di Flores Tovo
Se si dà uno sguardo distaccato all’insieme dello spettacolo che il mondo presente mostra, non
potremmo che dare ragione ad Arthur Schopenhauer, il quale riteneva che il principio intrinseco a
tutte le cose, organiche e non, fosse la volontà di vivere, che egli considerava un impulso
incosciente, cieco ed irresistibile. Per cui il mondo fenomenico (il nostro mondo), che egli chiamava
il mondo della parvenza illusoria o anche del “principium individuationis” altro non era che il teatro
di una lotta spietata fra viventi.
Lo stesso Hitler, che conosceva perfettamente il terzo e il quarto libro de “Il mondo come volontà e
rappresentazione” era stato decisamente influenzato da questa veduta di radicale pessimismo, anche
se poteva essere parzialmente ordinato, secondo i suoi piani, con la costruzione di un sistema
politico gerarchico di prospettiva millenaristica. La sconfitta delle ideologie forti del secolo scorso ha
portato alla vittoria un ideologia “altra”, che non si presenta in quanto tale, poiché essa propugna il
pensiero debole e puramente nominalistico, che è l’ideologia del mercato mondiale. Nietzsche, del
resto, lo aveva ampiamente annunciato nei frammenti della “Volontà di potenza”, in cui prevedeva
l’avvento di un periodo storico dominato ontologicamente da un nichilismo assoluto e passivo, nella
cui dimensione storica, secondo la sua prospettiva, sarebbe emersa l’attività creatrice del
superuomo, che avrebbe trasformato con le sue opere il nichilismo passivo in nichilismo perfetto.
Tuttavia la volontà di potenza del superuomo, apollinea e dionisiaca, era concepita da Nietzsche in
modo del tutto diverso rispetto la volontà di vivere schopenhaueriana. Schopenhauer riteneva ch
essa fosse una forza senza scopi, che emanava perpetuamente verso un infinito che non finiva mai
(egli stesso si definì, in una appendice del suo capolavoro, che denominò epifilosofia, un emanatista
panteistico). La volontà di potenza, invece, pur operando all’interno di un mondo dionisiaco
dominato dalla hybris (tracotanza o istinto vitale), implica il raggiungimento dell’atto, poiché, come
ben aveva insegnato Aristotele, non esiste potenza senza atto. L’actus, infatti, altro non è che il fatto
compiuto, la sostanza pienamente realizzata. Tale volontà, perciò, non è solo un impulso spontaneo
che spinge al conseguimento di una pura e generica soddisfazione, un semplice volere che vuole, ma
rivela anche la progettazione di un piano, di un disegno razionale, che, pur non implicando
necessariamente un perfezionamento finalistico (l’entelechia aristotelica) mira ad uno scopo preciso.
Per questo motivo è errato qualificare Nietzsche come scriba del caos, perché la volontà di potenza
che celebra se stessa nell’eterno ritorno dell’uguale contiene in sé un appetito razionale (l’apollineo
appunto) che s’innesta nel caos informe del mondo, cercando di modellarlo secondo i propri
intendimenti con lo scopo di dare ad esso un senso. La volontà di potenza era intesa, quindi, come
forza autocreatrice, che “incarnandosi” nel superuomo, si dispiegava nell’ambito della politica,
dell’arte, della scienza e della guerra.
Ora, se si osserva il mondo odierno, vediamo invece che essa ha trovato il suo terreno di conquista
Flores Tovo
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nell’ambito della finanza e della tecnica, che sono il condensato massimo della avidità e della
brutalità antinaturale. Passione per il denaro e nient’altro, questo è l’universale dettato. Perciò, a
rigore, sembra proprio che abbia ragione Schopenhauer che negava quasi totalmente l’importanza
della razionalità, considerata un lume dalla luce fioca, che talvolta si intravede e che subitamente
svanisce.
