PARTE 4 a4 deformaz rev 10.docx Rel.02/03/10 I fluidi come continui deformabili Indice 1. 2. Velocità di deformazione di un elementino di fluido ………………….…………… pag. Proporzionalità tra tensore degli sforzi viscosi e tensore della velocità di deformazione nei fluidi newtoniani ………………………….. 3. Il problema della pressione ………………………………………………..…………………….. 4. Sforzo normale in quiete e in movimento ….…………………………………………………. 5. Alcune considerazioni sulla viscosità di volume e sulla relazione di Stokes ………… 4 11 13 18 20 Nella parte 1, si è già accennato al fatto che, nell'ambito della fluidodinamica classica, i fluidi vengono modellati come continui deformabili. Ciò significa che si rinuncia a descrivere il moto di ciascuna singola molecola e che, della reale natura molecolare del particolare fluido in esame, si tiene conto soltanto attraverso proprietà statistiche medie, quali la densità, la viscosità, la temperatura, ecc., che dalla sua struttura molecolare dipendono. Nell'ambito della classe dei continui deformabili (che comprende anche i solidi), si definiscono fluidi quelle particolari sostanze materiali, siano esse liquide o gassose che, in condizioni statiche, o di quiete, possono sostenere esclusivamente sforzi 1 di tipo normale. 1 Sappiamo dalla meccanica che la forza per unità di superficie, ovvero lo sforzo, che si esercita in un punto P di un continuo deformabile, su di una superficie elementare σ di versore normale n , è dato da un vettore S ( n ) che dipende soltanto da P e da n . y n S P σ σ P y n S x P σ x z z (continua) Nel caso di quiete, pertanto, lo stato di sforzo in un fluido è compiutamente descritto dal solo sforzo normale 2, isotropo 3, che prende il nome di pressione, che ha un significato intrinseco (ovvero indipendente dal riferimento) e che denotiamo con lo scalare p 4. Ciò vale per ogni tipo di fluido, sia esso un liquido o un gas, newtoniano o meno, e indipendentemente dalla sua viscosità. In condizioni di moto, invece, i fluidi possono sostenere, non solo ulteriori sforzi di tipo normale, ma anche sforzi tangenziali. La condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché ciò si verifichi è che il fluido abbia viscosità non nulla. Viscosità 5, che è una proprietà fisica caratteristica d'ogni fluido reale (gas perfetti inclusi) e che, come si è detto, dipende dalla sua struttura molecolare e dal suo stato termodinamico. Il vettore S( n) si può esprimere mediante tre sforzi S1, S 2 ed S3 , relativi a tre elementi superficiali distinti, passanti per P e aventi i versori normali orientati come gli assi cartesiani x, y e z: € S(n) = S1n1 + S2n 2 + S3n 3 € dove n 1 , n 2 ed n 3 sono le componenti cartesiane di n , ovvero i coseni direttori della normale all'elemento σ su cui si esercita lo sforzo S(n ). Questa relazione mostra che lo € stato di sforzo in un punto è dato da un tensore, o tensore doppio, individuato dai tre vettori S1 , S2 ed S3 , o dalle loro componenti cartesiane: S11 S12 S13 S 21 S 22 S 23 S 31 S 32 S 33 (componeti di S1 ) (componeti di S2 ) (componeti di S3 ) dove i termini con indici uguali (che occupano la diagonale della matrice associata al tensore) rappresentano le componenti degli sforzi normali, mentre quelli con indici € le componenti tangenziali. diversi rappresentano 2 Ne è un esempio l'acqua in un bacino in quiete, che è perfettamente in grado di sostenere la pressione atmosferica agente sulla sua superficie libera. 3 L'isotropia è la proprietà di indipendenza del valore locale di una grandezza fisica dalla direzione di osservazione. Una grandezza fisica che goda di tale proprietà ben si adatta quindi ad essere rappresentata con una variabile scalare. Non si confonda l'isotropia, che è proprietà locale, con l'uniformità, che è invece la proprietà di indipendenza di una variabile (sia essa scalare o vettoriale) dalla posizione spaziale. Pressione e temperatura, ad esempio, sono grandezze scalari, ma la loro distribuzione spaziale non è generalmente uniforme e pertanto le componenti del vettore gradiente, che ne rappresenta le variazioni nello spazio, non sono affatto nulle. 4 E' evidente che, in condizioni di quiete, lo scalare pressione può essere definito, a meno del segno, anche come un terzo della traccia del tensore degli sforzi, ovvero come la media delle tre componenti normali del tensore degli sforzi: 3 p = − 13 ∑ i=j Sij = − 13 (S11 +S22 +S33) 1 5 O meglio, le viscosità, dal momento che, se si escludono i gas monoatomici, i fluidi reali presentano in generale, sia una viscosità dinamica µ, sia una viscosità di volume β. € Parte 4 - Pag. 2 L'esistenza di un tensore degli sforzi viscosi è tuttavia subordinata, non solo all'esistenza di una viscosità, ma anche a quella di un atto di moto che non deve essere puramente rigido. Affinché si producano sforzi viscosi è necessario infatti che gli elementi fluidi subiscano, nel corso del loro moto, anche una variazione di forma e/o di dimensioni: quella che, riferita all’unità di tempo, prende il nome di velocità di deformazione. Nel corso di Fluidodinamica si tratterà, in particolare, di quella classe di fluidi viscosi che prendono il nome di newtoniani. Il motivo di questa scelta (che è peraltro comune a tutta la fluidodinamica classica) è duplice. Innanzitutto a questa classe appartengono fluidi di grande interesse pratico: sono newtoniani, infatti, non solo l'acqua e l'aria e, potremmo dire, la totalità dei gas, monoatomici o meno, in un vasto campo di condizioni di temperatura e di pressione, ma anche moltissimi altri fluidi 6. In secondo luogo, per i fluidi newtoniani esiste un legame di proporzionalità diretta tra il tensore degli sforzi viscosi ed il tensore della velocità di deformazione. E ciò costituisce un'enorme semplificazione nella scrittura e nell'integrazione delle equazioni di bilancio che governano il loro moto. I tipi di sforzo che possono essere sostenuti, rispettivamente, dai fluidi non viscosi (fluidi che esistono soltanto come astrazione), dai fluidi viscosi newtoniani e da quelli non newtoniani, sono riassunti nella tabella 7. Atto di moto e tipo di fluido Non viscoso (non esiste) Viscoso Newtoniano Viscoso Non Newtoniano Quiete Solo sforzo normale isotropo coincidente con lo scalare pressione Solo sforzo normale isotropo coincidente con lo scalare pressione Solo sforzo normale isotropo coincidente con lo scalare pressione Pressione + sforzi viscosi normali e tangenziali Pressione + sforzi viscosi normali e tangenziali Gli sforzi viscosi sono funzioni lineari della velocità di deformazione Gli sforzi viscosi sono funzioni non lineari della velocità di deformazione Moto (non rigido) Solo sforzo normale isotropo coincidente con lo scalare pressione 6 Sono newtoniani, ad esempio, anche gli oli naturali e sintetici, il miele, gli idrocarburi liquidi e gassosi. Generalmente non lo sono, invece, le soluzioni polimeriche, le materie plastiche allo stato fuso, il dentifricio, i metalli allo stato plastico, il sangue ed i fanghi (o, più in generale, le sospensioni di particelle solide in liquidi). 