Relazione 1 - Usmi Regione Lazio

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Incontro Juniores – USMI Lazio
Grottaferrata, 23-25 aprile 2010
Quale cammino di liberazione per…vivere caste, povere, obbedienti.
Uno sguardo psicologico
Premessa
Di fronte alla complessità e all'ambivalenza del desiderio di libertà diciamo subito che la
libertà, come l’affettività – alla quale è strettamente connessa - non è un dato acquisito una volta per
sempre, non è semplicemente un punto di arrivo, un traguardo, ma è un cammino che si colloca in un
continuum di progressiva liberazione. Si tratta di una libertà che continuamente si libera e si
costruisce, affinché si passi da uno stadio iniziale ad una forma più matura di libertà; pensiamo alla
lotta che ogni persona deve fare per assumere un atteggiamento di libertà critica di fronte a tutti gli
impulsi interiori ed esteriori cui è continuamente sottoposta.
Veramente in cammino di liberazione, dunque, vanno considerati l'uomo e la donna che
gradualmente diventano capaci di auto-possesso, che imparano ogni giorno a disporre di sé, delle
proprie ricchezze umane e spirituali per un bene maggiore di sé e degli altri. In tal senso la libertà è
sempre 'interiore', è situata cioè 'dentro il cuore'.
1. La radice psicologica della libertà interiore
Qual è la radice psicologica della libertà interiore? Essa consiste nella graduale e profonda
esperienza del divenire se stessi, ma questo lungo e faticoso processo comporta alcune condizioni che
possono essere considerate sia da un punto di vista negativo che positivo.
Quali sono i segnali che denotano una situazione psicologica di non-libertà?
- Un primo segnale di non libertà è dato dalla presenza di quelle spinte interiori necessitanti che
obbligano a determinati comportamenti senza che la persona possa in qualche modo scegliere
divesamente.
- Un secondo elemento fortemente condizionante è la presenza di motivazioni inconsce non elaborate
o purificate.
- Un altro indice negativo nei confronti di un cammino di libertà è dato dalla massiccia presenza di
paure, di stati ansiosi e del dubbio.
La libertà psicologica, infatti, sembra intimamente legata alla capacità di gestire le paure, specie
quelle che inibiscono il movimento di apertura verso gli altri o verso la realtà, come la paura di non
essere accettati, di perdere e di perdersi, di prendere l'iniziativa, di non sapersi controllare, ecc.
L'esperienza della paura e dell'insicurezza fa parte della natura umana e spesso, se non è elaborata,
gestita ed integrata, può trasformarsi in barriere difensive, per lo più inconsce, che condizionano
molto la libertà della persona. Si formano così degli stati ansiosi che, divenuti parte integrante della
struttura della personalità, orientano e spingono nella direzione di comportamenti non liberi, nella
ricerca di rassicuranti appoggi e nella fuga da tutto ciò che sembra minaccioso e difficile. Il dubbio,
come la paura, va considerato un potenziale nemico della libertà interiore. Ci riferiamo al dubbio che
investe l'io e il suo valore personale, presente in persone che sperimentano un profondo senso di
inferiorità e di inadeguatezza. Evidentemente tutto ciò non consente alla persona di collocarsi con
libertà e consapevolezza di fronte a se stessa, agli altri e alla vita, ostacolandone così il processo di
maturazione e di crescita.
La radice psicologica della libertà, considerata da un punto di vista positivo, si può ritrovare
nella graduale maturazione di alcune componenti psicologiche fondamentali che assicurano alla
persona un sano adattamento e un’ espansione corretta di se stessa, come ad esempio:
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- una sana fiducia di sé, nelle proprie possibilità, tipica di chi ha fatto un'esperienza positiva di
valorizzazione anche nelle relazioni familiari;
- una corretta percezione di sé e della realtà, che permette di accostarsi con serenità e senza difese agli
altri e di fare una lettura obbiettiva della realtà propria e altrui senza deformarla o strumentalizzarla ai
propri bisogni egocentrici;
- una certa autonomia personale da cui deriverebbe una chiara capacità di aderire ai valori, frutto di un
cammino di progressiva maturazione e purificazione delle motivazioni alla base dei comportamenti e
delle scelte;
- una iniziale capacità di solitudine del cuore, là dove la persona è veramente libera di decidere nei
confronti di se stessa, degli altri e di Dio.