Tali affermazioni possono sembrare apparentemente contraddittorie, se si rapportano al modo con
cui sono gestite le economie e le amministrazioni delle società moderne, le quali sono sottoposte alla
logica di un “Gestell”, di una imposizione tecnico-meccanica di indirizzo fisico-matematico, che
pretende di razionalizzare ogni aspetto dell’esistere, secondo i criteri dell’efficienza e
dell’ottimizzazione ( si perdoni l’orribile linguaggio). Il capitalismo nella sua realtà essenziale non
può essere compreso soltanto come un modo di produzione, ma anche come una veduta dell’essere
tecnico-scientifica che parte da Galilei e Cartesio e che culturalmente si insinua pervasivamente con
gli illuministi e Kant, per arrivare fino a noi attraverso il positivismo vecchio e nuovo. Non è stato il
capitalismo a creare il Gestell, come non è stato il Gestell a creare il capitalismo: essi si sono
sviluppati in sincronia quasi perfetta. Il Novecento segna il loro trionfo. E l’americanismo ne è
l’espressione totale e totalizzante.
Eppure tale processo di “Rationalisierung”, innescato da questo connubio, rivela una irrazionalità
totalitaria, poiché come genialmente ci chiariscono in diversi ambiti di indagine Marx ed Heidegger,
l’economia capitalistica genera alienazione, e l’organizzazione sociale crea anonimato ed esistenze
inautentiche che cadono al livello degli oggetti (la Verfallanheit heideggeriana). Gli uomini subiscono
la logica delle merci e delle borse (i mercati) e ne diventano gli schiavi. L’inanimato, le cose morte,
dominano sul vivente.
Ecco che ci si trova all’interno di uno stravolgimento in cui la razionalità capitalistica altro non è che
perversione totalitaria. Scienza ed economia non pensano (la quantità non pensa profondamente,
semmai descrive), ma sono gli strumenti di una volontà di potenza degenerata che incombe su tutto
e tutti. Siamo dominati da criminali.
A questo punto bisogna porre una domanda fondamentale: 1) la storia è davvero il teatro
dell’assurdo e del caos insensato?
Tanti filosofi e artisti come Anassimandro, Gorgia da Lentini, i Cinici, Shakespeare, Hobbes,
Leopardi, Schopenhauer, Freud, Cioran sono stati tra i più grandi sostenitori di questa visione che
comunemente si chiama pessimismo cosmico. Certamente il loro pensiero può affascinare e
convincere, viste le vicende dell’accadere storico. Ma se fosse vero quello che essi affermano si
dovrebbe conseguentemente accettare che la realtà non può essere cambiata, poiché l’attuale
società altro non è che il prodotto della follia umana. E in effetti questo pensiero pare che sia
diventato quello dominante, in quanto la rassegnazione e il fatalismo passivo sono la situazione
emotiva che ormai ha pervaso l’esistere umano. Basta scendere in strada o nei centri commerciali
quando c’è folla e osservare i volti degli individui che passano: la stupefazione bestiale o
l’espressione di un vuoto senza fondo rappresentano perfettamente il loro ritratto. Folle solitarie che
sembrano perdute nella loro anomia.
A questa dimensione di non-vita le hanno ridotte un sistema che ha distrutto qualsiasi legame
comunitario, qualsiasi piacere nel lavoro, qualsiasi progetto nel futuro.
Flores Tovo
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Sono state scritti tanti e troppi libri su questo, che non varrebbe più la pena di parlarne o scriverne.
In questo sconforto, però, ci ritorna in mente l’insegnamento originario, che vedeva che sotto
l’apparente irrazionalità del divenire si nasconde sempre una logica. Nulla di ciò che vive è privo di
una pur elementare legge di pensiero. La zanzara quando ci punge è razionale, la talpa che
costruisce la tana sotto l’albero è razionale, la forza di gravità è razionale. Non c’è nulla che esista
nell’universo che non obbedisca ad una logica. Se l’Essere, inteso come principio di manifestazione
oLichtung, non può essere considerato come una totale rivelazione della razionalità, esso tuttavia è
per lo più pensiero, poiché le leggi della logica sono presenti in ogni sua particolarità, nella fisica,
nella biologia e soprattutto nella storia, in cui è protagonista, pur con tutti i suoi travagli e le sue
passionalità, lo spirito umano. Un uomo, in quanto tale, sa di essere l’unico ente coappartiene
all’Essere, per cui in lui più potente è la presenza del pensiero. Scoprire le contraddizioni del
presente, cavalcarle e nello stesso tempo approfondirle è il compito di coloro che non vogliono
subire la fatalità di un destino imposto. Una vera azione non può attuarsi senza essere pensata.
Flores Tovo
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