Persinsala Teatro
Alfredo Agostini
aprile 3, 2014
La straziante vendetta di Medea tinge di nero
il palcoscenico del Teatro Eliseo. Pierpaolo Sepe sceglie di
immergere il pubblico nelle cupe tenebre del furore, entro le
quali riluce come riflesso su una lama l’ineluttabile bravura di
Maria Paiato.
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La fortunata tournée di Medea nella versione di Pierpaolo Sepe e
interpretata da una magnifica Maria Paiato prosegue il suo viaggio. Partita
da Milano a ottobre, è giunta finalmente a Roma, incorniciata dallo storico
Teatro Eliseo. Esistono innumerevoli rielaborazioni del mito di Medea,
eppure è possibile individuare due principali riferimenti teatrali classici:
Euripide in greco e Seneca in latino. È bene sottolineare questa
distinzione, perché i due autori hanno elaborato la trama, e quindi i
personaggi, in modo assai diverso. Euripide è il primo a codificare la
tragedia, indagando la psicologia di una donna dolorosamente umana,
un’antica regina preda del Fato (l’amore per Giasone ispirato da Afrodite)
e predatrice di vendetta come auto-affermazione dei propri diritti. Seneca
trae ispirazione dal greco, ma rielabora il materiale secondo una visione
stoica. Il filosofo cordovese, tutore del giovane Nerone, sceglie un
approccio didattico utilizzando il personaggio di Medea come exemplum
negativo, condannato dallo stesso coro. Le azioni compiute dalla
discendente di Febo, regina della Colchide, moglie di Giasone e madre di
Mermero e Fere rappresentano la depravazione del senno abbandonato
lascivamente alla mercé delle passioni e, di contro, agiscono da elogio alle
virtù della moderazione, dell’apatia (in senso filosofico) secondo i canoni di
comportamento stabiliti. La Medea di Seneca è un personaggio mostruoso,
penetrare la sua ottica è un’impresa. Ogni sezione dell’opera sembra
montata verso una spettacolarizzazione del furore che sfocia nella brutale
follia. Sangue chiama sangue, la madre uccide i figli per punire il marito,
colpirlo nel suo punto debole, con coscienza. L’inferno verso il quale si
muove Medea è scientifico, la donna preferisce indugiare sul proprio
sentimento amoroso, barattarlo addirittura con la morte del fratello,
smembrato e gettato a mare, e tale volontà è la causa funesta della sua
profonda, inconsolabile sofferenza. L’adattamento di Sepe deriva proprio
da questa versione latina della tragedia, se possibile più crudele, fosse
solo per la messa in scena dell’omicidio in due tempi prima di uno e poi
dell’altro figlio sul tetto della casa, dopo aver atteso Giasone per farlo
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assistere allo scempio. Tuttavia, senza una conoscenza pregressa della
trama, tutto quanto avviene ha la sua difficoltà di comprensione. Da una
parte vengono dati per scontati gli elementi portanti della trama, con una
accelerata insistenza sulle nefandezze di Medea, gli atti immorali da lei
compiuti (anche se, dichiara, per amore). Dall’altra il pubblico è distratto
dalla messa in scena. In uno spazio chiuso da vetrate frantumate,
illuminato da una luce lunare, immerso nella nebbia, si consuma la
tragedia, affidata alle parole che si fanno azione drammaturgica. I cinque
personaggi, Medea, Giasone, Creonte e due moderni coreuti, divengono
cantori di disgrazie in uno spazio decisamente dark, che rende ancora più
cupe le parole. I movimenti dei corpi sono precisi, come pure il tono della
voce, controllata, regolamentata. Ci si perde a osservare la scioltezza dei
gesti, ad ascoltare il volume delle voci che non esaltano la poesia delle
parole, la stancano. A questo punto possiamo dirlo, Medea è uno
spettacolo che si regge completamente sulla formidabile interpretazione di
Maria Paiato. Dall’aspetto marcatamente androgino, in una versione di
Neo, l’Eletto di Matrix, l’attrice con la sua voce a tratti tonante a volte
fragile e minuta, la tensione viscerale, il tremore dei pugni chiusi a
stritolare la pietà, gli occhi feroci e senza paura diviene un punto
cardinale. Il resto, anche il lavoro più o meno buono del cast, sembra
marginale, periferico. Il fatto è che la rappresentazione non appare
costruita in funzione del testo, ma è il testo modificato secondo le
esigenze rappresentative. La volontà è quella di allestire un horror della
colpa, i toni si mantengono notturni, neri, il risultato però è che i
personaggi possano soffrire un vago senso di evanescenza. Un esempio su
tutti, il personaggio interpretato da Giulia Galiani è un misto tra
Frankenstein Jr, Rocky Horror e Hermione Granger di Harry Potter, non
sembra mai presente a se stessa. Una scelta precisa, un’interpretazione
personale di Seneca e per questo meritevole, ma senza il fuoco acceso
dalla Paiato a indicare la direzione dell’opera, saremmo forse approdati al
teatro sperimentale, concettuale, con tanto di introduzione in chiusura al
tema delle carceri. Uno spettacolo interessante dal punto di vista
intellettuale, sebbene poco coinvolgente da quello emotivo, la Medea che
trapela dall’opera non appare come una donna, ma un titano, un demone,
una strega, quando non un uomo. Maria Paiato diretta da Sepe regala al
pubblico un personaggio ferocemente grandioso, nonostante tutto.
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Lo spettacolo continua:
Teatro Eliseo
via Nazionale, 183 – Roma
fino a giovedì 17 aprile 2014
orari: martedì, giovedì, venerdì ore 20.45, mercoledì e domenica ore 17.00, sabato ore ore 16.30 e 20.45,
(90 minuti senza intervallo)
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Fondazione Stabile Contemporanea
Teatro stabile d’innovazione presentano
Medea
di Seneca
traduzione e adattamento Francesca Manieri
con Maria Paiato, Max Malatesta, Orlando Cinque, Giulia Galiani, Diego Sepe
regia Pierpaolo Sepe
scene Francesco Ghisu
costumi Annapaola Brancia D’Apricena
luci Pasquale Mari
trucco Vincenzo Cucchiara
foto Pino Le Pera
aiuto regia Luisa Corcione
direttore di scena Clelio Alfinito
tecnico elettricista Carmine Pierri
realizzazione costumi Sartoria Orlì
assistente volontario scene Valeria Mangiò
assistente volontario costumi Claudia Volpe
assistente volontario regia Simone Giustinelli
grafica Luca Marcogliano
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