1.1.Lo sviluppo come cammino di libertà
Senza affrontare in modo dettagliato i vari capitoli dello sviluppo umano che andrebbero al di
là di quello che noi ci proponiamo, credo possiamo indicare in modo sintetico alcuni elementi, che
richiamano i passi indicati per la maturazione affettiva, circa il percorso dello sviluppo umano come un
percorso di crescita degli spazi di libertà personale. Non sono tappe chiuse in se stesse. Aspetti
dell’una li possiamo trovare nelle altre lungo tutto il processo vitale.
a) In linea generale possiamo dire che nel processo di sviluppo umano la persona passa da una
situazione di dipendenza fisica, psichica, valoriale e motivazionale ad una graduale situazione di
maggior autonomia.
b) Il processo di sviluppo nelle varie aree della persona (relazionale, affettiva, cognitiva, morale e
religiosa), non procede in modo automatico tale che la crescita in un aspetto coinvolga di per se la
crescita anche negli altri. Nella persona ci possono essere squilibri dovuti ad accelerazioni o a blocchi
coinvolgenti solo alcuni aree della persona umana.
d) Dire sviluppo vuol dire riconoscere nella persona la capacità di risolvere in modo migliore e con
più efficacia i problemi più fondamentali legati alla sopravvivenza, per imparare ad aprirsi a compiti e
a orizzonti di altro livello. Ogni scelta, anche quella in vista di un bene maggiore, porta con se la
conseguenza di vedere diminuire le proprie possibilità.
e) Vedere l’uomo nell’ottica dello sviluppo vuol anche pensarlo come persona educabile, ‘formabile’
capace di cambiare a partire da nuove motivazioni e scelte. La formazione e l’autoformazione non può
ridursi ad essere solo di tipo cognitivo o morale, ma deve considerare anche altri aspetti, quali quello
emotivo, affettivo, quello volitivo, quello relazionale e spirituale, che possono avere un notevole peso
nel facilitare o rallentare il cammino della vita. C
f) Lo sviluppo umano non coincide di per se con il raggiungere una situazione di pace, di serenità, di
assenza di tensioni o fatiche. La vita porta nel suo stesso grembo queste situazioni che quindi non
possono essere eliminate.
g) Il processo di sviluppo si pone allora come un cammino di allargamento dello spazio della propria
libertà, nella consapevolezza dei limiti e dei condizionamenti.
1.2. La libertà della persona fra desideri e limiti
Abbiamo appena accennato al fatto che lo sviluppo della persona non è sempre continuo e
uniforme. Nella vita della persona ci possono essere blocchi o situazioni di chiusura tali che incidono
in modo forte sul vissuto libero della persona. Spesso si sente parlare di “carattere” assumendo con
questo l’idea che ci si è fatti in un certo modo e che certe cose non possono essere cambiate. La
persona, quindi non si ritrova formata una volta per tutte in modo assoluto e immodificabile e questo a
prescindere dall’età che si ha. Certo è il fatto che entro una certa età i cambiamenti sono più facili
appunto perché la persona è in “formazione”, ma questo non toglie la possibilità di ulteriori
“conversioni”.
Cerchiamo di capire meglio. Cosa blocca del tutto o solo in modo parziale la possibilità da
parte della persona di scegliere liberamente? Perché in alcuni situazioni pur avendo consapevolezza
del bene intravisto c’è una notevole fatica a porre delle scelte che vadano nella stessa direzione?
Perché ci sono delle frenate, delle resistenze nel cammino personale? E’ solo questione di buona
volontà e di sforzi non adeguati? Sembra che ci sia qualcosa di diverso e di più profondo che entra in
gioco!
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1.3. Il mondo dei desideri e il mondo dei limiti
Il clima odierno per certi aspetti è quello di un indebolimento della volontà, si corre il rischio di
cadere nel determinismo per cui si pensa all’uomo come non responsabile quasi di niente della sua
vita.
La ricerca e il lavoro sulle persone hanno fatto vedere invece come non sia la volontà ma il
desiderio che può mettere in movimento tutto l’apparato motivazionale mentale dell’uomo. Il desiderio
non è semplicemente una forza ma possiede anche una valenza di significato: questa unità di due
aspetti costituisce lo specifico del desiderio umano. Il desiderio umano «non è solamente un impulso
proveniente dal passato, non è un semplice richiamo ai bisogni primitivi che esigono il
soddisfacimento, ma possiede anche una certa selettività. E’ un formare il futuro, un plasmarlo
attraverso un processo simbolico che include sia il ricordo che l’immaginazione di quello che
attendiamo. Desiderio è iniziare ad orientarsi verso il futuro; è riconoscere che vogliamo che il futuro
si profili in un modo o nell’altro, è capacità di scavare profondamente in noi stessi e di preoccuparci
del desiderio di cambiare il futuro».
La volontà allora non può esistere senza un precedente desiderio. Ma nell’uomo non ci sono
solo i desideri ma anche i limiti. Potremo pensare all’uomo come abitato fin dalla nascita da due
«mondi»: il «mondo dei desideri» e il «mondo dei limiti» che in linea generale e in prima
approssimazione hanno caratteristiche contrastanti e seguono uno sviluppo divergente.
Con il mondo del desiderio si pensa al mondo dell’immaginazione, della fantasia. E’ un mondo senza
limiti fissi nel senso che la fantasia e l’immaginazione possono andare dove vogliono. In più in questo
mondo non si pone la necessità del dover scegliere, nel senso che differenti possibilità non sono
mutuamente esclusive.
Il mondo dei limiti invece parte dal fatto che alcune cose non possono essere cambiate, che
certe situazioni sono determinate (si pensi per esempio ai caratteri fisici o alla famiglia nella quali si
nasce). Vista la tensione che esiste fra i due mondi si tratta di imparare a trovare il giusto equilibrio fra
i desideri e limiti e questo lo si realizza nella concretezza della scelta che implica una rinuncia, un
nuovo limite da accogliere. Desiderare un’azione è desiderare una limitazione, e per altri aspetti il
desiderio è il segno evidente del limite. Uno che volesse non vivere il limite dovrebbe evitare di porre
decisioni ma in ultima analisi questo vorrebbe dire rinunciare ad esercitare la propria libertà.
Si vede allora l’importanza di aiutare la persona fin dalla giovane età ad affrontare la realtà esterna in
una logica di crescita che lasci spazio a potenzialità diverse, integrando nel modo più adeguato, anche
una accettazione piena dei propri limiti.
1.4. Oltre il “vivi quello che senti”
E’ abbastanza di moda il vivere quello che si sente in una sorta di spontaneismo che sarebbe la
massima espressione dell’essere umano libero.
Dal nostro punto di vista dobbiamo riconoscere che la scelta veramente umana non è quella spontanea,
ma quella che coinvolge l’uomo nella sua totalità e in particolare nella sua dimensione di apertura al
mondo dei valori e al mondo spirituale. Cercando anche di andare oltre ad una visione puramente
volontaristica dell’uomo si tratta di recuperare come abbiamo già accennato, il fondamento del
desiderio alla volontà. Le convinzioni morali forti, il rispetto per gli ideali, l’integrità di per se non
sono segni di volontarismo. La differenza è quella di cogliere le motivazioni che spingono un
comportamento piuttosto che un altro. Ciò che giustifica il dovere in senso maturo è l’attrazione per il
valore stesso: nasce un obbligo perché quella realtà attrae.
Vivere il dovere come realtà liberante è possibile nella misura in cui l’uomo non ha la pretesa di
esaurire in se stesso tutte le possibilità ma si coglie come realtà partecipata, una realtà parte di un
qualcosa di più ampio che lo invita ad una nuova armonia.
Il dovere più autentico è espressione di una libera scelta: devo perché voglio liberamente e non perché
è obbligatorio! Devo perché voglio vivere liberamente secondo uno stile di vita e di conseguenza mi
attengo a quello che realizza quello stile di vita. Il desiderio è visto come la disponibilità a canalizzare
tutte le proprie energie verso un oggetto stimato come centrale per la persona stessa. Questo vuol dire
che quella determinata cosa e/o esperienza è percepita dalla persona come capace di darle senso e
quindi da perseguirsi.
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Si intuisce che questo processo non è solo qualcosa di intellettuale ma coinvolge anche la sfera
affettiva ed è espressione di un cammino della persona che non è certamente spontaneo, ma che è il
risultato di un lungo processo formativo
2. 'Liberazione' della propria libertà interiore
“Occorre scoprire dove sta la propria schiavitù e dove sta la propria libertà” - diceva
Sant'Agostino. Il cammino per divenire liberi è sempre un cammino di ‘liberazione da’, soprattutto dai
condizionamenti esterni ed interni, ma anche di autenticazione di se stessi. Si tratta di una libertà che
va continuamente liberata perché essa non è uno stato, ma un dinamismo, un cammino. E' un assumere
l'Esodo come atteggiamento interiore, la Pasqua come stagione di vita, come tempo del 'lasciare' e del
'passare', del 'cambiare' e del 'liberare'. Per realizzare tutto questo è indispensabile percorrere alcune
tappe:
a) Accorgersi dei disagi della 'non-libertà', cioè rendersi consapevoli della sofferenza e del dolore,
dell'impotenza e della lotta di fronte ai propri condizionamenti o alle conseguenze della mancanza di
libertà, il toccare con mano il proprio disagio interiore costituisce il primo passo verso un cammino di
liberazione.
b) Tendere sempre più verso la verità di se stessi, cioè verso l'autenticità del proprio essere,
mediante un percorso, che partendo da una conoscenza profonda di sé, giunga ad una progressiva
accettazione di sé, fino alla riconciliazione con se stessi. Tendere verso la verità di se stessi è un
cammino, essa non è mai raggiunta del tutto, è incessante ricerca nel tempo; implica un’integrazione
del passato, presente e futuro, nella propria identità e nella propria storia attraverso un processo di
progressiva conoscenza di sé. Le circostanze della vita formano il contesto privilegiato per questa
conoscenza: spesso eventi e situazioni mettono in luce degli aspetti di noi stessi sconosciuti e
inaspettati, di fronte a cui bisogna porsi in libertà e stupore per accogliere la novità e il senso di ciò che
viviamo.
Il segreto per imparare a tendere verso la verità di sé, senza difendersi o cadere
nell'auto-inganno, consiste nell'imparare a 'fare contatto' con se stessi. Questo significa divenire
consapevoli di ciò che viviamo, ‘prestare attenzione a, interrogarsi continuamente: ‘Che cosa è ciò che
vivo, che significato ha per me, cosa sto vivendo in questo momento?’ Comporta, inoltre,
l'assimilazione del proprio vissuto mediante la capacità di dare un nome ai propri sentimenti e reazioni,
ma soprattutto esige l'integrazione delle molteplici esperienze di vita, delle luci ed ombre presenti in
noi. Di fronte alla complessità del vissuto, alla molteplicità e contraddittorietà di certe spinte, di alcuni
desideri, verrebbe spontaneo negare anziché assumere, eppure è necessario assimilare questi poli
opposti dell'esistenza.
Realizzare un buon contatto con sé vuol dire, inoltre, smascherare le proprie difese e insicurezze,
abbattere tutte quelle misure di protezione che innalziamo per evitare la verità di noi stessi, saper
gestire l'ansia di fronte alla prospettiva di cambiamento. La paura di cambiare affonda le sue radici
nell'oscura sensazione di panico che ci prende quando dobbiamo lasciare ciò che ci è familiare,
conosciuto, acquisito, per andare verso qualcosa di ignoto, di incerto, di non-acquisito.
