LE “CONSIDERAZIONI SUL METODO”:
L’ATTUALITÀ DI UN SISTEMA DI PENSIERO
SULLA RICERCA PER IL RESTAURO
NELL’EPOCA DELLA
“VALORIZZAZIONE” DEI MONUMENTI
La valorizzazione dei monumenti è attualmente oggetto di un forte interesse e di
un’autonomia di scelta senza precedenti.
Tale addensarsi d’iniziative, molto differenziate e spesso indipendenti dalla natura
storico-architettonica degli edifici da «valorizzare», solleva diversi interrogativi in
merito alla specificità dei significati dell’architettura del passato e delle attività che
possono condursi in essa. Una rilettura dell’articolato e pluridecennale dibattito sul
metodo e sui contenuti della storiografia architettonica, nonché del loro rapporto con
il restauro, consente di riflettere sulla situazione descritta in chiave ampia e circostanziata. Viene in tal modo confermata l’ineludibile importanza di un saldo legame fra attività conoscitiva, elaborazione storiografica, interventi conservativi e scelte di valorizzazione. Solo in tale contesto le nuove
possibilità offerte dall’innovazione tecnologica potranno legittimamente inserirsi in
una virtuosa strategia di conservazione e
valorizzazione dell’architettura storica.
REFLECTIONS ON HISTORIOGRAPHIC
AND CONSERVATION METHOD IN THE ERA
OF THE ENHANCING OF MONUMENTS
Enhancement of monuments is currently
a hot topic involving unprecedented freedom
of choice. This flowering of initiatives – all
very different and often not related to the historical and architectural nature of the building to be «enhanced» – raises several questions as to the specific meaning of old architecture and the activities they may host. After reviewing the complex and long-standing
debate on the method and contents of architectural historiography and how it relates to
restoration, the paper explores the current situation in-depth and provides a detailed report. It confirms how important it is to establish a firm link between knowledge-gathering activities, historiographical elaboration,
conservation projects and enhancement
choices. Only then it is possible to legitimately use technological novelties in a virtuous
strategy of conservation and enhancement of
old architecture.
Donatella Fiorani
[donatella.fiorani @ gmail.com]
Fig. 1 - Teatro romano di Teramo: ricostruzione ipotetica della configurazione del I secolo a.C. elaborata sulla base
del rilievo attuale della fabbrica (planimetria in alto a sinistra a quota +1,2 m rispetto l’odierno piano stradale), dell’analisi costruttiva,
dello studio dei documenti relativi agli interventi moderni, del confronto con teatri romani simili e contemporanei.
La pianta ricostruttiva riporta la cavea e la scena sezionata a quota + 12,00. Il frons scenae e la sezione trasversale vengono proposti
nelle due versioni a uno o a due ordini sovrapposti, entrambi compatibili con i dati analizzati (elaborazione ingegner F. De Luca).
CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO
E RESTAURO NELL’EPOCA
DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI.
di DONATELLA FIORANI
a vigile attenzione e la rigorosa verifica
del metodo d’indagine storiografico
hanno rappresentato una costante nel lavoro di ricerca di Arnaldo Bruschi. Attorno
ad esse ruota la Premessa che apre una fortunata sintesi storiografica architettonica,
del 1978 1; su di esse s’incentra l’ultimo suo
contributo, del 2009 2, dedicato agli studenti e ai giovani studiosi. In generale, il tema
appare costantemente riproposto, soprattutto in occasione del confronto offerto da
convegni.
Il trasparente rimando all’ampia gamma
L
delle «forme storiografiche» possibili, soprattutto quando proposte ad un pubblico
non «professionista», presenta il duplice
intento, dal forte contenuto etico, di palesare al lettore gli strumenti utilizzati per delineare il quadro storiografico offerto e di
ricondurre il medesimo quadro ad una posizione relativamente connotata, che non
pretende mai d’imporsi come definitiva e
assoluta ma che, al contrario, contiene già
in sé il motore per la messa in discussione e
il proprio superamento.
In tale preoccupazione per la correttez-
QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014
za e la chiarezza dell’impostazione della ricerca, l’attenzione ai problemi di restauro
non è stata mai dimenticata, ritenendosi tale ambito, semplicemente, una particolare
declinazione del fare storiografia, rivolta ad
un’operatività diretta che non ne altera,
nella sostanza, principi e contenuti 3.
Rigore filologico, controllo dell’attendibilità dei dati, filtro costante ed esaustivo di
quanto precedentemente elaborato sul tema, acquisizione di riscontri attraverso percorsi investigativi distinti, dalla ricerca documentaria al rilievo e all’analisi diretta,
241
messa in luce delle lacune o delle possibili
contraddizioni storiografiche costituiscono la base necessaria d’ogni serio lavoro di
ricerca sull’architettura del passato, non
modificata nella sostanza dei richiami e delle indicazioni di quarant’anni fa, quando il
campo d’indagine non era ancora stato
lambito dallo sviluppo delle nuove tecnologie.
Queste ultime hanno però aggiunto
nuove potenzialità alla fase analitica dello
studio sul monumento e potrebbero assumere un ruolo significativo se realmente incardinate nel vivo della ricerca storiografica 4. L’effetto da loro indotto non solo su
un’utenza «di consumo» ma sulle stesse attività di ricerca e di progetto riguardanti le
architetture storiche è stato sino ad ora poco considerato, anche se la sofisticata complessità di tali tecnologie rischia oggi di sostituire alla conoscenza diretta della fabbrica (spaziale e figurativa, ma anche geometrica, materiale e costruttiva) il suo simulacro virtuale tridimensionale, apparentemente più oggettivo (sicuramente affidabile dal punto di vista del controllo numerico e, quindi, «comodo» da gestire informaticamente), ma inesorabilmente «altro» rispetto alla realtà che occorre interpretare o
su cui si deve intervenire con un restauro.
La filologia dell’architettura, basata sull’investigazione diretta della fabbrica, si è
sempre accompagnata poi alla storiografia
critica e al confronto fra costruzioni simili
per strutturare al meglio la chiave interpretativa proposta. In questa delicata e fondamentale fase di «riconoscimento» dell’opera si confrontano inevitabilmente visioni
storiografiche diverse fra loro e queste con
i differenti orientamenti del restauro. La
storia dell’architettura ha vissuto anche in
maniera conflittuale questa molteplicità di
visioni 5, al punto che lo stesso Bruschi auspicava l’impiego di linee metodologiche
distinte «in un certo senso deideologizzate
e destoricizzate» 6, ma senza riconoscere in
esse fratture radicali come quella, di non facile ricomposizione metodologica e linguistica, che, dai primi decenni del secolo
scorso, ha separato la progettazione del
nuovo dal restauro.
