Salva come PDF - La Gazzella della Sera

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Come Levante ha preso il Caos
dentro di sé e l’ha reso una stella
che danza.
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In principio era il Caos. E poi venne Levante che
vi si perse, si fuse ad esso e lo plasmò dando alla
luce un album che è un casino. È uscito “Nel
Caos di Stanze Stupefacenti”: ecco la recensione!
Io sono ribster e se mi seguite da un po’ avrete notato che sono solito redarre i
miei articoli senza rispettare le regole dell’alternanza punto fermo – lettera
maiuscola. Se oggi invece sto scrivendo come uno scolaretto ordinato di prima
elementare è perché da quando ho iniziato questo percorso pieno di soddisfazioni
per La Gazzella della Sera mi sono ripromesso che avrei steso un pezzo
ortograficamente corretto solo quando mi sarei imbattuto in un album che ne
fosse stato all’altezza. Quindi, Levante, l’hai fatta grossissima.
È il 23 maggio del 1987 quando in un paesino baciato dal sole al sud della piana
di Catania viene alla luce una bambina di nome Claudia. Nessuno avrebbe potuto
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immaginare al tempo che nel giro di pochi anni sarebbe diventata una delle più
vere esponenti della musica italiana del nuovo millennio. Perché Levante è chiara
come l’alba a cui ha preso in prestito il nome, è estasiante come il profumo degli
aranci della terra in cui è sorta ed è donna nel senso più mediterraneo del
termine, tanto onesta quanto passionale. E’ ormai quasi passato un anno dal
giorno in cui un ragazzo che avevo appena conosciuto mi propose di andare con
lui ad assistere ad un suo live, e sebbene in tutta onestà non avessi mai sentito
una singola nota di una sua canzone, ero troppo provato dalla sessione estiva che
stavo attraversando per poter rinunciare ad un invito simile. Il piccolo concerto si
tenne su un palco minuscolo circondato da alberi e viuzze sterrate nei pressi di un
ex ospedale psichiatrico, e dal momento in cui Levante entrò in scena fu come se
tempo e spazio fossero collassati l’uno sull’altro, generando un’atmosfera sospesa
tra adorazione e sorpresa. Chiunque fosse lì con me teneva lo sguardo fisso su di
lei, che poco aveva di appariscente se non un microfono in mano e una giacchetta
in pelle su una canotta a righe; sorseggiavano vino rosso dai loro bicchieri di
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plastica, prendevano qualche boccata di fumo, posavano il volto sulla spalla del
proprio vicino ma nessuno che riuscisse a scostare gli occhi dalla ragazza sul
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palco, che nella sua semplicità brillava alta nel cielo come un sole in piena notte.
la copertina dell’album
Levante giunge per la prima volta alle orecchie dei più nell’estate del 2013
quando pubblica “Alfonso”, un brano che essenzialmente è l’esasperazione
del fastidio provato ad una festa piena di sconosciuti privi di contenuti e che
esplode nell’emblematico “che vita di meeeeerdaaaa” gorgheggiato nel ritornello.
Negli anni successivi la cantante, (senza l’ausilio di talent show, grandi ospitate e
marchette varie) ha pubblicato “Manuale distruzione” e “Abbi cura di te”, due
album amatissimi da un pubblico rimasto ammaliato dalla scorrevolezza dei testi,
dalla magia delle melodie e dalla cura quasi surreale dedicata alle figure
retoriche disseminate lungo le sue canzoni (assonanze, paronomasie, figure
etimologiche e la mia vecchia prof di italiano potrebbe citarvene mille altre). Di
queste è ricco anche il suo nuovo album, uscito il 7 aprile, NEL CAOS DI
STANZE STUPEFACENTI, simbolo della sua conferma artistica e irrorato da una
forza travolgente.