Maggiormente complesso si presenta il cammino verso l’autenticità del proprio essere. Bisogna
dire prima di tutto che l’autenticità è l'opposto della finzione, della strumentalizzazione o della
furberia. La finzione utilizza criteri esteriori più che interiori (il giudizio della gente, la bella o brutta
figura, l'apparire...) ed eleva a criterio di realtà il pensiero e la volontà propria: la persona crede di
'essere' in un certo modo solo perché 'pensa di essere' così, ma non lo è di fatto. L'autenticità, poi, va
molto al di là della sincerità, anche se la suppone. Essa, infatti, implica una coerenza non soltanto tra
ciò che si pensa, si dice e si fa, ma anche tra ciò che si pensa, si dice e si sente. Si tratta di favorire un
incontro vero con se stessi nello sforzo di conoscere le dimensioni ambivalenti del proprio essere ed
agire, i compromessi o i cedimenti cui sovente si è caduti, e riconoscersi per quello che si é, accettando
realisticamente i propri limiti, ma anche le proprie risorse ed energie positive.
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La persona è veramente autentica quando cerca di conoscere sempre meglio la verità di se
stessa, senza difese e mascheramenti, tollerando la convivenza di luci e ombre, di ricchezza e di
miseria, di bene e di male, di trasparenze e di opacità.. L'autenticità, dunque, è molto al di là della
sincerità e della lealtà perché abbraccia tutto il cammino per divenire sempre più noi stessi secondo ciò
che siamo chiamati ad essere, nell’assunzione di tutti gli aspetti e le dimensioni della nostra complessa
personalità.
3. Alcuni passaggi…per un cammino di umanizzazione e liberazione
3.1 Dalla compiacenza alla internalizzazione
Il concetto di internalizzazione con la distinzione fra atteggiamento di compiacenza e di
identificazione, introdotto da alcuni autori, si presta per capire in profondità le radici di un
comportamento e quindi la forza strutturante che detto comportamento ha nella vita di una persona.
C’è un primo livello di influenza chiamato compiacenza legato al fatto che una persona può
accettare l’influenza di altre perché spera di poter ricevere un favore o di evitare una punizione da chi è
preposto al controllo. Tutto quello che la persona fa o dice si pone solo ad un piano esteriore, nella
sfera pubblica, quella cioè che può essere vista da chi è coinvolto nella relazione. L’ambito privato e
personale ne resta in qualche modo escluso.
C’è poi l’atteggiamento della identificazione che si verifica quando una persona addotta un
comportamento derivato da un’altra persona o gruppo. Si tratta cioè di realizzare un ruolo che la
persona pensa importante per la sua vita e si esplicita nel fare quello che l’altra persona e/o gruppo
dice e fa. In alcuni casi questo tipo di atteggiamento è assunto anche solo per mantenere l’inserimento
in un gruppo al quale la persona è ancorata in modo radicale.
C’è infine l’internalizzazione che si verifica quando una persona accetta l’influenza esterna
perché induce un comportamento consono al proprio sistema di valori. L’individuo quindi sceglie
personalmente quanto gli è proposto come un suo stile di vita. Il legame con la sorgente del
comportamento proposto, basato in un primo momento anche sulla sua credibilità, con il passare del
tempo può anche interrompersi senza creare una modifica degli atteggiamenti assunti, cosa che invece
non era possibile nel caso della compiacenza e della identificazione.
Ci sono, quindi, modalità diverse di leggere un comportamento. E’ solo dopo una attenta analisi e in
un contesto di stima e fiducia reciproca che si può cogliere e condividere il senso di certi
atteggiamenti.
In una prospettiva formativa e di crescita nella libertà mi sembra che questi passaggi ci
permettono di avere una chiave di lettura del nostro comportamento senza fermarci ai fatti in sé. Il
segno di una crescita di libertà lo possiamo trovare nel momento in cui la persona ha internalizzato
certi valori e cerca di viverli in modo creativo e personale.