Tale divaricazione, superata la matrice
ideologica del Movimento Moderno, è tornata in tutta evidenza nel corso dell’ultimo
ventennio, col crescente riversarsi dell’interesse dei progettisti tout court nel settore,
divenuto professionalmente allettante, degli interventi sulle preesistenze. Si è potuta
così osservare concretamente, in un campo
per decenni dominato dal problema della
«conoscenza» dell’architettura nel restauro, l’elaborazione di proposte progettuali
basate invece sull’idea di «utilizzare» la storia. Modalità, quest’ultima, che Bruschi
aveva riconosciuto agli architetti del Rinascimento, il cui soggettivo entrare in contatto con le opere del passato (perlopiù intellettuale e astratto ma, in alcuni casi, anche costruttivo e materico) consentiva di
distinguere nettamente l’approccio metodologico degli storici da quello dei progettisti 7.
In ambito storiografico, molte posizioni
critiche sono state formulate attraverso
proposte diverse, non di rado anche contrapposte, ma comunque sempre utili ad allargare gli orizzonti dei contenuti e delle interpretazioni dell’architettura 8. È forse nella frequente, spontanea alleanza che si è
spesso creata fra lettura storiografica e teoria progettuale del nuovo 9 o nella maggiore «tolleranza» che consente non di rado di
mettere in relazione i risultati delle diverse
visioni storiografiche, favorendone talvolta l’assorbimento, la ragione che spiega l’attuale percezione della storiografia architettonica quale attività intellettualmente «più
solida» e meno attaccabile di quanto non
accada per l’elaborazione teoretica e metodologica del restauro 10.
Il binario parallelo su cui si sono indirizzati l’interesse e la partecipazione alla ricerca storica da parte di molti restauratori, soprattutto di «scuola romana», ha visto gli
storici dell’architettura prevalentemente rivolti alla comprensione di una o più reda-
Fig. 2 - Sotterranei della chiesa dei Santi Silvestro e Martino ai Monti: restituzione in pianta delle fasi costruttive identificabili soprattutto
attraverso i documenti disponibili e l’analisi muraria. L’elaborato, da cui muove l’elaborazione delle diverse configurazioni assunte dall’ambiente
fra III e XX secolo, costituisce la premessa indispensabile all’impostazione di un adeguato progetto di restauro (elaborazione architetto S. Cutarelli).
242
Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI
zioni sincroniche della medesima opera
(coadiuvata da un ampio panorama attento alla specifica identità di committenti e
autori) mentre i restauratori si sono concentrati soprattutto sulla stratificazione
diacronica della fabbrica e, in particolare,
sul veicolo costituito dalle tracce materiali
e dall’apparato tecnico che caratterizza la
costruzione (figg. 1 e 2). Si tratta, naturalmente, di preferenze tendenziali, in entrambi i casi coscienti del peso determinante del «fattore tempo» sull’identità dell’architettura 11 e comunque strutturate all’interno di una consapevole visione della
complessità che denota la nascita e la vita
di un’opera «allografa» come quella architettonica. Quest’ultima si determina a partire da un programma (finanziario, funzionale, ideologico ecc.), si configura, mediando il confronto coi vincoli esistenti (di natura giuridica, topografica, economica, culturale ecc.), in un progetto che organizza e
verifica le plurime componenti della fabbrica (figurative, strutturali, funzionali
ecc.) per poi tradursi in esecuzione e, da lì,
assoggettarsi ad un uso effettivo (cui spesso si legano i processi di trasformazione
successivi) 12.
Bruschi, nell’affermare che la storia dell’architettura serve semplicemente a conoscere e comprendere, era comunque ben
consapevole che questo fine ultimo della
storiografia non avrebbe esaurito gli obiettivi degli architetti 13, anche se egli guardava, in queste sue considerazioni, prevalentemente al rapporto con la progettazione
del nuovo. Il riferimento alla celeberrima
disputa fra Adolfo Venturi e Gustavo Giovannoni 14 sulla modalità d’illustrazione (e,
quindi, di manipolazione) delle fabbriche
antiche gli è servito più di una volta ad evidenziare, comunque, la sostanziale coincidenza fra gli strumenti della progettazione
e quelli dello studio degli edifici storici da
parte dell’architetto, in quanto l’indispensabile bagaglio letterario e documentario
necessita del sostegno di un adeguato e fondamentale apparato grafico e di rilievo 15.
Il significativo condizionamento apportato dall’impostazione storiografica sul lavoro analitico propedeutico e sugli stessi
esiti del restauro è stato già oggetto di riscontri: basti pensare alle ricadute che la visione storicistica ha avuto sulle scelte di restauro fra Otto e Novecento, all’influenza
della corrente purovisibilista sulla calibratura degli obiettivi degli interventi condotti sui monumenti nel XX secolo, al condizionamento «idealistico» che, per decenni,
ha maggiormente orientato l’attenzione del
restauro sulle problematiche estetiche e
sulla salvaguardia dei capolavori. Non sono sfuggiti poi, nell’ultimo cinquantennio,
gli «innesti» 16 derivanti da metodi storiografici diversi 17, come ad esempio l’approccio semiologico e lo strutturalismo, che
Fig. 3 - Facciata della cattedrale di Strasburgo nel corso dello spettacolo Son et lumière.
hanno contribuito ad allargare l’interesse,
anche conservativo, dai monumenti all’intera edilizia storica, ma pure incoraggiato
l’approfondimento dello studio della grammatica e della sintassi costruttiva e figurativa dei tessuti urbani18. A ciò si aggiungano
le tendenze più recenti, in primis quella
stratigrafica e archeologica che, a partire da
una lettura rigorosamente strutturata e
ideologicamente «quantitativa» dell’esistente, cercano di orientare la conservazione, almeno nelle posizioni più radicali, verso scelte controllabili tramite i medesimi
strumenti valutativi, con l’implicito obiet-
tivo della massima preservazione dell’architettura quale palinsesto costruttivo 19.
Un problema di grande attualità è infine
costituito, come già accennato, dalla disamina ermeneutica del ruolo assegnabile alla strumentazione tecnologica nella conoscenza storiografica, problema apparentemente scontato ma, in realtà, di ardua gestione, stante la quantità di discipline e di
concezioni della ricerca scientifica coinvolte 20. Fra le varie questioni aperte, si segnala l’inedita possibilità di organizzare e gestire imponenti data-base, da cui estrarre
informazioni selettive. Tale disponibilità ha
Fig. 4 - Proiezioni notturne sul fronte occidentale del Colosseo.
QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014
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prospettato scenari interessanti anche per
la ricerca storiografica, aprendo però, nel
contempo, la delicata questione relativa alla configurazione delle schede di raccoltadati. Queste ultime non sono affatto, come
può sembrare ad una valutazione approssimativa, un semplice strumento di lavoro,
ma piuttosto le componenti strutturanti del
sistema di organizzazione della conoscenza, un «a priori» che svolge un ruolo determinante nell’indirizzare i risultati finali dello studio 21. Allo stesso modo, le ricerche più
avanzate relative alla caratterizzazione informativa di modelli grafici tridimensionali di architetture esistenti 22, procedono attraverso la definizione parametrica dei dati, perseguendo un forse utopistico, ma non
per questo meno pervasivo, obiettivo di sintesi informativa totale – anche di natura storiografica – sul corpo virtuale e geometrico
dell’edificio. Anche in questo caso, le conseguenze di tale impostazione della ricerca
potrebbero rivelarsi molto concrete, soprattutto in merito ai possibili interventi di
restauro da condursi sulla fabbrica.
Al di là di questi inarrestabili sviluppi
nei processi di manipolazione informatica
dei dati, gli obiettivi della critica storiografica e dell’intervento di restauro continuano a ruotare attorno al giudizio di valore
sull’opera che emerge dalla sua comprensione più profonda. Si tratta di un riscontro che, tuttavia, non deve prefigurare una
corrispondenza meccanica fra sintesi critica e azione diretta sulla fabbrica 23: la possibilità di modulare su registri diversi l’interpretazione dell’architettura solo in alcuni
casi ben definiti riesce a tradursi nel più limitato spettro delle possibilità offerte dal
restauro, di necessità contenute nelle categorie del conservare, del rimuovere, del sostituire, dell’integrare. Se una o più redazioni critiche possono farci egregiamente
cogliere l’essenza della Mole Adrianea quale compiuto mausoleo, severa fortezza o come monumento da fruire per visite turistiche, mostre e convegni, qualunque restauro condotto su questo monumento oggi
non potrà far altro che consolidare il palinsesto storico e curarne una fruizione ottimale e non dannosa per la fabbrica. Se la
lettura storiografica può tranquillamente
includere o rimuovere un’opera dal novero dei prodotti significativi di una scuola o
di un maestro, il restauro solo di rado – e in
maniera perlopiù invasiva e permanente –
è in grado di rafforzare, con interventi specificatamente orientati (ad esempio, evidenziando maggiormente un particolare
assetto figurativo rispetto ad altri), l’una o
l’altra ipotesi critica. Se una visione dell’architettura predilige la lettura degli aspetti
simbolici o «significanti» o «ermeneutici»
su quelli dell’evidenza materiale e figurativa esistente, il restauro non può che concentrarsi su quest’ultima, demandando in
244
Fig. 5 - Pavimentazione delle domus sottostanti il palazzo Valentini a Roma:
immagine ‘reale’ e ‘virtuale’ di una porzione musiva con le lacune integrate con malta (a sinistra)
e la proiezione dello stato originario sul piano di colore ‘neutro’ creato in fase di restauro (a destra)
(rielaborazione di immagini in http://www.palazzovalentini.it/).
qualche caso all’aiuto di strumenti ausiliari e virtuali di comunicazione la possibilità
di mettere in luce in maniera adeguata la linea interpretativa ritenuta più idonea.
Storiografia e restauro sono pertanto caratterizzati da una duplice forma di relazione, la prima delle quali, «in andata», li vede congiunti in un percorso di ricerca convergente, segnato da un comune obiettivo
di conoscenza, attento alla veridicità del dato filologico nonché alla coerenza e alla correttezza dell’interpretazione, la seconda,
«di ritorno», lavora sulla possibilità di far
riconoscere ed esprimere, attraverso la ricezione dell’opera stessa, valori particolari
non immediatamente percepibili nell’edificio compiuto e soggetto a fruizione.
Il rapporto fra storiografia e conservazione, nel primo tratto del percorso, non è
a senso unico: se la «tradizionale» via della
conoscenza dei caratteri precipui dell’architettura del passato ha ampliato gli orizzonti problematici del restauro, alcune carenze conoscitive avvertite innanzitutto in
ambito applicativo, specie di natura materiale e tecnica, hanno a loro volta incoraggiato nuovi percorsi investigativi, in primis
sugli apparati costruttivi; se la ricerca documentaria indirizzava nuove possibili scoperte all’interno del cantiere di restauro, i
rilievi di dettaglio – possibili soltanto in
presenza di ponteggi che consentono
un’inconsueta accessibilità alle diverse
componenti dell’edificio – hanno offerto
nuovo materiale di riflessione allo studio
storico, in un rapporto definito «circolare»
e «virtuoso» fra questi due limitrofi ambiti
disciplinari.
A maggior ragione, flessibilità e reversibilità connotano la possibilità di esplicitare una o più chiavi di lettura storiografica
nel corso della fruizione d’un manufatto architettonico a restauri conclusi.
Non sempre, in verità, un rapporto con-
sapevole e avvertito fra storiografia e restauro innerva il fare attuale sulle preesistenze: al di là delle ragioni meno nobili, legate alla speculazione o all’incompetenza
professionale, esistono condizionamenti di
metodo dagli esiti non meno problematici,
per esempio connessi a un modello storiografico riduttivo e obsoleto, che fa coincidere la storia dell’architettura con un repertorio di forme costruttive più o meno
ordinato in senso cronologico, esaltando gli
aspetti morfologici e tecnici a scapito di una
comprensione profonda dell’organismo e
della complessità del processo storico.
L’apparato tecnico, emancipato dalla sua
appartenenza ad un organismo compiuto e
dalla catena di nessi e motivazioni che solo
un saldo riferimento storiografico è in grado di fornire, può divenire in tal modo
l’esclusivo oggetto d’interesse in un progetto di restauro dal carattere meccanico e ingegneristico, indifferente alla visione critica d’insieme. La riduzione, all’opposto,
delle componenti costruttive ad un ruolo
meramente strumentale rispetto alla definizione di forme architettoniche compiute
produce, d’altro canto, un esito paradossalmente simile in quanto a carenza critica, soprattutto quando s’intenda intervenire per
riproporre una configurazione scaturita
dallo studio di una fabbrica oggi irreversibilmente compromessa.
