CULTURA MANAGERIALE L’INTELLIGENZA TERZIARIA ovvero la capacità di innovare Suggestioni da un libro “nomade” Romano Trabucchi l libro di Roberto Panzarani Il viaggio delle idee. Per una governance dell’innovazione (vedi box nella pagina accanto) tocca un tema di attualità per il nostro Paese: l’innovazione. Nella generale prospettiva di declino e di stallo competitivo italiani, richiamare l’attenzione su un tema come l’innovazione significa toccare una corda che provoca dolore. Ma il libro di Panzarani è solo a tratti polemico: vuol essere, soprattutto, un contributo, ricco di cultura, per riflettere e far riflettere. È un libro “nomade” nella sua struttura intellettuale, che corre da un tema a un altro, passa da una idea a un’altra. La forma dell’intervista accentua questa “dispersione” che la divisione per capitoli e paragrafi riesce a ridurre solo in parte. Interessante è la prospettiva internazionale dalla quale vengono visti i problemi; utile per un paese “provinciale” e DIRIGENTE 5-2005 I 56 5 Romano Trabucchi, dopo aver operato come dirigente in due grandi imprese dei settori terziario e comunicazione (con responsabilità nell’area risorse umane), ha diretto la casa editrice Etas Libri. È stato partner fondatore di due aziende di consulenza (Micom e Isso) e consigliere di amministrazione della multinazionale della consulenza Watson Wyatt Isso. È stato docente di gestione del personale presso la scuola di direzione aziendale (Sda) dell’Università Bocconi. È inoltre autore di pubblicazioni di management e, presso l’editore Franco Angeli, dirige una Collana di management. Collabora a periodici e riviste ed è membro del comitato scientifico del Cfmt. in ritardo come il nostro, i cui politici al governo scoprono solo oggi la perdita di competitività del nostro sistema-Paese e, finalmente, la necessità di puntare su ricerca e innovazione. Il libro di Panzarani è “aperto”, non solo nel senso che vuol essere l’apertura di una discussione, ma anche nel senso che stimola il lettore a interrogarsi e ad approfondire alcune delle tematiche trattate. Non è facile dar conto di tutte le tematiche e i problemi “toccati” nel saggio. Accenneremo ad alcuni, riservandoci alla fine di soffermarci su un problema particolare. Nel quadro della “nuova” società caratterizzata dal protagonismo delle nuove tecnologie dell’informatica e della comuni- cazione, i temi trattati sono vari: dalla governance dell’innovazione a quella del fattore umano nelle imprese; dai paradigmi dell’innovazione alle trasformazioni dell’impresa nel contesto della net economy; dall’analisi del conflitto tra “global” e “local” al dibattito sul neocapitalismo; dalla nuova concezione dell’azienda flessibile, prontamente reattiva, lontana dalla vecchia visione che privilegiava la dimensione totalizzante, fatta di gerarchia e burocrazia, alla specificità dell’innovazione nel contesto italiano del made in Italy (moda, design, food, macchine utensili e via dicendo). Il tema centrale del libro non è l’innovazione in sé, quanto la gestione dell’innovazione. Come dice il sottotitolo del libro: Le esigenze del terziario Si tratta, dunque, di una tematica che è molto in linea con le esigenze di un settore economico come quello del nuovo terziario, che sta facendo dell’innovazio- ne e della cultura dell’innovazione il centro della propria attenzione. Si veda, fra l’altro, la nuova Collana del Cfmt intitolata proprio T. Lab-Laboratorio del terziario che innova, il cui primo volume Intelligenza terziaria motore dell’economia è in uscita presso l’editore Franco Angeli. Il sottotitolo del libro è molto esplicito: alla ricerca dell’Italia che innova. L’assunto di base è che, ormai da tempo, l’innovazione non è più confinata nella fabbrica manifatturiera e non è più monopolio dell’industria. Nell’economia della conoscenza, infatti, l’innovazione non è più legata a capacità tecniche esclusive, relative al prodotto ma1 Panzarani R., Il viaggio, pag. 7 teriale o al processo, ma è sempre più il frutto della capacità di gestire relazioni, di comunicare con gli interlocutori (clienti e consumatori finali) e di “coprogettare” con essi il nuovo. Essa, perciò, consiste sempre più negli aspetti soft, immateriali