP in questione (CC, CT o TT) può fornirci precise indicazioni nel singolo paziente per predire le maggiori o minori probabilità di eliminare definitivamente il virus con la terapia. In pratica il test può aiutare il Clinico per ritagliare la durata e magari il tipo di trattamento che sia più appropriato a quel determinato soggetto: ciò anche alla luce dei futuri farmaci che fra breve si assoceranno all’IFN Peghilato e Ribavirina. Un’importante conseguenza sarà che molti più pazienti, con previsto risultato favorevole al test IL-28B, verranno trattati: per esempio soggetti con età superiore ai 65- 70 anni, affetti da cirrosi, con transaminasi normali o con malattia scarsamente evolutiva alla biopsia, ecc. Dall’altro lato alcuni pazienti teoricamente trattabili saranno esclusi dalla terapia se il risultato del polimorfismo dimostrerà ridotta probabilità di risposta terapeutica, almeno in alcuni nel sottogruppi di soggetti come anziani, cirrotici, non respon­sivi a precedenti terapie, con presenza di co-morbidità. Si può prevedere che il numero dei soggetti trattati aumenterà dal 20 al 50% nella popolazione generale e dal 45% al 75-80% per i pazienti riferiti a Centri clinici di II o III livello. L’ultima considerazione è che, conoscendo con certezza i soggetti maggiormente responsivi, ci sarà una netta maggiore efficace risposta terapeutica con definitiva eliminazione del virus. Ne conseguirà una riduzione di evoluzioni verso la cirrosi e l’epato­ carcinoma e una diminuita necessità di tra­pianti di fegato. Caleranno i costi generali, ma soprattutto moltissimi pazienti e i loro familiari avranno un miglio­ ramento della qualità della vita con ovvio aumento della sopravvivenza dei primi. Potranno essere interessati a tale esame un numero variabile da 10.000 a 100.000 persone. 21 BIBLIOGRAFIA 1. Raykim W, Global epidemiology and burden of hepatitis C. Microb. Infect, 4, 1219-1225, 2002. 2. Poynard T. et al., Viral hepatitis C, Lancet , 362, 2095-2100, 2003. 3. Shepard CV et al., Global epidemiology of hepatitis C virus infection , Lancet Infect. Dis, 5, 558-567, 2005. 4.Choo QL et al., Isolation of a cDNA clone derived from a blood-borne non-A, non-B viral hepatitis genome. Science, 244, 359362, 1989. 5. Marcellin P, Hepatitis C: clinical spectrum of the disease. J. Hepatol. 31, suppl.1, 9-16, 1999. 6.Seef LB et al., The National Institutes of health consensus. Development Conference Management of hepatitis C 2002. Clin.Liver Dis. 7, 261-287,2003. 7. Working Group , The Global Burden of Hepatitis C “Global Burden of disease for hepatitis C” J Clin Pharmacol, 44,22-29, 2004. 8.Mele A et al., Epidemiology of acute viral hepatitis; twenty years of surveillance through SEIEVA in Italy and a review of the literature. Istituto Superiore Sanità. Rapporti ISTISAN 06/12, 19-27, 2006. 9.Stroffolini T et al., High prevalence of hepatitis C virus infection in a small central Italian town lack of evidence of parenteral exposure. Ital.J.Gastroenterol, 27, 235-8, 1995. 10.Bellentani S et al., Clinical course and risk factors of hepatitis C virus related liver disease in the general population report from the Dionysos study. Gut 44, 874-880, 1999. 11.Mazzeo C. et al., Ten year incidence of HCV infection in northern Italy and frequency of spontaneous viral clearance. Gut, 52, 1030-4, 2003. 12.Osella AR et al., Epidemiology of hepatitis C virus infection in an area of Southern Italy. J.Hepatol. , 27, 30-35, 1997. 13.Raffaele A et al., High prevalence of HCV infection among the general population in a rural area of central Italy. Eur. J.Epidemiol. 