A volte, comunque, il buon esito di questo connubio garantisce una fruizione ottimale dell’opera, con il visitatore che, pur
godendo della qualità architettonica complessiva, può approfondire stimoli e conoscenze anche attraverso un apparato «divulgativo» costituito da guide, didascalie,
plastici ricostruttivi e pannelli didattici appositamente studiati. A questa dotazione
tradizionale, aggiunta all’edificio con discrezione, reversibile e minimale, si è negli
ultimi anni affiancata una multimedialità
Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI
Fig. 6 - Immagini di una sala del palazzo di Venaria Reale (Torino),
con allestimento virtuale di Peter Greenaway Ripopolare la Reggia (in alto)
e di un ambiente nei sotterranei di palazzo Valentini a Roma (in basso)
(da http://www.volumina.net/store/store.php?id=18&meta=Ripopolare_la_Reggia_Greenaway
e http://www.palazzovalentini.it/).
sempre più sviluppata e presente, costituita da filmati e programmi interattivi, inizialmente confinati in appositi spazi, normalmente sale per proiezioni o angoli ben definiti e raccolti, poi via via più consistenti e
pervasivi. Il contenuto di questi apparati
resta comunque piuttosto tradizionale, rivolto alla presentazione della veste compiuta della fabbrica, alla restituzione delle
sue vicende costruttive, in certi casi anche
approfondito secondo alcune chiavi tematiche, come avviene prevalentemente in
presenza di monumenti archeologici, quale l’Ara Pacis 24, o comunque attraverso allestimenti particolarmente attenti a dialogare con l’architettura che li ospita 25. La ricerca storiografica si riversa quindi sull’apparato didattico funzionale alla fruizione
della fabbrica in maniera mediata e indiretta, potendo sempre fare affidamento sulla
possibilità di modificare l’interpretazione
e la lettura dell’edificio nel tempo.
Le grandi potenzialità che si sono aperte grazie all’impiego del computer nel regolamentare intensità, colore e disegno dell’illuminazione e, nel contempo, la possibilità di proiettare immagini di buona qualità sul piano murario stanno oggi aprendo
scenari nuovi e diversi sulla presentazione
dell’architettura.
Queste potenzialità, per lungo tempo
confinate al gioco, di tradizione soprattutto francese, del «son et lumière», sono state fatte rientrare nel novero delle trovate
transitorie, in fondo innocue perché non
apportano danni o alterazioni permanenti
Fig. 7 [a sinistra]
“Istallazione ambientale” in fibre ottiche
realizzato dall’artista Carlo Bernardini nel centro storico
di Castelbasso (Teramo) nel 2008 (http://www.carlobernardini.it/).
Fig. 8 - Progetto di restauro dei sotterranei
della chiesa di Santa Pudenziana a Roma,
con la disposizione di fibre ottiche ad indicare la quota
e di frequentazione degli ambienti nell’alto medioevo
(elaborazione architetto Andrea Agamennone).
QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014
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sul corpo dell’opera (ma che dire del passaggio di cavi, della posa di apparecchi, delle necessarie manipolazioni che la realizzazione dell’effetto scenico inevitabilmente
richiede?). In realtà anche queste soluzioni, perlopiù straordinarie, a meno delle necessità di natura commerciale e turistica
che si sono consolidate nella spettacolarizzazione di alcuni monumenti come le piramidi di Giza in Egitto, spesso estive o comunque festive, pur puntando in specie alla sorpresa e alla meraviglia, forniscono anch’esse delle «letture» del testo architettonico, ad esempio facendo risaltare i vuoti
sui pieni o le membrature sulle decorazioni della cattedrale di Strasburgo (fig. 3), o,
ancora, isolando visivamente porzioni di
edificio, a volte con fini esclusivamente grafici ed estetici, a volte con intenti più dichiaratamente esplicativi.
La possibilità di controllare nel dettaglio
intensità e colore della proiezione ha poi offerto negli ultimi anni un altro stimolo operativo, che spazia dall’uso del fronte – prevalentemente esterno – dell’architettura
quale fondale sostanzialmente «neutro»
per proiezioni d’immagini varie e «stupefacenti», al più impegnativo obiettivo consistente nella volontà d’integrare forme o
cromie perdute, come nel castello di Chillon in Svizzera o nella stessa Ara Pacis di
Roma. La medesima tecnologia, in altri termini, può trasformarsi in un prodigioso
strumento di annichilimento dell’identità
architettonica di una fabbrica o, al contrario, di potenziamento straordinario delle
sue possibilità evocative, descrittive e connotanti.
Soprattutto con le attività di proiezione,
la natura immateriale dell’intervento, la sua
transitorietà e reversibilità hanno sinora
fatto trascurare la profonda ricaduta che tali procedure determinano sulla percezione
dell’architettura storica negli osservatori,
così come le stesse conseguenze che questa
strategia di valorizzazione può indurre nella medesima attività di restauro o nel rapporto fra questa e il lavoro d’interpretazione storiografica dell’architettura.
L’impiego di queste tecnologie può così
portare alla totale passivizzazione dell’architettura, con la negazione delle sue forme e della sua storia, oppure a rafforzare le
potenzialità figurative di questa, chiarendone le logiche costitutive e il significato
stesso dell’intero organismo o delle sue
componenti. Il primo aspetto è meno rilevante ai nostri fini e appare per certi versi
erede delle effimere scenografie barocche
organizzate, nel corso del XVII-XVIII secolo, anche con l’uso di spettacoli pirotecnici; la sua attuale fortuna è dimostrata dai recenti «spettacoli» con proiezioni luminose
imposte ai maggiori monumenti romani,
come il Colosseo (fig. 4), il Vittoriano, porta del Popolo, di volta in volta utilizzati co-
246
me fondali per ammonire contro la violenza sulle donne, per celebrare l’Unità d’Italia o, semplicemente, per festeggiare il Carnevale o per pubblicizzare qualche evento.
