Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 72 White-collar crime: da Sutherland alla pubblicità ingannevole e alla frode alimentare. Sabrina Apa1 Abstract (versione italiana) La tematica della criminalità economica, portata in auge da Edwin Sutherland ha avuto il merito di ampliare lo spettro di riflessione dell’ambito criminologico. L’attenzione sarà concentrata sulla pubblicità ingannevole e sulle sue implicazioni con la frode ai danni della salute del consumatore in un contesto multimediale come quello attuale. I danni concernono l’uso di messaggi decettivi riguardo i costi, la qualità o l’effettiva consistenza dei prodotti. Inoltre, la nocività di cibi e prodotti farmaceutici comporta un danno fisico per il consumatore. Ne consegue che questo tipo di illecito coinvolge non solo il settore economico, dove provoca una distorsione della concorrenza e la perdita di fiducia dei consumatori, ma soprattutto un diritto fondamentale: la salute umana. Parole Chiave: colletti bianchi, pubblicità ingannevole, frode alla salute del consumatore, reato economico. Abstract (english version) The issue of economic crime, brought into vogue by Sutherland, has broadened the spectrum of reflection scope criminological. The focus will be on the misleading advertising and its implication withfraud to consumer health in a multimedia context like the present. This offense involves the deliberate use of deceptive statements about the cost, quality, or effectiveness of a product. In addition, consumers suffer physically as a result of dangerous products such as food, pharmaceuticals, and medical equipment. It follows that this crime involves not only economic sector, where it produces 1 Dottore in Legge, Università La Sapienza di Roma. Praticante Avvocato. Master in Business Law. Researcher and Assistant in Criminology at Unised International University of Milan. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 73 distortion of competition and loss of confidence, but also the individual’s health, a fundamental right. Keywords: white-collar, misleading advertising, heath care fraud, economic crime. La nascita dei White-collar crimes L’espressione white-collar crime fu coniata da Edwin H. Sutherland per identificare gli illeciti commessi in campo economico, politico e professionale da imprenditori e soggetti appartenenti agli strati più elevati della società. Invero, il criminale dal colletto bianco può essere definito come «quella persona con un alto stato socio-economico che viola le leggi designate a regolare le sue attività occupazionali». L’apporto di Sutherland alla Criminologia si rivela di tale importanza da ridimensionare le teorie del comportamento criminale, perché mette in evidenza come la delinquenza non sia confinata esclusivamente tra le maglie dei ceti socioeconomici inferiori. Fino ad allora, infatti, gli studiosi spiegavano la criminalità sulla base di fattori patologici, sociali o individuali. Tra le patologie sociali si dava particolare rilievo alla povertà, alla mancanza di istruzione e alla disgregazione familiare, mentre fra le patologie individuali rilevavano l’inferiorità intellettuale e l’instabilità emotiva. Sutherland pone in essere una vera e propria rivoluzione copernicana2 di questo paradigma, sottolineando come le teorie criminologiche che hanno il loro sostrato nelle condizioni patologiche o connesse alla povertà risultino inadeguate a fornire una spiegazione del comportamento criminale tout court. Invero, Sutherland sostiene che, se è vero che il reato3 presenta un’incidenza più elevata tra i ceti socio-economici inferiori, molti fatti afferenti al comportamento criminale non possono essere spiegati in base alla povertà e alle patologie sociali e personali ad essa correlate. Pertanto, il fattore causale dei reati va rintracciato altrove, e precisamente, nei rapporti sociali e interpersonali che, come da un lato si accompagnano 2 Così G. FORTI, Percorsi di legalità in campo economico: una prospettiva criminologicopenalistica (6 novembre 2006), Quaderno n° 15 del Ciclo di conferenze e seminari “L’uomo e il denaro”, organizzati dall’Associazione per lo sviluppo degli Studi di Banca e Borsa e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, reperibile sul sito www.assbb.it/CMI/quaderno_etica_15.pdf, p. 22. 3 Sutherland con il termine “reato” si riferisce qui alle violazioni del codice penale che all’epoca avevano una risonanza maggiore dei reati economici, quali l’omicidio, la violenza privata, il furto con scasso, la rapina, il furto comune, i reati sessuali e l’ubriachezza in pubblico. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 74 alle condizioni di miseria, dall’altro sono concernenti la ricchezza. Nella prospettiva di Sutherland, la spiegazione del crimine arriva a stagliarsi, quindi, nell’ambito della dimensione subculturale, in base alla quale «una persona diventa delinquente in quanto si trova in presenza di un eccesso di definizioni favorevoli alla violazione delle leggi rispetto a definizioni non favorevoli alle violazioni»4. Questo è il principio dell’associazione differenziale, al quale fa seguito l’assunto che la devianza dipenda dalle norme culturali accettate all’interno del proprio gruppo; quest’ultimo annovera a sé la capacità di influenzare la condotta del singolo. Ne consegue che il comportamento criminale viene appreso tramite un processo comunicativo all’interno dei rapporti sociali e interpersonali e che, a livello morale, risulti carente sia lo stato di vergogna del reo sia quello di riprovazione da parte del gruppo, perché il comportamento illecito messo in atto è pacificamente riconosciuto all’interno del gruppo come connaturale al perseguimento dell’obiettivo economico. Problematica strettamente connessa a questo assetto è il fatto che il white-collar crime, vale a dire il «reato commesso da una persona rispettabile e di elevata condizione sociale nel corso della sua occupazione»5, nell’epoca in cui scriveva Sutherland non era immediatamente percepito come criminalità nel senso comune e, pertanto, non veniva adeguatamente represso dall’ordinamento. Lo studioso rileva altresì criticamente come le persone appartenenti ai ceti socio-economici superiori possano godere di maggior potere politico ed economico e di una solidarietà di classe grazie ai quali sfuggono alla condanna più agevolmente rispetto agli altri delinquenti comuni. Giova sottolineare come la parzialità dell’amministrazione della giustizia penale relativamente alle leggi applicate a questa tipologia di illeciti comportasse che la violazione della normativa in materia di concorrenza, di pubblicità ingannevole, di sofisticazioni alimentari e farmaceutiche, per citarne solo alcune, non rientrasse nella sfera di competenza dei Tribunali penali, ma fosse devoluta alle Commissioni amministrative e alle Corti civili o di equità. Di guisa che i casi di questi delinquenti, non essendo inclusi nelle statistiche criminali, non influenzavano neppure la teoria generale sul comportamento criminale che, di conseguenza, risultava lacunosa. Lo studio di Sutherland 4 E.H. SUTHERLAND e D.R. CRESSEY, Principles of Criminology, Milano 1960. 