17, 41-46, 2001. 14.Guadagnino V et al., Prevalence risk factors and genotype distribution of hepatitis C virus infection in the general population: a community based survey in Southern Italy. Hepatology, 26, 1006-1011, 1997. 15.Kondili LA et al., Infection rate and spontaneous seroconversion of anti-hepatitis C virus during the natural course of hepatitis C virus infection in the general population. Gut, 50, 693-696, 2002. 16.Maio G et al., Hepatitis C virus infection and alanine transaminase levels in the general population: a survey in a Southern Italian town. J.Hepatol., 33, 116-120, 2000. 17.Di Stefano R et al., Endemic hepatitis C virus infection in a Sicilian town: further evidence for intragenic transmission. J.Med. Virol., 67, 339-344, 2002. 18.Pendino GM et al., Prevalence and etiology of altered liver tests: a population-based survey in a Mediterranean town. Hepatology, 41, 1151-1159, 2005. 19.Loviselli A et al., Independet expression of serological markers of thyroid autoimmunity and hepatitis virus C infection in the general population: results of a community based study in north-western Sardinia. J.Endocrinol.Invest. 22, 660-665, 1999. 20.Robertson B et al., Classification, nomenclature and database development for hepatitis C virus (HCV) and related viruses : proposals for standardization. Arc Virol, 143, 2493-2503, 1998. 21.Lauer GM et al., Hepatitis C virus infection. N Engl J Med, 345, 41-52, 2001. 22.Major M et al., The molecular biology of hepatitis C. Hepatology, 25, 1527-1538, 1997. 23.Neumann AU et al., Hepatitis C viral dynamics in vivo and the antiviral efficacy of interferon alfa therapy. Science, 282, 103-107, 1998. 24.Piazza M, in Epatite virale acuta e cronica, Ghedini ed., VII edizione, pag. 29, 2000. 25.Martell M et al., Hepatitis C virus (HCV) circulates as a population of different but closely related genomes: quasispecies nature of HCV genome distribution. J Virol, 66, 3225-3229, 1992. 26.Bukh J et al, Genetic heterogeneity of hepatitis C virus: quasispecies and genotypes. Semin Liver Dis, 15, 41-63, 1995. 27.Liang TJ et al., Pathogenesis, natural history, treatment and prevention of hepatitis C. Ann Inter Med, 132, 296-305, 2000. 28.Rubbia-Brandt L et al., Liver steatosis in chronic hepatitis C: a morphological sign suggesting infection with HCV genotype 3. Histopathology, 39, 119-124, 2001. 29.Powell EE et al., Host genetic factors influence disease progression in chronic hepatitis. Hepatology, 31, 828-33, 2000. 30.Kobayashi N et al., The natural course of chronic hepatitis C: a comparison between patients with genotype 1 and 2 hepatitis C viruses. Hepatology, 23, 695-699, 1996. 22 31.Bissell DM, Sex and hepatic fibrosis. Hepatology, 29, 988-989, 1999. 32.Muir AJ et al., Peginterferon Alfa-2b and Ribavirin for the Treatment of Chronic Hepatitis C in Blacks and Non-Hispanic Whites. N Engl J Med, 350, 2265-2271, 2004. 33.Tsai JF et al., Independent and additive effect modification of hepatitis B and C virus infection on the development of chronic hepatitis. J Hepatol, 24, 271-276, 1996. 34.Di Martino D et al., The Influence of human immunodeficiency virus coinfection on chronic hepatitis C in injection drug users: a long-term retrospective cohort study. Hepatology, 33, 1193-1199, 2001. 35.Kamal S et al., Clinical, Virological and histopathological features: long-term follow-up in patients with chronic hepatitis C co-infected with S. mansoni. Liver, 20, 281-290, 2000. 36.Hourigan FL et al., Fibrosis in chronic hepatitis C correlates significantly with body mass index and steatosis. Hepatology, 29, 1215-1219, 1999. 