White-collar crime: da Sutherland alla pubblicità

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Crimen et Delictum, VIII (November 2014)
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White-collar crime: da Sutherland alla
pubblicità ingannevole e alla frode
alimentare.
Sabrina Apa1
Abstract (versione italiana)
La tematica della criminalità economica, portata in auge
da Edwin Sutherland ha avuto il merito di ampliare lo spettro
di riflessione dell’ambito criminologico. L’attenzione sarà
concentrata sulla pubblicità ingannevole e sulle sue
implicazioni con la frode ai danni della salute del consumatore
in un contesto multimediale come quello attuale. I danni
concernono l’uso di messaggi decettivi riguardo i costi, la
qualità o l’effettiva consistenza dei prodotti. Inoltre, la nocività
di cibi e prodotti farmaceutici comporta un danno fisico per il
consumatore. Ne consegue che questo tipo di illecito coinvolge
non solo il settore economico, dove provoca una distorsione
della concorrenza e la perdita di fiducia dei consumatori, ma
soprattutto un diritto fondamentale: la salute umana.
Parole Chiave: colletti bianchi, pubblicità ingannevole, frode alla
salute del consumatore, reato economico.
Abstract (english version)
The issue of economic crime, brought into vogue by
Sutherland, has broadened the spectrum of reflection scope
criminological. The focus will be on the misleading advertising
and its implication withfraud to consumer health in a
multimedia context like the present. This offense involves the
deliberate use of deceptive statements about the cost, quality, or
effectiveness of a product. In addition, consumers suffer
physically as a result of dangerous products such as food,
pharmaceuticals, and medical equipment. It follows that this
crime involves not only economic sector, where it produces
1
Dottore in Legge, Università La Sapienza di Roma. Praticante Avvocato. Master in
Business Law. Researcher and Assistant in Criminology at Unised International University
of Milan.
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distortion of competition and loss of confidence, but also the
individual’s health, a fundamental right.
Keywords: white-collar, misleading advertising, heath care fraud,
economic crime.
La nascita dei White-collar crimes
L’espressione white-collar crime fu coniata da Edwin H.
Sutherland per identificare gli illeciti commessi in campo
economico, politico e professionale da imprenditori e soggetti
appartenenti agli strati più elevati della società. Invero, il
criminale dal colletto bianco può essere definito come «quella
persona con un alto stato socio-economico che viola le leggi
designate a regolare le sue attività occupazionali».
L’apporto di Sutherland alla Criminologia si rivela di
tale importanza da ridimensionare le teorie del comportamento
criminale, perché mette in evidenza come la delinquenza non
sia confinata esclusivamente tra le maglie dei ceti socioeconomici inferiori. Fino ad allora, infatti, gli studiosi
spiegavano la criminalità sulla base di fattori patologici, sociali
o individuali. Tra le patologie sociali si dava particolare rilievo
alla povertà, alla mancanza di istruzione e alla disgregazione
familiare, mentre fra le patologie individuali rilevavano
l’inferiorità intellettuale e l’instabilità emotiva.
Sutherland pone in essere una vera e propria rivoluzione
copernicana2 di questo paradigma, sottolineando come le teorie
criminologiche che hanno il loro sostrato nelle condizioni
patologiche o connesse alla povertà risultino inadeguate a
fornire una spiegazione del comportamento criminale tout court.
Invero, Sutherland sostiene che, se è vero che il reato3
presenta un’incidenza più elevata tra i ceti socio-economici
inferiori, molti fatti afferenti al comportamento criminale non
possono essere spiegati in base alla povertà e alle patologie
sociali e personali ad essa correlate. Pertanto, il fattore causale
dei reati va rintracciato altrove, e precisamente, nei rapporti
sociali e interpersonali che, come da un lato si accompagnano
2
Così G. FORTI, Percorsi di legalità in campo economico: una prospettiva criminologicopenalistica (6 novembre 2006), Quaderno n° 15 del Ciclo di conferenze e seminari
“L’uomo e il denaro”, organizzati dall’Associazione per lo sviluppo degli Studi di Banca e
Borsa e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, reperibile sul sito
www.assbb.it/CMI/quaderno_etica_15.pdf, p. 22.
3
Sutherland con il termine “reato” si riferisce qui alle violazioni del codice penale che
all’epoca avevano una risonanza maggiore dei reati economici, quali l’omicidio, la
violenza privata, il furto con scasso, la rapina, il furto comune, i reati sessuali e
l’ubriachezza in pubblico.
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alle condizioni di miseria, dall’altro sono concernenti la
ricchezza.
Nella prospettiva di Sutherland, la spiegazione del
crimine arriva a stagliarsi, quindi, nell’ambito della dimensione
subculturale, in base alla quale «una persona diventa
delinquente in quanto si trova in presenza di un eccesso di
definizioni favorevoli alla violazione delle leggi rispetto a
definizioni non favorevoli alle violazioni»4. Questo è il principio
dell’associazione differenziale, al quale fa seguito l’assunto che
la devianza dipenda dalle norme culturali accettate all’interno
del proprio gruppo; quest’ultimo annovera a sé la capacità di
influenzare la condotta del singolo. Ne consegue che il
comportamento criminale viene appreso tramite un processo
comunicativo all’interno dei rapporti sociali e interpersonali e
che, a livello morale, risulti carente sia lo stato di vergogna del
reo sia quello di riprovazione da parte del gruppo, perché il
comportamento illecito messo in atto è pacificamente
riconosciuto all’interno del gruppo come connaturale al
perseguimento dell’obiettivo economico.
Problematica strettamente connessa a questo assetto è il
fatto che il white-collar crime, vale a dire il «reato commesso da
una persona rispettabile e di elevata condizione sociale nel corso
della sua occupazione»5, nell’epoca in cui scriveva Sutherland
non era immediatamente percepito come criminalità nel senso
comune e, pertanto, non veniva adeguatamente represso
dall’ordinamento. Lo studioso rileva altresì criticamente come
le persone appartenenti ai ceti socio-economici superiori
possano godere di maggior potere politico ed economico e di
una solidarietà di classe grazie ai quali sfuggono alla condanna
più agevolmente rispetto agli altri delinquenti comuni.
