LE “CONSIDERAZIONI SUL METODO”: L’ATTUALITÀ DI UN SISTEMA DI PENSIERO SULLA RICERCA PER IL RESTAURO NELL’EPOCA DELLA “VALORIZZAZIONE” DEI MONUMENTI La valorizzazione dei monumenti è attualmente oggetto di un forte interesse e di un’autonomia di scelta senza precedenti. Tale addensarsi d’iniziative, molto differenziate e spesso indipendenti dalla natura storico-architettonica degli edifici da «valorizzare», solleva diversi interrogativi in merito alla specificità dei significati dell’architettura del passato e delle attività che possono condursi in essa. Una rilettura dell’articolato e pluridecennale dibattito sul metodo e sui contenuti della storiografia architettonica, nonché del loro rapporto con il restauro, consente di riflettere sulla situazione descritta in chiave ampia e circostanziata. Viene in tal modo confermata l’ineludibile importanza di un saldo legame fra attività conoscitiva, elaborazione storiografica, interventi conservativi e scelte di valorizzazione. Solo in tale contesto le nuove possibilità offerte dall’innovazione tecnologica potranno legittimamente inserirsi in una virtuosa strategia di conservazione e valorizzazione dell’architettura storica. REFLECTIONS ON HISTORIOGRAPHIC AND CONSERVATION METHOD IN THE ERA OF THE ENHANCING OF MONUMENTS Enhancement of monuments is currently a hot topic involving unprecedented freedom of choice. This flowering of initiatives – all very different and often not related to the historical and architectural nature of the building to be «enhanced» – raises several questions as to the specific meaning of old architecture and the activities they may host. After reviewing the complex and long-standing debate on the method and contents of architectural historiography and how it relates to restoration, the paper explores the current situation in-depth and provides a detailed report. It confirms how important it is to establish a firm link between knowledge-gathering activities, historiographical elaboration, conservation projects and enhancement choices. Only then it is possible to legitimately use technological novelties in a virtuous strategy of conservation and enhancement of old architecture. Donatella Fiorani [donatella.fiorani @ gmail.com] Fig. 1 - Teatro romano di Teramo: ricostruzione ipotetica della configurazione del I secolo a.C. elaborata sulla base del rilievo attuale della fabbrica (planimetria in alto a sinistra a quota +1,2 m rispetto l’odierno piano stradale), dell’analisi costruttiva, dello studio dei documenti relativi agli interventi moderni, del confronto con teatri romani simili e contemporanei. La pianta ricostruttiva riporta la cavea e la scena sezionata a quota + 12,00. Il frons scenae e la sezione trasversale vengono proposti nelle due versioni a uno o a due ordini sovrapposti, entrambi compatibili con i dati analizzati (elaborazione ingegner F. De Luca). CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI. di DONATELLA FIORANI a vigile attenzione e la rigorosa verifica del metodo d’indagine storiografico hanno rappresentato una costante nel lavoro di ricerca di Arnaldo Bruschi. Attorno ad esse ruota la Premessa che apre una fortunata sintesi storiografica architettonica, del 1978 1; su di esse s’incentra l’ultimo suo contributo, del 2009 2, dedicato agli studenti e ai giovani studiosi. In generale, il tema appare costantemente riproposto, soprattutto in occasione del confronto offerto da convegni. Il trasparente rimando all’ampia gamma L delle «forme storiografiche» possibili, soprattutto quando proposte ad un pubblico non «professionista», presenta il duplice intento, dal forte contenuto etico, di palesare al lettore gli strumenti utilizzati per delineare il quadro storiografico offerto e di ricondurre il medesimo quadro ad una posizione relativamente connotata, che non pretende mai d’imporsi come definitiva e assoluta ma che, al contrario, contiene già in sé il motore per la messa in discussione e il proprio superamento. In tale preoccupazione per la correttez- QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014 za e la chiarezza dell’impostazione della ricerca, l’attenzione ai problemi di restauro non è stata mai dimenticata, ritenendosi tale ambito, semplicemente, una particolare declinazione del fare storiografia, rivolta ad un’operatività diretta che non ne altera, nella sostanza, principi e contenuti 3. Rigore filologico, controllo dell’attendibilità dei dati, filtro costante ed esaustivo di quanto precedentemente elaborato sul tema, acquisizione di riscontri attraverso percorsi investigativi distinti, dalla ricerca documentaria al rilievo e all’analisi diretta, 241 messa in luce delle lacune o delle possibili contraddizioni storiografiche costituiscono la base necessaria d’ogni serio lavoro di ricerca sull’architettura del passato, non modificata nella sostanza dei richiami e delle indicazioni di quarant’anni fa, quando il campo d’indagine non era ancora stato lambito dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Queste ultime hanno però aggiunto nuove potenzialità alla fase analitica dello studio sul monumento e potrebbero assumere un ruolo significativo se realmente incardinate nel vivo della ricerca storiografica 4. L’effetto da loro indotto non solo su un’utenza «di consumo» ma sulle stesse attività di ricerca e di progetto riguardanti le architetture storiche è stato sino ad ora poco considerato, anche se la sofisticata complessità di tali tecnologie rischia oggi di sostituire alla conoscenza diretta della fabbrica (spaziale e figurativa, ma anche geometrica, materiale e costruttiva) il suo simulacro virtuale tridimensionale, apparentemente più oggettivo (sicuramente affidabile dal punto di vista del controllo numerico e, quindi, «comodo» da gestire informaticamente), ma inesorabilmente «altro» rispetto alla realtà che occorre interpretare o su cui si deve intervenire con un restauro. La filologia dell’architettura, basata sull’investigazione diretta della fabbrica, si è sempre accompagnata poi alla storiografia critica e al confronto fra costruzioni simili per strutturare al meglio la chiave interpretativa proposta. In questa delicata e fondamentale fase di «riconoscimento» dell’opera si confrontano inevitabilmente visioni storiografiche diverse fra loro e queste con i differenti orientamenti del restauro. La