7 Discuteremo meglio, al paragrafo 3, il significato dello scalare pressione, che viene ripetutamente citato nella tabella. In molti casi (ma non sempre) tale pressione coincide con quella pressione statica, o termodinamica che, limitatamente al gas perfetto, si è definita nella Parte 2 di questi appunti. Parte 4 - Pag. 3 1 - Velocità di deformazione di un elementino di fluido La scrittura delle equazioni di bilancio per la quantità di moto e per l'energia richiede, come si è accennato nella Parte 3, la conoscenza delle forze di superficie, ovvero dello stato di sforzo locale e istantaneo presente sulla superficie che delimita ogni generico elemento di fluido. Dal momento che abbiamo appena affermato che, almeno per i fluidi newtoniani di cui ci occuperemo, lo stato di sforzo è dipendente dalla velocità di deformazione, è utile analizzare le modalità di deformazione di un generico elementino (o particella) di fluido continuo, soggetto ad un atto di moto generico. Stato di sforzo e velocità di deformazione sono descritti da due tensori le cui componenti sono, ovviamente, funzioni dello spazio e del tempo. Ma per semplicità, per descrivere la deformazione istantanea di un elemento di fluido nel corso del suo movimento (adottiamo quindi, per il momento, il punto di vista lagrangiano), consideriamo soltanto un campo di moto bidimensionale nel piano x − y , e quindi compiutamente definito dalle sole componenti u e v della velocità, parallele agli assi cartesiani x e y, e stazionario. All'interno di tale campo, consideriamo un elemento infinitesimo (anch'esso piano) di fluido continuo. Assumiamo poi, per comodità, che all'istante t = t o tale elemento abbia forma quadrata, con vertici ABCD e lati di lunghezza dx e dy paralleli agli assi cartesiani. Il vertice in A abbia coordinate (x, y) e la velocità in A, all'istante t = t o , abbia componenti u e v. Le coordinate degli altri vertici, all'istante t = t o , sono definite in figura. y y C' D' C (x+dx, y+dy) D (x, y+dy) dy B' A (x, y) dx t = to B (x+dx, y) x A' t = t o + dt x A capo di un intervallo di tempo infinitesimo dt , per effetto dell'atto di moto, l'elemento di fluido trasla, ruota e si deforma in modo tale che ciascuno dei suoi vertici viene ad occupare posizioni diverse nel piano, che denotiamo con A ' , B' , C ' e D ' , le cui coordinate sono ovviamente dipendenti dall'atto di moto considerato, e cioè dalla distribuzione spaziale delle componenti u e v della velocità. Note le posizioni iniziali dei vertici A, B, C e D, per definire la deformazione subita dall'elemento di fluido nell'unità di tempo, ovvero la sua velocità di Parte 4 - Pag. 4 deformazione, dobbiamo definire le posizioni A ' , B' , C ' e D ' occupate, rispettivamente, da ciascuno di essi, a capo dell'intervallo di tempo infinitesimo dt . A tal fine, facciamo ricorso alle consuete espansioni in serie di Taylor e, a titolo di esempio, esprimiamo le coordinate del vertice A', al tempo t = t o + dt , in funzione delle sue coordinate iniziali al tempo t = t o , nel modo seguente: (x A ) t ∂2 x ∂x = x + dt + 2 ( A )t o ∂t o + dt ∂t A,t o dt 2 + ....... ∂2 y ∂y = y + dt + 2 ( A )t o ∂t o + dt ∂t A,t o dt 2 + ....... A,t o (y A ) t € A,t o espansioni che possiamo anche troncare ai termini di derivate prime, purché l'incremento temporale dt sia scelto sufficientemente piccolo. € Se poi sostituiamo alle derivate prime temporali delle coordinate x e y le corrispondenti componenti (u A ) t e ( v A ) t del vettore velocità in A, al tempo o o t = t o , possiamo scrivere: (x A ) t o + dt = (x A ) t + (u A ) t dt (y A ) t o + dt = (y A ) t + (v A ) t dt o o o o € e, dal momento che il vertice in A ha coordinate (x, y) e che la velocità in A ha componenti u e v, le coordinate iniziali e finali del vertice considerato sono, € rispettivamente: A ≡ (x , y ) A' ≡ (x + udt , y + v dt ) Se le dimensioni dx e dy dell'elemento piano sono molto grandi rispetto alle scale molecolari (stiamo, infatti, considerando il fluido come un continuo deformabile), ma sufficientemente piccole da definire un intorno di A in cui le derivate prime delle componenti della velocità possano ritenersi costanti, possiamo procedere in modo analogo per gli altri vertici dell'elemento e, sempre usando approssimazioni di Taylor con accuratezza del 1° ordine (che può essere del tutto soddisfacente se gli incrementi spaziali dx e dy sono sufficientemente piccoli), otteniamo: B ≡ (x + dx, y) ∂u ∂v B'≡ x + dx + u + dx dt, y + v + dx dt ∂x ∂x € Parte 4 - Pag. 5 C ≡ (x + dx, y + dy) ∂u ∂u ∂v ∂v C'≡ x + dx + u + dx + dy dt, y + dy + v + dx + dy dt ∂y ∂x ∂y ∂x D ≡ (x, y + dy) € € ∂u ∂v D'≡ x + u + dy dt, y + dy + v + dy dt ∂y ∂y La variazione della forma dell'elemento di fluido (che definiamo, appunto, deformazione) può essere ricondotta, tra l'altro, alla variazione della lunghezza delle sue diagonali. Consideriamo, ad esempio, la diagonale C − A , i cui estremi, al tempo t = t o + dt , occupano le posizioni C ' ed A', ed esprimiamo la variazione della sua lunghezza. La variazione del vettore che rappresenta la diagonale dell'elementino è: [C'−A'] − [C − A] ≡ ∂u ∂u ∂v ∂v ≡ x + dx + u + dx + dy dt, y + dy + v + dx + dy dt − (x + udt, y + v dt) + ∂y ∂x ∂y ∂x € −[(x + dx, y + dy) − (x, y)] € che, con le dovute semplificazioni, si riduce a: € ∂u ∂u [C'−A'] − [C − A] ≡ ∂x dx + ∂y dy dt, ∂v ∂v dx + dy dt ∂y ∂x e che potremmo scrivere anche, nella forma più compatta: € € [C'−A'] − [C − A] ≡ [dudt, dv dt] Pertanto, nell'intervallo di tempo dt , la componente di tale vettore nella direzione dell'asse x, che rappresenta la proiezione su x dell'allungamento della € diagonale considerata, subisce una variazione Δx pari a: ∂u ∂u Δx = dudt = dx + dydt ∂y ∂x E in modo del tutto analogo si perviene a scrivere anche la variazione Δy, nella direzione y, del vettore che rappresenta la diagonale dell'elementino: € ∂v ∂v Δy = dv dt = dx + dydt ∂y ∂x € Parte 4 - Pag. 6 Con un artificio, possiamo ora vedere che la variazione della lunghezza della diagonale di un elementino di fluido in una direzione che, ad esempio, scegliamo parallela all'asse x, è il risultato dei contributi dei cinque termini definiti nel seguito. 