37.Bonkovsky H et al., Iron and chronic viral hepatitis. Hepatology, 25, 759-768, 1997. 38.Corrao Get al., Independent and combined action of hepatitis C virus infection and alcohol consumption on the risk of symptomatic liver cirrhosis. Hepatology, 27, 914-919, 1998. 39.Pessione F et al., Cigarette smoking and hepatic lesions in patients with chronic hepatitis C. Hepatology, 34, 121-125, 2001. 40.Ishak KG, Chronic Hepatitis: morphology and nomenclature. Mod Pathol, 7, 690-713, 1994. 41.Knodell RG et al., Formulation and application of numerical scoring system for assessing histological activity in asymptomatic chronic active hepatitis. Hepatology, 1, 431-435, 1981. 42.Sheuer PJ, Classification of chronic viral hepatitis: a need for reassessment. J Hepatol, 13, 372-374, 1991. 43.Bedossa P et al., The metavir cooperative study group. An algorithm for grading of activity in chronic hepatitis C. Hepatology, 24, 289-293, 1996. 44.Sanada M et al., Clinical evaluation of sonoelasticity measurement in liver using ultrasonic imaging of internal forced low-frequency vibration. Ultrasound Med Biol, 26, 1455-1460, 2000. 45.Yeh WC et al., Elastic modulus measurements of human liver and correlation with pathology. Ultrasound Med Biol, 28,467-474, 2002. 46.Sandrin L et al., Transient elastography: a new non-invasive method for assessment of hepatic fibrosis. Ultrasound Med Biol, 29, 1705-1713, 2003. 47.Ziol M et al., Correlation between liver elasticity measured by transient elastography and liver fibrosis assessed by morphometry in patients with HCV chronic hepatitis. J Hepatol, 40, suppl. 1, 136, 2004 48.Chantelop E et al., Fibroscan is a new non invasive method for the detection of cirrhosis and its complications in patients with chronic liver disease. Results of a prospective study in 456 patients. Hepatology, 40, suppl 1, 515A, 2004. 49.Kazemi F et al., Liver stiffness measurement is highly predictive of the presence of oesophageal varices grade II-III in patients with cirrhosis. Hepatology, 40, suppl 1, 185 A, 2004. 50.Bedossa P et al., Sampling variability of liver fibrosis in chronic hepatitis C. Hepatology, 38, 1449-1457, 2003. 51.Colloredo G et al., Impact of liver biopsy size on histological evaluation of chronic viral hepatitis : the smaller the sample the milder the disease. J Hepatol, 39, 239-244, 2003. 52.Imbert-Bismuth F et al., Biochemical markers of liver fibrosis in patients with hepatitis C virus infection: a prospective study. Lancet, 357, 1069-1075, 2001. 53.Myers RP et al., Biochemical markers of fibrosis in patients with chronic hepatitis C: a comparison with prothrombin time, platelet count, and age-platelet index. Dig Dis Sci, 48,146-153, 2003. 54.Poynard T et al., Biochemical surrogate markers of liver fibrosis and activity in a randomized trial of peginterferon alfa-2b and ribavirin. Hepatology, 38, 481-492, 2003. 55.Di Bisceglie AM et al., Optimal therapy of hepatitis C. Hepatology, 36, S121-S127, 2002. 56.Kjaergard L et al., Interferon alfa with or without ribavirin for chronic hepatitis C: systematic review of randomized trials. BMJ. 323, 1151-1155, 2001. 57.McHutchison JG et al., Combination therapy with interferon plus ribavirin for the initial treatment of chronic hepatitis C. Sem Liver Dis, 19, 57-65,1999. 58.Manns MP et al., Peginterferon alfa2b plus ribavirin compared with interferon alfa2b plus ribavirin for initial treatment of chronic hepatitis C: a randomized trial. Lancet, 358, 958-965, 2001. 23 59.Fried MW et al., Peginterferon alfa2a plus ribavirin for chronic hepatitis C virus infection. N Engl J Med, 347, 975-982, 2002. 