Giova
sottolineare
come
la
parzialità
dell’amministrazione della giustizia penale relativamente alle
leggi applicate a questa tipologia di illeciti comportasse che la
violazione della normativa in materia di concorrenza, di
pubblicità ingannevole, di sofisticazioni alimentari e
farmaceutiche, per citarne solo alcune, non rientrasse nella sfera
di competenza dei Tribunali penali, ma fosse devoluta alle
Commissioni amministrative e alle Corti civili o di equità. Di
guisa che i casi di questi delinquenti, non essendo inclusi nelle
statistiche criminali, non influenzavano neppure la teoria
generale sul comportamento criminale che, di conseguenza,
risultava lacunosa.
Lo studio di Sutherland
4
E.H. SUTHERLAND e D.R. CRESSEY, Principles of Criminology, Milano 1960.
5
E.H. SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, Milano 1987, p. 8.
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Per il suo studio Sutherland ha preso in esame le
violazioni di legge commesse da settanta grandi società
industriali, minerarie e commerciali americane6 analizzando
non solo la tipologia di illecito (restrizione della concorrenza,
pubblicità menzognera, contraffazioni di brevetti, marchi di
fabbrica e diritti d’autore, condotte di lavoro sleali, ribassi, frodi
alimentari e finanziarie), ma anche le decisioni pronunciate
dalle Corti e dalle Commissioni amministrative, da cui risulta
come a carico di ciascuna delle società sia stata pronunciata
almeno una decisione e fino ad un massimo di cinquanta. Un
totale di 980 decisioni, con una media di quattordici a carico di
ognuna. I numeri più alti si registrano negli illeciti concernenti
le restrizioni della concorrenza, per la quale sono state
condannate ben 60 società, 53 per contraffazioni, 44 per
violazioni delle leggi sul lavoro, 43 per illeciti di varia natura, 28
per pubblicità menzognera e 26 per ribassi7.
Interessante è poi l’analisi della classificazione delle
decisioni pronunciate in base al tipo di giurisdizione cui
appartiene la Corte o la Commissione che le ha emesse, perché
si evince la netta maggioranza di decisioni delle Commissioni
amministrative8, ben 361, seguite dalle 296 provenienti dalle
Corti civili, e solo 158 da quelle Penali. Questi dati, dimostrando
la frequenza delle condanne penali subite dalle società, sono in
grado di confutare le teorie convenzionali, secondo le quali il
crimine è conseguenza della povertà o delle patologie
individuali e sociali ad essa connesse. D’altra parte, Sutherland
mette in evidenza come la bassa percentuale delle azioni di
carattere penale contro le imprese sia indice della scarsa
inclinazione nell’attribuire lo stigma del crimine ai danni delle
società. Dunque, per i reati dei colletti bianchi era pratica
comune sostituire la sanzione penale con provvedimenti non
penali, quali il probation ed i case work, con la conseguenza che
anche la reazione della collettività nei confronti di questi crimini
risultava disorganizzata e difficile da percepire, sia perché si
trattava, e si tratta ancora oggi, di crimini che non colpiscono un
singolo individuo, bensì producono effetti diffusi, sia perché si
protraggono per svariati anni prima che gli enti pubblici e la
collettività si rendano conto di aver subito un danno rilevante.
Corollario di questo assunto è che nei confronti dei
white-collar crimes, che non provocavano nel pubblico la stessa
6
Le settanta società analizzate da Sutherland, tranne due eccezioni, fanno parte degli
elenchi delle duecento maggiori società degli Stati Uniti elaborati da Berle e Means nel
1929 e dal Temporary National Economic Commitee nel 1938.
7
SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 19 e ss.
8
SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 22 e ss.
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indignazione che si accompagna ad alcuni gravi delitti,
risultava carente quel sostrato morale che sottende la nascita del
diritto, di guisa che, non ponendosi le basi per una circolazione
del rapporto morale-diritto su questa tematica, la normativa
penale approntata è risultata meno efficace di altre disposizioni
penali9.
In conclusione, possiamo constatare che lo studio di
Sutherland ha avuto il merito di ampliare la teoria criminale
generale, mettendo in luce come nei crimini dei colletti bianchi
siano presenti i caratteri di un vero e proprio comportamento
criminale.
L’evoluzione del fenomeno dei crimini dei colletti bianchi
Sulla scia dell’intuizione di Sutherland, Clinard10 e
Quinney11 nel 1973, facendo riferimento alla qualità del reo,
introducono due tipologie di reati afferenti alla criminalità
economica:
Occupational crimes: includono comportamenti che
possono essere commessi da appartenenti a tutte le classi sociali;
sono violazioni della legge penale nel corso dell’attività
connessa ad un’occupazione legale.
Corporate crimes: i reati societari sono quelli commessi da
parte di dirigenti societari a favore delle società ed i reati delle
società stesse. Questa seconda categoria è anche indicata da
alcuni autori come organizational crime12, reato organizzativo o
dell’organizzazione.
Negli stessi anni, invece, Herbert Edelhertz,
focalizzando l’attenzione sulle caratteristiche e finalità del reato,
definisce il crimine economico come «atto illegale o serie di atti
illegali commessi in assenza di violenza fisica e attraverso
dissimulazione o frode per ottenere denaro o proprietà, per
evitare il pagamento o la perdita di denaro o proprietà o per
ottenere vantaggi economici personali o per la propria
attività»13.
Già Maltz14 nel 1978 aveva evidenziato i tratti comuni tra
criminalità del colletto bianco e criminalità organizzata,
proponendo una definizione ampia di “reato organizzato”
9
Cfr. SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 71.
10
M.B. CLINARD & P.C. YEAGER, Corporate crime, New York: Free Press 1980.
11
M.B. CLINARD-R.QUINNEY, Criminal Behavior systems: a typology, Cincinnati 1994,
225.
12
p.
E.G. GAETA, Fondamenti economici dei comportamenti criminali, Torino 2013, p. 87.
13
H. EDELHERTZ, The nature, impact, and prosecution of white-collar crime, Washington
DC: U.S. Department of Justice 1970.