del produrre e del relazionarsi. Ed entra, proprio per questo, nel cuore del terziario che in tal modo si rinnova e può proporsi come il “motore” capace di alimentare la crescita dei posti di lavoro e del pil nazionale. Questa capacità di innovare viene qui definita “intelligenza terziaria”. Essa è la nuova risorsa per creare vantaggi competitivi, perché le conoscenze non sono legate né all’intensità di capitale (macchine), né alla codificazione scientificotecnologica di quanto si fa. È intelligenza delle cose che integra il sapere astratto della macchina (che opera in modo deterministico e lineare) con le capacità cognitive contestuali e talvolta tacite delle persone, delle organizzazioni e delle società locali. E questo ne garantisce l’esclusività e la non riproducibilità. L’intelligenza terziaria è dunque sintesi di intelligenza personale, intelligenza organizzativa e intelligenza relazionale. Le persone possono investire su se stesse, per diventare parte attiva di una sorta di “capitalismo personale” che le coinvolge in prima linea, nella ricerca di nuove professionalità e di nuove idee. L’interesse del libro sta nel fatto che esso mostra come si articola l’innovazione nel terziario con esempi e casi ricavati dall’analisi di aziende italiane. È una ricerca sul campo che spiega come le imprese “terziarie” innovano, rigenerando con l’innovazione, i vantaggi competitivi di cui dispongono. Per ciascuna impresa analizzata sono stati definiti i driver che hanno caratterizzato il percorso specifico dell’innovazione: le traiettorie ambientali, i fattori interni e gli attori esterni della strategia aziendale. L’attenzione non è stata, dunque, rivolta a qualità strutturali aziendali astratte (la dimensione, la natura del settore o del comparto, le caratteristiche del luogo di insediamento ecc.), ma ai comportamenti concreti del management aziendale e alla sua capacità di innescare processi di apprendimento nuovi, utili alla competitività. Ma il libro è anche un importante contributo alla riflessione economica generale e ci aiuta a riconsiderare in ter- mini nuovi proprio il problema della “competitività” italiana. Esso si inserisce, perciò, nel dibattito sul “declino” dell’Italia, a proposito del quale, nel saggio introduttivo, Enzo Rullani scrive: “Invece di interrogarci con angoscia sul declino industriale, bisogna interrogarsi sulla natura ancora poco conosciuta dell’innovazione nel terziario, perché è questa la leva da usare per riposizionare l’economia italiana nella concorrenza globale”2. La tesi è che il terziario innovativo, capace di generare produttività, redditi e posti di lavoro, possa far fronte al declino irreversibile sia della manifattura standardizzata, schiacciata dalla concorrenza dei paesi che hanno costi molto bassi del lavoro, sia del terziario tradizionale, che è sempre stato fragile sul piano della competitività. Responsabilità e governo dell’innovazione Riprendiamo il discorso sul libro di Panzarani e sul problema della governance dell’innovazione. Cosa significa “governare l’innovazione”? Oggi, questo è un discorso particolarmente complesso! Che deve evitare due pericoli e due paradossi, quello che riconosce libertà assoluta e autonomia all’innovazione, il cui unico criterio di sviluppo è costituito dalla logica interna alla tecnologia e dal mercato, e quello che vuol porre condizioni e limiti dall’esterno per dirigerne o bloccarne il percorso. Il problema è rendersi conto che ogni innovazione tecnologica ha profonde ripercussioni sul modo in cui si realizzano le nostre relazioni sociali e sul nostro modo di “fare società”. Ed è qui che viene invocata la nostra responsabilità. Come ha messo in evidenza il vecchio Marshall Mc Luhan, l’innovazione tecnologica cambia proporzioni e schemi nei rapporti umani e incide sui processi di vita complessivi: come, ad esempio, la ferrovia che ha accelerato e allargato le proporzioni di funzioni umane già esistenti, creando città di tipo totalmente nuovo e nuove forme di lavoro e di svago, o l’aeroplano che, accelerando la velocità dei trasporti, ha dissolto le città, le organizzazioni politiche e le forme associative prodotte dalla ferrovia. O ancora l’automobile che ha