Il secondo orientamento appare in forte
ascesa ed è sicuramente di maggiore interesse, soprattutto in presenza di resti archeologici, per i quali si lamenta in genere
la scarsa leggibilità e la difficoltà di comprensione per un pubblico di massa. Le recenti esperienze dell’allestimento interattivo delle domus romane sotto Palazzo Valentini o del foro di Augusto a Roma 26 hanno evidenziato le dinamiche e le potenzialità di tali soluzioni, che consentono di restituire – in un percorso virtuale articolato
con illuminazioni selettive o in un vero e
proprio «spettacolo» – reintegrazioni visive di diversa natura. Proiezioni (fig. 5), effetti scenici e cinematografici, impiego di
modellini mobili e di filmati mettono in tal
modo in luce le vicende trasformative di siti pluristratificati che condensano in agglomerati di frammenti oggi coesistenti fasi di
costruzione e d’abbandono discontinue e
successive. Anche a Venaria Reale, in provincia di Torino, l’allestimento di Peter
Greenaway (2007-2011) «Ripopolare la
Reggia» ha favorito un’interessante sperimentazione a cavallo fra scenografia, allestimento e presentazione del monumento
restaurato (fig. 6) 27.
Ci si potrebbe domandare che cosa leghi le problematiche pertinenti alla ricerca
storiografica specialistica a quelle relative
al chiarimento e alla divulgazione al grande pubblico del significato e della vicenda
dell’edificio o del resto archeologico. La risposta è semplice: l’architettura e il restauro che si esercita su di essa. Quell’architettura considerata fonte d’informazione, oggetto da sottoporre a letture infinite, tante
quante sono le metodologie, le chiavi interpretative, le soluzioni ai problemi, le scoperte e le verifiche, inevitabilmente assoggettata, tramite le moderne tecnologie, ad
una visione egemone e pilotata, che rischia
di appiattirne l’immagine e i contenuti, le
potenzialità espressive ed evocative, e quel
restauro che, nel demandare la propria funzione «rivelativa» ad un’attività tutta esterna e proiettiva sull’opera, può trasformarsi in mera azione conservativa o, nella peggiore delle ipotesi, di adattamento, riconducendo l’oggetto su cui si esercita dal ruolo di opera significante a quello di mero
fondale di immagini, e riducendo il soggetto che ne fruisce da interprete a spettatore.
L’attività di restauro rinuncia in tal modo
alla sua intrinseca componente maieutica,
accettando che l’azione esterna di valorizzazione si sovrapponga alla materia quale
veicolo di un’«epifania dell’immagine» assolutamente nuova.
È dunque essenziale che la manipolazione virtuale, visiva e spesso accompagnata
da un parallelo sottofondo sonoro, esista in
quanto circoscritta nel tempo e nello spazio, che non saturi tutta la possibilità di visione e d’interpretazione dell’opera, che ne
consenta comunque una lettura spontanea
ed estensiva, concreta e realistica. Ed è
ugualmente fondamentale che il restauro
esercitato sull’opera non rinunci al lavoro
di ricomposizione critica della materia e
della figuratività esistente, perché è a questa che si riconduce ogni autonoma esperienza percettiva dell’architettura. Percezione diretta che, ricordiamo, è innanzitutto spaziale e sincronica, visiva, ma anche in
certa misura tattile e dinamica, ovvero
aperta alla possibilità di esplorare, di sperimentare angoli visuali particolari, di cogliere identità figurative precise, di saggiare
texture materiche, effetti cromatici o di luce «reale» e, soprattutto, d’interrogarsi, interpretare, elaborare chiavi di lettura diverse, in cui il contenuto figurativo e storico assume il ruolo più alto. Fra il processo di lettura di un’architettura da parte di uno studioso che, come riassumeva Sandro Benedetti sulla scorta delle considerazioni di
Luigi Pareyson 28, «“esegue” l’opera attraverso la lettura “che comprende”», e il semplice visitatore che, con intenti culturali, si
avvicina al medesimo edificio dovrebbe, in
altri termini, esistere una sottile ma tenace
continuità la quale, modulata attraverso
opportuni strumenti comunicativi, consenta di non disperdere la coscienza del valore, la consapevolezza del riconoscimento,
la qualità del rapporto con l’opera, il rispetto per la sua unicità e irripetibilità.
Ricondurre l’argomento della valorizzazione alla sorgente metodologica e strumentale della storiografia significa non voler interrompere quel circuito virtuoso della conoscenza che dovrebbe intercorrere
dallo studio storiografico al restauro, da
questo, ancora, allo studio storiografico e
alla divulgazione 29. Come s’è avuto modo
di sperimentare soprattutto nell’ultimo decennio, nelle nostre città, esiste una valorizzazione incolta, commerciale e banalizzante, quella dei centurioni travestiti, delle scenografie di cartapesta, dell’informazione
approssimativa e scorretta, che non solo avvilisce le nostre architetture storiche ma le
sottopone a un reale rischio conservativo.
Al contrario, occorre lavorare su una divulgazione e su modelli di fruizione che, in
stretta relazione con il lavoro dello storico
dell’arte e dell’architettura, dell’archeologo, siano in grado di fornire un quadro e
una visione della fabbrica accessibili anche
ai non addetti ai lavori in cui trapelino comunque, come in filigrana, le certezze e i
dubbi delle ipotesi interpretative, l’ossatura della lettura critica, le diverse connessioni istituibili con l’edificio e le sue componenti e, particolarmente, il senso dello spazio e delle forme.
Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI
Fra gli equivoci introdotti da una modalità di valorizzazione/divulgazione sottratta agli addetti del settore a favore di «esperti in comunicazione» si rileva poi l’appiattimento della storia dell’architettura sulla
storia tout court, con la conseguente messa
in subordine della dimensione spaziale, tettonica, costruttiva e figurativa rispetto ad
una visione in cui l’edificio appare quale
quinta scenografica di vicende umane, sociali, politiche del passato 30.
Vicende, va da sé, importanti e sostanziali per la stessa genesi dell’architettura e
la sua trasformazione, ma «altre» da essa e
più opportunamente comunicabili attraverso modalità chiaramente distinte da
quelle più appropriate e «fisicamente aderenti» ad una fabbrica storica, quali la narrazione scritta, la saggistica, la rappresentazione teatrale e filmica ecc.
Altra conseguenza del contemporaneo
«eccesso di valorizzazione», cui si è già fatto cenno, è dato dall’accentuazione dell’interesse nei confronti degli aspetti eminentemente storici della fabbrica, spesso
espressi da tracce, palinsesti, stratificazioni, a scapito della qualità e del suo significato figurativo, accentuazione che non
manca di condizionare, indirettamente, le
stesse scelte di restauro condotte a monte.