storia dell’architettura ha vissuto anche in maniera conflittuale questa molteplicità di visioni 5, al punto che lo stesso Bruschi auspicava l’impiego di linee metodologiche distinte «in un certo senso deideologizzate e destoricizzate» 6, ma senza riconoscere in esse fratture radicali come quella, di non facile ricomposizione metodologica e linguistica, che, dai primi decenni del secolo scorso, ha separato la progettazione del nuovo dal restauro. Tale divaricazione, superata la matrice ideologica del Movimento Moderno, è tornata in tutta evidenza nel corso dell’ultimo ventennio, col crescente riversarsi dell’interesse dei progettisti tout court nel settore, divenuto professionalmente allettante, degli interventi sulle preesistenze. Si è potuta così osservare concretamente, in un campo per decenni dominato dal problema della «conoscenza» dell’architettura nel restauro, l’elaborazione di proposte progettuali basate invece sull’idea di «utilizzare» la storia. Modalità, quest’ultima, che Bruschi aveva riconosciuto agli architetti del Rinascimento, il cui soggettivo entrare in contatto con le opere del passato (perlopiù intellettuale e astratto ma, in alcuni casi, anche costruttivo e materico) consentiva di distinguere nettamente l’approccio metodologico degli storici da quello dei progettisti 7. In ambito storiografico, molte posizioni critiche sono state formulate attraverso proposte diverse, non di rado anche contrapposte, ma comunque sempre utili ad allargare gli orizzonti dei contenuti e delle interpretazioni dell’architettura 8. È forse nella frequente, spontanea alleanza che si è spesso creata fra lettura storiografica e teoria progettuale del nuovo 9 o nella maggiore «tolleranza» che consente non di rado di mettere in relazione i risultati delle diverse visioni storiografiche, favorendone talvolta l’assorbimento, la ragione che spiega l’attuale percezione della storiografia architettonica quale attività intellettualmente «più solida» e meno attaccabile di quanto non accada per l’elaborazione teoretica e metodologica del restauro 10. Il binario parallelo su cui si sono indirizzati l’interesse e la partecipazione alla ricerca storica da parte di molti restauratori, soprattutto di «scuola romana», ha visto gli storici dell’architettura prevalentemente rivolti alla comprensione di una o più reda- Fig. 2 - Sotterranei della chiesa dei Santi Silvestro e Martino ai Monti: restituzione in pianta delle fasi costruttive identificabili soprattutto attraverso i documenti disponibili e l’analisi muraria. L’elaborato, da cui muove l’elaborazione delle diverse configurazioni assunte dall’ambiente fra III e XX secolo, costituisce la premessa indispensabile all’impostazione di un adeguato progetto di restauro (elaborazione architetto S. Cutarelli). 242 Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI zioni sincroniche della medesima opera (coadiuvata da un ampio panorama attento alla specifica identità di committenti e autori) mentre i restauratori si sono concentrati soprattutto sulla stratificazione diacronica della fabbrica e, in particolare, sul veicolo costituito dalle tracce materiali e dall’apparato tecnico che caratterizza la costruzione (figg. 1 e 2). Si tratta, naturalmente, di preferenze tendenziali, in entrambi i casi coscienti del peso determinante del «fattore tempo» sull’identità dell’architettura 11 e comunque strutturate all’interno di una consapevole visione della complessità che denota la nascita e la vita di un’opera «allografa» come quella architettonica. Quest’ultima si determina a partire da un programma (finanziario, funzionale, ideologico ecc.), si configura, mediando il confronto coi vincoli esistenti (di natura giuridica, topografica, economica, culturale ecc.), in un progetto che organizza e verifica le plurime componenti della fabbrica (figurative, strutturali, funzionali ecc.) per poi tradursi in esecuzione e, da lì, assoggettarsi ad un uso effettivo (cui spesso si legano i processi di trasformazione successivi) 12. Bruschi, nell’affermare che la storia dell’architettura serve semplicemente a conoscere e comprendere, era comunque ben consapevole che questo fine ultimo della storiografia non avrebbe esaurito gli obiettivi degli architetti 13, anche se egli guardava, in queste sue considerazioni, prevalentemente al rapporto con la progettazione del nuovo. Il riferimento alla celeberrima disputa fra Adolfo Venturi e Gustavo Giovannoni 14 sulla modalità d’illustrazione (e, quindi, di manipolazione) delle fabbriche antiche gli è servito più di una volta ad evidenziare, comunque, la sostanziale coincidenza fra gli strumenti della progettazione e quelli dello studio degli edifici storici da parte dell’architetto, in quanto l’indispensabile bagaglio letterario e documentario necessita del sostegno di un adeguato e fondamentale apparato grafico e di rilievo 15. Il significativo condizionamento apportato dall’impostazione storiografica sul lavoro analitico propedeutico e sugli stessi esiti del restauro è stato già oggetto di riscontri: basti pensare alle ricadute che la visione storicistica ha avuto sulle scelte di restauro fra Otto e Novecento, all’influenza della corrente purovisibilista sulla calibratura degli obiettivi degli interventi condotti sui monumenti nel XX secolo, al condizionamento «idealistico» che, per decenni, ha maggiormente orientato l’attenzione del restauro sulle problematiche estetiche e sulla salvaguardia dei capolavori. Non sono sfuggiti poi, nell’ultimo cinquantennio, gli «innesti» 16 derivanti da metodi storiografici diversi 17, come ad esempio l’approccio semiologico e lo strutturalismo, che Fig. 3 - Facciata della cattedrale di Strasburgo nel corso dello spettacolo Son et lumière. hanno contribuito ad allargare l’interesse, anche conservativo, dai monumenti all’intera edilizia storica, ma pure incoraggiato l’approfondimento dello studio della grammatica e della sintassi costruttiva e figurativa dei tessuti urbani18. A ciò si aggiungano le tendenze più recenti, in primis quella stratigrafica e archeologica che, a partire da una lettura rigorosamente strutturata e ideologicamente «quantitativa» dell’esistente, cercano di orientare la conservazione, almeno nelle posizioni più radicali, verso scelte controllabili tramite i medesimi strumenti valutativi, con l’implicito obiet- tivo della massima preservazione dell’architettura quale palinsesto costruttivo 19. Un problema di grande attualità è infine costituito, come già accennato, dalla disamina ermeneutica del ruolo assegnabile alla strumentazione tecnologica nella conoscenza storiografica, problema apparentemente scontato ma, in realtà, di ardua gestione, stante la quantità di discipline e di concezioni della ricerca scientifica coinvolte 20. Fra le varie questioni aperte, si segnala l’inedita possibilità di organizzare e gestire imponenti data-base, da cui estrarre informazioni selettive. Tale disponibilità ha Fig. 4 - Proiezioni notturne sul fronte occidentale del Colosseo. QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014 243 prospettato scenari interessanti anche per la ricerca storiografica, aprendo però, nel contempo, la delicata questione relativa alla configurazione delle schede di raccoltadati. Queste ultime non sono affatto, come può sembrare ad una valutazione approssimativa, un semplice strumento di lavoro, ma piuttosto le componenti strutturanti del sistema di organizzazione della conoscenza, un «a priori» che svolge un ruolo determinante nell’indirizzare i risultati finali dello studio 21. Allo stesso modo, le ricerche più avanzate relative alla caratterizzazione informativa di modelli grafici tridimensionali di architetture esistenti 22, procedono attraverso la definizione parametrica dei dati, perseguendo un forse utopistico, ma non per questo meno pervasivo, obiettivo di sintesi informativa totale – anche di natura storiografica – sul corpo virtuale e geometrico dell’edificio. Anche in questo caso, le conseguenze di tale impostazione della ricerca potrebbero rivelarsi molto concrete, soprattutto in merito ai possibili interventi di restauro da condursi sulla fabbrica. Al di là di questi inarrestabili sviluppi nei processi di manipolazione informatica dei dati, gli obiettivi della critica storiografica e dell’intervento di restauro continuano a ruotare attorno al giudizio di valore sull’opera che emerge dalla sua comprensione più profonda. Si tratta di un riscontro che, tuttavia, non deve prefigurare una corrispondenza meccanica fra sintesi critica e azione diretta sulla fabbrica 23: la possibilità di modulare su registri diversi l’interpretazione dell’architettura solo in alcuni casi ben definiti riesce a tradursi nel più limitato spettro delle possibilità offerte dal restauro, di necessità contenute nelle categorie del conservare, del rimuovere, del sostituire, dell’integrare. Se una o più redazioni critiche possono farci egregiamente cogliere l’essenza della Mole Adrianea quale compiuto mausoleo, severa fortezza o come monumento da fruire per visite turistiche, mostre e convegni, qualunque restauro condotto su questo monumento oggi non potrà far altro che consolidare il palinsesto storico e curarne una fruizione ottimale e non dannosa per la fabbrica. Se la lettura storiografica può tranquillamente includere o rimuovere un’opera dal novero dei prodotti significativi di una scuola o di un maestro, il restauro solo di rado – e in maniera perlopiù invasiva e permanente – è in grado di rafforzare, con interventi specificatamente orientati (ad esempio, evidenziando maggiormente un particolare assetto figurativo rispetto ad altri), l’una o l’altra ipotesi critica. Se una visione dell’architettura predilige la lettura degli aspetti simbolici o «significanti» o «ermeneutici» su quelli dell’evidenza materiale e figurativa esistente, il restauro non può che concentrarsi su quest’ultima, demandando in 244 Fig. 5 - Pavimentazione delle domus sottostanti il palazzo Valentini a Roma: immagine ‘reale’ e ‘virtuale’ di una porzione musiva con le lacune integrate con malta (a sinistra) e la proiezione dello stato originario sul piano di colore ‘neutro’ creato in fase di restauro (a destra) (rielaborazione di immagini in http://www.palazzovalentini.it/). qualche caso all’aiuto di strumenti ausiliari e virtuali di comunicazione la possibilità di mettere in luce in maniera adeguata la linea interpretativa ritenuta più idonea. Storiografia e restauro sono pertanto caratterizzati da una duplice forma di relazione, la prima delle quali, «in andata», li vede congiunti in un percorso di ricerca convergente, segnato da un comune obiettivo di conoscenza, attento alla veridicità del dato filologico nonché alla coerenza e alla correttezza dell’interpretazione, la seconda, «di ritorno», lavora sulla possibilità di far riconoscere ed esprimere, attraverso la ricezione dell’opera stessa, valori particolari non immediatamente percepibili nell’edificio compiuto e soggetto a fruizione. Il rapporto fra storiografia e conservazione, nel primo tratto del percorso, non è a senso unico: se la «tradizionale» via della conoscenza dei caratteri precipui dell’architettura del passato ha ampliato gli orizzonti problematici del restauro, alcune carenze conoscitive avvertite innanzitutto in ambito applicativo, specie di natura materiale e tecnica, hanno a loro volta incoraggiato nuovi percorsi investigativi, in primis sugli apparati costruttivi; se la ricerca documentaria indirizzava nuove possibili scoperte all’interno del cantiere di restauro, i rilievi di dettaglio – possibili soltanto in presenza di ponteggi che consentono un’inconsueta accessibilità alle diverse componenti dell’edificio – hanno offerto nuovo materiale di riflessione allo studio storico, in un rapporto definito «circolare» e «virtuoso» fra questi due limitrofi ambiti disciplinari. A maggior ragione, flessibilità e reversibilità connotano la possibilità di esplicitare una o più chiavi di lettura storiografica nel corso della fruizione d’un manufatto architettonico a restauri conclusi. Non sempre, in verità, un rapporto con- sapevole e avvertito fra storiografia e restauro innerva il fare attuale sulle preesistenze: al di là delle ragioni meno nobili, legate alla speculazione o all’incompetenza professionale, esistono condizionamenti di metodo dagli esiti non meno problematici, per esempio connessi a un modello storiografico riduttivo e obsoleto, che fa coincidere la storia dell’architettura con un repertorio di forme costruttive più o meno ordinato in senso cronologico, esaltando gli aspetti morfologici e tecnici a scapito di una comprensione profonda dell’organismo e della