rivoluzionato 2 Rullani E., Sebastiani R., Paiola M., Intelligenza terziaria motore dell’economia, Franco Angeli, Milano, 2005, pag. 24 57 5 DIRIGENTE 5-2005 per una governance dell’innovazione. Non è, dunque, un libro “tecnico” sull’innovazione. Come afferma l’autore: “L’angolo di visuale non è in modo preminente l’innovazione tecnologica, ma la “forma mentis” dell’innovazione”1. Riprendendo alcune considerazioni di James Hillman, viene sottolineata la matrice psicologica dell’innovazione. L’innovazione è un’attitudine mentale che va alimentata con la ricerca, il confronto e lo scambio di diversi punti di vista; così può diventare un metodo che determina il successo di un’idea, di un’intuizione, di una proposta. CULTURA MANAGERIALE le relazioni fra gli individui appartenenti a paesi e nazioni diversi. E questo è vero soprattutto per quanto riguarda l’innovazione negli strumenti di comunicazione, i quali non solo sono determinanti nella strutturazione dei messaggi e dei loro contenuti (il medium è il messaggio), ma, in quanto tali, influenzano anche le forme dell’agire umano e i processi di socializzazione. Basta pensare alla televisione e al suo potere di impatto e condizionamento delle idee e dei comportamenti della gente. La realtà è che, con la tecnologia avanzata, la possibilità delle innovazioni tecnologiche di incidere sulla vita degli uomini si è notevolmente moltiplicata. Come ha messo in un rilievo drammatico Hans Jonas nel suo fondamentale libro Il principio responsabilità, lo sviluppo simo e Islam si riferiscono a quella che potremmo definire una moralità basata sul danno intimo, verificabile, causale: omicidio, furto, falsa testimonianza, adulterio, sono atti facilmente identificabili, compiuti da una persona o da un gruppo contro altri. Per atti di questo tipo è relativamente facile attribuire una responsabilità: sono esempi di quello che potrebbe essere definito un “male caldo”3. Al “male caldo”, Rifkin contrappone il “male freddo”. “Il male freddo è un’azione i cui effetti sono talmente distanti dai comportamenti di chi l’ha compiuta da non lasciare sospettare un nesso causale né, quindi, avvertire un senso di colpa o di responsabilità, e rispetto ai quali non interviene alcuna collettività a porre sanzioni”4. Sono esempi di “male freddo” gli eccessi di certi consumi che hanno come conseguenza il riscaldamento globale del pianeta o certe scelte alimentari dei cittadini dei paesi ricchi che implicano la trasformazione delle coltivazioni dei paesi poveri da cibo a mangime per gli animali per produrre carne e via dicendo. Anche l’innovazione scientifico-tecnologica dovrà tener presenti questi problemi! Parlando di tecnologia e di innovazione tecnologica va dunque ripensato il concetto di “responsabilità” per evitare di fare solo della retorica. Giustamente Panzarani sottolinea che, parlando di innovazione, la questione etica è un nodo cruciale e che più aumenta la capacità tecnologica, maggiore è la “necessità etica”. Non bastano le prescrizioni morali. Come non ha senso la retorica sull’etica dell’impresa o cose del genere. Occorrono meccanismi di controllo sociale, decisioni complesse, ingegneria istituzionale. Anche la politica deve aprirsi ad una nuova cultura progettuale adeguata alle dimensioni dell’intero Pianeta, se vuole affrontare i problemi posti dalla tecnologia avanzata e dalle sue invenzioni e innovazioni. Guai se lo sviluppo tecnologico della società postmoderna avvenisse in un contesto da “medioevo politico”, per riprendere una affermazione di Panzarani! Panzarani cita più volte Pierre Levy il quale parla di “intelligenza collettiva” e sottolinea le grandi possibilità di civilizzazione legate all’emergere delle nuove tecnologie multimediali. Nella storia ideale dell’umanità che Levy traccia, l’ultimo periodo che si realizza con la rivoluzione digitale (quello che lui chiama “Spazio del sapere e della conoscenza”) si possono sviluppare nuove strutture di comunicazione, nuovi modi di regolazione e cooperazione, linguaggi e tecniche inediti, ma - egli insiste - 3 4 Anche per quanto riguarda l’etica dobbiamo andare al di là di una concezione lineare. Nel mondo della tecnoscienza la logica della complessità investe