3.2. Oltre il mito dell’autorealizzazione
Oggi più che mai viviamo in un clima in cui il mito dell’autorealizzazione raggiunta a tutti i
costi sembra essere la meta più desiderata e sofferta
Parlare di autorealizzazione o di ricerca della felicità come scopo della vita di un singolo individuo è
così qualcosa di limitante. Insita nell’uomo c’è una tensione per un di più, per un bene più grande, per
l’affermazione personale, ma tutto questo lo si raggiunge come conseguenza di un significato di vita:
ci deve essere un motivo per fare contenta la persona. Afferma Frankl: «Normalmente il piacere non è
mai lo scopo degli sforzi umani, ma piuttosto è e deve restare, un effetto, più precisamente l’effetto
collaterale dello scopo raggiunto e conclude la sua analisi stabilendo che «l’autorealizzazione è
l’effetto non intenzionale della intenzionalità della vita».
Se nel corso della formazione si verifica una rinnovata capacità di uscire da sé stessi e
dall’immediatezza di certi orizzonti ristretti e personali, per aprirsi agli altri e all’Altro, credo abbiamo
un segno che il percorso che la persona sta facendo è davvero un percorso liberante.
3.3. Accoglienza della categoria del ‘mistero’
C’è una frase tratta dalla sapienza della Scrittura che ci aiuta a capire il senso della relazione
formativa. Dice il libro dei Proverbi: «Il ferro si aguzza col ferro e l’essere umano si affina al contatto
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con l’essere umano» (Pro 27,17): l’opera formativa è frutto di un incontro, di una relazione, di uno
scambio fra esseri umani. La storia della persona è un insieme di incontri o assenze con altre persone
che hanno segnato il suo vissuto, la sua memoria. La crescita della persona non può ridursi solo ad una
prospettiva biologica, pur nella consapevolezza di un cambio che coinvolge anche questo livello, ma
deve essere intesa nell’insieme dei livelli della vita psichica dell’uomo quindi anche in quello sociale,
relazionale e in quello più tipicamente umano ossia razionale-spirituale.
Lungi dal voler ridurre l’uomo ad alcune categorie psicologiche o sociologiche o ad alcune
leggi di causa ed effetto che giustificherebbero in modo automatico certi suoi comportamenti, si tratta
di lasciare spazio alla categoria del mistero come quella che meglio esprime l’essere umano. Questo
naturalmente non ci impedisce di ricercare delle categorie di riferimento e delle leggi per interpretare il
suo vissuto ma sempre nella consapevolezza di una certa fragilità dei risultati acquisiti. E’ abbastanza
evidente a tutti come per esempio in una stessa famiglia si possa avere un figlio impegnato nella scuola
capace di dare buoni risultati e l’altro, che pur avendone le capacità, è distratto da mille cose oppure si
vede come di fronte ad uno stesso trauma due persone si trovano a reagire in modo molto diverso.
Il tipo di mediazioni, di esperienze che la persona incontra in particolari momenti della sua vita
sono importanti nella prospettiva di orientare lentamente, attraverso le varie scelte, una direzione di
vita piuttosto che un’altra attuando certe potenzialità e tralasciandone altre. Si và via precisando lo stile
di vita della persona, di ogni persona, si va sviluppando e maturando la sua libertà.
3.4. Accettazione di se
Un autore di psicologia, in una sua opera, si sofferma nell’esplicitare l’importanza di
riconoscere come nella persona ci siano realtà non modificabili. Se la formazione pone l’accento sul
modificabile, ci deve comunque essere la consapevolezza anche del resto.
Spesso, considerando la realtà della persona, guardando concretamente alla nostra vita, si sottolinea
l’obiettivo del cambiamento: modificare il comportamento, l’umore, le abitudini difensive, le
preoccupazioni evolutive di una persona e così via. Un aspetto sottolineato meno di frequente è
l’adattamento a quelle caratteristiche della vita che non possono essere modificate.
