Un dono
per l’arciduca
di Stefania Elena Carnemolla
P
In Austria si trova
un interessante
manoscritto galileiano
sul flusso e riflusso
delle maree
resso il Tiroler Landesarchiv di Innsbruck
si trova un manoscritto autografo di Galileo, donato dallo scienziato all’arciduca Leopoldo
d’Austria. Il documento,
sotto forma di lettera al
cardinale Orsini, nipote di
Ferdinando de‘ Medici, racchiude una trattazione sul
flusso e riflusso del mare per Galileo legato al movimento della Terra intorno al Sole, nonché intorno al
proprio asse.
Il 23 maggio 1618, Galileo Galilei inviò all’arciduca Leopoldo d’Austria, con ciò ringraziandolo per
una visita che gli aveva effettuato nel mese di marzo, due telescopi, uno strumento di sua invenzione a forma di copricapo, il celatone, per il calcolo
della longitudine in mare, quindi un esemplare
delle “Lettere Solari” e una copia della sua lettera
al cardinale Alessandro Orsini, sul flusso e riflusso
del mare.
La lettera al cardinale Orsini, fatta circolare da Galileo in più esemplari, era stata scritta l’8 gennaio
1616 a Roma, dove egli si trovava sin dal 1615 per
poter difendere le teorie di Copernico. Rispetto alle copie conosciute il documento di Innsbruck
racchiude una figura usata da Galileo per spiegare
il rapporto fra maree e moto della Terra.
La questione era cara da tempo allo scienziato, sin
dagli anni dell’insegnamento padovano durante i
quali non erano mancate le visite a Venezia, luogo
di osservazioni e confronto scientifico, tanto che,
scrivendo il 7 maggio 1610 durante le trattative
per il suo ritorno in Toscana come filosofo e mate-
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matico primario di Cosimo II, a Belisario Vinta,
segretario mediceo, Galileo parlerà del suo opuscoletto “De maris aestu”.
Da Cesalpino
a Galileo?
Per quanto l’intuizione
del rapporto tra flusso e
riflusso del mare e moto
della Terra venga fatta risalire tradizionalmente
agli anni veneti, è probabile che Galileo ne venisse
a conoscenza attraverso Andrea Cesalpino, botanico, medico e anatomista aretino, suo maestro a Pisa, che aveva visto nelle maree più che l’effetto
dell’influsso lunare quello di un leggero moto della sfera terrestre, un po’ come l’oscillazione dell’acqua in un vaso, o come dirà Paolo Sarpi, il frate
servita amico di Galileo, in un catino.
Il 4 agosto 1597, scrivendo a Johan Kepler, ringraziando l’astronomo tedesco per l’invio di una copia del “Mysterium Cosmographicarum”, Galileo gli
confessò d’aver individuato le cause di fenomeni
altrimenti inspiegabili.
Che si riferisse alle maree? Probabile, tanto da suscitare la reazione di Kepler, poi accusato da Galileo
di credere più ai “predominii della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simili fanciullezze” che
non ai movimenti della Terra. Le critiche di Galileo
non risparmiarono nemmeno Marc’Antonio De
Dominis, arcivescovo di Spalato, autore di un piccolo trattato sulle maree “Euripus, seu de fluxu et refluxu maris sententia”, stampato a Roma nel 1624.
De Dominis, che ebbe con la Chiesa rapporti ambigui e altalenanti, fatti di scomuniche e riavvici-
Leopoldo V, arciduca d’Austria e conte del
Tirolo, olio su tela di Joseph Heintz il Vecchio, Kunsthistorisches Museum di Vienna;
in apertura, un disegno di Galileo che illustra la correlazione tra flusso e reflusso e
moto annuo e diurno della Terra
Qui sopra, ritratto di
Galileo Galilei, olio su
tela di Justus Sustermans del 1636, National Maritime Museum
di Greenwich, Londra
A fianco, “Galileo Galilei davanti al Sant’Uffizio”, olio su tela del
1847 di Joseph Nicolas Robert-Fleury, Louvre, Parigi
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Le due immagini sono quelle della prima e dell’ultima
pagina del documento di cui parliamo, con in calce
ben evidente la firma autografa del grande scienziato
namenti, nel dedicare la sua operetta al cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, aveva con questo “sperato di mitigare l’inimicizia del nuovo pontefice offrendo argomenti contro la teoria galileiana, in odore
d’eresia”. Non servì. Egli fu anzi rinchiuso,
con l’accusa, ma per ben altre ragioni, di essere anch’egli un eretico, a Castel Sant’Angelo, dove morì poco dopo.
L’epoca fu ricca di scritti sui flussi e riflussi
marini. Chiunque avesse scoperto l’origine
delle maree avrebbe infatti avuto molto di
cui vantarsi, tanto che per dare maggiore
importanza alla cosa venne rispolverata
un’antica leggenda sulla morte di Aristotele,
fattosi annegare in mare giacché “frustrato
dagli infruttuosi tentativi” di risolvere il mistero delle maree. “Se solo Aristotele avesse
avuto il tuo intuito di certo non avrebbe miseramente finito i suoi giorni fra le onde”, così,
Francesco Stelluti, accademico dei Lincei, a
Galileo.
Come l’acqua in una barca
Scrivendo al cardinale Orsini, Galileo paragonò il letto dei mari a una barca, all’interno della quale l’acqua, in seguito ad accelerazione e decelerazione del moto, si fosse
mossa ora verso poppa ora verso prua, scorrendo ora verso l’una ora verso l’altra estremità. L’argomento fu ripreso nel “Dialogo”
sui due massimi sistemi del mondo, opera
che portò alla condanna di Galileo, quando, il 22 giugno 1633, ormai vecchio, egli
venne trascinato nella grande sala del Convento di Santa Maria sopra Minerva, davanti ai giudici del Sant’Uffizio.
Galileo avrebbe trascorso gli ultimi anni della sua vita ad Arcetri, in Toscana, perseverando, nonostante la condanna, nei propri convincimenti, tanto da ricordare, come farà il
30 gennaio 1638, in una lettera a Fulgenzio
Micanzio, biografo di Paolo Sarpi, le osserva■
zioni degli anni veneziani.
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