5 E.H. SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, Milano 1987, p. 8. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 75 Per il suo studio Sutherland ha preso in esame le violazioni di legge commesse da settanta grandi società industriali, minerarie e commerciali americane6 analizzando non solo la tipologia di illecito (restrizione della concorrenza, pubblicità menzognera, contraffazioni di brevetti, marchi di fabbrica e diritti d’autore, condotte di lavoro sleali, ribassi, frodi alimentari e finanziarie), ma anche le decisioni pronunciate dalle Corti e dalle Commissioni amministrative, da cui risulta come a carico di ciascuna delle società sia stata pronunciata almeno una decisione e fino ad un massimo di cinquanta. Un totale di 980 decisioni, con una media di quattordici a carico di ognuna. I numeri più alti si registrano negli illeciti concernenti le restrizioni della concorrenza, per la quale sono state condannate ben 60 società, 53 per contraffazioni, 44 per violazioni delle leggi sul lavoro, 43 per illeciti di varia natura, 28 per pubblicità menzognera e 26 per ribassi7. Interessante è poi l’analisi della classificazione delle decisioni pronunciate in base al tipo di giurisdizione cui appartiene la Corte o la Commissione che le ha emesse, perché si evince la netta maggioranza di decisioni delle Commissioni amministrative8, ben 361, seguite dalle 296 provenienti dalle Corti civili, e solo 158 da quelle Penali. Questi dati, dimostrando la frequenza delle condanne penali subite dalle società, sono in grado di confutare le teorie convenzionali, secondo le quali il crimine è conseguenza della povertà o delle patologie individuali e sociali ad essa connesse. D’altra parte, Sutherland mette in evidenza come la bassa percentuale delle azioni di carattere penale contro le imprese sia indice della scarsa inclinazione nell’attribuire lo stigma del crimine ai danni delle società. Dunque, per i reati dei colletti bianchi era pratica comune sostituire la sanzione penale con provvedimenti non penali, quali il probation ed i case work, con la conseguenza che anche la reazione della collettività nei confronti di questi crimini risultava disorganizzata e difficile da percepire, sia perché si trattava, e si tratta ancora oggi, di crimini che non colpiscono un singolo individuo, bensì producono effetti diffusi, sia perché si protraggono per svariati anni prima che gli enti pubblici e la collettività si rendano conto di aver subito un danno rilevante. Corollario di questo assunto è che nei confronti dei white-collar crimes, che non provocavano nel pubblico la stessa 6 Le settanta società analizzate da Sutherland, tranne due eccezioni, fanno parte degli elenchi delle duecento maggiori società degli Stati Uniti elaborati da Berle e Means nel 1929 e dal Temporary National Economic Commitee nel 1938. 7 SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 19 e ss. 8 SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 22 e ss. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 76 indignazione che si accompagna ad alcuni gravi delitti, risultava carente quel sostrato morale che sottende la nascita del diritto, di guisa che, non ponendosi le basi per una circolazione del rapporto morale-diritto su questa tematica, la normativa penale approntata è risultata meno efficace di altre disposizioni penali9. In conclusione, possiamo constatare che lo studio di Sutherland ha avuto il merito di ampliare la teoria criminale generale, mettendo in luce come nei crimini dei colletti bianchi siano presenti i caratteri di un vero e proprio comportamento criminale. L’evoluzione del fenomeno dei crimini dei colletti bianchi Sulla scia dell’intuizione di Sutherland, Clinard10 e Quinney11 nel 1973, facendo riferimento alla qualità del reo, introducono due tipologie di reati afferenti alla criminalità economica: Occupational crimes: includono comportamenti che possono essere commessi da appartenenti a tutte le classi sociali; sono violazioni della legge penale nel corso dell’attività connessa ad un’occupazione legale. Corporate crimes: i reati societari sono quelli commessi da parte di dirigenti societari a favore delle società ed i reati delle società stesse. Questa seconda categoria è anche indicata da alcuni autori come organizational crime12, reato organizzativo o dell’organizzazione. Negli stessi anni, invece, Herbert Edelhertz, focalizzando l’attenzione sulle caratteristiche e finalità del reato, definisce il crimine economico come «atto illegale o serie di atti illegali commessi in assenza di violenza fisica e attraverso dissimulazione o frode per ottenere denaro o proprietà, per evitare il pagamento o la perdita di denaro o proprietà o per ottenere vantaggi economici personali o per la propria attività»13. Già Maltz14 nel 1978 aveva evidenziato i tratti comuni tra criminalità del colletto bianco e criminalità organizzata, proponendo una definizione ampia di “reato organizzato” 9 Cfr. SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 71. 10 M.B. CLINARD & P.C. YEAGER, Corporate crime, New York: Free Press 1980. 11 M.B. CLINARD-R.QUINNEY, Criminal Behavior systems: a typology, Cincinnati 1994, 225. 12 p. E.G. GAETA, Fondamenti economici dei comportamenti criminali, Torino 2013, p. 87. 13 H. EDELHERTZ, The nature, impact, and prosecution of white-collar crime, Washington DC: U.S. Department of Justice 1970. 14 A. DI NICOLA, La criminalità economica organizzata, Milano 2006, p. 32. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 77 secondo la quale il reato che è organizzato non è per forza commesso da gruppi di stampo mafioso. Invero, quando la suddetta fattispecie mira ad un obiettivo di natura economica, si concretizza in criminalità comune, in criminalità attraverso business illegali (criminalità organizzata tradizionale) o in criminalità attraverso il mondo degli affari legali (ovvero criminalità del colletto bianco). Così, negli anni 80, sulla scia di Maltz, è Smith ad occuparsi del fenomeno della criminalità economica, definendola come criminalità imprenditoriale e organizzata. Egli, infatti, guarda il crimine economico ed il crimine organizzato da un unico angolo visuale, alla luce della variabile imprenditorialità: «l’impresa, non il tipo di reato, è la caratteristica che governa entrambi i fenomeni, ed i loro aspetti criminali sono meglio comprensibili allorché riconosciamo che l’impresa può manifestarsi su di uno spettro di legittimità»15. Una teoria basata su di uno spettro di impresa promette un quadro per una migliore comprensione delle interrelazioni, e delle distinzioni, tra affari legali, criminalità del colletto bianco e criminalità organizzata. Successivamente, negli anni novanta, Green16 basandosi sulle caratteristiche dell’autore del reato, parla di reato occupazionale come di «ogni atto punibile per legge che viene compiuto grazie alle opportunità fornite nel corso di un’occupazione legale». Egli distingue quattro tipologie di reato occupazionale: - il reato occupazionale organizzativo (che avvantaggia l’organizzazione, l’impresa o il datore di lavoro); - il reato occupazionale delle autorità statali (commesso nell’esercizio delle potestà statali); - il reato occupazionale professionale (compiuto dai professionisti nell’ambito delle proprie qualificate mansioni); - il reato occupazionale individuale (perpetrato da persone normali nell’ambito delle proprie occupazioni. Nel 1991 Brown, Esbensen e Geis17 scrivono che crimine del colletto bianco è ogni reato che implichi la violazione di 15 S. SMITH, Organized crime and entrepreneurship, in International Journal of Criminology and Penology, vol. 6, nº 2, 1978. 16 Come fa notare Vincenzo Ruggiero in Economie sporche. L’impresa criminale in Europa, Torino 1996, questa prospettiva concettuale è in accordo con le idee di Sutherland perché esclude dalla categoria i reati delle classi agiate quando non sono commessi nel corso dell’attività lavorativa. 17 G. GEIS, The heavy electrical equipment antitrust cases of 1961, in G. GEIS & R.F. MEIER (Eds.), White-collar crime: Offenses in business, politics, and the professions, New York: Free Press 1977, pp. 117-132. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 78 leggi come lo Sherman Act18 – il quale proibisce, tra l’altro, l’associazione con lo scopo di restringere o limitare la concorrenza – o che comporti la violazione delle legislazioni regolanti la pubblicità ingannevole, la malversazione, l’insider trading, e di quell’insieme di leggi che possono essere accomunate sotto la rubrica generale delle frodi. Ne deriva che, così argomentando, ci si allontana dalla logica dell’autore di reato e dallo studio della sua personalità e motivazione, per focalizzare l’attenzione sull’analisi delle funzioni e dei loro obbiettivi. Invero, come ha rilevato Lasco, questa definizione, implicitamente o esplicitamente, sembra includere sotto l’etichetta di crimine economico ogni reato perpetrato con finalità di natura economica, «spostando il baricentro dell’analisi dagli attori criminali alle loro funzioni obiettivo»19. Giova sottolineare, inoltre, che questo tipo di approccio comporta anche il mutamento dell’autore del reato, il quale non si configura più soltanto come singolo individuo, bensì come un ente o una realtà finanziaria o commerciale costituita come realtà giuridica, ad esempio una società per azioni. Cambia anche l’identità e la percezione della vittima: si passa, infatti, dal considerare gli illeciti economici come crimini senza vittima, a coglierli finalmente come crimini contro la collettività, dove la vittima è la società tout court. Il contenuto morale della criminalità economica Prima di affrontare l’analisi di alcuni degli illeciti della criminalità economica e riflettere su come si sono evoluti dall’epoca di Sutherland ai giorni nostri, è opportuno soffermarsi sui concetti morali che sono alla base di questa tipologia di reati. Preliminarmente va rilevato che il tratto distintivo di questo corpus normativo consiste nel fatto che, in molti casi, sia messa in dubbio l’immoralità della condotta tenuta dall’imputato. Questo perché evidentemente assistiamo ancor oggi, come già osservato da Sutherland nella prima metà del Novecento, ad una frattura all’interno della stessa compagine sociale, per cui una parte della collettività, i consumatori in primis, non ha alcuna perplessità sull’immoralità del comportamento posto in essere, mentre il gruppo sociale di riferimento, cui lo stesso reo appartiene, ne constata l’illiceità, 18 Lo Sherman Antitrust Act, la più antica legge antitrust degli Stati Uniti, firmata dal Presidente Harrison nel 1890, colpì duramente i monopoli della Northern Securities Company, dell’American Tobacco Company nonché della Standard Oil. 19 F. LASCO, Criminalità economica, in Impresa & Stato, n. 44 (1998), p. 18. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 79 perché così stabilito dalla legge, ma spesso la considera una condotta accettabile, seppure poco ortodossa, almeno nel contesto in cui è venuta in essere, vale a dire quello affaristico. Senza considerare coloro che non sono affatto spaventati da questo tipo di criminalità, quanto dall’idea che lo Stato possa disperdere le sue energie per contrastarla piuttosto che occuparsi della sicurezza personale dei cittadini20. Stando così le cose, ecco che la linea di demarcazione fra ciò che è immorale e ciò che non lo è diventa labile. Del contenuto morale del crimine dei colletti bianchi si è occupato Stuart P. Green21, che non ha mancato di sottolineare come questa forma di devianza abbia un rapporto alquanto complesso con la morale e come il diritto penale che se ne occupa sia fortemente connesso con le nozioni morali di cheating, inganno, slealtà, frode, corruzione, coercizione, per citarne solo alcune. Invero, mentre per i giuristi assume una rilevanza centrale e predominante il dato della condotta penalmente rilevante, i sociologi ed i criminologi si concentrano meno sulle categorie legali e maggiormente sulla descrizione dei modelli di comportamento, delle sue cause e della reazione della società al riguardo. Lo stesso Sutherland aveva rilevato la carenza della legislazione in materia, evidenziando come le violazioni di brevetti, l’adulterazione o le frodi alimentari o dei farmaci non fossero assoggettate a sanzioni penali, oppure, quand’anche lo fossero, risultassero reati raramente perseguiti. Con le parole di Klaus Volk potremmo dire che «di fatto, con il diritto penale economico si attua il risanamento etico dei settori corrotti della società economica»22. Al fine di questa trattazione, è interessante analizzare uno dei concetti morali tipici dell’intero settore penale dei colletti bianchi: la frode. Substrato della frode è certamente l’inganno, che può essere definito con Stuart Green come «la trasmissione di un messaggio, attraverso il quale l’autore, all’atto della comunicazione, intende generare un malinteso»23. Dunque, l’inganno è connotato dalla volontarietà nel generare 20 Così K. VOLK, Criminalità organizzata e criminalità economica, in S. MOCCIA (a cura di), Criminalità organizzata e risposte ordinamentali. Tra efficienza e garanzia, Napoli 1999, pp. 349-366, p. 350. 