60.Hadziyannis SJ et al., Peginterferon-a2a and Ribavirin Combination Therapy in Chronic Hepatitis C. Ann Intern Med, 140, 5, 346-355, 2004. 61.Zeuzem S et al., . Peginterferon alfa 2b plus ribavirin for treatment of chronic hepatitis C in previously untreated patients infected with genotypes 2 and 3. J Hepatol, 40, 993-999, 2004. 62.Kamal SM et al., Peginterferon alfa 2b and ribavirin therapy in chronic hepatitis C genotype 4 . impact of treatment duratioin and viral. Gut, 54, 858-866, 2005. 63.Cornberg M et al, Hepatitis C standard of care , In Hepatology: a clinical textbook. Mauss, Berg, Rockstroh, Sarazin, Vedemeyer Editors, pag171-195, 2010. 64.Practice guidelines for the treatment of hepatitis C, recommendations from AISF/SIMIT SIMAST , Expert opinion Meeting, Dig. Liver Dis, 42, 81-91-2010. 65.Sanchez-Tapias JM et al., Longer treatment duration with Peginterferon alfa 2a and Ribavirin in naïve patients with chronic hepatitis C and detectable HCVRNA be week 4 of therapy: final results of the randomized multicenter TERAVIC-4 study. Hepatology, 40, suppl.1, 218A. 2004. 66.Berg T et al., Reduction of the relative relapse by the prolongation of the duration of a therapy with Peginterferon alfa 2a plus ribavirin in patients with genotype 1 infection up to 72 weeks. Hepatology, 40, suppl 1, 238A, 2004. 67.Zeuzem S. et al , Efficacy of 24 weeks treatment with peginterferon alfa-2b plus rivbavirin in patients with chronic hepatitis C infected with genotype 1 and low pre-treatment viremia. J Hepatol, 44, 97-103, 2006. 68.Jensen DM., Early identification of HCV genotype 1 patients responding to 24 weeks peginterferon alfa-2a/ribavirin therapy. Hepatology, 43, 954-60, 2006. 69.Ferenci P. et al., Peginterferon alfa-2a and ribavirin for 24 weeks in hepatitis C 1 and 4 patients with rapid virological response. Gastroenterology, 135, 451-8, 2008. 70.Mangia A et al. , Individualized treatment duration for hepatitis C genotype 1 patients: a randomized controlled trial. Hepatology, 47, 43-50, 2008. 71.Yu ML et al., Rapid virological response and treatment duration for chronic hepatitis C genotype 1 patients: a randomized trial. Hepatology, 47, 1884-93, 2008. 72.Moreno C et al., Shortened treatment duration in treatment-naïve genotype 1 patients with rapid virological response: a metaanalysis J Hepatol, 52, 25-31, 2010. 73.Sanche-Tapias JM et al., Peginterferon alfa-2a plus ribavirin for 48 versus 72 weeks in patients with detectable hepatitis C virus RNA al week 4 of treatment. Gastroenterology, 131, 451-60, 2006. 74.Berg T et al., Extended treatment duration for hepatitis C virus type 1: comparing 48 versus 72 weeks of peginterferon alfa-2a plus ribavirin. Gastroenterology, 130, 1086-97, 2006. 75.Pearlman BL et al., Treatment extension to 72 weeks of peginterferon and ribavirin in hepatitis C genotype 1-infected low responders. Hepatology, 46, 1688-94, 2007. 76.Parikh M et al., Extended treatment duration for treatment naïve chronic hepatitis C genotype1 late viral responders: a meta-analysis comparing 48 weeks vs 72 weeks of pegylated interferon and ribavirin. J Viral hepatol oct 18, 2010; doi: 10.111/13652893. E pub ahead of print. 77.Watanabe S et al., Prolonged treatment with pegylate interferon alfa-2b plus ribavirin improves sustained virological response in chronic hepatitis C, genotype 1 patients with late response in a clinical real-life setting in Japan. Hepatol Res, 40, 135-144, 2010 78.Mangia A et al., HCV genotype 2 and 3 can be cured by PEGIFN alfa2b and RBV for 12 wks: a randomized controlled study. J Hepatol, 40, suppl.1, S34, 2004. 