complessità del processo storico. L’apparato tecnico, emancipato dalla sua appartenenza ad un organismo compiuto e dalla catena di nessi e motivazioni che solo un saldo riferimento storiografico è in grado di fornire, può divenire in tal modo l’esclusivo oggetto d’interesse in un progetto di restauro dal carattere meccanico e ingegneristico, indifferente alla visione critica d’insieme. La riduzione, all’opposto, delle componenti costruttive ad un ruolo meramente strumentale rispetto alla definizione di forme architettoniche compiute produce, d’altro canto, un esito paradossalmente simile in quanto a carenza critica, soprattutto quando s’intenda intervenire per riproporre una configurazione scaturita dallo studio di una fabbrica oggi irreversibilmente compromessa. A volte, comunque, il buon esito di questo connubio garantisce una fruizione ottimale dell’opera, con il visitatore che, pur godendo della qualità architettonica complessiva, può approfondire stimoli e conoscenze anche attraverso un apparato «divulgativo» costituito da guide, didascalie, plastici ricostruttivi e pannelli didattici appositamente studiati. A questa dotazione tradizionale, aggiunta all’edificio con discrezione, reversibile e minimale, si è negli ultimi anni affiancata una multimedialità Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI Fig. 6 - Immagini di una sala del palazzo di Venaria Reale (Torino), con allestimento virtuale di Peter Greenaway Ripopolare la Reggia (in alto) e di un ambiente nei sotterranei di palazzo Valentini a Roma (in basso) (da http://www.volumina.net/store/store.php?id=18&meta=Ripopolare_la_Reggia_Greenaway e http://www.palazzovalentini.it/). sempre più sviluppata e presente, costituita da filmati e programmi interattivi, inizialmente confinati in appositi spazi, normalmente sale per proiezioni o angoli ben definiti e raccolti, poi via via più consistenti e pervasivi. Il contenuto di questi apparati resta comunque piuttosto tradizionale, rivolto alla presentazione della veste compiuta della fabbrica, alla restituzione delle sue vicende costruttive, in certi casi anche approfondito secondo alcune chiavi tematiche, come avviene prevalentemente in presenza di monumenti archeologici, quale l’Ara Pacis 24, o comunque attraverso allestimenti particolarmente attenti a dialogare con l’architettura che li ospita 25. La ricerca storiografica si riversa quindi sull’apparato didattico funzionale alla fruizione della fabbrica in maniera mediata e indiretta, potendo sempre fare affidamento sulla possibilità di modificare l’interpretazione e la lettura dell’edificio nel tempo. Le grandi potenzialità che si sono aperte grazie all’impiego del computer nel regolamentare intensità, colore e disegno dell’illuminazione e, nel contempo, la possibilità di proiettare immagini di buona qualità sul piano murario stanno oggi aprendo scenari nuovi e diversi sulla presentazione dell’architettura. Queste potenzialità, per lungo tempo confinate al gioco, di tradizione soprattutto francese, del «son et lumière», sono state fatte rientrare nel novero delle trovate transitorie, in fondo innocue perché non apportano danni o alterazioni permanenti Fig. 7 [a sinistra] “Istallazione ambientale” in fibre ottiche realizzato dall’artista Carlo Bernardini nel centro storico di Castelbasso (Teramo) nel 2008 (http://www.carlobernardini.it/). Fig. 8 - Progetto di restauro dei sotterranei della chiesa di Santa Pudenziana a Roma, con la disposizione di fibre ottiche ad indicare la quota e di frequentazione degli ambienti nell’alto medioevo (elaborazione architetto Andrea Agamennone). QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014 245 sul corpo dell’opera (ma che dire del passaggio di cavi, della posa di apparecchi, delle necessarie manipolazioni che la realizzazione dell’effetto scenico inevitabilmente richiede?). In realtà anche queste soluzioni, perlopiù straordinarie, a meno delle necessità di natura commerciale e turistica che si sono consolidate nella spettacolarizzazione di alcuni monumenti come le piramidi di Giza in Egitto, spesso estive o comunque festive, pur puntando in specie alla sorpresa e alla meraviglia, forniscono anch’esse delle «letture» del testo architettonico, ad esempio facendo risaltare i vuoti sui pieni o le membrature sulle decorazioni della cattedrale di Strasburgo (fig. 3), o, ancora, isolando visivamente porzioni di edificio, a volte con fini esclusivamente grafici ed estetici, a volte con intenti più dichiaratamente esplicativi. La possibilità di controllare nel dettaglio intensità e colore della proiezione ha poi offerto negli ultimi anni un altro stimolo operativo, che spazia dall’uso del fronte – prevalentemente esterno – dell’architettura quale fondale sostanzialmente «neutro» per proiezioni d’immagini varie e «stupefacenti», al più impegnativo obiettivo consistente nella volontà d’integrare forme o cromie perdute, come nel castello di Chillon in Svizzera o nella stessa Ara Pacis di Roma. La medesima tecnologia, in altri termini, può trasformarsi in un prodigioso strumento di annichilimento dell’identità architettonica di una fabbrica o, al contrario, di potenziamento straordinario delle sue possibilità evocative, descrittive e connotanti. Soprattutto con le attività di proiezione, la natura immateriale dell’intervento, la sua transitorietà e reversibilità hanno sinora fatto trascurare la profonda ricaduta che tali procedure determinano sulla percezione dell’architettura storica negli osservatori, così come le stesse conseguenze che questa strategia di valorizzazione può indurre nella medesima attività di restauro o nel rapporto fra questa e il lavoro d’interpretazione storiografica dell’architettura. L’impiego di queste tecnologie può così portare alla totale passivizzazione dell’architettura, con la negazione delle sue forme e della sua storia, oppure a rafforzare le potenzialità figurative di questa, chiarendone le logiche costitutive e il significato stesso dell’intero organismo o delle sue componenti. Il primo aspetto è meno rilevante ai nostri fini e appare per certi versi erede delle effimere scenografie barocche organizzate, nel corso del XVII-XVIII secolo, anche con l’uso di spettacoli pirotecnici; la sua attuale fortuna è dimostrata dai recenti «spettacoli» con proiezioni luminose imposte ai