Si vede allora che lo scopo del lavoro formativo e dell’impegno di liberazione interiore non sia solo
quello di eliminare un sintomo o di un cambiamento strutturale nella organizzazione psicologica della
persona, ma anche quello molto più limitato, di farci accettare con maggior serenità la situazione reale
che si vive. Avere obbiettivi ragionevoli è un aspetto importante da imparare e da condividere
nell’accompagnamento formativo. Molte di noi, forse, siamo entrate nel processo formativo con l’idea
che il tempo della formazione iniziale ci avrebbe ‘messo in sesto’. Di fatto forse un primo passo
autenticamente formativo sarà proprio quello di ridimensionare le aspettative, di accettarsi in ciò che è
possibile sviluppare e cambiare e in ciò che bisogna imparare ad accogliere, amare e gestire per
sentirsi profondamente liberi.
3.5. Lotta, scelte e resistenze.
Il cammino di crescita nella libertà, come ogni altro cammino, non lo si deve considerare come
qualcosa di automatico e sereno. Ci si deve preparare a superare situazioni di fragilità, di lentezza, di
trucchi, spesso inconsci, che la persona mette in atto per difendersi nei confronti del nuovo e
dell’ignoto che è chiamato a vivere.
Dal punto di vista psicologico l’espressione caratteristica che evidenzia questo malessere è l’ansia,
l’inquietudine, l’incertezza di una persona che sente di trovarsi in una situazione sconosciuta. Il
passato che fa inevitabilmente parte di noi e, da un lato, ci dà sicurezza, dall’altro ci condiziona e ci
limita; bisogna divenire liberi e quindi in qualche modo farsi liberi. Il passato deve essere trasformato
in vista di un presente da vivere anche affrontando il rischio del proprio futuro, che proprio perché
futuro, è ignoto, non posseduto ma capace di affascinare e attirare. Le dimensioni di questa lotta sono
molteplici sia interno al cuore umano, nei suoi dinamismi psichici, sia all’esterno, nelle relazioni con il
mondo e con gli altri.
La conquista della libertà interiore non può essere pensata come ad una continua e progressiva
crescita, ignorando la presenza di ricadute o arretramenti: sempre ci si trova di fronte a momenti nei
quali ci poniamo in un atteggiamento difensivo, di resistenza al cambiamento. Dal punto di vista
umano possiamo distinguere tre specifici ambiti di resistenza che devono essere controllati o rimossi
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In primo luogo si tratta di gestire il livello d’ansia che emerge nel momento in cui si toccano
conflitti inconsci che la persona vive e che potrebbe bloccare il cammino educativo.
In secondo luogo ci può essere la tendenza da parte della persona a ripetere in modo
compulsivo la gratificazione di certi desideri infantili, con una resistenza ad uscire da quella situazione
che, nonostante tutto, offre una certa gratificazione.
In terzo luogo c’è una resistenza che deriva dall’incertezza per il futuro, nel senso che la
persona deve lasciare un suo equilibrio e muoversi alla ricerca di nuovi meccanismi adattivi e di nuovi
comportamenti che potrebbero non dare i risultati sperati.
Gradualmente, anche con qualche aiuto esterno, bisogna saper riconoscere e lavorare con queste
resistenze che sono espressione di come noi tendiamo a rimanere ancorati ai nostri modi di affrontare
il mondo: abbiamo comunque raggiunto un equilibrio interno che viene quasi minacciato dall’inizio di
un percorso formativo serio e impegnativo. La possibilità di un cambiamento può costituire una
prospettiva terrorizzante per tutte le persone saldamente trincerate in determinati comportamenti,
pensieri, sentimenti, e interazioni interpersonali. Alzare i ponti levatoi di fronte alle potenziali
intrusioni di chi accompagna il cammino formativo potrebbe sembra la strategia vincente.
E’ importante intravedere e aprire nuove strade di libertà dove il passato è disponibile per il
presente in modo nuovo e non come ripetizione meccanica. Dall’altra parte, vuol dire anche stimolare
il desiderio a percorrere strade nuove più consone alla sua nuova situazione esistenziale. Il vero rischio
per la libertà deriva dalla libertà stessa, dalla paura di prendere decisioni, dalla paura per la
responsabilità. Qui né importante lasciarsi aiutare ad assumersi questo rischio, in altre parole, a
muoversi nella fatica della scelta.