1) Velocità di dilatazione isotropa, che comporta l'allungamento (o l'accorciamento) uguale di ogni lato dell'elemento, senza variazione dell'angolo formato dai lati passanti per A, e quindi senza variazione della direzione della bisettrice di tale angolo, che in questo caso coincide con la diagonale dell'elemento. 2) Velocità di dilatazione lineare isovolumica, che comporta allungamenti o accorciamenti diversi di ciascuno dei lati dell'elemento, e tali da mantenere invariato il volume dell'elemento stesso (l'area nel caso bidimensionale). L'angolo in A e la relativa bisettrice rimangono invariati. 3) Velocità di distorsione pura (pari ad un mezzo del vettore γ ), che produce variazione nell'angolo formato dai lati passanti per A, senza modificare, né la direzione della bisettrice, né il volume dell'elemento (varia, ovviamente, la lunghezza dei lati). € Velocità di rotazione rigida (pari ad un mezzo del vettore ω = rotV ), che comporta la variazione della direzione della bisettrice dell'angolo in A, ma lascia inalterati, sia l'angolo, sia la lunghezza dei lati. 4) 5) Velocità di traslazione rigida dell'elemento, che€comporta un uguale spostamento di ciascuno dei vertici dell'elemento, e che ne lascia pertanto del tutto inalterati il volume, la forma e la giacitura. y y δ δ A (x, y) A (x, y) x velocità di dilatazione isotropa x velocità di dilatazione lineare isovolumica y y dy δ δ A (x, y) x A (x, y) dx velocità di rotazione rigida velocità di distorsione pura Parte 4 - Pag. 7 x y δ δ A (x, y) x velocità di traslazione rigida L'artificio consiste nel sommare e sottrarre, a Δx, in questo caso, la quantità: 1 ∂v 1 dy + divVdx dt 2 ∂x 2 Ciò che si ottiene è: 1 1 ∂v ∂u € ∂u 1 1 ∂v ∂u Δx = dudt = divVdx + − divV dx + + dydt + − − dydt ∂x 2 2 ∂x ∂y 2 2 ∂x ∂y Vel. dil. lineare isotropa € Vel. dil. lineare isovolumica Vel. distorsione pura Vel. rotazione rigida Il primo dei termini contenuti tra le parentesi quadre rappresenta il contributo alla componente secondo x della deformazione prodotta dalla velocità di dilatazione isotropa. Questa, in base alla definizione che ne abbiamo dato, deve produrre allungamenti uguali di ciascuno dei lati dell'elemento che, nel caso di un elemento piano, coincidono con 1/2 della dilatazione isotropa (1/3, nel caso tridimensionale), ovvero della divergenza del vettore velocità. La divergenza del vettore velocità V , nell'elemento di volume dτ , è definita come il limite del rapporto tra il flusso di V attraverso la superficie ds di dτ ed il volume dτ , al tendere di questo a zero 8. Pertanto, se il vettore velocità V ha componenti cartesiane ortogonali istantanee u ( t ) , v ( t ) , w ( t ) , si definisce divergenza del vettore V all'istante t i, nel punto Pj , lo scalare: € € ∂u(t i ) ∂v(t i ) ∂w(t i ) divV(t i ,Pj ) = + + € ∂y ∂z ∂x P=Pj 8 € Si ricordi anche il teorema della divergenza (o di Gauss) che afferma che, in un campo vettoriale avente vettore caratteristico V , data una superficie chiusa S che delimita un volume V, l'integrale della divergenza del vettore V esteso al volume V uguaglia il flusso del vettore V attraverso la superficie S che delimita V. Parte 4 - Pag. 8 Il secondo termine, moltiplicato per dx , è il contributo alla componente secondo x della deformazione associato alla velocità di deformazione lineare isovolumica (o, meglio, isosuperficiale, visto che stiamo considerando un caso piano). Dal momento che, per definizione, l'area dell'elemento piano infinitesimo deve conservarsi inalterata, se esiste una variazione della componente u della velocità in direzione x, e cioè un termine ∂u ∂x , questo deve essere necessariamente bilanciato da una variazione di segno opposto della componente v in direzione y. La quantità contenuta tra le parentesi del terzo termine, e moltiplicata per dy e per 1/2, è pari alla velocità di distorsione pura γ che, per un vettore velocità V di componenti cartesiane ortogonali istantanee locali (u ( t ) ,v ( t ) ,w ( t ) ) , è il vettore di componenti 9: γ(t i ) P=Pj € € γ x (t i ) P=P = ∂w(t i ) + ∂v(t i ) j ∂z P=P ∂y j ∂u(t i ) ∂w(t i ) + = γ y (t i ) P=Pj = ∂z ∂x P=Pj ∂v(t i ) ∂u(t i ) γ z (t i ) P=Pj = + ∂y P=P ∂x j Infine, il quarto termine, moltiplicato anch'esso per dy , è il contributo all'allungamento della proiezione secondo x della diagonale considerata, dovuto alla € velocità angolare dell'elementino. Velocità angolare che, com'è noto, è pari ad 1/2 del vettore rotore della velocità, definito come: rotV(t i ) P=Pj = ω (t i ) P=Pj € ξ(t i ) P=P = ∂w(t i ) − ∂v(t i ) j ∂z P=P ∂y j ∂u(t i ) ∂w(t i ) = η(t i ) P=Pj = − ∂z ∂x P=Pj ∂v(t i ) ∂u(t i ) ζ(t i ) P=Pj = − ∂y P=P ∂x j Questo termine si è tenuto volutamente separato dagli altri dal momento che, insieme alla velocità di traslazione rigida (qui non riportata), costituisce l'atto di € 9 Si ricordi che in ogni corrente piana, quale è quella qui considerata, i vettori velocità di distorsione pura e rotore della velocità presentano una sola componente non nulla, e che questa è ortogonale al piano di moto. Parte 4 - Pag. 9 moto rototraslatorio rigido, che non contribuisce in alcun modo alla deformazione (e quindi alla generazione di sforzi) dell'elemento di fluido 10. Nel caso più generale di elemento di fluido e di atto di moto tridimensionali, se denotiamo con u, v, e w le componenti locali ed istantanee del vettore velocità V in un sistema di coordinate cartesiane ortogonali x, y, z, il tensore della velocità di deformazione è il seguente tensore (o tensore doppio) di componenti: € e= ∂u e xx = ∂x 1 ∂u ∂v e xy = + 2 ∂y ∂x 1 ∂u ∂w e xz = + 2 ∂z ∂x 1 ∂v ∂u e yx = + 2 ∂x ∂y ∂v e yy = ∂y 1 ∂v ∂w e yz = + 2 ∂z ∂y 1 ∂w ∂u e zx = + 2 ∂x ∂z 1 ∂w ∂v e zy = + 2 ∂y ∂z ∂w e zz = ∂z Si può però dimostrare che, per la condizione di equilibrio dinamico alle € rotazioni, ovvero per il teorema del momento della quantità di moto per un fluido newtoniano 11, tale tensore è simmetrico. Pertanto, grazie alla condizione di simmetria, che si traduce nelle relazioni: e xy = e yx e xz = e zx e = e yz zy le 9 componenti del tensore e si riducono a sole 6 componenti indipendenti: 1 ∂u ∂v e xy = + 2 ∂y ∂x 1 ∂u ∂w e xz = + 2 ∂z ∂x e yx = e xy ∂v e yy = ∂y 1 ∂v ∂w e yz = + 2 ∂z ∂y e zx = e xz e zy = e yz ∂w e zz = ∂z e xx e= € ∂u = ∂x 10 €Anzi, sebbene qui si sia scelto di scomporlo in cinque contributi, il generico atto di moto è sempre riconducibile alla somma di una velocità di rototraslazione rigida e di una velocità di deformazione. 