Non è un caso che tali modalità interessino soprattutto i siti archeologici o le strutture che inglobano resti antichi, laddove
lo smembramento materiale e figurativo
costituisce un dato incontrovertibile del
monumento, ma è chiaro l’effetto che questo indirizzo può generare su ogni edificio
storico, quasi sempre prodotto di rifacimenti e modifiche nel tempo, dove l’eccessiva parcellizzazione della lettura può far
perdere di vista l’identità del tutto e sacrificare la comprensione dei nessi, sincroni-
ci e diacronici, della fabbrica.
Un ulteriore versante, non meno problematico, conduce invece all’esibizione epidermica e di superficie, in cui architettura
storica e allestimenti vengono appiattiti a
mero inquadramento scenografico di
«eventi», troppo spesso pure e semplici attività di promozione commerciale che si vogliono ammantare di un’aura culturale.
Le modalità sopra illustrate sembrano
quindi, da una parte, voler ricondurre la
profondità storica al racconto aneddotico
del passato e, dall’altra, proiettare l’immagine visiva dello spettatore sullo schermo
bidimensionale del presente. Si genera in
tal modo una sorta di trasposizione di piani: dalla nobile dialettica istituita per Cesare Brandi fra istanza storica ed estetica dell’opera, si giunge, allontanandosi dalla realtà concreta e materiale dell’oggetto e
guardando al mondo delle sue infinite e libere interpretazioni, alla più misera alternativa fra narrazione e rivisitazione grafica
del testo, conseguenza coerente, ancorché
banale, della sancita divaricazione fra restauro e valorizzazione in architettura.
Se guardiamo ai tempi in cui Bruschi iniziò la sua vicenda di architetto e di storico
dell’architettura non possiamo fare a meno
di osservare quanto sia avanzato, almeno
quantitativamente, lo stato degli studi,
quanti edifici siano stati sottoposti a una disamina più approfondita della loro qualità
e della loro vicenda ideativa e costruttiva, e
quanti ancora siano stati sottoposti a restauri. La storia dell’architettura, in verità,
si rigenera continuamente, ma il nuovo lavoro di ricerca si trova perennemente ad
ampliare gli orizzonti di conquista e sempre di più a vagliare un deposito di conoscenze sedimentate che rendono via via più
oneroso il compito filologico e più periglio-
sa l’attività di sintesi critica. Aggiungiamo
a ciò l’affollamento di voci, competenze, richiami, sollecitazioni, suggestioni che viaggiano attorno al mondo dell’architettura
storica. Da argomento di nicchia, trattato
da pochi studiosi e gestito, negli aspetti
operativi, da ristretti nuclei di esperti, l’attenzione per gli edifici antichi si è trasformata in perno attorno al quale ruotano interessi di natura diversa e un pubblico massificato. Per questo pubblico e per questi
interessi si sta pericolosamente costituendo una «pseudostoria» e una «pseudoimmagine» dell’architettura, cui seguono
sempre più operazioni di restauro e valorizzazione, inquietantemente «autonome».
Come ha scritto il sociologo Paul Connerton, sulla scorta di spunti offerti dall’antropologa Susanne Küchler: «ciò che sta ora
scomparendo è l’idea di memoria concepita come atto di “comprendere” – di afferrare – l’esperienza attraverso oggetti e resti
materiali: la memoria sta forse perdendo i
suoi parametri materiali su cui abbiamo così a lungo fatto riferimento» 31; in tal modo,
«tutto ciò che è solido si scioglie e diventa
informazione» 32.
Il trionfo di una memoria effimera, ossimoro calzante che raccoglie i pareri di molti antropologi e storici contemporanei e ben
sintetizza i rischi cui va incontro un’azione
di divulgazione e «valorizzazione» slegata
dal mondo della ricerca scientifica, va pertanto riequilibrato attraverso un lavoro che
veda come protagonisti storici dell’architettura e restauratori, in una consapevole aderenza alla realtà dell’architettura intesa come presenza figurativa e materiale, da riconoscersi nel suo processo di formazione e
trasformazione nel tempo e da sostenere,
con opportune scelte di restauro, nella sua
identità più profonda (figg. 7 e 8).
nato Bonelli, a cura di C. Bozzoni, G. Carbonara,
G. Villetti, Roma 1992, «Quaderni dell’Istituto di
Storia dell’Architettura», n.s., 15-16, 1990-1992,
pp. 875-882; G. MIARELLI MARIANI, Rapporti con
le discipline del restauro, in L’insegnamento della
storia dell’architettura, Atti del Seminario (Roma,
4-6 novembre 1993), a cura di G. Simoncini, Roma 1994, pp. 166-171.
4. In merito al rapporto fra arte e scienza, Bruschi fa sua l’affermazione di Giulio Carlo Argan secondo cui la storia dell’architettura «è la sola possibile scienza dell’arte»; lo studioso ribadiva in tal
modo la posizione dello storico dell’arte che, già
quarant’anni fa, evidenziava l’egemonia culturale
delle «discipline tecnico-scientifiche» rispetto a
quelle «umanistiche» e osservava come le prime
tendessero, sempre più, «ad estendere le proprie
metodologie [alle] scienze umane» (G.C. ARGAN,
La Storia dell’Arte, in «Storia dell’Arte», I, 1969, 12, pp. 5-36, in particolare p. 6).
5. Basti ricordare, fra le tante, la radicale contrapposizione nei confronti della posizione «materialista» di Gottfried Semper da parte della visione purovisibilista proposta da Konrad Fiedler.
6. A. BRUSCHI, Problemi e metodi di ricerca storico-critica sull’architettura, in Storia e restauro dell’architettura proposte di metodo, cit., pp. 15-35, in
particolare p. 33. Lo studioso si augurava, nel contempo, che tale auspicio non fosse diretto al perseguimento di un «eclettismo metodologico» quanto, piuttosto, alla convergenza di tutti i possibili
strumenti di lettura verso un giudizio critico «unico e irripetibile» (ibidem, p. 34). Un decennio più
tardi Renato Bonelli contestava la possibilità di
giungere ad una vera fusione fra canali investigativi diversi se non definendo i vari percorsi storiografici extra-architettonici indicati da Bruschi (le «storie» dell’economia, della società, del gusto ecc.)
quali «premesse storiche e [...] presupposti pratici del processo formativo dell’immagine» da ripercorrere dall’interno dell’opera. La posizione di Bonelli, vicina alla concezione dell’opera d’arte quale «astanza» e «realtà pura» formulata da Cesare
Brandi e molto attenta a distinguere i cosiddetti
«pseudo-contenuti» dai contenuti «profondi» legati alla forma, contrastava l’idea di «fusione storiografica» espressa da Bruschi; ciò in coerenza con
la sua visione idealista dell’arte ma, probabilmen-
NOTE
1. A. BRUSCHI, Indicazioni metodologiche per lo
studio storico dell’architettura, in Lineamenti di storia dell’architettura, Roma 1978, pp. 11-29.