Risulta quanto mai evidente ed importante in questa prospettiva il desiderio conscio, ossia le
motivazioni che ci spingono a cambiare. Dobbiamo allearci con la parte più forte e più sana di noi,
con quella parte che si sente aperta al di più della vita, che desidera allargare il suo orizzonte di
riferimento.
Conclusione
Il cammino verso una piena appropriazione di sé per la conquista di una certa libertà interiore è
sempre in atto. E’ un percorso di sempre più profonda auto consapevolezza e di stimolazione della
propria creatività personale per una maggiore capacità di libertà interiore e di autodeterminazione in
coerenza al proprio ideale e stato di vita.
Cercando di evidenziare alcuni elementi sintetici del percorso che abbiamo cercato di fare si possono
evidenziare i seguenti aspetti.
In primo luogo abbiamo cercato di dare un orizzonte di riferimento al termine libertà partendo
dalla considerazione teorica che l’uomo è essenzialmente libero ma che deve diventare via, nel corso
della vita effettivamente più libero. Una libertà da considerare sia su di un piano orizzontale che su
quello verticale cioè di apertura a quelle che abbiamo chiamate “meta-esperienze”.
Abbiamo anche visto che il percorso evolutivo del bambino è un cammino verso una maggiore libertà
che implica però una riduzione via via maggiore delle possibilità umane (massime nel bambino). Solo
in questo modo la persona può però realizzare quegli scopi che sente centrali per se e per il “gruppo”
di appartenenza (sentimento sociale).
Se le prime mediazioni hanno la sensazione di essere più automatiche e vincolate dai processi
evolutivi biologici, con il passare del tempo e con la crescita della persona,sempre più queste
mediazione vengono veicolate dalla dimensione razionale e spirituale dell’uomo che lascia spazio a
quello che è più specifico della persona stessa.
La prospettiva del mondo dei desideri e del mondo dei limiti nella sua semplicità, ben si presta per
indicare un aspetto della dinamica evolutiva dell’uomo: mai pago dei suoi risultati e allo stesso tempo
sempre “condizionato” dalla sua situazione concreta che fa riferimento ad una storia e a situazioni
specifiche.
Si tratta comunque di andare oltre la semplice prospettiva del sentire per lasciare spazio alla
dimensione del desiderio vero motore della vita dell’uomo e che in sintonia con la volontà, lo porta a
concretizzare giorno dopo giorno la sua identità creativa. Concretamente la persona deve compiere un
percorso di accoglienza/accettazione di sé e dei propri limiti che vuol dire vivere anche lutti per le
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inevitabili “perdite”, reali e simboliche, che si incontrano Anche questo vuol dire diventare liberi da
ideali di onnipotenza narcisistica.
In generale se in passato il focus era posto sulla consapevolezza e sulla conoscenza degli elementi
inconsci del vissuto operante nella persona al fine di favorire una nuova situazione esistenziale, oggi si
tendono a considerare una molteplicità di situazioni e di fattori favorevoli e stimolanti il processo di
cambiamento.
La persona è chiamata da una parte a mettere in discussione sicurezze ed equilibri raggiunti in
precedenza per lasciare spazio alla internalizzazione di un nuovo modo di porsi nella realtà e nel
mondo. Non si tratta solo di pensare a nuovi equilibri da trovare, ma anche e soprattutto di nuovi
significati da attribuire in una logica di “interpretazione” al fine di vivere nel mondo in modo
soggettivamente creativo ed integrato nel gruppo di appartenenza e allo stesso tempo aperta ad un di
più che sempre si propone come nuovo orizzonte di ricerca.
Il segno di una crescita di libertà, rispondente alla realtà teleologica dell’uomo, è quello che possiamo
trovare nel momento in cui la persona ha internalizzato certi valori e cerca di viverli in modo creativo e
personale.
Se nel corso della formazione si verifica una rinnovata capacità di uscire da sé stessi e
dall’immediatezza di certi orizzonti ristretti e personali, per aprirsi agli altri e all’Altro, credo abbiamo
un segno che il percorso che la persona sta facendo è davvero un percorso liberante
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