79.Dalgard O et al., Treatment with Pegylated Interferon and Ribavirin in HCV Infection with Genotype 2 or 3 for 14 Weeks: A Pilot Study. Hepatology, 40, 1260-1265, 2004. 80.Slavemburg S. et al., Optimal lenght of antiviral therapy in patients with hepatitis C virus genotypes 2 and 3. A meta-analysis. Antiviral Ther, 14,1139-48, 2009. 81.Mangia A. et al., Determinants of relapse after a short (12 weeks) course of antiviral therapy and re-treatment efficacy of a prolonged course in patients with chronic hepatitis C virus genotype 2 and 3 infection. Hepatology, 49, 358-63, 2009. 82.Diago M. et al., Identifying hepatitis C virus genotype 2/3 patients who can receive a 16-week abbreviated course of peginterferon alfa-2a plus ribavirin. Hepatology, 51, 1897-903, 2010. 83.Inoue Y. et al., Factors affecting efficacy in patients with genotype 2 chronic hepatitis C treated by pegylated interferon alfa-2b and ribavirin; reducing drug doses has no impact on rapid and sustained virological responses. J Viral Hepatol, 17, 336-44, 2010. 24 84.Gaeta GB et al., Pef-IFN alfa-2b and ribavirin for chronic hepatitis C in daily practice. Hepatology, 41, 1151-1159, 2005. 85.Poynard T, et al., Randomised trial of interferon alpha2b plus ribavirin for 48 weeks or for 24 weeks versus interferon alpha2b plus placebo for 48 weeks for treatment of chronic infection with hepatitis C virus, International Hepatitis Interventional Therapy Group (IHIT). Lancet, 352, 1426-1432, 1998. 86.Maddrey WC, Safety of combination interferon alfa-2b/ribavirin therapy in chronic hepatitis C: relapsed and treatment-naïve patients. Semin Liver Dis, 19, 67-75, 1999. 87.Lee SS et al., Prognostic factors and early predictability of sustained viral responses with peginterferon alfa-2a. J.Hepatol., 37, 500-506, 2002. 88.Castro FJ et al., Early detection of nonresponse to interferon plus ribavirin combination treatment of chronic hepatitis C. J.viral Hepat, 9, 202-207, 2002. 89.Berg T et al., Prediction of treatment outcome in patients with chronic hepatitis C. Significance of baseline parameters and viral dynamics during therapy. Hepatology, 37, 600-609, 2003. 90.Ferenci P., Predictor of response to therapy for chronic hepatitis C. Semin Liver Dis., 24 suppl 2, 25-31, 2004. 91.Antunez I et al., Steatosis as predictive factor for treatment response in patients with chronic hepatitis C, Pr Health Sci J, 23, suppl 2, 57-80, 2004. 92.Xie I et al., Predictive factors for sustained response to interferon treatment in patients with chronic hepatitis C: a randomized open and multicenter controlled trial. Hepatology Pancreat Dis Int., 4, 213-214, 2005. 93.Akuta N et al., Predictive factors of virological non response to interferon-ribavirin combination therapy for patients infected with hepatitis C virus of genotype 1b and high viral load. J.Med. Virol., 78, 83-90, 2006. 94.Mimh U et al., Review article: predicting responses in hepatitis C virus therapy. Aliment Pharmacol Ther. 28, 1043-1054, 2006. 95.Backus LI et al., Predictors of responses of USA veterans to treatment for the hepatitis C virus. Hepatology, 46, 37-47,2007. 96.Foster GR et al., Prediction of sustained virological response in chronic hepatitis C patients treated with peginterferon alfa-2a and ribavirin. Scand. J. Gastroenterol., 42, 247-255,2007. 97.Nachnani JS et al., Clinicopathological predictors to predict sustained viral response rates in patients with chronic hepatitis C infection. Indian J Gastroent ,26,279-82, 2007. 98.Gad RR et al., Predictors of a sustained virological response in patients with genotype 4 chronic hepatitis C. Liver Int., 28,11121119, 2008. 99.Shirakawa H et al., Pretreatment prediction of virological response to peginterferon plus ribavirin therapy in chronic hepatitis C patients using viral and host factors. Hepatology, 48, 1753-1760, 2008. 100.Reddy KR et al., Peginterferon alpha-2a and ribavirin comparable rates of sustained virological response in sub-sets of older and younger HCV genotype 1 patients. J.Viral Hepatol, 16, 724-731, 2009. 101.Rodriguez-Torres M et al., Factors associated with rapid and early virologic responses to peginterferon alpha-2a/ribavirin treatment in HCV genotype 1 patients representative of the general chronic hepatitis C population. J.Viral.Hepat, 17, 139-147, 2010. 102.Kurosaki M. et al., Pretreatment prediction of response to peginterferon plus ribavirin therapy in genotype 1 chronic hepatitis C using data mining analysis. J. Gastroenterol, sett. 10, 2010.(Epub ahead of print). 103.Moauss S et al., Estimating the likelihood of sustained virological response in chronic hepatitis C therapy. J. Viral Hepat. Sept.16, 2010. .(Epub ahead of print). 104.Shin SR et al., Risk factors for relapse in chronic hepatitis C patients who have achieved end of treatment response. J.Gastroenterol Hepatol, 25 , 957-963, 2010. 105.Moraes Coelho HS, Predictor of response to chronic hepatitis C treatment. Ann.Hepatol. 9, suppl., 54-60, 2010. 106.Moriguchi H et al.,Treatment of chronic hepatitis C in blacks and non-Hispanic whites. N.Engl.J.Med., 350 , 2265-2271, 2004. 107.Rodriguez-Torres M et al., Peginterferon alfa-2a and ribavirin in Latino and non-Latino whites with hepatitis C., N.Engl.J.Med., 360, 257-267, 2009. 108.Balart LA et al., Peginterferon alpha-2 plus ribavirin in Latino and Non-Latino Whites with HCV genotype 1 : Histologic outcomes and tolerability from the Latino Study. Am.J.Gastroenterol., 105 , 2177-2185, 2010. 109.Muir AI et al., Hepatitis C treatment among racial and ethnic groups in the IDEAL trial. J.Viral Hepatol., Nov 25, 2010.(Epub ahead of print). 110.Sim H et al., Response to interferon therapy: influence of human leucocyte antigen alleles in patients with chronic hepatitis C. J.Viral Hepat. , 5 , 249-253, 1998. 111.Powel EE et al., Host genetic factors influence disease progression in chronic hepatitis C. Hepatology, 31, 828-833, 2000. 25 112.Yee LJ et al., Interleukin 10 polymorphisms as predictors of sustained response in antiviral therapy for chronic hepatitis C infection. Hepatology, 33 ,708-712, 2001. 113.Constantini PK et al., Interleukin-1, interleukin-10 and tumour necrosis factor-alpha gene polymorphisms in hepatitis C virus infection: an investigation of the relationships with spontaneous viral clearance and response to alpha-interferon therapy. Liver, 22, 404-412, 2002. 114.Nashiguchi S et al., Association of HLA alleles with response (especially biochemical response) to interferon therapy in Japanese patients with chronic hepatitis C. J. Interferon Citokine Res., 23, 135-141, 2003. 115.Airoldi A et al., Lack of a strong association between HLA class II, tumour necrosis factor and transporter associated with antigen processing gene polymorphisms and virological response to alpha-interferon treatment in patients with chronic hepatitis C. Eur.J.Immunogenet. 35, 259-265, 2004. 116.Yee LJ, Host genetic determinants in hepatitis C virus infection. Genes Immun. 5, 237-245, 2004. 117.Sarrazin C et al., GNB3 C825T polymorphism and response to interferon-alfa/ribavirin treatment in patients with hepatitis C virus genotype 1 (HCV-1) infection. J.Hepatol. 