maggiori monumenti romani, come il Colosseo (fig. 4), il Vittoriano, porta del Popolo, di volta in volta utilizzati co- 246 me fondali per ammonire contro la violenza sulle donne, per celebrare l’Unità d’Italia o, semplicemente, per festeggiare il Carnevale o per pubblicizzare qualche evento. Il secondo orientamento appare in forte ascesa ed è sicuramente di maggiore interesse, soprattutto in presenza di resti archeologici, per i quali si lamenta in genere la scarsa leggibilità e la difficoltà di comprensione per un pubblico di massa. Le recenti esperienze dell’allestimento interattivo delle domus romane sotto Palazzo Valentini o del foro di Augusto a Roma 26 hanno evidenziato le dinamiche e le potenzialità di tali soluzioni, che consentono di restituire – in un percorso virtuale articolato con illuminazioni selettive o in un vero e proprio «spettacolo» – reintegrazioni visive di diversa natura. Proiezioni (fig. 5), effetti scenici e cinematografici, impiego di modellini mobili e di filmati mettono in tal modo in luce le vicende trasformative di siti pluristratificati che condensano in agglomerati di frammenti oggi coesistenti fasi di costruzione e d’abbandono discontinue e successive. Anche a Venaria Reale, in provincia di Torino, l’allestimento di Peter Greenaway (2007-2011) «Ripopolare la Reggia» ha favorito un’interessante sperimentazione a cavallo fra scenografia, allestimento e presentazione del monumento restaurato (fig. 6) 27. Ci si potrebbe domandare che cosa leghi le problematiche pertinenti alla ricerca storiografica specialistica a quelle relative al chiarimento e alla divulgazione al grande pubblico del significato e della vicenda dell’edificio o del resto archeologico. La risposta è semplice: l’architettura e il restauro che si esercita su di essa. Quell’architettura considerata fonte d’informazione, oggetto da sottoporre a letture infinite, tante quante sono le metodologie, le chiavi interpretative, le soluzioni ai problemi, le scoperte e le verifiche, inevitabilmente assoggettata, tramite le moderne tecnologie, ad una visione egemone e pilotata, che rischia di appiattirne l’immagine e i contenuti, le potenzialità espressive ed evocative, e quel restauro che, nel demandare la propria funzione «rivelativa» ad un’attività tutta esterna e proiettiva sull’opera, può trasformarsi in mera azione conservativa o, nella peggiore delle ipotesi, di adattamento, riconducendo l’oggetto su cui si esercita dal ruolo di opera significante a quello di mero fondale di immagini, e riducendo il soggetto che ne fruisce da interprete a spettatore. L’attività di restauro rinuncia in tal modo alla sua intrinseca componente maieutica, accettando che l’azione esterna di valorizzazione si sovrapponga alla materia quale veicolo di un’«epifania dell’immagine» assolutamente nuova. È dunque essenziale che la manipolazione virtuale, visiva e spesso accompagnata da un parallelo sottofondo sonoro, esista in quanto circoscritta nel tempo e nello spazio, che non saturi tutta la possibilità di visione e d’interpretazione dell’opera, che ne consenta comunque una lettura spontanea ed estensiva, concreta e realistica. Ed è ugualmente fondamentale che il restauro esercitato sull’opera non rinunci al lavoro di ricomposizione critica della materia e della figuratività esistente, perché è a questa che si riconduce ogni autonoma esperienza percettiva dell’architettura. Percezione diretta che, ricordiamo, è innanzitutto spaziale e sincronica, visiva, ma anche in certa misura tattile e dinamica, ovvero aperta alla possibilità di esplorare, di sperimentare angoli visuali particolari, di cogliere identità figurative precise, di saggiare texture materiche, effetti cromatici o di luce «reale» e, soprattutto, d’interrogarsi, interpretare, elaborare chiavi di lettura diverse, in cui il contenuto figurativo e storico assume il ruolo più alto. Fra il processo di lettura di un’architettura da parte di uno studioso che, come riassumeva Sandro Benedetti sulla scorta delle considerazioni di Luigi Pareyson 28, «“esegue” l’opera attraverso la lettura “che comprende”», e il semplice visitatore che, con intenti culturali, si avvicina al medesimo edificio dovrebbe, in altri termini, esistere una sottile ma tenace continuità la quale, modulata attraverso opportuni strumenti comunicativi, consenta di non disperdere la coscienza del valore, la consapevolezza del riconoscimento, la qualità del rapporto con l’opera, il rispetto per la sua unicità e irripetibilità. Ricondurre l’argomento della valorizzazione alla sorgente metodologica e strumentale della storiografia significa non voler interrompere quel circuito virtuoso della conoscenza che dovrebbe intercorrere dallo studio storiografico al restauro, da questo, ancora, allo studio storiografico e alla divulgazione 29. Come s’è avuto modo di sperimentare soprattutto nell’ultimo decennio, nelle nostre città, esiste una valorizzazione incolta, commerciale e banalizzante, quella dei centurioni travestiti, delle scenografie di cartapesta, dell’informazione approssimativa e scorretta, che non solo avvilisce le nostre architetture storiche ma le sottopone a un reale rischio conservativo. Al contrario, occorre lavorare su una divulgazione e su modelli di fruizione che, in stretta relazione con il lavoro dello storico dell’arte e dell’architettura, dell’archeologo, siano in grado di fornire un quadro e una visione della fabbrica accessibili anche ai non addetti ai lavori in cui trapelino comunque, come in filigrana, le certezze e i dubbi delle ipotesi interpretative, l’ossatura della lettura critica, le diverse connessioni istituibili con l’edificio e le sue componenti e, particolarmente, il senso dello spazio e delle forme. Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI Fra gli equivoci introdotti da una modalità di valorizzazione/divulgazione sottratta agli addetti del settore a favore di «esperti in comunicazione» si rileva poi l’appiattimento della storia dell’architettura sulla storia tout court, con la conseguente messa in subordine della dimensione spaziale, tettonica, costruttiva e figurativa rispetto ad una visione in cui l’edificio appare quale quinta scenografica di vicende umane, sociali, politiche del passato 30. Vicende, va da sé, importanti e sostanziali per la stessa genesi dell’architettura e la sua trasformazione, ma «altre» da essa e più opportunamente comunicabili attraverso modalità chiaramente distinte da quelle più appropriate e «fisicamente aderenti» ad una fabbrica storica, quali la narrazione scritta, la saggistica, la rappresentazione teatrale e filmica ecc. Altra conseguenza del contemporaneo «eccesso di valorizzazione», cui si è già fatto cenno, è dato dall’accentuazione dell’interesse nei confronti degli aspetti eminentemente storici della fabbrica, spesso espressi da tracce, palinsesti, stratificazioni, a scapito della qualità e del suo significato figurativo, accentuazione che non manca di condizionare, indirettamente, le stesse scelte di restauro condotte a monte. Non è un caso che tali modalità interessino soprattutto i siti archeologici o le strutture che inglobano resti antichi, laddove lo smembramento materiale e figurativo costituisce un dato incontrovertibile del monumento, ma è chiaro l’effetto che questo indirizzo può generare su ogni edificio storico, quasi sempre prodotto di rifacimenti e modifiche nel tempo, dove l’eccessiva parcellizzazione della lettura può far perdere di vista l’identità del tutto e sacrificare la comprensione dei nessi, sincroni- ci e diacronici, della fabbrica. Un ulteriore versante, non meno problematico, conduce invece all’esibizione epidermica e di superficie, in cui architettura storica e allestimenti vengono appiattiti a mero inquadramento scenografico di «eventi», troppo spesso pure e semplici attività di promozione commerciale che si vogliono ammantare di un’aura culturale. Le modalità sopra illustrate sembrano quindi, da una parte, voler ricondurre la profondità storica al racconto aneddotico del passato e, dall’altra, proiettare l’immagine visiva dello spettatore sullo schermo bidimensionale del presente. Si genera in tal modo una sorta di trasposizione di piani: dalla nobile dialettica istituita per Cesare Brandi fra istanza storica ed estetica dell’opera, si giunge, allontanandosi dalla realtà concreta e materiale dell’oggetto e guardando al mondo delle sue infinite e libere interpretazioni, alla più misera alternativa fra narrazione e rivisitazione grafica del testo, conseguenza coerente, ancorché banale, della sancita divaricazione fra restauro e valorizzazione in architettura. Se guardiamo ai tempi in cui Bruschi iniziò la sua vicenda di architetto e di storico dell’architettura non possiamo fare a meno di osservare quanto sia avanzato, almeno quantitativamente, lo stato degli studi, quanti edifici siano stati sottoposti a una disamina più approfondita della loro qualità e della loro vicenda ideativa e costruttiva, e quanti ancora siano stati sottoposti a restauri. La storia dell’architettura, in verità, si rigenera continuamente, ma il nuovo lavoro di ricerca si trova perennemente ad ampliare gli orizzonti di conquista e sempre di più a vagliare un deposito di conoscenze sedimentate che rendono via via più oneroso il compito filologico e più periglio- sa l’attività di sintesi critica. Aggiungiamo a ciò l’affollamento di voci, competenze, richiami, sollecitazioni, suggestioni che viaggiano attorno al mondo dell’architettura storica. Da argomento di nicchia, trattato da pochi studiosi e gestito, negli aspetti operativi, da ristretti nuclei di esperti, l’attenzione per gli edifici antichi si è trasformata in perno attorno al quale ruotano interessi di natura diversa e un pubblico massificato. Per questo pubblico e per questi interessi si sta pericolosamente costituendo una «pseudostoria» e una «pseudoimmagine» dell’architettura, cui seguono sempre più operazioni di restauro e valorizzazione, inquietantemente «autonome». Come ha scritto il sociologo Paul Connerton, sulla scorta di spunti offerti dall’antropologa Susanne Küchler: «ciò che sta ora scomparendo è l’idea di memoria concepita come atto di “comprendere” – di afferrare – l’esperienza attraverso oggetti e resti materiali: la memoria sta forse perdendo i suoi parametri materiali su cui abbiamo così a lungo fatto riferimento» 31; in tal modo, «tutto ciò che è solido si scioglie e diventa informazione» 32. Il trionfo di una memoria effimera, ossimoro calzante che raccoglie i pareri di molti antropologi e storici contemporanei e ben sintetizza i rischi cui va incontro un’azione di divulgazione e «valorizzazione» slegata dal mondo della ricerca scientifica, va pertanto riequilibrato attraverso un lavoro che veda come protagonisti storici dell’architettura e restauratori, in una consapevole aderenza alla realtà dell’architettura intesa come presenza figurativa e materiale, da riconoscersi nel suo processo di formazione e trasformazione nel tempo e da sostenere, con opportune scelte di restauro, nella sua identità più profonda (figg. 7 e 8). nato Bonelli, a cura di C. Bozzoni, G. Carbonara, G. Villetti, Roma 1992, «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», n.s., 15-16, 1990-1992, pp. 875-882; G. MIARELLI MARIANI, Rapporti con le discipline del restauro, in L’insegnamento della storia dell’architettura, Atti del Seminario (Roma, 4-6 novembre 1993), a cura di G. Simoncini, Roma 1994, pp. 166-171. 4. In merito al rapporto fra arte e scienza, Bruschi fa sua l’affermazione di Giulio Carlo Argan secondo cui la storia dell’architettura «è la sola possibile scienza dell’arte»; lo studioso ribadiva in tal modo la posizione dello storico dell’arte che, già quarant’anni fa, evidenziava l’egemonia culturale delle «discipline tecnico-scientifiche» rispetto a quelle «umanistiche» e osservava come le prime tendessero, sempre più, «ad estendere le proprie metodologie [alle] scienze umane» (G.C. ARGAN, La Storia dell’Arte, in «Storia dell’Arte», I, 1969, 12, pp. 5-36, in particolare p. 6). 5. Basti ricordare, fra le tante, la radicale contrapposizione nei confronti della posizione «materialista» di Gottfried Semper da parte della visione purovisibilista proposta da Konrad Fiedler. 