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Magari sbaglio, ma sono fermamente convinto che il rapporto tra persone e
musica sia puramente meritocratico: ognuno ascolta quella di cui è degno. Come
le bacchette magiche da Olivander, sono le canzoni a scegliere il loro
pubblico. Quando un artista compone pezzi che trasudano la sua essenza più
intima corre il rischio di non venire compreso, e quindi di non raggiungere una
percentuale di ascoltatori molto alta. Questo perché gran parte degli esseri umani
vive la musica come puro svago, la ascolta per distrarsi durante i lunghi viaggi,
per trovare concentrazione mentre studia o per caso se ha la radio accesa o la tv
bloccata su mtv music. Non ha interesse nell’andare a fondo, nel ridurre il brano
all’osso per comprendere chi o cosa lo abbia ispirato: sono sufficienti rime baciate
su basi ballabili per permettere ad una canzone di scalare le classifiche. Io invece
ammiro chi ascolta musica per rimanerne affascinato, stordito, devastato, magari
a volte anche deluso, ma pur sempre conscio che non è stato tempo perso. Queste
sono le persone che meritano l’arte di Levante: quelle che non hanno paura di
sentire i propri mostri messi in musica, che non scappano via quando viene
loro schiaffata in faccia la crudeltà dei sentimenti, che a volte si fanno vincere
dalla potenza di un brano e puoi vederle sul treno mentre si strizzano l’occhio col
dorso della mano per cercare di eliminare le tracce della lacrima che è appena
sgorgata via.
“Nel Caos di Stanze Stupefacenti” è un percorso attraverso dodici brani che la
cantante stessa ha definito stanze. Quattro mura di rumore assordante che lei ha
interpretato in forma nuova, rendendole musica. Per questo ho definito il disco un
casino: perché è forza, è tumulto, è frastuono, è un grido lungo 37 minuti che
spacca vetri, sovverte regole, affonda stereotipi, critica, brucia, maledice e
benedice e tu non puoi che uscirne stordito. Ma non stordito come dopo il test di
cooper al liceo in cui hai quasi perso la vita per prendere almeno 5+, direi
stordito come quando cammini per piazza della Signoria a Firenze alle quattro del
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mattino e ci siete solo tu, il Nettuno, il David e qualche studentessa erasmus
spagnola ubriaca fradicia che tenta di tornare a casa senza inciampare in se
stessa.
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CAOS (PRELUDIO) è la traccia d’apertura del disco e se fosse davvero una
stanza, sarebbe indubbiamente la camera da letto piena di vestiti, chitarre e libri
sparpagliati alla rinfusa della Levante universitaria, quella per cui sua madre la
rimproverava spesso dicendole: “tutto questo disordine è dentro di te”. E tutto
questo disordine impregna impetuoso anche tutto l’album, come appare palese
già dalla sua copertina: nei dischi precedenti Levante si era infatti fatta
raffigurare seduta, mentre in quest’ultimo la vediamo stesa su un pavimento blu
mentre osserva il suo riflesso in uno specchio che giace di fronte a lei. Sembra
quasi che una scossa l’abbia buttata giù dalla poltrona sulla quale si era sistemata
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assieme alle sue sicurezze e alle sue convinzioni e che solo grazie a questo
terremoto interiore abbia avuto la possibilità di riuscire ad osservarsi per
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davvero, percependo il disordine che ha dentro e che specchiandosi le emerge
impavido in pieno viso.
1996 LA STAGIONE DEL RUMORE racconta l’evoluzione di una storia d’amore
nell’arco di un anno, attraversando tutte le stagioni fino al suo fallimentare
epilogo: “da che eravamo wow siamo diventati caos”. Il brano sa un po’ di
rimpianto ed è percorso da tanti “se” a tratti espliciti, a tratti celati: se avessimo
detto che… se fossimo stati più attenti… se non avessimo lasciato perdere… se ci
avessimo tenuto entrambi. E invece “c’ero solo io tra me e te”, come a dimostrare
che Levante fosse l’unica a riversare le proprie speranze in questa relazione. Mi
piace interpretare la canzone come un soggiorno luminoso dominato da un
imponente divano bianco su cui giace una coperta in lana fatta a mano che,
nonostante lui non faccia più parte della tua vita, porta ancora il suo profumo e tu
non hai proprio voglia di metterla a lavare.
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IO TI MALEDICO è il mio pezzo preferito dell’intero disco perché ti esplode
nelle orecchie e ti invade la testa con un ritornello che è un portento. E mentre
ancora non ti sei ripreso dal sublime accostamento “maledetto – me l’hai detto”,
ecco che il bridge irrompe in una feroce maledizione recitata in tono soave come
a rendere la vendetta ancora più truce. Tramite questa canzone Levante si scaglia
contro un ragazzo che le ha dato buca e che per metonimia impersona tutti gli
stronzi che ci hanno mentito nel corso della nostra esistenza e grazie a cui ci
apprestiamo in coro a cantare a squarciagola questo pezzo. “Io ti maledico” è per
me una veranda spoglia, adornata unicamente di una sedia in vimini su cui ci si
sistema ad aspettare persone o notizie che non arriveranno mai.