11 Per una dimostrazione del teorema di simmetria del tensore degli sforzi, si veda, ad esempio, "Aerodinamica" di E. Mattioli, Editore Levrotto e Bella, Torino, pag. 146. Parte 4 - Pag. 10 e il tensore, scritto nella più compatta notazione cartesiana tensoriale, diventa: 1 ∂v ∂v eij = i + j 2 ∂x j ∂x i con e ij = e ji , per i ≠ j Scritto invece in coordinate cilindriche r , θ e z , il tensore della velocità di € € deformazione ha componenti: € e rr = e= ∂v r ∂r eθr = e rθ e zr = e rz € 1 1 ∂v r ∂v θ v θ e rθ = + − 2 r ∂θ ∂r r eθθ = 1 ∂v θ v r + r ∂θ r 1 ∂v ∂v e rz = r + z 2 ∂z ∂r 1 ∂v 1 ∂v z eθz = θ + 2 ∂z r ∂θ e zθ = eθz e zz = ∂v z ∂z 2 - Proporzionalità tra tensore degli sforzi viscosi e tensore della velocità di deformazione nei fluidi newtoniani Si è affermato che, per i fluidi newtoniani, esiste un legame di proporzionalità diretta tra il tensore velocità di deformazione e ij ed il tensore degli sforzi viscosi Sij . Ciò significa che ciascuna delle componenti del tensore degli sforzi viscosi può essere espressa da una combinazione lineare delle componenti del tensore della velocità di deformazione, una volta che siano noti, mediante modelli teorici o indagini sperimentali, i valori degli 81 coefficienti che definiscono tale legame. Tuttavia, le condizioni di: a) simmetria del tensore degli sforzi, b) simmetria del tensore velocità di deformazione, c) indipendenza del lavoro di deformazione dal sistema di riferimento, d) e di isotropia del fluido (che ben si addice ai fluidi newtoniani), consentono di esprimere le componenti del tensore degli sforzi viscosi in funzione di quelle del tensore della velocità di deformazione, attraverso 2 sole variabili scalari, che si denotano generalmente con µ e λ , e che sono delle proprietà fisiche dipendenti dal particolare fluido in esame e dal suo stato termodinamico 12. 12 € Per maggiori dettagli si veda: B.Finzi, M.Pastori, "Calcolo tensoriale e applicazioni", Zanichelli, Bologna, 1961, 2a Edizione, Capitolo 9, paragrafi 5 ed 8. Parte 4 - Pag. 11 Per un generico fluido newtoniano si ottengono pertanto le seguenti relazioni: € € € € ∂u ∂v ∂w ∂u S xx = 2µe xx + λ + + = 2µ + λdivV ∂x ∂x ∂y ∂z (S1.a) ∂u ∂v S xy = S yx = 2µe xy = µ + = µγ z ∂y ∂x (S1.b) ∂w ∂u S xz = S zx = 2µe xz = µ + = µγ y ∂x ∂z (S1.c) ∂u ∂v ∂w ∂v S yy = 2µe yy + λ + + = 2µ + λdivV ∂x ∂y ∂z ∂y (S1.d) ∂v ∂w S yz = S zy = 2µe yz = µ + = µγ x ∂z ∂y (S1.e) ∂u ∂v ∂w ∂w S zz = 2µe zz + λ + + + λdivV = 2µ ∂z ∂x ∂y ∂z (S1.f) € dove µ è la viscosità dinamica locale del fluido (che, nel caso particolare di gas perfetto monoatomico, si è ricavata dalla teoria cinetica) e λ è definita come: € ( λ = β − 23 µ ) (S2) ovvero è funzione della viscosità dinamica µ e di una seconda viscosità, β, che prende il nome di viscosità di volume. € Quest'ultima è nulla nel caso di gas monoatomici (quindi non è deducibile dalla teoria cinetica) ma è generalmente non nulla nei fluidi newtoniani. Nel caso particolare dell'aria secca, ad esempio, β è dello stesso ordine di grandezza di µ. Il contributo di β al tensore degli sforzi viscosi è poi generalmente trascurabile nel caso dei liquidi, ma non per la trascurabilità di β in sé, che può essere anzi tutt'altro che piccola, bensì per la relativa incomprimibilità delle sostanze liquide, che comporta una velocità di dilatazione isotropa (ovvero una divV ) praticamente trascurabile. Della viscosità di volume riparleremo ampiamente più avanti. Per il momento, possiamo concludere questo paragrafo affermando che, anche nel caso più generale di atto di moto, gli sforzi viscosi in un fluido newtoniano sono descritti dal tensore S: S xx S = S yx S zx S xy S yy S zy S xz S yz S zz € Parte 4 - Pag. 12 (S3) le cui componenti, definite dalle relazioni (S1a÷S1f), sono funzioni solamente dell'atto di moto e delle proprietà fisiche del fluido, entrambi locali ed istantanei, che sono e perfettamente noti. Sebbene, come si è detto, la matrice (S3) sia simmetrica, e quindi gli indici di ciascun elemento possano essere invertiti senza conseguenza alcuna, nel seguito useremo la convenzione di associare al 1° indice della componente S ij la direzione di azione dello sforzo, e al 2° la direzione della normale alla superficie su cui tale sforzo agisce. Pertanto, la componente indicata con S zy dovrà intendersi come la componente dello sforzo che agisce in direzione dell'asse z, applicato su di una faccia dell'elemento che ha normale parallela all'asse y. Si tratterà quindi, come per S xy ed S zx , di componenti di sforzo tangenziali, o di taglio. Analogamente, con S xx si indicherà la componente agente in direzione dell'asse x e applicata ad una faccia che ha normale parallela all'asse x: si tratterà quindi, come per S yy ed S zz , di componenti di sforzo di tipo normale. € 3 - Il problema della pressione Nella fluidodinamica, così come nell'aerodinamica e nella gasdinamica, si avrà spesso a che fare con la pressione. Anzi, si parlerà, non solo di pressione, ma anche di pressione termodinamica, di pressione statica, di pressione totale e di pressione dinamica. Vediamo di chiarire subito alcuni punti sulla pressione, a cominciare dalla terminologia. Pressione termodinamica (in un fluido in quiete) Abbiamo già definito la pressione termodinamica come la forza per unità di superficie esercitata dalle molecole di un gas, per effetto degli urti conseguenti alla sua velocità di agitazione termica. Lo abbiamo fatto per un particolare tipo di fluido, il gas perfetto monoatomico, usando il modello della teoria cinetica, e assumendo quindi che il gas si trovasse in condizioni di quiete (ovviamente a prescindere dai moti su scala molecolare) e di equilibrio termico 13. La pressione termodinamica, 13 A rigore, ciò che si ipotizza nel modello della teoria cinetica, come in tutta la termodinamica classica, è lo stato di equilibrio termodinamico. Stato che si ottiene quando sono verificate simultaneamente le condizioni di equilibrio meccanico, termico e chimico del sistema considerato. L'equilibrio meccanico esiste quando tutte le forze sono bilanciate, sia all'interno del sistema, sia tra il sistema considerato e quelli che lo circondano. In assenza di forze di campo, ciò implica che la pressione sia perfettamente uniforme. L'equilibrio termico è verificato se tutte le parti di un sistema si trovano alla stessa temperatura, e questa è uguale alla temperatura dei sistemi circostanti. L'equilibrio chimico si ha quando un sistema non presenta alcuna tendenza a modificare spontaneamente la sua composizione chimica, indipendentemente dalla velocità della reazione. (continua) Parte 4 - Pag. 13 così definita, è peraltro anche quella che chiamiamo più semplicemente pressione, ovvero quello scalare cui abbiamo già più volte accennato. E termodinamica, o pressione, chiameremo ogni scalare che sia definito nelle medesime condizioni e associato allo stato termodinamico (e governato quindi da un'equazione di stato), anche se il fluido in esame non sarà necessariamente un gas monoatomico ma, ad esempio, un generico gas, un ipotetico gas non