45, 388-393, 2005. 118.Jiao J et al., Hepatitis C virus genotypes, HLA-DRB alleles and their response to interferon-alpha and ribavirin in patients with chronic hepatitis C. Hepatobiliary Pancreat Dis Int. 4, 80-83, 2005. 119.Paradis V et al., Serum proteome to predict virologic response in patients with hepatitis C treated by pegylated interferon plus ribavirin. Gastroenterology, 130, 2189-2197, 2006. 120.Nattermann J et al., Host genetic factors and treatment of hepatitis C. Curr Mol Pharmacol, 1, 171-180, 2008. 121.Chuang JY et al., IL-10 promoter gene polymorphisms and sustained response to combination therapy in Taiwanese chronic hepatitis C patients. Dig. Liver Dis., 41, 424-430, 2009. 122.Yee LJ et al.,. Interleukin-6 haplotypes and the response to therapy of chronic hepatitis C virus infection. Genes Immun. 10, 365372, 2009. 123.Suppiah V et al., IL28B is associated with response to chronic hepatitis C interferon-alpha and ribavirin therapy. Nat Genet, 41, 1100-1104, 2009. 124.Tanaka Y et al., Genome-wide association of IL28B with response to pegylated interferon-alpha and ribavirin therapy for chronic hepatitis C. Nat Genet 41, 1105-1109, 2009. 125.Ge D et al., Genetic variation in IL28B predicts hepatitis C treatment-induced viral clearance. Nature 461, 399-401, 2009. 126.Thomas DL et al., Genetic variation in IL28B and spontaneous clearance of hepatitis C virus. Nature 461, 798-801, 2009. 127.Rauch A et al., Genetic variation in IL28B is associated with chronic hepatitis C and treatment failure: a genome-wide association study. Gastroenterology 138, 1338-1345, 2010. 128.Rallon NI et al., Association of a single nucleotide polymorphism near the interleukin-28B gene with response to hepatitis C therapy in HIV/hepatitis C virus-coinfected patients. AIDS 24, F23-29, 2010. 129.McCarthy JJ et al., Replicated association between an IL28B gene variant and a sustained response to peghilated interferon and ribavirin Gastroenterology 138, 2307-2314,2010. 130.Thompson AJ et al., Interleukin-28B polymorphism improved viral kinetics an is the strongest pre-treatment predictor of sustained virologic response in genotype 1 hepatitis C virus Gastroenterology 139, 120-129, 2010. 131.Stattermayer AF et al., Impact of IL 28B genotype on the early and sustained virologic response in treatment-naïve patients with chronic hepatitis C. Clin Gastroenterol Hepatol agosto 20, 2010 (Epub ahead of print). 132.Sarrazin C et al., Importance of IL28B gene polymorphism in hepatitis C virus genotype 2 and 3 infected patients. J hepatol sett. 22, 2010 (Epub ahead of print). 133.Mangia A et al., An IL28B polymorphism determines treatment response of hepatitis C virus genotype 2 and 3 patients who do not achieve a rapid virologic response. Gastroenterology 139, 821-827, 2010. 134.Grebely J. et al., Potential role for interleukin-28B genotype in treatment decision-making in recent hepatitis C virus infection. Hepatology 52, 1216-1224, 2010. 135.Aparicio E et al., IL28B SNP rs8099917 is strongly associated with pegylated interferon-a and ribavirin therapy treatment failure in HCV/HIV coinfected patients. PLoS One 5, e13771, 2010. 136.Pineda JA et al., Prediction of response to pegylated interferon plus ribavirin by IL28B gene variation in patients coinfected with HIV and hepatitis C virus. Clin Infect Dis 51, 788-795, 2010. 137.Tillmann HL et al., A polymorphism near IL28B is associated with spontaneous clearance of acute hepatitis C virus and jaundice. Gastroenterology 139, 1586-1592, 2010. 