E tu, le hai detto che saresti passato a baciarla alle 7. Non a trovarla o a farle un
saluto, ma A BACIARLA! Come hai potuto non presentarti senza nemmeno
avvisare? Maledetto.
NON ME NE FREGA NIENTE non è il titolo di un mio poemetto sull’interesse
che nutro nei confronti dei principi della termodinamica, ma un brano fine e
socialmente impegnato in cui la cantante si diverte a perculare tutti gli idioti del
web (che sua maestà Enrico Mentana ci ha insegnato a definire webeti) e la loro
impellente necessità di commentare, postare, condividere, esprimere opinioni
prive di fondamenta, attaccare il prossimo grazie allo “scudo dello schermo” e alle
“armi da tastiera”. Insomma, se cambiate la cornice alla vostra foto profilo
quando accade una disgrazia vicina a voi ma generalmente non avete idea di cosa
accada più a est di Otranto, se sui social vi spacciate per super attivisti ma più
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che per manifestare il massimo che fate quando uscite di casa è far pisciare il
cane, se mettete like a post come “l’Italia agli Italiani!” e “Non abbiamo spazio
qui, se ne stiano nel loro paese”, questa canzone è dedicata a voi. Vi siete
riconosciuti? Perché io vi vedo già a corrugare la fronte mentre leggete questo
articolo nel sudicio & buio stanzino fetido di piedi e colmo di mozziconi di
sigarette in cui tenete il computer per non farvi sgamare da nessuno mentre
guardate i porno o le puntate di Uomini & Donne in streaming. Il che è
esattamente come immaginerei questa canzone se fosse una stanza.
IO ERO IO è uno dei pezzi migliori dell’intero disco, con un ritornello strabiliante
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nella sua malinconia. “Sei il male di me” è il grido che percorre tutta la canzone,
la quale racconta di un amore sospeso, denutrito, indegno, inficiato da “ricordi”
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che “sono colla, si attaccano alla pelle” verso un uomo che ha azzerato i suoi
sogni rubandole le favole, come in una stanza piena di imponenti scaffali in legno
scuro, ma totalmente privi di libri. GESÙ CRISTO SONO IO è indubbiamente il
pezzo più forte dell’album, ma non solo. Bolle di rabbia, brucia di rancore, graffia
stremato nel bridge ma riesce ancora a reggersi in piedi per gridare forte la sua
denuncia in una efficacissima metafora tra il sofferente Cristo umiliato sulla croce
e una donna vittima dei soprusi del suo uomo. Nel mio cuore è già un inno e spero
vivamente che riesca a raggiungere quante più persone possibile dando loro il
coraggio di uscire a reclamare il loro pezzo di paradiso. Specie chi quando sta
male si chiude in bagno a piangere perché lì nessuno lo sente e perché sotto la
doccia le lacrime si confondono e perdono di significato tra le gocce d’acqua.
DIAMANTE è un brano carico di speranza e guarnito di una dolcezza unica:
“oltre i sogni infranti di chi ha perso tanto, troverai il tuo posto, diverrai
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diamante” è un incantevole augurio che immagino pronunciato dalle rosee labbra
di una madre che tiene stretto a sé il suo bambino appena nato, mentre lo culla
camminando per la sua piccola stanzetta che ora è piena di pupazzi e giochi, tra
qualche anno sarà piena di libri e baci rubati e in futuro sarà unicamente piena
dei ricordi di come sarà diventato diamante.
Max Gazzè fa visita Levante in una stanza stupefacente che prende il nome
di PEZZO DI ME ed è anche l’unica collaborazione del disco. Tra i due vi è
sicuramente reciproco affetto dato che lui, dopo aver sentito il suo primo singolo
in radio, le fece aprire il suo tour nel lontano 2013 e lei ora ricambia offrendogli
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un posto nella sua casetta incasinata. Il ritornello è un gioco continuo
sull’assonanza tra “pezzo di me” e “pezzo di mer…”, la strofa di Gazzè funziona
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tantissimo ed io li immagino discutere animatamente e offendersi a vicenda come
una coppia che si rispetti in cucina mentre lei inforna le patate e lui disossa il
pollo. SANTA ROSALIA non è, come in molti lo hanno definito, un “brano
sull’omosessualità”. E’ una poesia per chiunque sia fiero di essere se stesso, a
prescindere da quanto sia stato impervio il cammino per raggiungere questo
traguardo. Ero sul bus verso l’università quando l’ho ascoltata per la prima volta e
ringrazio pubblicamente la signora seduta di fronte a me per aver assistito al
disintegrarsi della mia anima senza battere ciglio. Nella mia testa questa canzone
è una stanza completamente bianca e vuota che ognuno ha la possibilità (e il
diritto) di dipingere del colore che più preferisce. Che è anche un po’ come va la
vita, o sbaglio? Levante, ti siamo immensamente grati per questo pezzo.