viscoso, una miscela di gas (come l'aria secca) o, addirittura, un liquido, dal momento che, semplice o complessa, un'equazione di stato può essere definita anche per questi ultimi. Pressione statica Statica si definisce poi la pressione che si misura in un punto di una regione occupata da un fluido che si trovi, a livello di continuo deformabile (ovvero, a prescindere, ancora, dai moti molecolari), in condizioni di quiete. Ma allora, visto che la pressione termodinamica è stata definita proprio in tale situazione, siamo autorizzati a dire che la pressione termodinamica è anche la pressione statica. In altri termini, ogniqualvolta siano rispettate le condizioni previste dalla teoria cinetica (o condizioni analoghe, che consentano di definire una pressione termodinamica), la pressione termodinamica coincide anche con la pressione statica o, più semplicemente, con la pressione. Pressione termodinamica in un fluido in movimento Meno evidente è se, di pressione termodinamica (e di pressione statica, quindi), sia ancora corretto parlare anche quando il fluido è in movimento, ovvero nel caso di correnti di fluidi. In altre parole, quando la massa di fluido, che qui continuiamo a ritenere per semplicità essere un gas perfetto e monoatomico, è in movimento, possiamo ancora pensare che la pressione sia legata alle altre variabili di stato, temperatura e densità, da una relazione del tipo p = ρRT ? La risposta è affermativa: vediamo perché. L'equazione di stato è un legame tra la pressione del gas, la sua massa per unità di volume e l'energia associata all'agitazione termica delle sue molecole 14 (ovvero alla sua temperatura), valido in condizioni di quiete e di equilibrio. Ora, soddisfatte le condizioni di equilibrio chimico e termico 15, e se l'atto di moto è rettilineo e uniforme e non comporta velocità commensurabili con quella della luce (il che è escluso nell'ambito di tutta la meccanica e la gasdinamica classiche), Pertanto, non solo nell'ambito della teoria cinetica, ma anche di tutta la termodinamica classica, ogni processo termodinamico è descrivibile soltanto come una successione di stati di equilibrio termodinamico che, per essere tali, devono avvenire a velocità infinitamente piccola. Le trasformazioni termodinamiche così descritte sono pertanto necessariamente reversibili. A rigore, quindi, la termodinamica classica non è applicabile a sistemi fisici in cui le variabili di stato, come la pressione, non siano uniformi. Ritorneremo su questo problema più avanti. 14 Energia che, nel caso di un gas monoatomico, è puramente traslazionale. 15 Vedremo più avanti le conseguenze della presenza di eventuali gradienti termici o di forze esterne agenti sul fluido. Parte 4 - Pag. 14 temperatura e densità del gas non sono affatto influenzate dalle condizioni di moto purché esse vengano rilevate da un osservatore solidale con il fluido. Pertanto, sebbene il gas sia in movimento, nemmeno la pressione subirà variazioni, purché venga anch'essa misurata da un osservatore in moto con il fluido. A tale condizione, quindi, la pressione continuerà ad obbedire alla medesima equazione di stato che le compete nella condizione di quiete. Ciò significa che, se ritorniamo alla definizione di pressione termodinamica data dalla teoria cinetica (V. Parte 2), il fatto che il recipiente che contiene il gas a densità e temperatura uniformi sia in quiete, oppure sia animato da un moto rettilineo e uniforme, non modifica minimamente lo sforzo che le sue molecole esercitano urtando la superficie del contenitore. Il che è quasi ovvio, ma suggerisce due considerazioni piuttosto importanti. La prima, di cui avremo numerose conferme anche nel seguito, è che, nella dinamica dei fluidi, quello che conta è sempre il moto (o l'assenza di moto) relativo. La seconda indica che, a rigore, qualora si voglia misurare la pressione termodinamica istantanea in un punto P di una corrente di fluido, è necessario che la sonda di misura, nell'istante in cui si effettua la misura della pressione in P, transiti per tale punto del campo di moto con velocità esattamente uguale a quella locale e istantanea del fluido. Il che fa intravedere che la misura della pressione termodinamica in un fluido in movimento è cosa non del tutto banale. A queste conclusioni si è giunti nell'ipotesi che il moto del fluido sia rettilineo ed uniforme. Si potrebbe obiettare che, in generale, anche all'interno di un elemento di fluido relativamente piccolo, è sempre presente un gradiente della velocità e che quindi non é possibile annullare esattamente il moto medio relativo tra l'osservatore e le molecole in esso contenute. Se trascuriamo, per il momento, le conseguenze di un moto non rettilineo ed uniforme sull'equilibrio meccanico e ci limitiamo a considerare soltanto il problema del moto relativo tra il fluido e l'osservatore, possiamo facilmente dimostrare che anche un'eventuale disuniformità dell'atto di moto non presenta, di fatto, conseguenze significative. Infatti, se le dimensioni dell'elemento sono sufficientemente piccole 16, un gradiente della velocità, anche elevato, non potrà comportare variazioni sensibili della velocità al suo interno. Quanto meno, tali variazioni della velocità saranno ben difficilmente significative rispetto alla radice del valore quadratico medio della velocità molecolare che è la velocità da cui dipendono la temperatura e lo stato termodinamico del fluido: quest'ultima assume infatti valori dell'ordine di qualche centinaio di metri al secondo (ad esempio, per l'aria in condizioni standard, è pari a 486 m/s) 17. Possiamo quindi concludere che la pressione termodinamica, sebbene definita in condizioni di quiete, continua ad essere legata alle altre variabili di stato dalla 16 Da intendersi, come di consueto, piccole rispetto alle dimensioni caratteristiche del sistema macroscopico continuo, ma tali da contenere comunque un numero statisticamente significativo di molecole di gas. 17 Vincenti e Kruger, "Introduction to Physical Gasdynamics", Ed. Krieger, 1965, pag. 9. Parte 4 - Pag. 15 medesima relazione, anche nel caso in cui il fluido considerato sia in movimento. E ciò è vero anche in condizioni di atto di moto del tutto generale 18. Pressione uniforme e non Se ci si limita a trattare fenomeni fluidodinamici in equilibrio chimico, e se valgono le ipotesi di uniformità termica, di equilibrio e di assenza di forze di campo, non solo i termini pressione, pressione termodinamica e pressione statica sono sinonimi, ma non possono che assumere valore rigorosamente uniforme. Affinché possa esistere un gradiente della pressione, è quindi necessario che venga a cadere almeno una delle ipotesi della teoria