26 138.Fukuhara T et al., Variants in IL28B in liver recipients and donors correlate with response to peg-interferon and ribavirin therapy for recurrent hepatitis C. Gastroenterology, 139, 1577-1585, 2010. 139.Mangia A et al., IL28B C/C polymorphism is predictive of spontaneous HCVRNA clearance in patients with thalassemia major. J Hepatol, 52, Suppl 1, S452, 2010. 140.Matsuura K et al., Identification of genetic variants of the IL28B associated with spontaneous clearance of hepatitis C virus in Japanese population. J Hepatol, 52, Suppl 1, S452, 2010. 141.Eurich D et al., IL-28B gene polymorphism influences histological and biochemical severity of graft hepatitis after liver transplantation for HCV-induced liver disease. J Hepatol, 52, Suppl 1, S1165, 2010. 142.Brocato M et al., Genetic variation of IL-28B associated with severity of HCV recurrence following liver transplantation. AASLD 2010 Annual Meeting, ID 1158. 143.Bitetto et Al., IL-28B rs12979860 C>T polymorphism influences the achievement of sustained viral response in male with recurrent hepatitis C after liver transplantation. AASLD 2010 Annual Meeting, ID 154. 144.Coto-Lierena M et al., IL-28B polymorphism may improve response to hepatitis C therapy after liver transplantation. AASLD 2010 Annual Meeting, ID 1140. 145.Charlton MR et al., IL28B polymorphism are associated with histological recurrence and treatment response following liver transplantation in patients with HCV infection. Hepatology, 53, 317-324, 2010. 146.Howell CD et al., IL28B genetic variation associated with early viral kinetics in HCV genotype 1 the Viralhep-C study. J Hepatol, 52, Suppl 1, S451, 2010. 147.Abe H et al., Common variation of IL8B affects gamma-GTP levels and inflammation of the liver in chronically hepatitis C virus infected patients. J Hepatol, 53, 439-443, 2010. 148.Bignulin et al., IL28B/IFN-λ3 RS12979860 polymorphism in patients with end stage liver disease: relationship with the occurrence of HCC. J Hepatol, 52, Suppl 1, S35, 2010. 149.Thompson AJ et al., IL28B genotype is not associated with advanced hepatic fibrosis in chronic hepatitis C patients enrolled in the IDEAL study. AASLD 2010 Annual Meeting, ID 229. 150.Bitetto et Al., IL-28B rs12979860 C>T polymorphism affects the evolution of chronic hepatitis C. AASLD 2010 Annual Meeting, ID 302. 151.Del Campo JA et al., IL28B polymorphism predicts sustained virologica response in hepatitis C but is not associated with fibrosis or viral load. AASLD 2010 Annual Meeting, ID 892. 152.Cawtorne CH et al., Limited success of HCV antiviral therapy in United States veterans. Am J Gastroenterol 97, 149-155, 2002. 153.Falh-Ytter Y et al., Surprisingly small effect of antiviral treatment in patients with hepatitis C . Ann Intern Med 13, 288-292, 2002. 154.Framarin L., Eligibility for therapy among chronic HCV-infected patients in a primary referral center. Dig Liver Dis 36, A30, 2004. 155.Bini IJ et al., Prospective multicenter study of eligibility for antiviral therapy among 4084 U.S. veterans with chronic hepatitis C virus infection. Am J Gastroent 100. 1772-1778, 2005. 156.Giannini EG et al., Eligibility criteria for antiviral therapy in HCV-positive patients similar things to (almost)similar people. Am J Gastroenterol 101, 406-407, 2006 157.Mariano A et al., Antiviral treatment for hepatitis C virus infection: effectiveness at general population level in a highly endemic area. Dig Liver Dis 41, 509-515, 2009. 27 I-10-00-8_Interleuchina-20B synlab Italia S.r.l. Via Orzinuovi 111 - 25125 Brescia Tel. 030 3514085 Numero Verde: 800 890 898 www.synlab.it