LE MIE MILLE ME è un brano dolcemente bipolare in cui Levante prende
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coscienza delle sue tante personalità. Inizialmente invita il suo uomo a salvarla
dalle sue differenti versioni di se stessa, come se fossero un ostacolo per il buon
esito della loro relazione, poi lo implora di permetterle di mostrargliele tutte
quante. Che qualcuno (oltre a te stesso) riesca a cogliere ogni sfaccettatura della
tua personalità è cosa molto ardua, ma non impossibile. Credo che la speranza di
incombere in un amore che sia in grado di conoscere ogni centimetro della tua
pelle come ogni grammo della tua anima sia condivisa da tutti. Immagino questa
canzone come un lungo corridoio in fondo al quale sta appeso uno specchio in cui
è inevitabile guardarsi la mattina appena sveglio e riconoscere con precisione
quale parte di te ti accompagnerà nel corso della giornata.
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“Sentivo le ali sospesa nell’idea che non mi ami” è la frase simbolo di SENTIVO
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LE ALI, una delle migliori canzoni che Levante sia mai riuscita a riempire di vita:
descrive perfettamente la sensazione che si prova quando si è innamorati di
qualcuno che non ti dà la minima certezza e stai bloccato a mezz’aria tra un
impertinente desiderio d’amore ed il terrore di non essere ricambiato a dovere.
Come su un balcone, a metà tra la delicatezza del cielo e la durezza dell’asfalto.
Ma è dall’incipit del brano che risulta palese che ormai la cantante non si trova
più imbrigliata in questa situazione: ha ripreso a camminare. Invita infatti l’uomo
ad allontanarsi perché non è più tempo per loro, lei ha “corso dietro a nuovi
sguardi” (che immagine meravigliosa, tra l’altro?) smettendo di preoccuparsi dei
suoi perché ora sa guardarsi anche da sola. “Che cosa ho fatto di male per
meritarmi questa fame di te?” è la frase che imperversa per tutta la meravigliosa
DI TUA BONTÀ (ma è anche ciò che mi viene spontaneo dire ogni volta che al
supermercato passo per caso accanto alle mozzarelline fritte). L’album termina
dunque con la storia dell’amore verso un uomo sicuramente buono da mangiare
(se capite che intendo), ma che Levante continua a considerare un errore.
Quest’ultima è una stanza cupa e buia, priva di illuminazione, nella quale si cerca
disperatamente di trovare una via d’uscita tasttandone le mura con le mani. Ma la
riuscita nell’impresa diventa tanto più difficile man mano che il desiderio di
Levante nei confronti dell’uomo in questione si fa sempre più insaziabile.
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Un mio vecchio conoscente che rispondeva al nome di Friedrich Nietzsche tanto
tempo fa disse un paio di stronzate, ma anche una marea di cose belle. Tra queste
ultime, due mi hanno sempre colpito in maniera particolare. La prima è che
“senza la musica, la vita sarebbe un errore” e sfido chiunque ad esprimere lo
stesso concetto in maniera migliore. La seconda è che “bisogna avere in sé il caos
per partorire una stella che danzi”. Levante, con questo lavoro, ha dimostrato di
essere stata così piena di caos che ad un certo punto è straripato e ne è venuto
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fuori un album. Ma prima di gravitare placidamente tra i meandri del suo
disordine interiore, ha lottato contro il silenzio assordante che la perseguitava, si
è inoltrata in luoghi inesplorati dal suo io, si è ferita con le sue stesse mani, ha
sofferto e goduto, ha sentito tanto rumore e l’ha intrappolato in 12 canzoni, che
sono 12 stanze. L’album è una chiave per aprirle tutte ed ogni pezzo ne descrive
chiaramente una diversa per chiunque l’ascolti. Ha preso il caos e l’ha reso
melodia, l’ha reso il casino più bello di tutti, l’ha reso una stella che danza.
Premete qui se vi va di ascoltare l’album e fatemi sapere cosa ne pensate! se
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volete seguirmi sui social, sono @ribster_ su instagram e twitter. un baci8
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fonte immagini: fullsong, rockit, rolling stone, valle sabbia news, velvet
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