14
A. DI NICOLA, La criminalità economica organizzata, Milano 2006, p. 32.
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secondo la quale il reato che è organizzato non è per forza
commesso da gruppi di stampo mafioso. Invero, quando la
suddetta fattispecie mira ad un obiettivo di natura economica,
si concretizza in criminalità comune, in criminalità attraverso
business illegali (criminalità organizzata tradizionale) o in
criminalità attraverso il mondo degli affari legali (ovvero
criminalità del colletto bianco).
Così, negli anni 80, sulla scia di Maltz, è Smith ad
occuparsi del fenomeno della criminalità economica,
definendola come criminalità imprenditoriale e organizzata.
Egli, infatti, guarda il crimine economico ed il crimine
organizzato da un unico angolo visuale, alla luce della variabile
imprenditorialità: «l’impresa, non il tipo di reato, è la
caratteristica che governa entrambi i fenomeni, ed i loro aspetti
criminali sono meglio comprensibili allorché riconosciamo che
l’impresa può manifestarsi su di uno spettro di legittimità»15.
Una teoria basata su di uno spettro di impresa promette un
quadro per una migliore comprensione delle interrelazioni, e
delle distinzioni, tra affari legali, criminalità del colletto bianco
e criminalità organizzata.
Successivamente, negli anni novanta, Green16 basandosi
sulle caratteristiche dell’autore del reato, parla di reato
occupazionale come di «ogni atto punibile per legge che viene
compiuto grazie alle opportunità fornite nel corso di
un’occupazione legale». Egli distingue quattro tipologie di reato
occupazionale:
- il reato occupazionale organizzativo (che avvantaggia
l’organizzazione, l’impresa o il datore di lavoro);
- il reato occupazionale delle autorità statali (commesso
nell’esercizio delle potestà statali);
- il reato occupazionale professionale (compiuto dai
professionisti nell’ambito delle proprie qualificate mansioni);
- il reato occupazionale individuale (perpetrato da
persone normali nell’ambito delle proprie occupazioni.
Nel 1991 Brown, Esbensen e Geis17 scrivono che crimine
del colletto bianco è ogni reato che implichi la violazione di
15
S. SMITH, Organized crime and entrepreneurship, in International Journal of
Criminology and Penology, vol. 6, nº 2, 1978.
16
Come fa notare Vincenzo Ruggiero in Economie sporche. L’impresa criminale in
Europa, Torino 1996, questa prospettiva concettuale è in accordo con le idee di
Sutherland perché esclude dalla categoria i reati delle classi agiate quando non sono
commessi nel corso dell’attività lavorativa.
17
G. GEIS, The heavy electrical equipment antitrust cases of 1961, in G. GEIS & R.F. MEIER
(Eds.), White-collar crime: Offenses in business, politics, and the professions, New York:
Free Press 1977, pp. 117-132.
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leggi come lo Sherman Act18 – il quale proibisce, tra l’altro,
l’associazione con lo scopo di restringere o limitare la
concorrenza – o che comporti la violazione delle legislazioni
regolanti la pubblicità ingannevole, la malversazione, l’insider
trading, e di quell’insieme di leggi che possono essere
accomunate sotto la rubrica generale delle frodi. Ne deriva che,
così argomentando, ci si allontana dalla logica dell’autore di
reato e dallo studio della sua personalità e motivazione, per
focalizzare l’attenzione sull’analisi delle funzioni e dei loro
obbiettivi. Invero, come ha rilevato Lasco, questa definizione,
implicitamente o esplicitamente, sembra includere sotto
l’etichetta di crimine economico ogni reato perpetrato con
finalità di natura economica, «spostando il baricentro
dell’analisi dagli attori criminali alle loro funzioni obiettivo»19.
Giova sottolineare, inoltre, che questo tipo di approccio
comporta anche il mutamento dell’autore del reato, il quale non
si configura più soltanto come singolo individuo, bensì come un
ente o una realtà finanziaria o commerciale costituita come
realtà giuridica, ad esempio una società per azioni. Cambia
anche l’identità e la percezione della vittima: si passa, infatti, dal
considerare gli illeciti economici come crimini senza vittima, a
coglierli finalmente come crimini contro la collettività, dove la
vittima è la società tout court.
Il contenuto morale della criminalità economica
Prima di affrontare l’analisi di alcuni degli illeciti della
criminalità economica e riflettere su come si sono evoluti
dall’epoca di Sutherland ai giorni nostri, è opportuno
soffermarsi sui concetti morali che sono alla base di questa
tipologia di reati.
Preliminarmente va rilevato che il tratto distintivo di
questo corpus normativo consiste nel fatto che, in molti casi, sia
messa in dubbio l’immoralità della condotta tenuta
dall’imputato.
Questo perché evidentemente assistiamo ancor oggi,
come già osservato da Sutherland nella prima metà del
Novecento, ad una frattura all’interno della stessa compagine
sociale, per cui una parte della collettività, i consumatori in
primis, non ha alcuna perplessità sull’immoralità del
comportamento posto in essere, mentre il gruppo sociale di
riferimento, cui lo stesso reo appartiene, ne constata l’illiceità,
18
Lo Sherman Antitrust Act, la più antica legge antitrust degli Stati Uniti, firmata dal
Presidente Harrison nel 1890, colpì duramente i monopoli della Northern Securities
Company, dell’American Tobacco Company nonché della Standard Oil.
19
F. LASCO, Criminalità economica, in Impresa & Stato, n. 44 (1998), p. 18.
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perché così stabilito dalla legge, ma spesso la considera una
condotta accettabile, seppure poco ortodossa, almeno nel
contesto in cui è venuta in essere, vale a dire quello affaristico.
Senza considerare coloro che non sono affatto spaventati da
questo tipo di criminalità, quanto dall’idea che lo Stato possa
disperdere le sue energie per contrastarla piuttosto che
occuparsi della sicurezza personale dei cittadini20. Stando così
le cose, ecco che la linea di demarcazione fra ciò che è immorale
e ciò che non lo è diventa labile.
Del contenuto morale del crimine dei colletti bianchi si è
occupato Stuart P. Green21, che non ha mancato di sottolineare
come questa forma di devianza abbia un rapporto alquanto
complesso con la morale e come il diritto penale che se ne
occupa sia fortemente connesso con le nozioni morali di
cheating, inganno, slealtà, frode, corruzione, coercizione, per
citarne solo alcune.