cinetica, ovvero che, ad esempio, il fluido non abbia temperatura uniforme, oppure che le forze di campo non siano affatto trascurabili. Ma a conclusione della nota sull'equilibrio termodinamico si è affermato che, a rigore, la termodinamica classica non è applicabile a sistemi fisici in cui le variabili di stato non siano uniformi. Questa affermazione potrebbe avere implicazioni pratiche tragiche se si considera che i processi fluidodinamici reali sono generalmente irreversibili, ovvero caratterizzati da successioni di stati di nonequilibrio, proprio a causa del fatto che le distribuzioni delle variabili di stato pressione, densità e temperatura non sono affatto uniformi. Ciò non significa necessariamente che si debba abbandonare completamente la termodinamica classica: come spesso succede, si deve però rinunciare a trattare i processi fisici reali in modo esatto ed accettare, ancora una volta, di descriverli in modo approssimato 19. Se il sistema termodinamico in esame, ad esempio, è in equilibrio chimico 20, ma non è in equilibrio meccanico e termico, è sempre possibile suddividerlo in sottosistemi di dimensioni infinitesime rispetto a quelle del sistema originario, ma tuttavia ancora molto grandi rispetto alle dimensioni delle molecole del fluido. E a questo punto è lecito assumere che, all'interno di ciascun sottosistema valgano le condizioni di equilibrio termodinamico (mentre ciascuno di essi può trovarsi in nonequilibrio rispetto ai sistemi circostanti) e viene recuperata la validità delle variabili di stato della termodinamica classica. Ed è quindi possibile ottenere, per integrazione, una descrizione dell'intero sistema in non-equilibrio, che è sì approssimata, ma con livello di approssimazione così elevato da non giustificare il ricorso a modelli termodinamici più complessi, almeno nell'ambito di tutta la gasdinamica classica. 18 Si noti che ciò è completamente diverso, dall'affermare che, in una corrente di fluido, lo stato di sforzo normale locale deve coincidere necessariamente con la pressione termodinamica (il che, come vedremo, può anche non verificarsi affatto). 19 Il che, spesso, non è affatto grave ed è insito nel concetto stesso di "modello della realtà" (si veda la Parte 1). Grave sarebbe, invece, il non avere la consapevolezza dei limiti del modello adottato. 20 Il problema è più complesso nel caso in cui sia presente anche il non-equilibrio chimico, ma è esaurientemente trattato nel già citato Vincenti e Kruger, "Introduction to Physical Gasdynamics", Ed. Krieger, 1965. Parte 4 - Pag. 16 Allo stesso modo viene risolto il problema della non stazionarietà. L'evoluzione temporale delle variabili di stato in un fenomeno non stazionario viene descritta in modo quasi-statico, attraverso una successione temporale di stati di equilibrio. Possiamo quindi affermare che uno scostamento dall'equilibrio termico non è del tutto incompatibile con il modello della termodinamica classica ed è tale da produrre un gradiente delle variabili di stato, pressione inclusa. Come si è detto, un'altra ipotesi della teoria cinetica che può venire a mancare, dando anch'essa luogo ad un gradiente della pressione, è quella di assenza di forze di campo. In condizioni normali, gas e liquidi sono quasi sempre soggetti al gradiente idrostatico pressione uniforme S campo gravitazionale e gli effetti dinamici del peso proprio del fluido, soprattutto nel caso dei liquidi, che S hanno densità sensibilmente maggiore di quella dei gas, possono non essere per niente trascurabili. Pertanto, il S campo di pressione presenterà in generale un gradiente in direzione verticale, ovvero una variazione spaziale della pressione, che è funzione dell'accelerazione di gravità e della densità del fluido. S Un esempio è quello del bacino riportato in figura, dove la pressione (ovvero la pressione statica, o termodinamica) aumenta con la profondità, a partire dal valore uniforme, indicato con S, presente sulla superficie libera del liquido. Un altro esempio è costituito dall'atmosfera terrestre, nella quale pressione, densità e temperatura diminuiscono sensibilmente, anche se in diversa misura, all'aumentare della quota (si veda la tabella dell'International Standard Atmosphere, nella Parte 2). Sebbene prenda il nome di gradiente idrostatico, tale variazione non riguarda affatto le sole condizioni di quiete e i soli liquidi: è, al contrario, presente in tutte le correnti di qualunque fluido la cui densità non sia nulla. E' però vero che, a parità di accelerazione di gravità, esso è maggiore nel caso dei liquidi perché maggiore è la loro densità, ed è altrettanto vero che le conseguenze dinamiche di tale gradiente sono maggiormente sensibili in condizioni prossime a quelle di quiete, quando le altre forze in gioco tendono praticamente ad annullarsi. Pressione dinamica e pressione totale Possiamo concludere questo paragrafo sulla pressione con un cenno alla pressione dinamica. Si tratta dello scalare 1 ρ V 2 che esprime l’energia cinetica del 2 fluido per unità di volume, ma non costituisce affatto uno sforzo esterno: esso Parte 4 - Pag. 17 appartiene infatti al termine non lineare (l’accelerazione convettiva) dell’equazione di bilancio della quantità di moto. Lo scalare pressione totale, infine, esprime l’energia totale per unità di volume. Nel caso di un fluido a proprietà costanti, l’energia totale coincide con l’energia meccanica e la pressione totale è quindi pari alla somma dei tre contributi della pressione (energia cinetica a livello molecolare per unità di volume), della pressione dinamica (energia cinetica a livello del continuo o “di insieme” delle molecole, per unità di volume ) e dell’energia potenziale per unità di volume: 2 p t = p + 12 ρ V + ρgz . 