anche il tradizionale concetto di “responsabilità”, perché quando gli effetti dell’azione umana sono molto distanti spazialmente e temporalmente dal comportamento di chi agisce da non lasciare intravedere (e nemmeno sospettare) un nesso causale diventa difficile parlare di responsabilità. Come è stato chiarito da molti autori, la vecchia morale è inadeguata a valutare comportamenti i cui effetti sono lontani, di ampia portata e sistemici per natura. È la morale dei Dieci comandamenti, valida per i gruppi umani che vivevano in uno spazio delimitato e in un tempo limitato e controllabile. Nell’ultimo libro, Il sogno europeo, Jeremy Rifkin (un autore più volte citato da Panzarani) distingue fra “male caldo” e “male freddo” e scrive: “Giudaismo, cristiane- Panzarani R. IL VIAGGIO DELLE IDEE Per una governance dell’innovazione Intervista con Massimiliano Cannata Franco Angeli, Milano, 2005 DIRIGENTE 5-2005 Roberto Panzarani è docente di Processi di innovazione nelle organizzazioni presso la Facoltà di psicologia dell’Università La Sapienza di Roma. Da molti anni opera nella formazione in Italia. È stato presidente dell’Associazione italiana formatori (Aif). Esperto di Business Innovation, attualmente si occupa dello sviluppo di programmi di formazione manageriale per il top management delle principali aziende italiane. Collabora anche con il Cfmt. 58 5 imponente della tecnologia moderna ha trasformato la natura stessa dell’agire umano. Questa trasformazione ha messo in crisi i presupposti dell’etica tradizionale. La “nuova” etica ha bisogno di strumenti di intervento adeguati a fronteggiare i giganteschi problemi creati dallo sviluppo delle innovazioni tecnicoscientifiche. È probabilmente sull’elaborazione di questi nuovi strumenti, etici e politici, che si gioca il futuro dell’umanità. E questo implica problemi nuovi e molto complessi. Rifkin J., Il sogno europeo, Mondatori, Milano, 2004, pag. 372 Ibidem 5 Levy P., L’intelligenza collettiva. Per una antropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano, 2002, pag. 19, c.vo nostro 59 5 DIRIGENTE 5-2005 dobbiamo non lasciare che il processo si svolga in modo autonomo, affidato solo a se stesso, ma tentare di sottoporlo alla nostra istanza progettuale. Questo è il problema nuovo e terribilmente complesso dell’innovazione di fronte al quale si trova la responsabilità umana. Su questo sono impegnate l’etica e l’etica della politica. Secondo Levy, con le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione noi non stiamo solo passando da una cultura a un’altra, ma da un tipo di umanità a un altro. Le nuove protesi cognitive a supporto digitale, infatti, modificano profondamente le nostre capacità intellettuali, così come le nuove tecniche di comunicazione possono trasformare radicalmente le nostre relazioni sociali e la nostra società. Ci troviamo, in altre parole, di fronte a una sorta di “mutazione antropologica”, con il grande vantaggio, inedito nella storia precedente, che abbiamo oggi la possibilità di pensare collettivamente questa avventura e di influire su di essa. Per questo non bastano le innovazioni tecnologiche anche avanzatissime, ma dobbiamo inventare nuovi meccanismi di pensiero pratico e di negoziazione che possano far emergere una vera e propria intelligenza collettiva. “Attraverso i mondi virtuali, possiamo non solo scambiarci informazioni, ma pensare veramente insieme, mettere in comune le nostre memorie e i nostri progetti per produrre un cervello cooperativo”5. Il nuovo “Spazio del sapere” non è solo il mondo delle conoscenze, ma può essere anche l’opportunità di inventare una nuova democrazia che sia estesa ovunque e capace di mobilitare, impiegare e valorizzare al meglio le qualità umane. E l’ultimo richiamo di Levy ci avverte che l’attuale globalizzazione economica ci fa rimanere nello “spazio delle merci” (il periodo precedente a quello dello “Spazio del sapere” nella storia ideale che delinea Levy), funzionalizzando ad esso anche il cyberspazio e le sue potenzialità civilizzatrici. Un messaggio che vale anche per i manager. E che richiede un nuovo orizzonte per la formazione e la cultura manageriali, più critico e più consapevole dei problemi della società.