6. A. BRUSCHI, Problemi e metodi di ricerca storico-critica sull’architettura, in Storia e restauro dell’architettura proposte di metodo, cit., pp. 15-35, in particolare p. 33. Lo studioso si augurava, nel contempo, che tale auspicio non fosse diretto al perseguimento di un «eclettismo metodologico» quanto, piuttosto, alla convergenza di tutti i possibili strumenti di lettura verso un giudizio critico «unico e irripetibile» (ibidem, p. 34). Un decennio più tardi Renato Bonelli contestava la possibilità di giungere ad una vera fusione fra canali investigativi diversi se non definendo i vari percorsi storiografici extra-architettonici indicati da Bruschi (le «storie» dell’economia, della società, del gusto ecc.) quali «premesse storiche e [...] presupposti pratici del processo formativo dell’immagine» da ripercorrere dall’interno dell’opera. La posizione di Bonelli, vicina alla concezione dell’opera d’arte quale «astanza» e «realtà pura» formulata da Cesare Brandi e molto attenta a distinguere i cosiddetti «pseudo-contenuti» dai contenuti «profondi» legati alla forma, contrastava l’idea di «fusione storiografica» espressa da Bruschi; ciò in coerenza con la sua visione idealista dell’arte ma, probabilmen- NOTE 1. A. BRUSCHI, Indicazioni metodologiche per lo studio storico dell’architettura, in Lineamenti di storia dell’architettura, Roma 1978, pp. 11-29. 2. ID., Introduzione alla storia dell’architettura. Considerazioni sul metodo e sulla storia degli studi, Milano 2009, in particolare vedi i capitoli 1 e 2 e la Premessa, in cui lo stesso autore ricorda i suoi contributi rivolti al problema del metodo storiografico, iniziando dall’Introduzione in Bramante architetto (Bari 1969), la sua opera probabilmente più celebre e celebrata (cfr. ivi, p. XV). 3. ID., Indicazioni metodologiche, cit., p. 14. Fra i numerosi saggi sul tema del rapporto fra storia e restauro si ricordano: R. BONELLI, Storiografia e restauro, in «Restauro», IX, 1980, 51, pp. 83-91; A. BELLINI, Restauro e storiografia, in Esperienze di storia dell’architettura e di restauro, Contributi per il XXI Congresso di Storia dell’Architettura (Roma, 12-14 ottobre 1983), a cura di G. Spagnesi, 2 voll., Roma 1987, I, pp. 177-184; S. BOSCARINO, Storia e storiografia contemporanea del restauro, in Storia e restauro dell’architettura, proposte di metodo, a cura di G. Spagnesi, Roma 1984, pp. 51-62; P. FANCELLI, Restauro e storia, in Saggi in onore di Re- QUADERNI DELL’ISTITUTO DI STORIA DELL’ARCHITETTURA . 60-62/2013-2014 247 te, anche in relazione alle possibili ricadute sul restauro (R. BONELLI, Principi e metodi della storia dell’architettura e l’eredità della ‘scuola romana’, in Principi e metodi della storia dell’architettura e l’eredità della ‘scuola romana’, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 26-28 marzo 1992), a cura di F. Colonna, S. Costantini, Roma 1994, pp. 23-28 e in ID., Scritti sul restauro e sulla critica architettonica, Scuola di specializzazione per lo studio ed il restauro dei monumenti, Università degli studi di Roma «La Sapienza», Roma 1995, pp. 85-89). 7. A. BRUSCHI, Il ruolo della storia dell’architettura, in L’insegnamento della storia dell’architettura, cit., pp. 11-15. 8. Ancora Bruschi propone un elenco di aspetti, inerenti ad esempio la topografia, i dati dimensionali, il rapporto fra forma e funzione, le tecniche e i materiali costruttivi, l’organizzazione interna delle componenti figurative e formali, le trasformazioni costruttive, i dati tipologici, la mutazione nella ricezione dell’opera nel tempo, ai quali si è di volta in volta assegnata una particolare priorità nella lettura storico-architettonica (ID., Indicazioni metodologiche, cit., p. 21). 9. La spontaneità di questa alleanza risiede, fra l’altro, nella modalità stessa di nascita della storiografia architettonica, declinata, a partire dal Rinascimento, sulla scorta della maturazione delle nuove teorie progettuali (ID., Introduzione alla storia dell’architettura, cit., pp. 1-7). Il binomio fra storiografia e progetto ha trovato infatti nel Quattrocento saldature evidenti ad esempio attorno al tema degli ordini architettonici: basti pensare alle proposte di Filippo Brunelleschi, ideatore di un processo d’innovazione linguistica basato sulla rielaborazione di canoni autorevoli, codificati dallo studio degli esempi storici (C. THOENES, «Spezie» e «ordine» di colonne nell’architettura del Brunelleschi, in Filippo Brunelleschi. La sua opera e il suo tempo, Atti del Convegno Internazionale (Firenze, 16-22 ottobre 1977), 2 voll., Firenze 1980, II, pp. 459-469). 10. Si pensi alle accuse di «debolezza teoretica» rivolte ancora oggi al restauro soprattutto da parte di storici dell’arte (in ultimo in R. DE FUSCO, Restauro. Verum factum dell’architettura italiana, Roma 2012) o il programmatico rifiuto della teoria del restauro che connota la realtà anglosassone e nordeuropea ma anche il pensiero di alcuni restauratori italiani, da Luigi Crema (L. CREMA, Monumenti e restauro, Milano 1959) a Cesare Chirici (C. CHIRICI, Il problema del restauro dal rinascimento all’età contemporanea, Milano 1971). Argomentazioni e risposte a queste riserve sono state espresse, fra gli altri, in G. CARBONARA, Avvicinamento al Restauro. Teoria, storia, monumenti, Napoli 1997, in particolare pp. 271-284. 11. Si veda ad esempio la lucida analisi in A. BRUSCHI, Architettura come processo e trasformazione. Problemi metodologici e critici, in Architettura: processualità e trasformazione, Atti del convegno internazionale di studi (Roma, Castel Sant’Angelo, 24-27 novembre 1999), a cura di G. Spagnesi, Roma 2002, «Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura», 34-39, 1999-2002, pp. 29-32, in cui, dopo aver puntualizzato che l’«architettura è per definizione “arte dello spazio”» l’autore osserva che comunque «ciò che distingue l’architettura dalle altre arti [...] è l’abnorme importanza dell’elemento, del fattore tempo» in quanto il più delle volte si assiste, in un edificio storico, allo “sfasamento” fra la firmitas (durata fisica), l’utilitas (durata 248 funzionale) e la venustas (durata del linguaggio espressivo)» (ibidem, pp. 30-31). 12. Il percorso suggerito riprende quanto espresso in ID., Indicazioni metodologiche, cit., pp. 22-26. 13. ID., Introduzione alla storia dell’architettura, cit., p. 15. 14. L’argomento viene in particolare approfondito in ID., Introduzione alla storia dell’architettura, cit., pp. 12-19, che rimanda ai criteri di lettura storiografica enunciati, quali più opportuni per l’architettura, in G. GIOVANNONI, Il metodo nella storia dell’architettura, in «Palladio», III, 1939, 2, pp. 77-79. 