4 - Sforzo normale € in quiete e in movimento Si è affermato che qualunque fluido, anche in condizioni di quiete, può sostenere uno sforzo, purché orientato nella direzione della normale locale alla sua superficie. Si è discusso il significato di questo scalare, che prende il nome di pressione, e si è anche dimostrato che tale pressione continua ad essere legata attraverso la medesima equazione di stato alla densità e alla temperatura, anche in condizioni di moto e in presenza di gradienti. Si è poi affermato che, in condizioni generali di moto, a questo stato di sforzo isotropo si vengono a sommare altri sforzi normali e tangenziali, detti viscosi che, nel caso dei fluidi newtoniani, è possibile valutare compiutamente attraverso le relazioni (S1.a÷S1.f). Quello che può essere utile discutere ora è se, e a quali condizioni, l'atto di moto generico di un fluido newtoniano possa modificare, attraverso gli sforzi viscosi, il valore locale dello sforzo normale isotropo. Per farlo, incominciamo col definire il tensore S T che descrive lo stato di sforzo totale locale per un fluido viscoso newtoniano in movimento, con atto di moto del tutto generico. Sforzo che è la somma degli sforzi viscosi dovuti al moto e della pressione p (unico sforzo possibile in condizioni di quiete). Introducendo la matrice € unitaria I , scriviamo quindi: S T = S − pI = S xx S xy S xz = S yx S yy S yz € S zx S zy S zz sforzo indotto dal moto − p 0 0 0 p 0 0 0 p (S4) sforzo agente in quiete € dove S è il tensore (S3) introdotto al paragrafo 2, le cui componenti sono definite dalle relazioni (S1.a÷S1.f) e pI è la matrice che rappresenta lo scalare pressione, il cui segno, per convenzione, è opposto a quello degli altri sforzi normali. Parte 4 - Pag. 18 Per comodità possiamo infine riscrivere il tensore S T nella forma: S xx − p S yx S zx T S = S xy S€ yy − p S zy S xz S yz S zz − p (S5) Prima di procedere oltre, è conveniente ricordare che lo sforzo normale isotropo, che qui € indichiamo per chiarezza con q, è definito, a meno del segno, come un terzo della traccia (o dell'invariante lineare) del tensore S T , ovvero come la media delle tre componenti normali del tensore (S5): −q = 1 (Sxx − p) + (Syy − p) +€(Szz − p) 3 [ ] (S6) ed è evidente che, in condizioni di quiete, in cui si annulla non solo la somma dei tre sforzi normali S xx , S yy ed S zz , ma anche di ciascuno di essi, tale pressione q € coincide necessariamente con lo scalare pressione statica o termodinamica p di cui abbiamo lungamente parlato. Ma quale indicazione fornisce la (S6) in relazione al quesito che ci siamo posti? In condizioni generali di moto e per un generico fluido newtoniano, le tre componenti S xx , S yy ed S zz , sono date dalle relazioni: ∂u S xx = 2µ + λdivV ∂x ∂v S yy = 2µ + λdivV ∂y € e la (S6) diventa: ∂w S zz = 2µ + λdivV ∂z (S1.a) (S1.d) (S1.f) € ∂w ∂v 1 ∂u € −q = 2µ + λdivV − p + 2µ + λdivV − p + 2µ + λdivV − p 3 ∂x ∂y ∂z ovvero: −q = € ( 1 [(2µ + 3λ) divV − 3p] 3 ) e, ricordando la relazione λ = β − 23 µ , che lega le viscosità del fluido newtoniano: € −q = β divV − p (S7) Lo scalare€q, che definisce ancora lo stato di sforzo normale isotropo, nel caso di un atto di moto generale di fluidi viscosi newtoniani a proprietà variabili non € coincide affatto con la pressione termodinamica p, ma dipende anche da quella Parte 4 - Pag. 19 proprietà fisica del fluido che abbiamo definito viscosità di volume e dalla velocità di dilatazione isotropa locale del fluido 21. Pertanto l'identità tra lo sforzo normale isotropo q e la pressione termodinamica p è verificata rigorosamente soltanto nei casi particolari: a) di gas perfetti monoatomici per i quali, come si è detto, è nulla la viscosità di volume β , b) di ipotetici fluidi non viscosi, per i quali è nulla, non solo β , ma anche µ , c) e di fluidi viscosi newtoniani la cui comprimibilità possa considerarsi nulla. €In tal caso infatti l'equazione di continuità impone che divV = 0 . € per i gas 22, Quest'ultima ipotesi, molto più appropriata per€ i liquidi che costituirà la base della maggior parte dei fenomeni e dei modelli che si esamineranno € a numerose correnti gassose in questo corso. Il motivo della sua applicabilità anche è discusso nel paragrafo che segue. Il motivo della sua applicabilità anche alle correnti gassose è discusso nel prossimo paragrafo. 5 - Alcune considerazioni sulla viscosità di volume e sulla relazione di Stokes L'esistenza di semplici relazioni lineari tra le componenti del tensore degli sforzi viscosi e quelle del tensore della velocità di deformazione facilita enormemente la scrittura delle equazioni di bilancio, nel caso particolare di fluidi newtoniani 23. Esse, infatti, permettono di esprimere lo stato di sforzo viscoso locale ed istantaneo attraverso le relazioni (S1.a÷S1.f), ovvero in funzione di derivate spaziali della velocità e delle due sole proprietà caratteristiche del fluido viscosità dinamica µ e viscosità di volume β. 21 Come vedremo, anche le fluttuazioni del moto turbolento possono alterare il valore medio della pressione. Ma si tratta di un concetto di media piuttosto complesso, che verrà discusso più avanti. 22 Anzi, in generale, l'ipotesi di incomprimibilità è sostituita da quella di costanza, non solo della densità, ma anche della temperatura e della viscosità. Si parla infatti di fluidi a proprietà costanti. 23 Storicamente, alla formulazione delle equazioni di bilancio per la quantità di moto, che prendono oggi il nome di equazioni di Navier-Stokes, contribuirono M. Navier (1827), S. D. Poisson (1831), B. de Saint Venant (1843) e G. G. Stokes (1845), che ipotizzarono la linearità del legame tra gli sforzi e la velocità di deformazione, in modo del tutto arbitrario. Soltanto successivamente, il confronto tra i risultati di alcune soluzioni analitiche delle equazioni di Navier-Stokes (le cosiddette soluzioni esatte) e i risultati di misure sperimentali confermò la correttezza di tale ipotesi, che oggi viene correntemente adottata per descrivere il comportamento dei fluidi newtoniani, ovvero di quella classe di fluidi che comprende, praticamente, la totalità dei fluidi gassosi, nonché un buon numero di liquidi, tra i quali l'acqua. Parte 4 - Pag. 20 Della viscosità dinamica si è già esaminata l'origine fisica, facendo ricorso al modello della teoria cinetica. Vale ora la pena di fare altrettanto per la viscosità di volume β. Consideriamo un elemento di gas viscoso newtoniano di forma sferica, in equilibrio termodinamico e soggetto ad uno sforzo normale S , uniforme (che garantisce quindi condizioni di equilibrio meccanico). In condizioni di quiete (figura a), lo sforzo S è isotropo e, come sappiamo, coincide con la pressione termodinamica p. Infatti, se sommiamo le tre componenti sulla diagonale della (S5) e teniamo conto € delle relazioni (S1.a), (S1.d) ed (S1.f) otteniamo: S = ( β divV − p) (S8) e, dal momento che, in condizioni di quiete, la divergenza di V è identicamente nulla, la (S12) si traduce appunto in: € S = −p (S9) € S+dS sforzo normale uniforme S € a) S-dS b) Immaginiamo ora che, pur rimanendo uniforme, il modulo dello sforzo normale isotropo agente sulla superficie dell'elemento sferico presenti delle oscillazioni di ampiezza dS attorno al suo valore medio S (figura b). Il volume dell'elemento di fluido subirà pertanto variazioni cicliche tra un valore massimo ed un valore minimo e la divergenza della velocità (ovvero il flusso di V attraverso una superficie di controllo) assumerà valori non nulli. Come abbiamo già visto, in questo caso, lo stato di sforzo normale isotropo S non può coincidere con la pressione termodinamica p, ma è descritto dallo scalare q: € −q = ( β divV − p) ≠ −p (S7) Se la frequenza e l'ampiezza delle oscillazioni dS è molto piccola, si può assumere che la compressione e l'espansione dell'elemento, pur presenti, avvengano € però in modo quasi-statico e reversibile, cosicché la divergenza di V si può ritenere nulla e si può continuare a ritenere valida la relazione (S9). In generale, però, la divergenza di V assume valori finiti ed il ruolo della viscosità di volume β, ovvero della struttura molecolare del fluido, diventa fondamentale. € Vediamo perché. € Parte 4 - Pag. 21 In condizioni di equilibrio termodinamico, l'energia interna è equiripartita tra tutti i gradi di libertà delle molecole. Se queste sono monoatomiche, i gradi di libertà sono soltanto traslatori e, anche in presenza di una velocità di dilatazione isotropa di valore finito, la condizione di equiripartizione dell'energia interna viene ristabilita in modo istantaneo. Se invece le molecole sono pluriatomiche, esistono anche i gradi di libertà rotatori e, in presenza di una variazione del volume occupato dal gas (ovvero in presenza, appunto, di una perturbazione del suo equilibrio termodinamico), il ripristino della condizione di equiripartizione dell’energia richiede un tempo finito, che prende il nome di tempo di rilassamento molecolare. Ora, la viscosità di volume è proprio una misura del tempo di rilassamento molecolare e se osserviamo che anche 1 divV ha le dimensioni di un tempo, possiamo concludere che, indipendentemente dal valore assoluto di β, il suo effetto sarà significativo ogniqualvolta il tempo caratteristico con cui avviene la deformazione isotropa dell'elemento è piccolo, o confrontabile con il tempo di rilassamento molecolare 24. Ciò detto, è opportuno giustificare il frequente ricorso alla relazione di Stokes in base alla quale gli effetti della viscosità di volume, vengono trascurati anche in presenza di gas pluriatomici e di comprimibilità. Questa relazione consiste nell'assumere che: 25, 3λ + 2µ = 0 (S10) e, dal momento che λ = ( β − 23 µ) , la (S10) equivale ad imporre appunto che la viscosità di volume β sia identicamente nulla 26. € 24 Un esempio tipico è quello delle onde d'urto. Un'onda d'urto ha uno spessore che è confrontabile con il cammino libero medio delle molecole del gas ed un elementino di fluido percorre tale distanza con una velocità che è dell'ordine di qualche centinaio di metri al secondo. Nell'attraversamento dell'onda esso subisce una variazione di volume in un tempo che può essere decisamente inferiore a quello di rilassamento delle molecole. C'è chi sostiene che tale situazione non possa essere descritta dalle equazioni di NavierStokes. Quello che forse è più corretto affermare è che, sia l'assunzione di equilibrio termodinamico, sia quella di continuo deformabile possono avvicinarsi pericolosamente ai loro limiti di validità. Tuttavia, non solo le soluzioni che si ottengono per le onde d'urto con le equazioni di Navier-Stokes sono in buon accordo con i risultati sperimentali, ma la loro validità è anche dimostrabile in modo rigoroso, almeno nel caso di onde relativamente deboli. 25 Relazione formulata da Stokes nel 1845, che portò alla scrittura delle equazioni di bilancio per la quantità di moto e che, per tale motivo, prendono il nome di equazioni di Navier-Stokes (denominazione che viene conservata anche quando la relazione di Stokes non viene affatto utilizzata). 26 Non si tratta di un problema di poco conto: adottare, o meno, la relazione di Stokes porta a valutazioni completamente diverse della viscosità di volume. Vediamo un esempio. Alcuni esperimenti di Lightill del 1956 hanno permesso di determinare che, per l'azoto, β = 0.8µ . Dal momento che l'aria è costituita per l'80 % circa da azoto, è ragionevole ipotizzare che tale relazione valga anche per l'aria (µ dell'ordine di 1.8⋅10-5 [Pa⋅s] ) ed assumere quindi che la sua viscosità di volume sia dell'ordine di 1.45⋅10-5 [Pa⋅s]. Utilizzando questi valori, la viscosità λ che compare nel tensore degli sforzi viscosi Parte 4 - Pag. 22 Sebbene l’assunzione di β = 0 sia in evidente contrasto con la struttura molecolare della maggior parte dei fluidi, bisogna riconoscere che essa non impedisce affatto di riprodurre il comportamento di molti liquidi e gas reali che pure, monoatomici, non sono. Come è possibile tutto ciò? € Il motivo di questo apparente paradosso è piuttosto semplice. In una gran parte dei fenomeni trattati dalla fluidodinamica e dalla gasdinamica classica, sebbene le variazioni del volume degli elementini di fluido possano essere anche notevoli, esse avvengono con una velocità di deformazione isotropa sufficientemente piccola da consentire alle molecole di conservare costantemente la condizione di equiripartizione dell'energia interna. Un tipico esempio è costituito dai fenomeni termici convettivi naturali. Un altro è quello di una siringa chiusa all'estremità dell'ago, il cui stantuffo venga fatto scorrere lentamente tra i due estremi: sebbene le variazioni del volume interno siano enormi, in termini relativi, la condizione di equiripartizione dell'energia è praticamente verificata in ogni istante. Se, da un lato, ciò non deve autorizzare ad impiegare la relazione di Stokes indiscriminatamente (quello dell'onda d'urto, citato nella nota, costituisce appunto uno dei casi, di notevole importanza in campo aeronautico, in cui tale ipotesi non può essere adottata), dall'altro, non solo ne giustifica il successo, ma permette anche di puntualizzare le conclusioni che abbiamo tratto al paragrafo 4, a riguardo dell'identità, o meno, tra sforzo normale isotropo e pressione termodinamica. In tale sede abbiamo concluso che l'identità tra lo sforzo normale isotropo q e la pressione termodinamica può essere verificata anche in correnti di fluidi viscosi newtoniani, purché l’atto di moto non produca variazioni di densità del fluido. Ora possiamo precisare che ciò non richiede affatto l’ipotesi di incomprimibilità del fluido, bensì un’ipotesi più accettabile: possiamo accettare che la comprimibilità del fluido sia presente (e magari anche rilevante), purché essa produca variazioni di volume degli elementi di fluido sufficientemente lente, se confrontate con il tempo di rilassamento molecolare del fluido in esame. normali (relazioni S1.a, S1.d, S1.f) assume il valore (positivo) di λ = 0.25 ⋅ 10 −5 mentre, adottando l'ipotesi di Stokes, si ottiene il valore (negativo) di λ = −1.2 ⋅ 10 −5 . Visto che, sebbene frutto di un'approssimazione piuttosto grossolana, il primo valore è certamente più realistico del secondo, sembra addirittura preferibile assumere direttamente λ=0, piuttosto che β=0. Parte 4 - Pag. 23