Invero, mentre per i giuristi assume una rilevanza
centrale e predominante il dato della condotta penalmente
rilevante, i sociologi ed i criminologi si concentrano meno sulle
categorie legali e maggiormente sulla descrizione dei modelli di
comportamento, delle sue cause e della reazione della società al
riguardo.
Lo stesso Sutherland aveva rilevato la carenza della
legislazione in materia, evidenziando come le violazioni di
brevetti, l’adulterazione o le frodi alimentari o dei farmaci non
fossero assoggettate a sanzioni penali, oppure, quand’anche lo
fossero, risultassero reati raramente perseguiti.
Con le parole di Klaus Volk potremmo dire che «di fatto,
con il diritto penale economico si attua il risanamento etico dei
settori corrotti della società economica»22.
Al fine di questa trattazione, è interessante analizzare
uno dei concetti morali tipici dell’intero settore penale dei
colletti bianchi: la frode. Substrato della frode è certamente
l’inganno, che può essere definito con Stuart Green come «la
trasmissione di un messaggio, attraverso il quale l’autore,
all’atto della comunicazione, intende generare un malinteso»23.
Dunque, l’inganno è connotato dalla volontarietà nel generare
20
Così K. VOLK, Criminalità organizzata e criminalità economica, in S. MOCCIA (a cura di),
Criminalità organizzata e risposte ordinamentali. Tra efficienza e garanzia, Napoli 1999,
pp. 349-366, p. 350.
21
Professor of Law at Rutgers School of Law, New Jersey State University.
22
Cfr. K. VOLK, Sistema penale e criminalità economica. I rapporti tra dommatica, politica
criminale e processo, Napoli 1998, pp. 37-38.
23
S.P. GREEN, I crimini dei colletti bianchi, Mentire e rubare tra diritto e morale, ed. ital.
a cura di E. BASILE, Milano 2014, p. 82.
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il misunderstanding, per cui la frode è integrata anche con meri
fraintendimenti.
Invero, Green rileva come le sottili distinzioni morali si
riflettano a loro volta nella dottrina giuridica che le adopera per
diversificare la regolamentazione e i tratti essenziali delle varie
fattispecie giuridiche.
Sutherland e la pubblicità menzogne
Già Sutherland aveva rilevato la diffusione di annunci
che decantavano, senza alcun serio fondamento, le qualità di un
prodotto. In particolare, analizzando i rapporti della Federal
Trade Commission24, notò come la pubblicità menzognera fosse
concentrata in rami dell’industria specifici. Invero, il 33% degli
annunci pubblicitari riguardavano i medicinali, il 12,7% gli
alimenti per l’uomo, il 3,6% quelli per animali e il 13,5% i
cosmetici. Ne consegue che ben più della metà, ovvero il 65,3%
dei messaggi ingannevoli, era concentrato in un settore
estremamente rilevante per la salute, quello farmaceuticoalimentare.
Sutherland distinse tre forme di pubblicità menzognera:
1) Gli annunci diretti a promuovere la vendita di
prodotti pericolosi per la salute, nei quali la pericolosità veniva
taciuta, minimizzata o, peggio, negata. Ne sono esempi le
tinture per capelli al catrame della Montgomery Ward o le
sigarette della Philip Morris.
2) Gli annunci che tendono ad esagerare le qualità del
prodotto; si pensi alla vendita di merce di peso inferiore a quello
dichiarato, o la vendita di abiti quasi interamente di cotone,
presentandoli di pura lana o pura seta.
3) Gli annunci che, combinando le precedenti forme di
pubblicità, erano finalizzati a danneggiare le imprese
concorrenti. La Montgomery Ward reclamizzava forni a gas,
decantandone qualità non possedute da alcun altro modello,
quando invece quelli prodotti dalla concorrenza avevano le
medesime caratteristiche.
Quando la collettività si rese conto della gravità dei
danni provocati dalla pubblicità menzognera, fu costituito un
apposito nucleo di polizia incaricato di ricevere le denunce e
accertare le violazioni di legge. Inoltre, furono modificate le
procedure relative all’accertamento del dolo, al fine di
approntare una responsabilità oggettiva. Queste novità furono
introdotte con la Pure Food and Drug Law del 190525, che
24
25
Federal Trade Commission, Annual Report, 1941, p. 132.
Nel 1862, il Presidente Abraham Lincoln aveva nominato un direttore chimico con
funzioni nel nuovo Dipartimento dell'Agricoltura. Questa nomina segnò l'inizio del
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qualificava come reati le proprie violazioni e comminava
sanzioni pecuniarie, cui nel 1914 si aggiunse la Federal Trade
Commission Law. In base a queste normative, tre erano le
procedure che la Commissione poteva esperire per rendere
efficace l’applicazione della legge:
- accettare un patteggiamento (stipulation) con cui
l’imputato, ammettendo di aver commesso il fatto, si
impegnava ad astenersi dal violare nuovamente le disposizioni
in materia;
- ordinare all’imputato di desistere dal violare la legge;
- rivolgersi ad una Corte per ottenere l’esecuzione del
proprio ordine.
Tuttavia, va tristemente rilevato come le imprese
industriali e commerciali, incuranti dei danni provocati alla
collettività, sia a livello salutistico26 sia sotto il profilo della
fiducia, si adoperassero per impedire l’introduzione e
l’attuazione delle normative volte a far fronte alla pubblicità
menzognera con apposite associazioni, quali il Drug Institute,
operante a livello farmaceutico, e il National Manufacturers of
Flavoring Extracts, nel settore alimentare.
Tra i casi più eclatanti di pubblicità menzognera
ricordiamo quello del tabacco: nel 1943 le quattro maggiori
imprese di questo settore furono accusate di falsità commesse
nella pubblicità di sigarette e i giudizi terminarono tutti con
verdetti di rigetto. Basti pensare che, perfino una nota rivista
medica, quale il Journal of the American Association, reclamizzò le
sigarette Philip Morris decantandone le proprietà curative per
le infiammazioni alla gola. Ciò poté avvenire grazie alle
opinioni sostenute da vari medici, alcuni anche molto
autorevoli, i quali ricevettero somme di denaro dalla stessa
Philip Morris27. Recentemente, negli Stati Uniti si è
concretizzato un risarcimento record, pari a 23,6 miliardi di
dollari, che la multinazionale RJ Reynolds Tobacco Company,
proprietaria dei marchi Camel, Winston e Pall Mall, dovrà
versare alla sig.ra Cynthia Robinson, vedova di un fumatore
morto di tumore all’età di trentasei anni. Invero, la giuria del
Tribunale della Contea di Escambia, in Florida, ha ritenuto
fondata l’accusa di negligenza della RJ Reynolds consistente
Bureau of Chemistry (Ufficio della chimica), il predecessore della Food and Drug
Administration.