2. ID., Introduzione alla storia dell’architettura.
Considerazioni sul metodo e sulla storia degli studi,
Milano 2009, in particolare vedi i capitoli 1 e 2 e la
Premessa, in cui lo stesso autore ricorda i suoi contributi rivolti al problema del metodo storiografico, iniziando dall’Introduzione in Bramante architetto (Bari 1969), la sua opera probabilmente più
celebre e celebrata (cfr. ivi, p. XV).
3. ID., Indicazioni metodologiche, cit., p. 14. Fra
i numerosi saggi sul tema del rapporto fra storia e
restauro si ricordano: R. BONELLI, Storiografia e restauro, in «Restauro», IX, 1980, 51, pp. 83-91; A.
BELLINI, Restauro e storiografia, in Esperienze di
storia dell’architettura e di restauro, Contributi per
il XXI Congresso di Storia dell’Architettura (Roma, 12-14 ottobre 1983), a cura di G. Spagnesi, 2
voll., Roma 1987, I, pp. 177-184; S. BOSCARINO,
Storia e storiografia contemporanea del restauro, in
Storia e restauro dell’architettura, proposte di metodo, a cura di G. Spagnesi, Roma 1984, pp. 51-62; P.
FANCELLI, Restauro e storia, in Saggi in onore di Re-
QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014
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te, anche in relazione alle possibili ricadute sul restauro (R. BONELLI, Principi e metodi della storia
dell’architettura e l’eredità della ‘scuola romana’, in
Principi e metodi della storia dell’architettura e l’eredità della ‘scuola romana’, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 26-28 marzo 1992), a cura di F.
Colonna, S. Costantini, Roma 1994, pp. 23-28 e in
ID., Scritti sul restauro e sulla critica architettonica,
Scuola di specializzazione per lo studio ed il restauro dei monumenti, Università degli studi di Roma
«La Sapienza», Roma 1995, pp. 85-89).
7. A. BRUSCHI, Il ruolo della storia dell’architettura, in L’insegnamento della storia dell’architettura, cit., pp. 11-15.
8. Ancora Bruschi propone un elenco di aspetti, inerenti ad esempio la topografia, i dati dimensionali, il rapporto fra forma e funzione, le tecniche e i materiali costruttivi, l’organizzazione interna delle componenti figurative e formali, le trasformazioni costruttive, i dati tipologici, la mutazione
nella ricezione dell’opera nel tempo, ai quali si è di
volta in volta assegnata una particolare priorità nella lettura storico-architettonica (ID., Indicazioni
metodologiche, cit., p. 21).
9. La spontaneità di questa alleanza risiede, fra
l’altro, nella modalità stessa di nascita della storiografia architettonica, declinata, a partire dal Rinascimento, sulla scorta della maturazione delle nuove teorie progettuali (ID., Introduzione alla storia
dell’architettura, cit., pp. 1-7). Il binomio fra storiografia e progetto ha trovato infatti nel Quattrocento saldature evidenti ad esempio attorno al tema degli ordini architettonici: basti pensare alle
proposte di Filippo Brunelleschi, ideatore di un
processo d’innovazione linguistica basato sulla rielaborazione di canoni autorevoli, codificati dallo
studio degli esempi storici (C. THOENES, «Spezie»
e «ordine» di colonne nell’architettura del Brunelleschi, in Filippo Brunelleschi. La sua opera e il suo
tempo, Atti del Convegno Internazionale (Firenze,
16-22 ottobre 1977), 2 voll., Firenze 1980, II, pp.
459-469).
10. Si pensi alle accuse di «debolezza teoretica»
rivolte ancora oggi al restauro soprattutto da parte di storici dell’arte (in ultimo in R. DE FUSCO, Restauro. Verum factum dell’architettura italiana, Roma 2012) o il programmatico rifiuto della teoria del
restauro che connota la realtà anglosassone e nordeuropea ma anche il pensiero di alcuni restauratori italiani, da Luigi Crema (L. CREMA, Monumenti
e restauro, Milano 1959) a Cesare Chirici (C. CHIRICI, Il problema del restauro dal rinascimento all’età contemporanea, Milano 1971). Argomentazioni e risposte a queste riserve sono state espresse, fra
gli altri, in G. CARBONARA, Avvicinamento al Restauro. Teoria, storia, monumenti, Napoli 1997, in
particolare pp. 271-284.
11. Si veda ad esempio la lucida analisi in A.
BRUSCHI, Architettura come processo e trasformazione. Problemi metodologici e critici, in Architettura: processualità e trasformazione, Atti del convegno internazionale di studi (Roma, Castel Sant’Angelo, 24-27 novembre 1999), a cura di G. Spagnesi, Roma 2002, «Quaderni dell’Istituto di Storia
dell’Architettura», 34-39, 1999-2002, pp. 29-32, in
cui, dopo aver puntualizzato che l’«architettura è
per definizione “arte dello spazio”» l’autore osserva che comunque «ciò che distingue l’architettura
dalle altre arti [...] è l’abnorme importanza dell’elemento, del fattore tempo» in quanto il più delle volte si assiste, in un edificio storico, allo “sfasamento” fra la firmitas (durata fisica), l’utilitas (durata
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funzionale) e la venustas (durata del linguaggio
espressivo)» (ibidem, pp. 30-31).
12. Il percorso suggerito riprende quanto
espresso in ID., Indicazioni metodologiche, cit., pp.
22-26.
13. ID., Introduzione alla storia dell’architettura,
cit., p. 15.
14. L’argomento viene in particolare approfondito in ID., Introduzione alla storia dell’architettura, cit., pp. 12-19, che rimanda ai criteri di lettura
storiografica enunciati, quali più opportuni per
l’architettura, in G. GIOVANNONI, Il metodo nella
storia dell’architettura, in «Palladio», III, 1939, 2,
pp. 77-79.
15. La questione costituisce il nodo identitario
preferenziale della già citata «scuola romana», che
molto ha riflettuto sul significato e sulle conseguenze di questa scelta: si vedano al riguardo i diversi
contributi in Principi e metodi della storia dell’architettura, cit.
