Tutte le forme dell’amore nel dialogo Augè-Reale
Gianluca Veneziani da Libero 14/09/2013
Organizzare un festival della filosofia sull’amare può suonare come un pleonasmo. È
come parlare di un «amore della sapienza (filo-sofia) per l’amore». Ma la ridondanza viene
meno se si pensa che l’amore della conoscenza spesso è anche conoscenza dell’amore.
È nata da quest’intuizione la tredicesima edizione del Festivalfilosofia di Modena, Carpi e
Sassuolo (da oggi fino al 15 settembre), che cercherà di definire la natura di una sostanza
magmatica qual è appunto il sentimento amoroso. Sul tema si cimenteranno tra gli altri,
I’antropologo francese Marc Augé è il filosofo Giovanni Reale.
«Amare significa essere soli», esardisce secco ai nostri taccuini Augé. che terrà una
lectio magistralis intitolata La solitudine degli amanti. «Questa forma di isolamento si può
intendere in un doppio senso. Gli amanti sono soli quando stanno insieme, in quanto
godono di un mondo esclusivo, interdetto agli altri. Volendo ricorrere a una mia categoria,
potrei dire che gli amanti vivono in un nonluogo, uno spazio che tutti ignorano e che per
loro invece assume un valore assoluto. Ma gli amanti sono soli anche ciascuno per sé, in
quanto la passione è sempre un moto individuale, un’estensione del proprio egotismo, che
prova a “consumare” l’altro».
L’esito dell’amore totale, secondo Augé, è dunque la conquista, il possesso, la
distruzione del partner. Ma anche la declinazione inversa del rapporto affettivo, cioè
l’offerta e il dono di sé, può comportare la scomparsa di uno dei due amanti. «Sacrificarsi
significa annullare il proprio Io a vantaggio dell’altro. In questo modo si replica la tendenza
dell’amore a fagocitare una delle due persone, riducendo la dualità a unità. E’ un
meccanismo che io associo alla morte». Anche l’amore platonico, per Augé, va dunque
inteso come una forma di affermazione del Sé o, al contrario, come un tentativo di
autoannullamento. «L’androgino [figura mitologica che assomma i caratteri sessuali
maschili e quelli femminili, ndr] è l’espressione migliore dell’amante autoreferenziale, che
basta a se stesso. Viceversa, il passaggio dall’amore fisico alla ricerca dell’Uno, di cui
parla Platone, si inserisce nell’ambizione alla rinuncia e alla distruzione dell’lo».
Difensore strenuo dell’amore platonico è piuttosto il filosofo Givanni Reale che lo
presenta come «una delle versioni più alte mai pensate alla luce della pura ragione», e
sottolinea a proposito il successo ancora attuale del Simposio, che contribuisce a rendere
Platone «il pensatore più letto di tutti». La scala d’amore presente in quel libro, per cui
ciascun amante dovrebbe elevarsi dall’attrazione verso i corpi fisici alla contemplazione
del Bello, è la conferma, secondo Reale, che «l’amore cresce quanto più è grande
l’oggetto amato ed Eros è la forza che ci dà le ali per andare sempre più in alto». L’amore
platonica è dunque «pura contemplazione disinteressata», e non ha nulla da spartire con
l’elogio dell’amore omosessuale, come molti studiosi hanno interpretato. «Anzi», tiene a
sottolineare Reale, «Platone dice più volte che il rapporto sessuale tra maschi è contro
natura. Lo afferma nel Simposio e lo ribadisce nelle Leggi,avvertendo che l’omofilia deve
lasciar perdere l’unione carnale». C’è tempo anche per interrogare i due pensatori sulla
lettera scritta da papa Francesco a Eugenio Scalfari, in cui Bergoglio accosta il concetto di
caritas a quello di caro, di carne, quasi rivoluzionando la mentalità di chi guarda alla carità
cristiana come a un amore disincarnato. «E la dimostrazione», rileva Augé, «di una
sostanziale ambiguità nella definizione cristiana dell’amore. Il cristianesimo presenta
numerosi aspetti corporali: l’espressione “Questo è il mio corpo” recitata durante
l’eucaristia, l’invito a riprodursi per dare continuità al genere umano, nonché la stessa
unione fusionale con il Cristo e la Vergine presente nei racconti di molti mistici», Dal canto
suo Reale nota la lontananza tra «il pensiero greco, che derubricava il corpo a una
prigione da cui liberarsi, e il cristianesimo, che ha invece valorizzato la sacralità del corpo
umano». Non è, d’altronde l’unico scarto tra l’eros greco e l’agape cristiana. «Le altre due
differenze fondamentali», continua il filosofo, «stanno nel fatto che, mentre l’amore
platonico è acquisito e cresce quanto più è grande l’oggetto d’amare, I’amore cristiano è
donativo e aumenta quanto più è piccolo il destinatario d’amore. Lo dimostra Gesù che si
rivolgeva ai peccatori, o Madre Teresa di Calcutta, attenta agli ultimi e ai derelitti».
Nondimeno ci sono delle affinità tra il concetto d’amore sviluppato dalla filosofia e quello
promosso dal pensiero sacro. «Sia Eros che Cristo» aggiunge Reale, «sono dei mediatori.
Eros è un intermediario tra il dio e l’uomo, Cristo è il Dio che si è fatto Uomo. Perfino la
figura trinitaria si può spiegare alla luce di questa mediazione amorosa: oltre ai due
“Amanti”, c’è infatti la Terza Persona, che è l’Amore stesso».
«Copia di Eros». infine, è pure il filosofo, uomo sempre indigente, che cerca ciò che gli
manca e che per questo vuole acquisire. In questo senso amare, credere e sapere sono
tre tensioni di un unico desiderio, che va incontro all’Altro, per trovarne risposta e
appagamento.
Libero