26
Nel 1906 la legge sulla purezza degli alimenti e dei farmaci genuini (Pure Food and
Drugs Act) fu approvata dal Congresso. La legge vietava il commercio interstatale di
prodotti alimentari, bevande e farmaci adulterati o con indicazioni fuorvianti. L'impeto
per il passaggio di questa legge fu dato da rivelazioni sconvolgenti riguardo all'uso di
conservanti e coloranti tossici negli alimenti, documentato sulla stampa e presentato nel
romanzo di Upton Sinclair, La Giungla.
27
Cfr. SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 173.
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nella mancanza di un’informazione sufficientemente chiara sui
pericoli del vizio del fumo.
La pubblicità ingannevole
Il decreto legislativo n. 145 del 2007, recependo l’art. 14
della direttiva comunitaria 2005/29/CE che modifica la
precedente direttiva 84/450/CEE, si occupa di disciplinare la
cd. pubblicità ingannevole, definendola come «qualsiasi
pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua
presentazione, è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o
giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa
del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro
comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia
idonea a ledere un concorrente».
In passato, in Italia, la pubblicità menzognera era
considerata illecita solo dalla dottrina28, mentre la
giurisprudenza tendeva a perdonarla ai commercianti,
parlando di «iperbolica magnificazione dei propri prodotti,
anche mediante indicazioni di qualità non rispondenti al
vero»29.
Tuttavia, col passare del tempo, anche i giudici hanno
iniziato a distinguere le innocue suggestioni ed esaltazioni del
prodotto dal vero e proprio falso pubblicitario, senza dubbio da
reprimere30. Si pensi, a tal fine, al celebre caso dell’Alemagna,
che aveva tacciato di falsità la Motta perché pubblicizzava la
bontà del suo panettone con una carta d’identità attestante la
composizione, poi risultata non veritiera31.
Diverse e copiose sono state le sentenze avvicendatesi
negli anni su questa delicata tematica, le quali hanno
identificato le caratteristiche proprie della pubblicità
menzognera. Invero, i giudici hanno sostenuto che è
ingannevole:
- «Dichiarare o far credere che il proprio prodotto abbia
caratteristiche in realtà inesistenti, ad esempio che sia fabbricato
con una certa materia prima»32;
28
M. FUSI-P. TESTA, Diritto & Pubblicità, Milano 1996, p. 71 e ss.
29
S. SANZO, La concorrenza sleale, Padova 1998, p. 304.
30
La giurisprudenza sulla repressione della pubblicità menzognera è molto estesa; si
veda F. SCIRÈ, La concorrenza sleale nella giurisprudenza, I-III, Milano 1989 e C. UBERTAZZI,
Giurisprudenza pubblicitaria, Milano 1996, p. 89 e ss.
31
F. SCAGLIONE, Correttezza economica e autonomia privata, Perugia 2007, p. 229; il caso
Motta-Alemagna: Cass., 17 aprile 1962, n. 752.
32
Tribunale di Napoli, 30 dicembre 1971, in GADI n. 263, 1973.
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- «Indicare come brevettato il proprio prodotto quando
il brevetto non esiste»33;
- «Far credere che il prodotto reclamizzato sia stato
oggetto di specifico esame e controllo da parte della
magistratura e degli organi della CEE così da essere assolto da
ogni sospetto di pericolosità e non conformità alla normativa
vigente»34;
- «Indurre i consumatori a ritenere che acque minerali
siano solo contenenti un grammo di sale»35.
Dunque, da questa breve ma significativa rassegna
giurisprudenziale, si rileva che la pubblicità risulta ingannevole
sia se il contenuto è falso, mendace, erroneo o illusorio, sia se
contenga informazioni inesatte. Inoltre, va segnalato che un
ulteriore caso di pubblicità ingannevole si riscontra nel caso in
cui la pubblicità non sia immediatamente riconoscibile36,
andando ad integrare le tipologie della pubblicità occulta, le cui
forme più famose sono la pubblicità redazionale e il product
placement. La prima consiste nel presentare al pubblico un
prodotto nell’ambito di un servizio d’informazione giornalistica
o radiotelevisiva avente l’apparenza di un’autonoma iniziativa
della redazione del giornale, ma che in realtà è stato predisposto
dall’impresa utente o è stato fatto redigere dietro compenso da
un giornalista e viene inserito, senza che nulla lo distingua da
altri ‘pezzi’, nel contesto del mezzo di informazione37. Il product
placement, invece, si configura con la presenza di un prodotto
facilmente riconoscibile – per il suo nome, per il marchio o per
la sua forma – all’interno di una narrazione televisiva,
cinematografica e letteraria con lo scopo di realizzare un
accostamento tra il prodotto e il protagonista, per beneficiare
delle emozioni suscitate dallo sceneggiato38.
Alla luce di quanto detto finora, appare evidente come
la pubblicità ingannevole sia uno strumento concorrenziale
scorretto con cui si ledono due tipologie di interessi: quello dei
consumatori, i quali risultano colpiti nella loro buona fede, e
quello dei concorrenti, che rischiano di perdere una parte della
propria clientela.
Pertanto la repressione del fenomeno pubblicitario
ingannevole si realizza su due fronti, tramite le norme della
33
Corte di Cassazione, 8 novembre, 1974, n. 3427, in GADI n. 480, 1974.
34
Tribunale di Milano, 24 settembre 1979, in GADI n. 1177, 1979.
35
Tribunale di Firenze, 7 ottobre 1981, in GADI n. 1612, 1983.
36
L’art. 4 del d. lgs. 74/1992 dispone che «la pubblicità deve essere chiaramente
riconoscibile» e se realizzata a mezzo stampa deve distinguersi attraverso «modalità
grafiche di evidente percezione».
37
Fusi-Testa, Diritto & Pubblicità, cit., p. 91.
38
F. UNNIA, La pubblicità clandestina, Milano 1997, p. 201 e ss.
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concorrenza sleale e attraverso le direttive che tutelano i
consumatori.
Tuttavia, quando dalla potenza persuasiva delle
comunicazioni pubblicitarie, estremamente pervasive nel
contesto multimediale attuale, arriva a configurarsi il pericoloso
fenomeno della pubblicità ingannevole – il quale, tramite la
diffusione di falsi messaggi pubblicitari che precedono la messa
in vendita di un prodotto, segnatamente quello alimentare,
spesso giunge a comportare il perfezionarsi della frode sanitaria
o commerciale – la tutela offerta è penalistica.
La pubblicità ingannevole di prodotti pericolosi per la
salute e la sicurezza del consumatore
Una particolare tipologia di pubblicità ingannevole è
quella che va a minare il diritto fondamentale alla salute di ogni
membro della collettività39.
Invero, il messaggio pubblicitario ingannevole può
incidere sul bene fondamentale della salute, sul diritto ad
un’adeguata informazione ed una corretta pubblicità (art. 2
Codice Consumatori), generando un danno esistenziale,
tutelabile mediante riconoscimento.
Va preliminarmente rilevato come la Direttiva CEE
84/450 non contemplasse alcuna prescrizione in merito ai
prodotti pericolosi, per cui l’origine della norma in esame si
rinviene nell’art. 12 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria
che contiene una disposizione concernente proprio la sicurezza.
L’art. 5 del D. lgs 74 del 1992 considera ingannevole la
pubblicità relativa a prodotti pericolosi per la sicurezza e la
salute dei consumatori che ometta di darne notizia, in modo da
indurli a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza.
Così disponendo, pone a carico dell’operatore pubblicitario un
obbligo positivo di informazione circa la pericolosità del
prodotto. Pertanto, l’omissione di tale informazione configura
un’ipotesi di ingannevolezza, che, oltre all’induzione in errore,
richiede anche, come requisito ulteriore, l’attitudine della stessa
ad indurre all’inosservanza di regole di prudenza.
Secondo la dottrina, per normali regole di prudenza e
vigilanza si intende quel complesso di cure e di cautele che ogni
soggetto deve normalmente impiegare negli ordinati rapporti
della vita, avuto riguardo alle concrete circostanze della
situazione in cui si esplica la sua attività40. Ne consegue il
richiamo al concetto di colpa generica, vale a dire l’imprudenza
39
Sancito nell’art. 32 della Costituzione italiana.
40
G. ALPA, La responsabilità civile, Torino 1987, p. 53.
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colposa, che la giurisprudenza ha ravvisato ogni qualvolta
l’agente ometta di rappresentare la possibilità dell’evento
dannoso41.
Una parte della dottrina ha evidenziato come la
fattispecie qui in esame sia estranea alla disciplina della
pubblicità ingannevole e che il suo inserimento nel decreto
avrebbe il solo scopo di assoggettare la pubblicità per prodotti
pericolosi alle medesime sanzioni dettate per la pubblicità
ingannevole42. Al riguardo viene poi richiamata la dizione della
norma, la quale, nell’affermare che la pubblicità omettente di
fornire informazioni sulla pericolosità del prodotto è
considerata ingannevole, ha inteso dare una qualificazione
formale di un illecito, equiparato ex lege alla fattispecie della
pubblicità ingannevole sotto il profilo sanzionatorio.
L’Autorità Garante ha individuato alcune categorie di
prodotti suscettibili di rientrare nel campo di applicazione della
norma: medicinali, bevande alcoliche, trattamenti dimagranti,
prodotti dell’elettricità. Inoltre, la violazione dell’art. 5 della
norma in questione è stata rilevata in relazione:
- alla dicitura light apposta su un pacchetto di sigarette
con un contenuto di nicotina inferiore al normale, perché è stata
ritenuta idonea a suggerire una minore pericolosità del
prodotto, mentre è emerso che i danni provocati dalle sigarette
“leggere” non sono inferiori a quelli delle sigarette normali.
- a messaggi pubblicitari che affermavano la capacità di
prodotti non farmaceutici di combattere determinate patologie,
giudicati idonei ad indurre il consumatore a trascurare o
ritardare la consultazione del medico.
- a messaggi pubblicitari concernenti prodotti
dimagranti che omettevano di indicare gli effetti collaterali, le
controindicazioni o la tollerabilità da parte dell’organismo.
Ne deriva che l’obbligo sancito è quello di fornire al
consumatore le informazioni che gli consentano di valutare i
rischi inerenti al prodotto, allorché questi ultimi non siano
immediatamente percettibili, e cioè quando i pericoli insiti
nell’uso del prodotto non siano di immediata evidenza.
Dunque, la pericolosità è quella intrinseca, vale a dire
connaturata all’utilizzo per il quale il prodotto viene
pubblicizzato.
In questi casi, il consumatore che abbia subito un danno
a causa di una pubblicità ingannevole può agire ai sensi dell’art.
2043 cod. civ. per ottenere il risarcimento, ma è tenuto ad
un’incombenza probatoria alquanto gravosa, poiché deve
41
42
Cassazione, 21 marzo 1981, sent. n. 1656, in Giurisprudenza civile, Mass. ann. 1981.
M. FUSI-P. TESTA-P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole: commento al D. Lg. 25
gennaio 1992, n.74, Milano 1993, p. 208.
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provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità
ingannevole e danno, nonché la colpa di chi ha diffuso la
pubblicità43.
Dalla pubblicità ingannevole alla frode alimentare
Uno dei settori in cui la pubblicità ingannevole si
manifesta in tutta la sua criticità è quello alimentare44. Infatti,
certa pubblicità commerciale regala illusioni ai consumatori
incoraggiandoli ad acquistare determinati alimenti. Si pensi ai
numerosi casi di messaggi pubblicitari inerenti a drink
energizzanti, bibite light, prodotti in grado di combattere i
radicali liberi o abbassare il livello di colesterolo.
Proprio nel settore alimentare l’inganno del messaggio
decettivo spesso è solo il preludio della frode. Invero, in
relazione alla produzione e alla vendita di prodotti alimentari
due sono le tipologie di illecito perpetrate: la frode sanitaria e la
frode commerciale.
Prima di riflettere su queste fattispecie di reato, è
importante soffermarsi sulla pericolosità della frode; invero, le
conseguenze dei comportamenti illeciti in esame possono
risultare estremamente pericolose per la salute pubblica,
derivandone conseguenze negative per i consumatori:
dall’utilizzo di materie prime o semilavorate di qualità
scadente, dalla mancata osservanza delle norme igienicosanitarie, o ancora dall’utilizzo improprio di ingredienti e
additivi dovuto alla scarsa professionalità degli operatori.
Le frodi alimentari possono essere dovute a:
- sofisticazione: operazione che consiste nell’aggiungere
all’alimento sostanze estranee che ne alterano l’essenza,
viziandone la composizione naturale e simulandone la
genuinità45 allo scopo di migliorarne l’aspetto o celarne i difetti.
Esempio: la mozzarella trattata con il perossido di benzoile per
“sbiancarla”;
- adulterazione: operazione che consiste nell’alterare la
struttura originale di un alimento tramite la sostituzione di
elementi propri dello stesso con altri estranei, ovvero con la
43
La Cass. Civile, SS. UU., con la sentenza del 15 gennaio 2009, n. 794 ha sancito che
l’eventuale presenza o meno di una disposizione di legge o di un provvedimento che
autorizzi un determinato tipo di pubblicità non costituisce un elemento preclusivo
all’ottenimento del risarcimento del danno per il consumatore ai sensi dell’art. 2043 cod.
civ.
44
Con il termine «alimento» o «derrata» si intende qualsiasi sostanza o prodotto
trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito,
o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani.
45
C. CORRERA, La difesa del consumatore dalle frodi in commercio, Milano 2002, p. 262.
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sottrazione o con l’aumento delle quantità proporzionali di uno
o più dei suoi componenti, lasciando loro l’apparenza
originaria. Esempio: aggiungere alcool metilico al vino;
- contraffazione: consiste nel formare ex novo un
alimento con l’apparenza della genuinità in quanto prodotto
con sostanze diverse, per qualità o quantità, da quelle che
normalmente concorrono a formarlo. Esempio: olio di semi per
olio d’oliva;
- alterazione: operazione che consiste nella modifica
della composizione originaria a causa di fenomeni degenerativi
spontanei, determinati da errate modalità o eccessivo
prolungamento dei tempi di conservazione.
In merito alla contraffazione, ricordiamo che il
legislatore con la l. 99/2009 ha introdotto una nuova norma
incriminatrice, l’art. 517 quater cod. pen.46, al fine di colmare un
vuoto di tutela a protezione della fiducia dei consumatori nella
provenienza e nella qualità dei prodotti. Invero, la
contraffazione di beni di consumo quali gli alimenti provenienti
dall’attività agricola non solo va a ledere la fiducia della
collettività, ma mette a rischio il bene fondamentale della
salute47.
La frode sanitaria
La probabilità o la certezza di procurare un danno alla
salute dei cittadini è il presupposto insito nella fattispecie della
frode sanitaria. Come già diffusamente rilevato, il bene
giuridico oggetto di tutela è un bene di rilievo costituzionale,
vale a dire la salute pubblica. In particolare, gli artt. 439 e ss. cod.
pen. rubricati Delitti di comune pericolo mediante la frode e la Legge
30 aprile 1962 n. 283 (Disciplina igienica della produzione e della
vendita di sostanze alimentari e delle bevande) si occupano di
disciplinare la fattispecie in esame. Il codice penale sanziona
l’avvelenamento di acque o di sostanze (art. 439),
l’adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari (art. 440)
e il commercio delle sostanze alimentari contraffatte e
adulterate (art. 442), nonché il commercio delle sostanze
alimentari nocive (art. 444). Tutti questi reati si configurano
come reati di pericolo e non di danno, perché per la punibilità
degli stessi non si esige che le sostanze alimentari si siano
46
Art. 517 quater cod. pen.: «Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni
geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la
reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000».
47
A. MADEO, Lotta alla contraffazione: modifiche agli artt.473-474 cod. pen. e nuovi
delitti, in Diritto Penale e Processo, 16/I (2010), pp. 10-21, p. 17.
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manifestate, in concreto, nocive per la salute pubblica, ma si
rivela sufficiente l’attitudine delle stesse a produrre nocumento
alla pubblica salute48. Giova sottolineare che tale attitudine non
può consistere in un pericolo meramente ipotetico, bensì
occorre un pericolo concreto ricavabile da qualsiasi mezzo di
prova, anche dalla comune esperienza (esame dei sensi, visivo
e/o olfattivo, prelievo di campioni e relativa analisi di
laboratorio della sostanza).
La pericolosità consiste nella potenziale attitudine di
una sostanza alimentare a cagionare un danno alla salute.
Laddove la nocività può essere definita come l’attitudine già
immanente nel prodotto a provocare un danno alla salute se
consumato nelle condizioni in cui in quel momento si trova.
La frode in commercio
La frode commerciale comprende tutte le azioni
fraudolente sugli alimenti o sulle loro confezioni che, pur non
determinando concreto e immediato nocumento per la salute
pubblica, favoriscono illeciti profitti a danno del consumatore.
Il reato di frode in commercio, disciplinato dall’art. 515
cod. pen.49, tutela il bene giuridico di natura «superindividuale
e non meramente privatistica» insito nell’interesse del nostro
ordinamento giuridico al leale e corretto svolgimento
dell’attività commerciale stricto sensu intesa50. Il legislatore del
1930 volle dunque apprestare idonea tutela per l’ordine
economico, al fine di impedire il turbamento al sistema
economico nazionale derivante da comportamenti fraudolenti51
ed assicurare così il leale ed onesto svolgimento del commercio
e la tutela dei consumatori. Invero, la rubrica del codice penale
è quella dei Delitti contro l’industria e il commercio. Dunque,
commette il reato di frode in commercio «chiunque
nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio
aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per
un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza,
qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita»52. Al
riguardo, va evidenziato come la giurisprudenza abbia
annoverato fra i soggetti agenti non solo i titolari e legali
rappresentanti pro tempore di imprese commerciali, ma anche i
48
Cass. sez. I, sent. 15 ottobre 1966, n. 888.
49
G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto Penale, Parte speciale, I, Bologna 2012, p. 677 ss.
50
Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2006, in Ced. Cass. n. 244333.
51
C. PEDRAZZI, voce Economia pubblica, industria e commercio (delitti contro la), in
Enciclopedia del diritto, volume XIV, Milano 1965, pp. 278-282, p. 281.
52
Si tratta di un «reato proprio».
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preposti, i dipendenti, i commessi e finanche i familiari53,
purché i fatti incriminati siano intervenuti nell’esercizio di
un’attività diretta allo scambio di beni, ovvero in qualsiasi luogo
abitualmente destinato alla messa in vendita di merci di
qualsivoglia genere e specie54.
Pensiamo al caso in cui la condotta criminosa consista
nel consegnare all’acquirente una cosa mobile diversa da quella
dichiarata o pattuita per origine. L’origine riguarda il luogo
geografico di produzione di beni che i consumatori tendono ad
apprezzare maggiormente proprio perché prodotte in una
determinata zona o regione. Un caso concreto oggetto
dell’attenzione della Cassazione concerneva un salumiere, che
aveva consegnato all’acquirente – il quale aveva richiesto una
certa quantità di Emmenthal55 – un formaggio analogo prodotto
in Italia invece che in Svizzera. Invero, la denominazione
“Emmenthal” spetta esclusivamente al formaggio fabbricato in
Svizzera e non anche a quelli prodotti in altri paesi.
Per meglio comprendere la ratio ispiratrice di questa
tipologia di reati, giova sottolineare che l’art. 4 del D. L. 17
gennaio 1977, n. 3 convertito, con modifiche, nella legge 18
marzo 1977, n. 63, ha previsto un’ipotesi aggravata di frode in
commercio, secondo la quale la fattispecie prevista dall'art. 515
cod. pen. è punita – quando consista nella vendita di carne
scongelata per fresca, o nella vendita di carne ripetutamente
ricongelata, qualora il fatto non costituisca più grave delitto –
con la reclusione fino a tre anni o con la multa da l.516 euro a
25.822 euro.
Il reato di frode in commercio è punito a titolo di mero
dolo generico, richiedendosi per la sua integrazione la sola
consapevolezza e volontà di consegnare all’acquirente un bene
mobile dissimile da quello dichiarato o pattuito, ricordando che
non trova applicazione l’esimente del consenso dell’avente
diritto ex art. 50 cod. pen. qualora l’accipiens accetti
consapevolmente di ricevere l’aliud pro alio dal commerciante,
vista la natura indisponibile del bene giuridico protetto dalla
norma in esame56.
In conclusione, è opportuno citare uno dei casi che
meglio evidenziano la connessione fra le due fattispecie oggetto
di questa trattazione, vale a dire la pubblicità ingannevole e il
reato di frode di commercio. Il caso di specie, riguardante
un’impresa che, contrariamente al vero, affermava la
53
Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 1983, in Cass. pen., 1984, p. 531.
54
F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, II, Milano 1982, p. 660.
55
Cass. 14 giugno 1978, in Cass. Pen. Mass. Ann., 1980, 321.
56
Cass. pen., 21 febbraio 1986, in Riv. Pen., 1986, 74.
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provenienza di carni da bovini allevati in Italia, è stato oggetto
di attenzione da parte della Suprema Corte, che ha ritenuto
configurati gli estremi del reato di cui all’art. 515 cod. pen. nella
propalazione di falsi messaggi pubblicitari che avevano
preceduto la messa in vendita del prodotto alimentare, così da
ritenere perfezionata la frode anche nella consegna di un bene
di qualità diversa rispetto a quella dichiarata nella fase
pregressa dell’offerta contrattuale al pubblico dei
consumatori57.
Conclusioni
Nel presente lavoro è stato proposto un excursus sulla
criminalità economica concernente il settore della pubblicità
ingannevole e della frode in commercio, concentrando la
riflessione – in particolare – sui messaggi decettivi afferenti gli
alimenti e sulla fattispecie delittuosa di frode alimentare che
colpisce il consumatore non solo nella sua fiducia, ma
soprattutto nella sfera più delicata, quella della salute.
Invero, quella della pubblicità ingannevole è una
tematica i cui effetti incidono maggiormente sul pubblico di
consumatori; perché la propalazione del messaggio
ingannevole, traendo in errore gli utenti sulle caratteristiche, la
qualità o le prestazioni dei prodotti pubblicizzati, arriva nei casi
più gravi a generare vere e proprie frodi.
Il danno alla collettività striscia silenzioso intaccando
non solo il commercio, perché altera la concorrenza, bensì anche
la fiducia, poiché crea un vulnus nell’affidamento del
consumatore, e minaccia segnatamente il diritto alla salute
dell’individuo.
In un contesto dominato dai mass media come quello
attuale, nel quale le fonti comunicative sono molteplici,
estremamente pervasive ed in continuo mutamento, si rileva
davvero essenziale l’operato degli organi di controllo, della
giurisprudenza e delle fonti legislative nazionali ed
internazionali poste a presidio della tutela collettiva nel
contrastare la dirompente dinamicità della criminalità
economica.
Nell’epoca in cui Sutherland affrontò per primo il
problema dei white-collar crimes, le criticità maggiori erano
configurabili nella carenza legislativa in materia e nella
mancanza di percezione immediata del danno subito dalle
vittime, poiché spesso i decessi provocati dalla tossicità dei beni
si verificavano senza che fosse possibile ricostruire esattamente
57
Cass. pen., sez. III, 22 maggio 2008, n. 27105.
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il nesso consequenziale degli eventi. Oggi, invece, possiamo
rilevare come la disciplina normativa apprestata contro gli
illeciti oggetto di questa dissertazione risulti soddisfacente,
sebbene essi nei messaggi decettivi siano aumentati e si
diffondano a ritmi sostenuti attraverso la miriade di fonti
comunicative. Pertanto, è di tutta evidenza la necessità di un
sistema di controllo stringente, attualmente operativo, il quale
dovrà essere in grado di stare al passo con il progresso
tecnologico poiché la finalità de iure condendo è e resterà sempre
la tutela della salute del cittadino.
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