15. La questione costituisce il nodo identitario preferenziale della già citata «scuola romana», che molto ha riflettuto sul significato e sulle conseguenze di questa scelta: si vedano al riguardo i diversi contributi in Principi e metodi della storia dell’architettura, cit. 16. Il termine è stato utilizzato in A. BRUSCHI, Introduzione alla storia dell’architettura, cit., p. 25. 17. Le differenti aperture della storiografia architettonica verso il mondo delle scienze umane e quello delle scienze «dure» vengono illustrate, non senza riserve, in R. BONELLI, Estetica, storiografia e critica nello studio storico dell’architettura, in Atti del XIX Congresso di Storia dell’Architettura (L’Aquila, 15-21 settembre 1975), L’Aquila s.d. (ma 1980) e in ID., Scritti sul restauro, cit., pp. 35-44. 18. Riflessioni sull’applicazione allo studio dei centri storici degli strumenti dello strutturalismo, desunti in particolare dal pensiero di Jean Piaget, sono in S. BENEDETTI, La teoria tipologica ed il restauro dei centri storici, in «Storia Architettura», XI, 1988, 1-2, pp. 75-84. 19. Fra i diversi contributi sull’argomento si ricordano F. DOGLIONI, Stratigrafia e restauro, Trieste 1997; A. BOATO, L’Archeologia in architettura. Misurazioni, stratigrafie, datazioni, restauro, Venezia 2008 e Archeologia dell’Architettura. Temi e prospettive di ricerca, Atti del convegno (Gavi [Al], 2325 settembre 2010), in «Archeologia dell’Architettura», XV, 2010. L’orientamento conservativo sembra aver prevalso su un iniziale tentativo di coniugare le istanze della conoscenza stratigrafica degli elevati con orientamenti ripristinatori, come in Archeologia e restauro dei monumenti, I ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in archeologia (Certosa di Pontignano, Siena, 28 settembre-10 ottobre 1987), a cura di R. Francovich, R. Parenti, Firenze 1988. 20. Per approfondimenti sul tema: P. FANCELLI, Conservazione e scienze fisico-chimiche, in «Storia Architettura», XI, 1988 [ma 1991], 1-2, pp. 53-74; G. TORRACA, La cura dei materiali nel restauro dei monumenti, a cura di M.P. Sette, Scuola di specializzazione per lo studio ed il restauro dei monumenti, Università degli studi di Roma «La Sapienza», Roma 2001; D. FIORANI, Conoscenza e restauro dell’architettura: ruolo e casistica delle tecnologie, in Restauro e tecnologie in architettura, a cura di D. Fiorani, Roma 2009, pp. 43-67; Tecniche di restauro, a cura di S. Musso, Torino 2013. 21. Cfr. S. SETTIS, L’illusione dei beni digitali, in «Bollettino ICR», n.s., 2002, pp. 18-20. 22. Fra questi, una delle ricerche di frontiera riguarda il Building Information Modeling (BIM), nato per favorire la progettazione digitale dei nuovi edifici e negli ultimi tempi sperimentato nel campo del restauro, al fine di ottenere l’acquisizione dei dati relativi alla caratterizzazione materiale e storico-costruttiva all’interno del modello informativo. 23. La medesima necessità di mediazione fra comprensione storica e proposta progettuale è stata più volte richiamata anche nel campo della progettazione del nuovo, dallo stesso Bruschi e da altri (vedi, ad esempio, L’insegnamento della storia dell’architettura, cit., passim), in risposta alle posizioni della «critica operativa» di Bruno Zevi e della «storia operante» di Saverio Muratori. 24. Si veda, ad esempio, O. ROSSIGNI, I colori dell’Ara Pacis. Storia di un esperimento, in «Archeomatica», I, 2010, 3, pp. 20-25. Il progetto «Virtual Ara Pacis» è stato realizzato dagli architetti Stefano Borghini e Raffaele Carlani (http:// www.katatexilux.com/, giugno 2012) 25. Uno di questi esempi è offerto dal Centro di documentazione sul Nazismo, collocato nel 2001 all’interno della Kongresshalle di Norimberga da Günther Domenig: qui la stretta relazione fra restauro architettonico e allestimento ha consentito d’illustrare efficacemente, grazie ad un apposito apparato interattivo e illustrativo (con foto, pannelli, filmati), la vicenda storica e la particolare natura architettonica dell’incompiuta sede del partito Nazionalsocialista. 26. Vedi http://www.palazzovalentini.it/e http: //www.viaggionelforodiaugusto.it/(giugno 2014). 27. P. GREENAWAY, Peopling the palaces, catalogo della mostra, Torino 2007 e http://www.volumina.net/store/store.php?id=18&meta=Ripopolare_la_Reggia_Greenaway (giugno 2014). 28. S. BENEDETTI, La storia dell’architettura nelle scuole di Specializzazione, in L’insegnamento della storia dell’architettura, cit., pp. 62-67. 29. Con la separazione «istituzionale» operata fra restauro e valorizzazione da parte del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.L. 22.1.2004, n. 42), in particolare all’art. 7, che assegna la responsabilità della seconda alle Regioni, la naturale continuità fra attività conservativa e azioni rivolte alla valorizzazione si è interrotta, subendo inevitabili filtri gestionali e, soprattutto, l’accentuazione di una relativa autonomia reciproca. La valorizzazione, sempre più intesa in chiave economica quale forma di «sfruttamento» del bene, si è allontanata progressivamente da quella visione che la poneva, con il restauro statico e la rifunzionalizzazione, fra le operazioni interne al restauro in quanto esse «devono sempre essere indirizzate all’obiettivo primario della conservazione del “monumento”» (S. BOSCARINO, Storia e storiografia contemporanea, cit., pp. 56-57). 30. Una riflessione sulla distinzione fra storia dell’architettura e storia generale è in G. MIARELLI MARIANI, Rapporti con le discipline del restauro, cit. 31. Il riferimento è al libro di S. KÜCHLER, The place of memory, in A. FORTY, S. KÜCHLER, The art of forgetting, New York 1999, 2011, pp. 53-71, commentato in P. CONNERTON, How Societes remember, trad. it. Come le società ricordano, Roma 1999, p. 151, nota 86. 32. P. CONNERTON, How Societes remember, cit., p. 151. 33. Dopo i primi spunti di riflessione dello storico Jacques Le Goff, negli scorsi anni ottanta, diversi saggi hanno evidenziato l’attuale e progressivo «declino della storia»: fra questi si ricordano A. HUYSSEN, Twilight Memories. Marking Time in a Culture of Amnesia, New York 1995; M. AUGÉ, Ou est passé l’avenir?, Paris 2008, trad. it., Che fine ha fatto il futuro?: dai nonluoghi al nontempo, Milano 2009 e lo stesso P. CONNERTON, How Societes remember, cit. Donatella Fiorani . CONSIDERAZIONI SU METODO STORIOGRAFICO E RESTAURO NELL’EPOCA DELLA VALORIZZAZIONE DEI MONUMENTI