21 Professor of Law at Rutgers School of Law, New Jersey State University. 22 Cfr. K. VOLK, Sistema penale e criminalità economica. I rapporti tra dommatica, politica criminale e processo, Napoli 1998, pp. 37-38. 23 S.P. GREEN, I crimini dei colletti bianchi, Mentire e rubare tra diritto e morale, ed. ital. a cura di E. BASILE, Milano 2014, p. 82. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 80 il misunderstanding, per cui la frode è integrata anche con meri fraintendimenti. Invero, Green rileva come le sottili distinzioni morali si riflettano a loro volta nella dottrina giuridica che le adopera per diversificare la regolamentazione e i tratti essenziali delle varie fattispecie giuridiche. Sutherland e la pubblicità menzogne Già Sutherland aveva rilevato la diffusione di annunci che decantavano, senza alcun serio fondamento, le qualità di un prodotto. In particolare, analizzando i rapporti della Federal Trade Commission24, notò come la pubblicità menzognera fosse concentrata in rami dell’industria specifici. Invero, il 33% degli annunci pubblicitari riguardavano i medicinali, il 12,7% gli alimenti per l’uomo, il 3,6% quelli per animali e il 13,5% i cosmetici. Ne consegue che ben più della metà, ovvero il 65,3% dei messaggi ingannevoli, era concentrato in un settore estremamente rilevante per la salute, quello farmaceuticoalimentare. Sutherland distinse tre forme di pubblicità menzognera: 1) Gli annunci diretti a promuovere la vendita di prodotti pericolosi per la salute, nei quali la pericolosità veniva taciuta, minimizzata o, peggio, negata. Ne sono esempi le tinture per capelli al catrame della Montgomery Ward o le sigarette della Philip Morris. 2) Gli annunci che tendono ad esagerare le qualità del prodotto; si pensi alla vendita di merce di peso inferiore a quello dichiarato, o la vendita di abiti quasi interamente di cotone, presentandoli di pura lana o pura seta. 3) Gli annunci che, combinando le precedenti forme di pubblicità, erano finalizzati a danneggiare le imprese concorrenti. La Montgomery Ward reclamizzava forni a gas, decantandone qualità non possedute da alcun altro modello, quando invece quelli prodotti dalla concorrenza avevano le medesime caratteristiche. Quando la collettività si rese conto della gravità dei danni provocati dalla pubblicità menzognera, fu costituito un apposito nucleo di polizia incaricato di ricevere le denunce e accertare le violazioni di legge. Inoltre, furono modificate le procedure relative all’accertamento del dolo, al fine di approntare una responsabilità oggettiva. Queste novità furono introdotte con la Pure Food and Drug Law del 190525, che 24 25 Federal Trade Commission, Annual Report, 1941, p. 132. Nel 1862, il Presidente Abraham Lincoln aveva nominato un direttore chimico con funzioni nel nuovo Dipartimento dell'Agricoltura. Questa nomina segnò l'inizio del Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 81 qualificava come reati le proprie violazioni e comminava sanzioni pecuniarie, cui nel 1914 si aggiunse la Federal Trade Commission Law. In base a queste normative, tre erano le procedure che la Commissione poteva esperire per rendere efficace l’applicazione della legge: - accettare un patteggiamento (stipulation) con cui l’imputato, ammettendo di aver commesso il fatto, si impegnava ad astenersi dal violare nuovamente le disposizioni in materia; - ordinare all’imputato di desistere dal violare la legge; - rivolgersi ad una Corte per ottenere l’esecuzione del proprio ordine. Tuttavia, va tristemente rilevato come le imprese industriali e commerciali, incuranti dei danni provocati alla collettività, sia a livello salutistico26 sia sotto il profilo della fiducia, si adoperassero per impedire l’introduzione e l’attuazione delle normative volte a far fronte alla pubblicità menzognera con apposite associazioni, quali il Drug Institute, operante a livello farmaceutico, e il National Manufacturers of Flavoring Extracts, nel settore alimentare. Tra i casi più eclatanti di pubblicità menzognera ricordiamo quello del tabacco: nel 1943 le quattro maggiori imprese di questo settore furono accusate di falsità commesse nella pubblicità di sigarette e i giudizi terminarono tutti con verdetti di rigetto. Basti pensare che, perfino una nota rivista medica, quale il Journal of the American Association, reclamizzò le sigarette Philip Morris decantandone le proprietà curative per le infiammazioni alla gola. Ciò poté avvenire grazie alle opinioni sostenute da vari medici, alcuni anche molto autorevoli, i quali ricevettero somme di denaro dalla stessa Philip Morris27. Recentemente, negli Stati Uniti si è concretizzato un risarcimento record, pari a 23,6 miliardi di dollari, che la multinazionale RJ Reynolds Tobacco Company, proprietaria dei marchi Camel, Winston e Pall Mall, dovrà versare alla sig.ra Cynthia Robinson, vedova di un fumatore morto di tumore all’età di trentasei anni. Invero, la giuria del Tribunale della Contea di Escambia, in Florida, ha ritenuto fondata l’accusa di negligenza della RJ Reynolds consistente Bureau of Chemistry (Ufficio della chimica), il predecessore della Food and Drug Administration. 26 Nel 1906 la legge sulla purezza degli alimenti e dei farmaci genuini (Pure Food and Drugs Act) fu approvata dal Congresso. La legge vietava il commercio interstatale di prodotti alimentari, bevande e farmaci adulterati o con indicazioni fuorvianti. L'impeto per il passaggio di questa legge fu dato da rivelazioni sconvolgenti riguardo all'uso di conservanti e coloranti tossici negli alimenti, documentato sulla stampa e presentato nel romanzo di Upton Sinclair, La Giungla. 27 Cfr. SUTHERLAND, Il crimine dei colletti bianchi, cit., p. 173. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 82 nella mancanza di un’informazione sufficientemente chiara sui pericoli del vizio del fumo. La pubblicità ingannevole Il decreto legislativo n. 145 del 2007, recependo l’art. 14 della direttiva comunitaria 2005/29/CE che modifica la precedente direttiva 84/450/CEE, si occupa di disciplinare la cd. pubblicità ingannevole, definendola come «qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente». In passato, in Italia, la pubblicità menzognera era considerata illecita solo dalla dottrina28, mentre la giurisprudenza tendeva a perdonarla ai commercianti, parlando di «iperbolica magnificazione dei propri prodotti, anche mediante indicazioni di qualità non rispondenti al vero»29. Tuttavia, col passare del tempo, anche i giudici hanno iniziato a distinguere le innocue suggestioni ed esaltazioni del prodotto dal vero e proprio falso pubblicitario, senza dubbio da reprimere30. Si pensi, a tal fine, al celebre caso dell’Alemagna, che aveva tacciato di falsità la Motta perché pubblicizzava la bontà del suo panettone con una carta d’identità attestante la composizione, poi risultata non veritiera31. Diverse e copiose sono state le sentenze avvicendatesi negli anni su questa delicata tematica, le quali hanno identificato le caratteristiche proprie della pubblicità menzognera. Invero, i giudici hanno sostenuto che è ingannevole: - «Dichiarare o far credere che il proprio prodotto abbia caratteristiche in realtà inesistenti, ad esempio che sia fabbricato con una certa materia prima»32; 28 M. FUSI-P. TESTA, Diritto & Pubblicità, Milano 1996, p. 71 e ss. 29 S. SANZO, La concorrenza sleale, Padova 1998, p. 304. 30 La giurisprudenza sulla repressione della pubblicità menzognera è molto estesa; si veda F. SCIRÈ, La concorrenza sleale nella giurisprudenza, I-III, Milano 1989 e C. UBERTAZZI, Giurisprudenza pubblicitaria, Milano 1996, p. 89 e ss. 31 F. SCAGLIONE, Correttezza economica e autonomia privata, Perugia 2007, p. 229; il caso Motta-Alemagna: Cass., 17 aprile 1962, n. 752. 32 Tribunale di Napoli, 30 dicembre 1971, in GADI n. 263, 1973. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 83 - «Indicare come brevettato il proprio prodotto quando il brevetto non esiste»33; - «Far credere che il prodotto reclamizzato sia stato oggetto di specifico esame e controllo da parte della magistratura e degli organi della CEE così da essere assolto da ogni sospetto di pericolosità e non conformità alla normativa vigente»34; - «Indurre i consumatori a ritenere che acque minerali siano solo contenenti un grammo di sale»35. Dunque, da questa breve ma significativa rassegna giurisprudenziale, si rileva che la pubblicità risulta ingannevole sia se il contenuto è falso, mendace, erroneo o illusorio, sia se contenga informazioni inesatte. Inoltre, va segnalato che un ulteriore caso di pubblicità ingannevole si riscontra nel caso in cui la pubblicità non sia immediatamente riconoscibile36, andando ad integrare le tipologie della pubblicità occulta, le cui forme più famose sono la pubblicità redazionale e il product placement. La prima consiste nel presentare al pubblico un prodotto nell’ambito di un servizio d’informazione giornalistica o radiotelevisiva avente l’apparenza di un’autonoma iniziativa della redazione del giornale, ma che in realtà è stato predisposto dall’impresa utente o è stato fatto redigere dietro compenso da un giornalista e viene inserito, senza che nulla lo distingua da altri ‘pezzi’, nel contesto del mezzo di informazione37. Il product placement, invece, si configura con la presenza di un prodotto facilmente riconoscibile – per il suo nome, per il marchio o per la sua forma – all’interno di una narrazione televisiva, cinematografica e letteraria con lo scopo di realizzare un accostamento tra il prodotto e il protagonista, per beneficiare delle emozioni suscitate dallo sceneggiato38. Alla luce di quanto detto finora, appare evidente come la pubblicità ingannevole sia uno strumento concorrenziale scorretto con cui si ledono due tipologie di interessi: quello dei consumatori, i quali risultano colpiti nella loro buona fede, e quello dei concorrenti, che rischiano di perdere una parte della propria clientela. Pertanto la repressione del fenomeno pubblicitario ingannevole si realizza su due fronti, tramite le norme della 33 Corte di Cassazione, 8 novembre, 1974, n. 3427, in GADI n. 480, 1974. 34 Tribunale di Milano, 24 settembre 1979, in GADI n. 1177, 1979. 35 Tribunale di Firenze, 7 ottobre 1981, in GADI n. 1612, 1983. 36 L’art. 4 del d. lgs. 74/1992 dispone che «la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile» e se realizzata a mezzo stampa deve distinguersi attraverso «modalità grafiche di evidente percezione». 37 Fusi-Testa, Diritto & Pubblicità, cit., p. 91. 38 F. UNNIA, La pubblicità clandestina, Milano 1997, p. 201 e ss. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 84 concorrenza sleale e attraverso le direttive che tutelano i consumatori. Tuttavia, quando dalla potenza persuasiva delle comunicazioni pubblicitarie, estremamente pervasive nel contesto multimediale attuale, arriva a configurarsi il pericoloso fenomeno della pubblicità ingannevole – il quale, tramite la diffusione di falsi messaggi pubblicitari che precedono la messa in vendita di un prodotto, segnatamente quello alimentare, spesso giunge a comportare il perfezionarsi della frode sanitaria o commerciale – la tutela offerta è penalistica. La pubblicità ingannevole di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza del consumatore Una particolare tipologia di pubblicità ingannevole è quella che va a minare il diritto fondamentale alla salute di ogni membro della collettività39. Invero, il messaggio pubblicitario ingannevole può incidere sul bene fondamentale della salute, sul diritto ad un’adeguata informazione ed una corretta pubblicità (art. 2 Codice Consumatori), generando un danno esistenziale, tutelabile mediante riconoscimento. Va preliminarmente rilevato come la Direttiva CEE 84/450 non contemplasse alcuna prescrizione in merito ai prodotti pericolosi, per cui l’origine della norma in esame si rinviene nell’art. 12 del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria che contiene una disposizione concernente proprio la sicurezza. L’art. 5 del D. lgs 74 del 1992 considera ingannevole la pubblicità relativa a prodotti pericolosi per la sicurezza e la salute dei consumatori che ometta di darne notizia, in modo da indurli a trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza. Così disponendo, pone a carico dell’operatore pubblicitario un obbligo positivo di informazione circa la pericolosità del prodotto. Pertanto, l’omissione di tale informazione configura un’ipotesi di ingannevolezza, che, oltre all’induzione in errore, richiede anche, come requisito ulteriore, l’attitudine della stessa ad indurre all’inosservanza di regole di prudenza. Secondo la dottrina, per normali regole di prudenza e vigilanza si intende quel complesso di cure e di cautele che ogni soggetto deve normalmente impiegare negli ordinati rapporti della vita, avuto riguardo alle concrete circostanze della situazione in cui si esplica la sua attività40. Ne consegue il richiamo al concetto di colpa generica, vale a dire l’imprudenza 39 Sancito nell’art. 32 della Costituzione italiana. 40 G. ALPA, La responsabilità civile, Torino 1987, p. 53. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 85 colposa, che la giurisprudenza ha ravvisato ogni qualvolta l’agente ometta di rappresentare la possibilità dell’evento dannoso41. Una parte della dottrina ha evidenziato come la fattispecie qui in esame sia estranea alla disciplina della pubblicità ingannevole e che il suo inserimento nel decreto avrebbe il solo scopo di assoggettare la pubblicità per prodotti pericolosi alle medesime sanzioni dettate per la pubblicità ingannevole42. Al riguardo viene poi richiamata la dizione della norma, la quale, nell’affermare che la pubblicità omettente di fornire informazioni sulla pericolosità del prodotto è considerata ingannevole, ha inteso dare una qualificazione formale di un illecito, equiparato ex lege alla fattispecie della pubblicità ingannevole sotto il profilo sanzionatorio. L’Autorità Garante ha individuato alcune categorie di prodotti suscettibili di rientrare nel campo di applicazione della norma: medicinali, bevande alcoliche, trattamenti dimagranti, prodotti dell’elettricità. Inoltre, la violazione dell’art. 5 della norma in questione è stata rilevata in relazione: - alla dicitura light apposta su un pacchetto di sigarette con un contenuto di nicotina inferiore al normale, perché è stata ritenuta idonea a suggerire una minore pericolosità del prodotto, mentre è emerso che i danni provocati dalle sigarette “leggere” non sono inferiori a quelli delle sigarette normali. - a messaggi pubblicitari che affermavano la capacità di prodotti non farmaceutici di combattere determinate patologie, giudicati idonei ad indurre il consumatore a trascurare o ritardare la consultazione del medico. - a messaggi pubblicitari concernenti prodotti dimagranti che omettevano di indicare gli effetti collaterali, le controindicazioni o la tollerabilità da parte dell’organismo. Ne deriva che l’obbligo sancito è quello di fornire al consumatore le informazioni che gli consentano di valutare i rischi inerenti al prodotto, allorché questi ultimi non siano immediatamente percettibili, e cioè quando i pericoli insiti nell’uso del prodotto non siano di immediata evidenza. Dunque, la pericolosità è quella intrinseca, vale a dire connaturata all’utilizzo per il quale il prodotto viene pubblicizzato. In questi casi, il consumatore che abbia subito un danno a causa di una pubblicità ingannevole può agire ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. per ottenere il risarcimento, ma è tenuto ad un’incombenza probatoria alquanto gravosa, poiché deve 41 42 Cassazione, 21 marzo 1981, sent. n. 1656, in Giurisprudenza civile, Mass. ann. 1981. M. FUSI-P. TESTA-P. COTTAFAVI, La pubblicità ingannevole: commento al D. Lg. 25 gennaio 1992, n.74, Milano 1993, p. 208. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 86 provare l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra pubblicità ingannevole e danno, nonché la colpa di chi ha diffuso la pubblicità43. Dalla pubblicità ingannevole alla frode alimentare Uno dei settori in cui la pubblicità ingannevole si manifesta in tutta la sua criticità è quello alimentare44. Infatti, certa pubblicità commerciale regala illusioni ai consumatori incoraggiandoli ad acquistare determinati alimenti. Si pensi ai numerosi casi di messaggi pubblicitari inerenti a drink energizzanti, bibite light, prodotti in grado di combattere i radicali liberi o abbassare il livello di colesterolo. Proprio nel settore alimentare l’inganno del messaggio decettivo spesso è solo il preludio della frode. Invero, in relazione alla produzione e alla vendita di prodotti alimentari due sono le tipologie di illecito perpetrate: la frode sanitaria e la frode commerciale. Prima di riflettere su queste fattispecie di reato, è importante soffermarsi sulla pericolosità della frode; invero, le conseguenze dei comportamenti illeciti in esame possono risultare estremamente pericolose per la salute pubblica, derivandone conseguenze negative per i consumatori: dall’utilizzo di materie prime o semilavorate di qualità scadente, dalla mancata osservanza delle norme igienicosanitarie, o ancora dall’utilizzo improprio di ingredienti e additivi dovuto alla scarsa professionalità degli operatori. Le frodi alimentari possono essere dovute a: - sofisticazione: operazione che consiste nell’aggiungere all’alimento sostanze estranee che ne alterano l’essenza, viziandone la composizione naturale e simulandone la genuinità45 allo scopo di migliorarne l’aspetto o celarne i difetti. Esempio: la mozzarella trattata con il perossido di benzoile per “sbiancarla”; - adulterazione: operazione che consiste nell’alterare la struttura originale di un alimento tramite la sostituzione di elementi propri dello stesso con altri estranei, ovvero con la 43 La Cass. Civile, SS. UU., con la sentenza del 15 gennaio 2009, n. 794 ha sancito che l’eventuale presenza o meno di una disposizione di legge o di un provvedimento che autorizzi un determinato tipo di pubblicità non costituisce un elemento preclusivo all’ottenimento del risarcimento del danno per il consumatore ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. 44 Con il termine «alimento» o «derrata» si intende qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani. 45 C. CORRERA, La difesa del consumatore dalle frodi in commercio, Milano 2002, p. 262. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 87 sottrazione o con l’aumento delle quantità proporzionali di uno o più dei suoi componenti, lasciando loro l’apparenza originaria. Esempio: aggiungere alcool metilico al vino; - contraffazione: consiste nel formare ex novo un alimento con l’apparenza della genuinità in quanto prodotto con sostanze diverse, per qualità o quantità, da quelle che normalmente concorrono a formarlo. Esempio: olio di semi per olio d’oliva; - alterazione: operazione che consiste nella modifica della composizione originaria a causa di fenomeni degenerativi spontanei, determinati da errate modalità o eccessivo prolungamento dei tempi di conservazione. In merito alla contraffazione, ricordiamo che il legislatore con la l. 99/2009 ha introdotto una nuova norma incriminatrice, l’art. 517 quater cod. pen.46, al fine di colmare un vuoto di tutela a protezione della fiducia dei consumatori nella provenienza e nella qualità dei prodotti. Invero, la contraffazione di beni di consumo quali gli alimenti provenienti dall’attività agricola non solo va a ledere la fiducia della collettività, ma mette a rischio il bene fondamentale della salute47. La frode sanitaria La probabilità o la certezza di procurare un danno alla salute dei cittadini è il presupposto insito nella fattispecie della frode sanitaria. Come già diffusamente rilevato, il bene giuridico oggetto di tutela è un bene di rilievo costituzionale, vale a dire la salute pubblica. In particolare, gli artt. 439 e ss. cod. pen. rubricati Delitti di comune pericolo mediante la frode e la Legge 30 aprile 1962 n. 283 (Disciplina igienica della produzione e della vendita di sostanze alimentari e delle bevande) si occupano di disciplinare la fattispecie in esame. Il codice penale sanziona l’avvelenamento di acque o di sostanze (art. 439), l’adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari (art. 440) e il commercio delle sostanze alimentari contraffatte e adulterate (art. 442), nonché il commercio delle sostanze alimentari nocive (art. 444). Tutti questi reati si configurano come reati di pericolo e non di danno, perché per la punibilità degli stessi non si esige che le sostanze alimentari si siano 46 Art. 517 quater cod. pen.: «Chiunque contraffà o comunque altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000». 47 A. MADEO, Lotta alla contraffazione: modifiche agli artt.473-474 cod. pen. e nuovi delitti, in Diritto Penale e Processo, 16/I (2010), pp. 10-21, p. 17. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 88 manifestate, in concreto, nocive per la salute pubblica, ma si rivela sufficiente l’attitudine delle stesse a produrre nocumento alla pubblica salute48. Giova sottolineare che tale attitudine non può consistere in un pericolo meramente ipotetico, bensì occorre un pericolo concreto ricavabile da qualsiasi mezzo di prova, anche dalla comune esperienza (esame dei sensi, visivo e/o olfattivo, prelievo di campioni e relativa analisi di laboratorio della sostanza). La pericolosità consiste nella potenziale attitudine di una sostanza alimentare a cagionare un danno alla salute. Laddove la nocività può essere definita come l’attitudine già immanente nel prodotto a provocare un danno alla salute se consumato nelle condizioni in cui in quel momento si trova. La frode in commercio La frode commerciale comprende tutte le azioni fraudolente sugli alimenti o sulle loro confezioni che, pur non determinando concreto e immediato nocumento per la salute pubblica, favoriscono illeciti profitti a danno del consumatore. Il reato di frode in commercio, disciplinato dall’art. 515 cod. pen.49, tutela il bene giuridico di natura «superindividuale e non meramente privatistica» insito nell’interesse del nostro ordinamento giuridico al leale e corretto svolgimento dell’attività commerciale stricto sensu intesa50. Il legislatore del 1930 volle dunque apprestare idonea tutela per l’ordine economico, al fine di impedire il turbamento al sistema economico nazionale derivante da comportamenti fraudolenti51 ed assicurare così il leale ed onesto svolgimento del commercio e la tutela dei consumatori. Invero, la rubrica del codice penale è quella dei Delitti contro l’industria e il commercio. Dunque, commette il reato di frode in commercio «chiunque nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita»52. Al riguardo, va evidenziato come la giurisprudenza abbia annoverato fra i soggetti agenti non solo i titolari e legali rappresentanti pro tempore di imprese commerciali, ma anche i 48 Cass. sez. I, sent. 15 ottobre 1966, n. 888. 49 G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto Penale, Parte speciale, I, Bologna 2012, p. 677 ss. 50 Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2006, in Ced. Cass. n. 244333. 51 C. PEDRAZZI, voce Economia pubblica, industria e commercio (delitti contro la), in Enciclopedia del diritto, volume XIV, Milano 1965, pp. 278-282, p. 281. 52 Si tratta di un «reato proprio». Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 89 preposti, i dipendenti, i commessi e finanche i familiari53, purché i fatti incriminati siano intervenuti nell’esercizio di un’attività diretta allo scambio di beni, ovvero in qualsiasi luogo abitualmente destinato alla messa in vendita di merci di qualsivoglia genere e specie54. Pensiamo al caso in cui la condotta criminosa consista nel consegnare all’acquirente una cosa mobile diversa da quella dichiarata o pattuita per origine. L’origine riguarda il luogo geografico di produzione di beni che i consumatori tendono ad apprezzare maggiormente proprio perché prodotte in una determinata zona o regione. Un caso concreto oggetto dell’attenzione della Cassazione concerneva un salumiere, che aveva consegnato all’acquirente – il quale aveva richiesto una certa quantità di Emmenthal55 – un formaggio analogo prodotto in Italia invece che in Svizzera. Invero, la denominazione “Emmenthal” spetta esclusivamente al formaggio fabbricato in Svizzera e non anche a quelli prodotti in altri paesi. Per meglio comprendere la ratio ispiratrice di questa tipologia di reati, giova sottolineare che l’art. 4 del D. L. 17 gennaio 1977, n. 3 convertito, con modifiche, nella legge 18 marzo 1977, n. 63, ha previsto un’ipotesi aggravata di frode in commercio, secondo la quale la fattispecie prevista dall'art. 515 cod. pen. è punita – quando consista nella vendita di carne scongelata per fresca, o nella vendita di carne ripetutamente ricongelata, qualora il fatto non costituisca più grave delitto – con la reclusione fino a tre anni o con la multa da l.516 euro a 25.822 euro. Il reato di frode in commercio è punito a titolo di mero dolo generico, richiedendosi per la sua integrazione la sola consapevolezza e volontà di consegnare all’acquirente un bene mobile dissimile da quello dichiarato o pattuito, ricordando che non trova applicazione l’esimente del consenso dell’avente diritto ex art. 50 cod. pen. qualora l’accipiens accetti consapevolmente di ricevere l’aliud pro alio dal commerciante, vista la natura indisponibile del bene giuridico protetto dalla norma in esame56. In conclusione, è opportuno citare uno dei casi che meglio evidenziano la connessione fra le due fattispecie oggetto di questa trattazione, vale a dire la pubblicità ingannevole e il reato di frode di commercio. Il caso di specie, riguardante un’impresa che, contrariamente al vero, affermava la 53 Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 1983, in Cass. pen., 1984, p. 531. 54 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, II, Milano 1982, p. 660. 55 Cass. 14 giugno 1978, in Cass. Pen. Mass. Ann., 1980, 321. 56 Cass. pen., 21 febbraio 1986, in Riv. Pen., 1986, 74. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 90 provenienza di carni da bovini allevati in Italia, è stato oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte, che ha ritenuto configurati gli estremi del reato di cui all’art. 515 cod. pen. nella propalazione di falsi messaggi pubblicitari che avevano preceduto la messa in vendita del prodotto alimentare, così da ritenere perfezionata la frode anche nella consegna di un bene di qualità diversa rispetto a quella dichiarata nella fase pregressa dell’offerta contrattuale al pubblico dei consumatori57. Conclusioni Nel presente lavoro è stato proposto un excursus sulla criminalità economica concernente il settore della pubblicità ingannevole e della frode in commercio, concentrando la riflessione – in particolare – sui messaggi decettivi afferenti gli alimenti e sulla fattispecie delittuosa di frode alimentare che colpisce il consumatore non solo nella sua fiducia, ma soprattutto nella sfera più delicata, quella della salute. Invero, quella della pubblicità ingannevole è una tematica i cui effetti incidono maggiormente sul pubblico di consumatori; perché la propalazione del messaggio ingannevole, traendo in errore gli utenti sulle caratteristiche, la qualità o le prestazioni dei prodotti pubblicizzati, arriva nei casi più gravi a generare vere e proprie frodi. Il danno alla collettività striscia silenzioso intaccando non solo il commercio, perché altera la concorrenza, bensì anche la fiducia, poiché crea un vulnus nell’affidamento del consumatore, e minaccia segnatamente il diritto alla salute dell’individuo. In un contesto dominato dai mass media come quello attuale, nel quale le fonti comunicative sono molteplici, estremamente pervasive ed in continuo mutamento, si rileva davvero essenziale l’operato degli organi di controllo, della giurisprudenza e delle fonti legislative nazionali ed internazionali poste a presidio della tutela collettiva nel contrastare la dirompente dinamicità della criminalità economica. Nell’epoca in cui Sutherland affrontò per primo il problema dei white-collar crimes, le criticità maggiori erano configurabili nella carenza legislativa in materia e nella mancanza di percezione immediata del danno subito dalle vittime, poiché spesso i decessi provocati dalla tossicità dei beni si verificavano senza che fosse possibile ricostruire esattamente 57 Cass. pen., sez. III, 22 maggio 2008, n. 27105. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 91 il nesso consequenziale degli eventi. Oggi, invece, possiamo rilevare come la disciplina normativa apprestata contro gli illeciti oggetto di questa dissertazione risulti soddisfacente, sebbene essi nei messaggi decettivi siano aumentati e si diffondano a ritmi sostenuti attraverso la miriade di fonti comunicative. Pertanto, è di tutta evidenza la necessità di un sistema di controllo stringente, attualmente operativo, il quale dovrà essere in grado di stare al passo con il progresso tecnologico poiché la finalità de iure condendo è e resterà sempre la tutela della salute del cittadino. Bibliografia ALPA G., La responsabilità civile, Torino 1987. ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, Parte Speciale, II, Milano 1982. CLINARD M.B.-QUINNEY R., Criminal Behavior systems: a typology, Cincinnati 1994. CLINARD M.B. & YEAGER P.C., Corporate crime, New York 1980. CORRERA C., La difesa del consumatore dalle frodi in commercio, Milano 2002. DI NICOLA A., La criminalità economica organizzata. Le dinamiche dei fenomeni, una nuova categoria concettuale e le sue implicazioni di policy, Milano 2006. EDELHERTZ H., The nature, impact, and prosecution of white-collar crime, Washington 1970. FIANDACA G.-MUSCO E., Diritto Penale, Parte speciale, I, Bologna 2012. FORTI G., Percorsi di legalità in campo economico: una prospettiva criminologico-penalistica (6 novembre 2006), Quaderno n° 15 del Ciclo di conferenze e seminari “L’uomo e il denaro”, organizzati dall’Associazione per lo sviluppo degli Studi di Banca e Borsa e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, reperibile sul sito www.assbb.it/CMI/quaderno_etica_15.pdf FUSI M.-TESTA P., Diritto & Pubblicità, Milano 1996. FUSI M.-TESTA P.-COTTAFAVI P., La pubblicità ingannevole: commento al D. Lg. 25 gennaio 1992, n. 74, Milano 1993. GAETA E.G., Fondamenti economici dei comportamenti criminali, Torino 2013. GEIS G., The heavy electrical equipment antitrust cases of 1961, in G. GEIS & R.F. MEIER (Eds.), White-collar crime: Offenses in business, politics, and the professions, New York: Free Press 1977, pp. 117132. Crimen et Delictum, VIII (November 2014) International Journal of Criminological and Investigative Sciences 92 GREEN S.P, I crimini dei colletti bianchi. Mentire e rubare tra diritto e morale, ed. ital. a cura di E. BASILE, Milano 2014. LASCO F., Criminalità economica, in Impresa & Stato, n. 44-45 (1998), in http://impresa-stato.mi.camcom.it/im_4445/Lasco.htm. MADEO A., Lotta alla contraffazione: modifiche agli artt. 473-474 c.p. e nuovi delitti, in Diritto Penale e Processo, 16/I (2010), pp. 1021. PEDRAZZI C., voce Economia pubblica, industria e commercio (delitti contro la), in Enciclopedia del diritto, volume XIV, Milano 1965, pp. 278-282. RUGGIERO V., Economie sporche. L’impresa criminale in Europa, Torino 1996. SANZO S., La concorrenza sleale, Padova 1998. SCAGLIONE F., Correttezza economica e autonomia privata, Perugia 2007. SCIRÈ F., La concorrenza sleale nella giurisprudenza, I-III, Milano1989. SMITH S., Organized crime and entrepreneurship, in International Journal of Criminology and Penology, 1978. SUTHERLAND E.H., Il crimine dei colletti bianchi, Milano 1987. SUTHERLAND E.H. e CRESSEY D.R., Principles of Criminology, Oxford 1960. UBERTAZZI C., Giurisprudenza pubblicitaria, Milano 1996. UNNIA F., La pubblicità clandestina, Milano 1997. VOLK K., Sistema penale e criminalità economica. I rapporti tra dommatica, politica criminale e processo, Napoli 1998. VOLK K., Criminalità organizzata e criminalità economica, in S. MOCCIA (a cura di), Criminalità organizzata e risposte ordinamentali. Tra efficienza e garanzia, Napoli 1999, pp. 349-366.