16. Il termine è stato utilizzato in A. BRUSCHI, Introduzione alla storia dell’architettura, cit., p. 25.
17. Le differenti aperture della storiografia architettonica verso il mondo delle scienze umane e
quello delle scienze «dure» vengono illustrate, non
senza riserve, in R. BONELLI, Estetica, storiografia e
critica nello studio storico dell’architettura, in Atti
del XIX Congresso di Storia dell’Architettura
(L’Aquila, 15-21 settembre 1975), L’Aquila s.d. (ma
1980) e in ID., Scritti sul restauro, cit., pp. 35-44.
18. Riflessioni sull’applicazione allo studio dei
centri storici degli strumenti dello strutturalismo,
desunti in particolare dal pensiero di Jean Piaget,
sono in S. BENEDETTI, La teoria tipologica ed il restauro dei centri storici, in «Storia Architettura»,
XI, 1988, 1-2, pp. 75-84.
19. Fra i diversi contributi sull’argomento si ricordano F. DOGLIONI, Stratigrafia e restauro, Trieste 1997; A. BOATO, L’Archeologia in architettura.
Misurazioni, stratigrafie, datazioni, restauro, Venezia 2008 e Archeologia dell’Architettura. Temi e prospettive di ricerca, Atti del convegno (Gavi [Al], 2325 settembre 2010), in «Archeologia dell’Architettura», XV, 2010. L’orientamento conservativo sembra aver prevalso su un iniziale tentativo di coniugare le istanze della conoscenza stratigrafica degli
elevati con orientamenti ripristinatori, come in Archeologia e restauro dei monumenti, I ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in archeologia (Certosa di
Pontignano, Siena, 28 settembre-10 ottobre 1987),
a cura di R. Francovich, R. Parenti, Firenze 1988.
20. Per approfondimenti sul tema: P. FANCELLI,
Conservazione e scienze fisico-chimiche, in «Storia
Architettura», XI, 1988 [ma 1991], 1-2, pp. 53-74;
G. TORRACA, La cura dei materiali nel restauro dei
monumenti, a cura di M.P. Sette, Scuola di specializzazione per lo studio ed il restauro dei monumenti, Università degli studi di Roma «La Sapienza», Roma 2001; D. FIORANI, Conoscenza e restauro dell’architettura: ruolo e casistica delle tecnologie, in Restauro e tecnologie in architettura, a cura
di D. Fiorani, Roma 2009, pp. 43-67; Tecniche di
restauro, a cura di S. Musso, Torino 2013.
21. Cfr. S. SETTIS, L’illusione dei beni digitali, in
«Bollettino ICR», n.s., 2002, pp. 18-20.
22. Fra questi, una delle ricerche di frontiera riguarda il Building Information Modeling (BIM),
nato per favorire la progettazione digitale dei nuovi edifici e negli ultimi tempi sperimentato nel campo del restauro, al fine di ottenere l’acquisizione dei
dati relativi alla caratterizzazione materiale e storico-costruttiva all’interno del modello informativo.
23. La medesima necessità di mediazione fra
comprensione storica e proposta progettuale è stata più volte richiamata anche nel campo della progettazione del nuovo, dallo stesso Bruschi e da altri (vedi, ad esempio, L’insegnamento della storia
dell’architettura, cit., passim), in risposta alle posizioni della «critica operativa» di Bruno Zevi e della «storia operante» di Saverio Muratori.
24. Si veda, ad esempio, O. ROSSIGNI, I colori
dell’Ara Pacis. Storia di un esperimento, in «Archeomatica», I, 2010, 3, pp. 20-25. Il progetto
«Virtual Ara Pacis» è stato realizzato dagli architetti Stefano Borghini e Raffaele Carlani (http://
www.katatexilux.com/, giugno 2012)
25. Uno di questi esempi è offerto dal Centro di
documentazione sul Nazismo, collocato nel 2001
all’interno della Kongresshalle di Norimberga da
Günther Domenig: qui la stretta relazione fra restauro architettonico e allestimento ha consentito
d’illustrare efficacemente, grazie ad un apposito
apparato interattivo e illustrativo (con foto, pannelli, filmati), la vicenda storica e la particolare natura architettonica dell’incompiuta sede del partito Nazionalsocialista.
26. Vedi http://www.palazzovalentini.it/e http:
//www.viaggionelforodiaugusto.it/(giugno 2014).
27. P. GREENAWAY, Peopling the palaces, catalogo della mostra, Torino 2007 e http://www.volumina.net/store/store.php?id=18&meta=Ripopolare_la_Reggia_Greenaway (giugno 2014).
28. S. BENEDETTI, La storia dell’architettura nelle scuole di Specializzazione, in L’insegnamento della storia dell’architettura, cit., pp. 62-67.
29. Con la separazione «istituzionale» operata
fra restauro e valorizzazione da parte del Codice
dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.L. 22.1.2004,
n. 42), in particolare all’art. 7, che assegna la responsabilità della seconda alle Regioni, la naturale continuità fra attività conservativa e azioni rivolte alla valorizzazione si è interrotta, subendo inevitabili filtri gestionali e, soprattutto, l’accentuazione di una relativa autonomia reciproca. La valorizzazione, sempre più intesa in chiave economica
quale forma di «sfruttamento» del bene, si è allontanata progressivamente da quella visione che la
poneva, con il restauro statico e la rifunzionalizzazione, fra le operazioni interne al restauro in quanto esse «devono sempre essere indirizzate all’obiettivo primario della conservazione del “monumento”» (S. BOSCARINO, Storia e storiografia contemporanea, cit., pp. 56-57).
30. Una riflessione sulla distinzione fra storia
dell’architettura e storia generale è in G. MIARELLI
MARIANI, Rapporti con le discipline del restauro, cit.
31. Il riferimento è al libro di S. KÜCHLER, The
place of memory, in A. FORTY, S. KÜCHLER, The art
of forgetting, New York 1999, 2011, pp. 53-71,
commentato in P. CONNERTON, How Societes remember, trad. it. Come le società ricordano, Roma
1999, p. 151, nota 86.
32. P. CONNERTON, How Societes remember,
cit., p. 151.
33. Dopo i primi spunti di riflessione dello storico Jacques Le Goff, negli scorsi anni ottanta, diversi saggi hanno evidenziato l’attuale e progressivo «declino della storia»: fra questi si ricordano A.
HUYSSEN, Twilight Memories. Marking Time in a
Culture of Amnesia, New York 1995; M. AUGÉ, Ou
est passé l’avenir?, Paris 2008, trad. it., Che fine ha
fatto il futuro?: dai nonluoghi al nontempo, Milano
2009 e lo stesso P. CONNERTON, How Societes remember, cit.
Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI