Defining periurban areas: la previsione di questi

AESTIMUM 64, Giugno 2014: 79-93
Valentina Cattivelli
Dipartimento di Giurisprudenza,
Università degli Studi di Parma
E-mail: [email protected]
Keysword: periurban, urban
planning
Parole chiave: Periurbano, strmenti
urbanistici
Defining periurban areas: la
previsione di questi territori negli
strumenti urbanistici di alcune
regioni italiane
Today, the suburban is the predominant portion of each
area. It combines the main features of urban and rural
areas and it is therefore difficult to locate. Despite these
difficulties, the policy makers should zone their territories
and incorporate the results in the existing planning instruments. The distinction among territories is important to
better orient local actions.
This paper proposes aims to understand how some Italian
regional legislators have defined the surrounding areas in
their zoning laws and plans in force.
JEL: R58, R10, R14
1. Introduzione
Attualmente, la città contemporanea è disordinata, frangiata, coalescente e ricercatrice (Cattivelli, 2012a). La sua forma è porosa ed incontrollata perché vede
venire meno la chiarezza della distinzione dei suoi elementi costitutivi e dei suoi
confini (Donadieu, 2012) che, in passato, costituivano separazione dall’ambiente
esterno, ragione del rafforzamento del senso di protezione e d’appartenenza alla
comunità in essa insediata (Gailing, 2010).
Da essa parte una fitta ramificazione di relazioni materiali ed immateriali che
si estendono in un paesaggio nuovo che non è più città e nemmeno campagna,
ma è un continuum insediativo interconnesso ed esploso (Camagni, 1999; Pior et
al., 2011, solo per citarne alcuni), per formare una megalopoli policentrica con momenti di concentrazione o di diffusione lavorativa (pendolarismo) ed insediativa
(città dormitorio, pendolarismo orbitale e congestione) (Vobeka, 2009; Helminen et
al., 2010).
Il suo modello morfologico prevalente è lineare e polinucleare e si sviluppa
lungo una direttrice di traffico intercomunale (Lanzani, 2011). All’inizio, è disgregato e rarefatto e, con il tempo, finisce disgregato denso per effetto, dapprima, di
una tensione centrifuga, che tende ad espandere l’area di frangia, ed, in seguito, di un’altra di tipo centripeto, che parzialmente colma i vuoti, a cominciare da
quelli più interni (Caruso et al.,2007; Socco, 2007; Treu, 2010). Il loro riempimento
non è scontato: spesso sono residuali, altre volte di estensione ridotta, altre volte
DOI: 10.13128/Aestimum-14710
© Firenze University Press
www.fupress.com/ceset
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incuneati tra insediamenti molto densi. In questo caso, è possibile che siano lasciati al degrado e quindi aumentino il depauperamento del suolo e l’inquinamento.
Nella città che si viene così a creare, l’agrotessuto rimane in poche aree, intercluse nella trame infrastrutturali ed edificate della periferia ed è minacciato. Le
aree rurali circostanti sono infatti asservite, in una logica urbanocentrica, alle pressanti esigenze di sviluppo delle frange urbane, e convertite a suolo edificabile per
soddisfare la domanda insediativa. Anche se a causa della crisi, tale richiesta, sia
da parte degli individui per nuove abitazioni o delle imprese per nuove localizzazioni di unità produttive, è diminuita (Istat, 2012), resta da risolvere il problema di
connettività di isole abitative e produttive e di completamento dei progetti già in
essere. Il rischio infatti è che queste case o questi impianti rimangano “scheletri”
vuoti, mal collegati e che quindi alterino l’equilibrio urbano-rurale senza però apportare alla comunità locale benefici economici o sociali.
Nonostante tale flessione, la difesa dei territori rurali residuali resta ovunque
incerta: dopo averli alterati, i pianificatori cercano di preservarli entro i piani di
edificazione perché ne riconoscono l’importanza per la produzione di risorse primarie scarsamente riproducibili, la preservazione di condizioni ecologiche più salubri e dall’offerta di luoghi per la fruizione del tempo libero da parte dei cittadini
(Bassi, De Poi, 2010; Gets-Escudero, 2011). Non solo, molti di essi, seppur in aree
marginali, cercano di valorizzarne le attitudini e le valenze ambientali e paesaggistiche, anche di concerto con fondazioni, associazioni di volontariato e privati cittadini. Costoro sono particolarmente attivi in progetti di orti urbani, recupero dei
territori degradati, educazione alimentare trovando, in queste attività, occasione
per condividere esperienze e buone pratiche e conoscere i tempi ed i cicli della
natura meglio. Mininni riassume giustamente questi ultimi aspetti quando scrive:
“Capita però sempre più frequentemente nel contesto europeo che queste aree
esprimano una inaspettata attività e produttività, che accanto a forme ed economie del mondo rurale propongano attività innovative e creative che dipendono
dalla prossimità urbana, assolvendo in tal modo al bisogno di natura e di spazi per
lo svago e il tempo libero dei cittadini” (2006). Al contempo, però, anticipa un altro tema, quello della “inaspettata attività e produttività”. Il territorio periurbano è
ambito produttivo importante, ma alla ricerca della propria specializzazione. Dapprima, si è “svuota” di alcune attività (prevalentemente quelle a maggiore dotazione di capitale fisico) a causa dei cambiamenti localizzativi indotti dall’affermazione
di modelli di produzione flessibili tipici delle economie a rete e dalla contrapposizione tra luoghi di produzione, accesso alle risorse complementari ed ai mercati;
ora, si ritrova a doverle assorbire nuovamente al proprio interno, in un contesto
territoriale fortemente terziarizzato (Eurostat, 2012; Cattivelli,2012b).
Tale problema è tanto grande quanto maggiore è la capacità delle amministrazioni locali di attirare le imprese “rientranti”; tuttavia, la loro proliferazione sugli
stessi territori rende difficile il loro coordinamento e quindi l’attuazione di corrette
azioni di promozione dello sviluppo. Dal punto di vista della governance, quindi,
le aree periurbane sono costruite per progetti a causa dell’abbandono dell’idea di
un piano condiviso ed unificante. Sono aperte, autonome non solo nel senso del
decentramento decisionale, ma anche della capacità di auto-regolazione e di ge-
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stione delle risorse comuni, che è difficilmente inquadrata quale elemento territoriale importante nelle azioni di pianificazione.
Da tutto ciò emerge con forza che il paesaggio periurbano è parte integrante
del rapporto tra città e campagna, ma che è difficile da inquadrare in uno schema regolatorio ben preciso. Lo sforzo è però necessario: date le sue caratteristiche
eterogenee, è raramente facile da governare e da sostenere nelle direttrici del suo
sviluppo. In questo esercizio, le regioni italiane si sono impegnate con esiti diversi.
Alcune sono riuscite ad includere nelle loro specifiche leggi urbanistiche la previsione di questi territori; altre confusamente hanno individuato spazi dei quali non
è chiara la destinazione o l’uso; altre ancora li hanno ignorati o hanno preferito
declinare con maggiore dettaglio i già noti territori rurali ed urbani.
Il presente paper si propone come obiettivo quello di capire come alcune regioni italiane abbiano previsto e regolato nelle loro leggi urbanistiche i territori periurbani e se i relativi piani abbiano recepito tali prescrizioni. La scelta delle regioni da considerare è stata dettata dalla volontà di considerare regioni fortemente
urbanizzate, in cui, oltre a grandi città, vi sono città di medio o piccole dimensioni
fortemente correlate a processi di espansione urbana che hanno prodotto fenomeni di conurbazione urbana e di perdita di identità urbana e rurale.
2. La previsione delle leggi urbanistiche regionali. Il caso della Regione Emilia
Romagna
La Regione Emilia Romagna ha una dinamica demografica articolata. Per tutti
gli anni ’70 ed ’80 ha registrato un declino demografico dovuto per lo più ad una
riduzione delle nascite ed un progressivo, ma evidente, invecchiamento della popolazione. In seguito, una fase particolarmente positiva collegata all’immigrazione
straniera che ha sostenuto e sostiene tuttora la ripresa della natalità ed il miglioramento di tutti gli indici strutturali della popolazione. Questa dinamica non segue
però quella dell’urbanizzazione: a una pressappoco situazione di parità demografica
corrisponde invece il raddoppio del costruito. La superficie regionale occupata da
insediamenti residenziali, produttivi o commerciali è pari a circa l’8,5% del totale.
Seppur si tratti di un valore relativamente contenuto (la Lombardia registra un valore pari al 13%, per esempio), le stime future mostrano una crescita preoccupante del
15% nei prossimi 10-15 anni. A questa fa da contro altare una riduzione di quasi 8
punti percentuali nel suolo agricolo sceso, in dieci anni, dal 67,04% al 59,58% (Regione Emilia Romagna, 2012). Molti di questi dati dipendono dall’attuale distribuzione
territoriale delle attività produttive. Negli ultimi anni, la regione ha registrato una
crescita del settore terziario che ha importato una redistribuzione spaziale delle attività economiche in favore dei processi urbani; al contempo, ha visto un sensibile
processo di deindustrializzazione che ha interessato in gran parte le aree a maggiore
densità imprenditoriale ed ha modificato le tradizionali forme di integrazione funzionale portando così ad un graduale spostamento dalla forma organizzativa del distretto a strutture relazionali verticali fondate sulle prossimità tecnologica.
Tutti questi processi hanno quindi modificato la struttura urbana.
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Questa infatti è costituita da poli urbani che contemporaneamente sono autonomi nella determinazione dei propri cicli di vita, ma che ben si inseriscono
in una rete regionale lineare non perfettamente gerarchicamente strutturata determinandone livelli di intensità molto alti, ma rotta agli estremi dalle pentapoli
sudlombarda e romagnola. Ciascuno di essi soffre di due tensioni espansive: una
interna che li porta ad ampliarsi all’interno, tentando di riqualificare gli spazi vuoti od ad andare a riempire quelli createsi nell’interno delle reti infrastrutturali periferiche; l’altra esterna che favorisce la congiunzione di frange urbane che, pur
vantando relazioni sociali ed economiche simili, afferiscono ad ambiti amministrativi differenti. La combinazione di entrambe le forze porta a ridurre la ruralità a
contesti territoriali sempre più periferici o montani ed a trasformare le periferie in
ambiti periurbani. Ciò è maggiormente visibile nelle aree di pianura delle province di Bologna, Modena e Reggio Emilia, ma anche le zone pedemontane reggiane
e modenesi coincidenti con il distretto delle ceramiche, oltre all’area compresa da
Cesena e Santarcangelo di Romagna. Solo nella fascia appenninica e nell’area del
delta del Po, si assiste invece a un parallelo fenomeno di ricompattazione del territorio, dovuto in larga misura allo spopolamento dei piccoli centri isolati ed alla
conseguente rinaturalizzazione di aree precedentemente coltivate.
La regione opera da anni diversi tentativi per pervenire ad una definizione di
tali aree ed alla loro inclusione entro piani di sviluppo coerenti ed armonici. Tali
attività hanno avuto esiti incerti tanto che non si è pervenuti ad una definizione
univoca e nemmeno alla implementazione di progetti di sviluppo urbano-rurali
intraprovinciale.
Vi è però certezza sulla definizione degli “gli ambiti agricoli periurbani”. La
Legge regionale 20/2000 definisce all’Art. A-20 che, in tali ambiti, la pianificazione debba perseguire prioritariamente il mantenimento della conduzione agricola
dei fondi, la promozione di attività integrative del reddito agrario dirette al soddisfacimento della domanda di strutture ricreative e per il tempo libero volte al
miglioramento della qualità ambientale urbana, attraverso la realizzazione di dotazioni ecologiche e di servizi ambientali. Altresì deve individuarli “di norma nelle
parti del territorio limitrofe ai centri urbani ovvero in quelle intercluse tra più aree
urbanizzate, aventi una elevata contiguità insediativa”. Non esclude che in tali
aree si realizzino parchi periurbani (o agroparchi) e aree di mitigazione anche ai
fini del potenziamento dell’agriturismo e delle tecniche di coltura biologica, nonché di formazione di barriere a ridosso ed a protezione delle aree non interessate
dalle arterie viabilistiche. Parimenti, evidenzia la destinazione ad attività in grado
di concorrere alla diversificazione delle fonti di redditività agricola e che mantengano o potenzino la vocazione naturalistica ed agricola del fondo. Auspica poi la
coerenza progettuale con il concetto di “comunità-territorio”, sul modello inglese
delle “Transition Town” (Citta di Transizione). Non esclude la possibilità di costituire delle zone agricole di comunità dove i proprietari possono avere la possibilità di presentare (anche in risposta ad un bando) un Piano di Sviluppo Aziendale
all’interno del quale proporre un agroparco.
In tali aree, i margini di manovra per i comuni sono limitati: occorre infatti che
si limitino ad interventi diretti di manutenzione, di recupero, di ristrutturazione
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del patrimonio edilizio esistente senza cambiare l’uso prevalente o presentare un
PUA supportato da convenzione attuativa ai sensi dell’art. 18 L.R. 20/2000 nei casi
in cui è previsto all’Art. 24 in materia di perequazione urbanistica-ambientale.
In aggiunta, la legge regionale definisce “gli ambiti agricoli di margine” che
coincidono con le aree agricole limitrofe ai centri urbani che, per caratteristiche geomorfologiche ed assenza dei vincoli d’intervento di cui alle norme in materia di
tutela naturalistica o paesaggistica, potrebbero essere interessate da nuove edificazioni agricole, da contenere per prevenire contrasti con la prevalente funzione residenziale dei tessuti urbani consolidati e prossimi agli ambiti agricoli periurbani.
Il suo Piano Territoriale Regionale (PTR) ha una struttura particolare perché si
basa sull’assunzione che il capitale territoriale non sia solo dato dalle infrastrutture
e dalle regole di governo del territorio, ma anche il capitale cognitivo, il capitale
sociale, quello insediativo-infrastrutturale e quello ecosistemico-paesaggistico. In
tal modo, evidenzia che il territorio non è solo mero contenitore dello sviluppo,
ma fattore produttivo autonomo, insieme di risorse materiali ed immateriali, naturali ed antropiche, pubbliche e private che siano in grado di modificare positivamente il benessere e la qualità della vita, oltre all’efficienza ed alla competizione
produttivo.
Proprio data la sua importanza, il PTR emiliano-romagnolo evidenzia da più
parti la necessità di regolarlo più che di definirlo. Non esclude la costituzione di
nuovi insediamenti logistici a supporto del sistema infrastrutturale, di nuove polarità urbane per favorire il decentramento di alcune funzioni, per coglierne l’eccellenza oppure per ridurne i costi, ma qual che conta è che in tale attività non
si costituiscano nuovi “non luoghi” o si occupi altro territorio agricolo, ma si ricorra a forme di (ri)uso di aree urbane, periurbane e si costruisca una rete verde
di interconnessione tra aree urbane e rurali. In particolare, per le aree periurbane,
stabilisce che si debbano riprogettare e compattare per recuperare funzioni diversificate e complementari alla residenzialità (salubrità e godibilità dell’ambiente, per
esempio) e non debbano più essere considerati quali spazi “in attesa” di successiva urbanizzazione. L’intervento del policymaker regionale si concentra poi sull’importanza dei “limiti” come elemento di riconoscibilità, separazione, equilibrio; pertanto, rafforza tutti gli elementi che possono concorrere a definire nettamente le
aree agricole da quelle urbane.
Di questo, è colta la “natura” multifunzionale, sia nelle aree montane che in
quelle ad elevata ruralità, da potenziare soprattutto nelle aree di pianura a forte
specializzazione distrettuale, anche a sostegno di azioni di volontariato attivo della
popolazione locale. Dell’agricoltura periurbana sono riconosciute importanti funzioni di controllo sulla crescita urbana e di gestione dei suoli, oltre che di interconnessione con lo sviluppo urbano. Ne vengono poi specificate le modalità di conduzione (spazi verdi, coltivati, boscati, attrezzati a giardino, orto), ma non dove è
praticata. Potrebbe essere realizzata nei già citati ambiti agricoli periurbani oppure
in altre aree; ma è la legge urbanistica che rimanda ai comuni ed ai loro POC i
progetti di tutela di recupero e valorizzazione del territorio rurale di cui all’art. 49
nonché la realizzazione di dotazioni ecologiche o di servizi ambientali negli ambiti
agricoli periurbani ai sensi del comma 4 dell’art. A-20 dell’Allegato.
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Questi non costituiscono spazi privilegiati di azione: il PTR considera tali “la
città effettiva” e i “sistemi complessi di area vasta” che diventano pertanto i territori preferiti per le azioni di governance territoriali suggerite. Comune, provincia
così come aree urbane, rurali e periurbane sono archetipi territoriali superati perché, secondo questo documento, le trasformazioni territoriali hanno reso necessarie nuove forme di cooperazione tra istituzioni. Queste sono altresì disciplinate
dalla legge urbanistica regionale.
3. Il caso della Regione Lombardia
La regione Lombardia è popolata da quasi 10 milioni di persone. Di queste,
oltre i due terzi vivono in comuni ad alta urbanizzazione, il 26,2 % in comuni a
media urbanizzazione e meno del 6% vive in comuni dal basso grado di urbanizzazione (Istat, 2013). La sua densità di popolazione è molto alta. La provincia di
Milano ha una densità di popolazione di poco superiore a 2.000 abitanti/km2. La
provincia di Monza e Brianza, seppur vanti una popolazione di poco più di 800
mila abitanti, registra una densità di popolazione di quasi 2.100 abitanti/km2. Anche le altre province registrano valori alti, ma di molto inferiori. Lecco e Como registrano valori doppi, Varese addirittura quadrupli rispetto alla media nazionale.
Solo Sondrio, Pavia e Mantova vantano valori di densità inferiori.
Anche la sua configurazione geomorfologica è particolare.
La regione si estende per più di 23.800 km2, di cui il 47% è pianura, il 40%
montagna ed il 12,5% collina (Istat, 2010). Il paesaggio è alquanto variegato. A
nord comprende parte della catena alpina e delle valli glaciali solcate da quattro
grandi laghi (Maggiore, Como, Iseo e Garda) e separate da una fascia collinare
dalla valle del Po (parte della Pianura Padana) che si estende fino alla catena appenninica. Soffre però nella disponibilità di vegetazione naturale.
Tutta la regione è poi area fortemente urbanizzata tanto da configurarsi quale
tessuto consolidato di poli urbani funzionali di differenti dimensioni, sviluppato
secondo una rete infrastrutturale densa, ma insufficiente per le attuali esigenze di
mobilità (ASR, 2012).
Ha ragione Bonomi (2011) quando individua in questa regione ben 4 diverse
realtà urbane. La piattaforma della “pedemontana lombarda”, tra Varese e Brescia,
a formare una “città infinita”, policentrica, ma senza centro, la piattaforma della
“bassa padana” che corre lungo l’asse che va da Pavia a Mantova, la piattaforma
milanese e l’area dell’”arco alpino” sono tutte aree che insistono nella stessa regione, ma che mostrano livelli di frammentazione nella loro geometria urbana e
nella loro composizione sociale che le rendono uniche. La loro unicità passa anche
dalla lettura dei dati circa lo sfruttamento dei suoli. Questi mostrano infatti che le
piattaforme meridionali ed orientali sono quelle a più elevato consumo di suolo
perché è in atto una intensificazione dello diffusione spaziale delle attività insediative. In questi territori, infatti, sono convertite aree urbanizzate, dismesse o degradate, ma non per realizzarvi aree verdi, piuttosto per trasformarle in aree più
confortevoli o attrezzate per le abitazioni e le attività produttive. Gli elementi na-
Defining periurban areas
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turali ed agricoli in esse residuali non sono ripristinati totalmente e sono progressivamente sostituiti da altre strutture artificiosamente rurali (Regione Lombardia,
2011). Di contro, in quelle centrali i valori rimangono alti, ma in flessione, grazie
ad azioni di recupero e di riqualificazione di aree dismesse o lasciate libere da precedenti azioni di urbanizzazione (Regione Lombardia, 2011). La diffusione urbana
è quindi comune a tutte le provincie lombarde; tutte soffrono per una periurbanizzazione dei loro territori.
Nonostante questo fenomeno sia così diffuso la regione non si impegna nella
definizione della sua estensione, ma la propria legge urbanistica, la legge regionale
n.12/20051 impone in capo ai comuni di effettuare una corretta progettazione del
Piano di Governo del Territorio, anche mediante una accorta attività definitoria
degli ambiti agricoli coerente con le prescrizioni di cui al Sistema Rurale Paesistico
Ambientale2 di cui al PTR (deliberato con DGR del 16 gennaio 2008, n.8/6447 e oggetto di modificazioni successive, l’ultima tuttora in corso). Non si fa, in tale legge,
alcun riferimento agli ambiti agricoli periurbani o a zone agricole sostanzialmente
incorporate nel tessuto urbano di particolare rilevanza ambientale ed agronaturale degne di particolare tutela, bensì ai soli “ambiti agricoli strategici”, ossia quelle parti di territorio provinciale aventi particolare importanza sotto il profilo congiunto dell’esercizio della attività agricola e delle caratteristiche agronomiche del
territorio. Questi ambiti sono individuati dal Documento di Piano di cui all’art.8,
in conformità alle indicazioni del PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) e del Piano delle Opere (art.10) perché se ne rinviene la rilevanza delle
attività agricola, la loro estensione su scala sovracomunale, anche in rapporto ad
eventuali economie di scala o di caratteristiche filiere produttive. Il comma 4 art.15
della stessa legge regionale così come integrata dalla DGR 19/09/2008 n.8/8059 stabilisce infatti che “Il PTCP, infatti, acquisite le proposte dei comuni, definisce, in
conformità ai criteri deliberati dalla Giunta regionale, gli ambiti destinati all’attività agricola di interesse strategico, analizzando le caratteristiche, le risorse naturali
e le funzioni e dettando i criteri e le modalità per individuare a scala comunale le
aree agricole, nonché specifiche norme di valorizzazione, di uso e di tutela, in rapporto con strumenti di pianificazione e programmazione regionali, ove esistenti”.
I comuni quindi sono chiamati a definire gli ambiti agricoli di interesse strategico ed, al contempo, le aree di rilevanza per l’attività agricola e per le sue funzioni economiche, produttive, ambientali praticate a livelli locale, ma non provinciale
e non regionale.
In aggiunta, la legge impone la verifica della classe del valore agroforestale da
individuare secondo una procedura nota, gli aspetti socioeconomici del settore pri-
1 Oggi
2
in corso di revisione.
Il Sistema rurale paesistico ambientale è definito dalla DGR del 16 gennaio 2008 n.8/6447 quale
“territorio prevalentemente libero da insediamenti o non urbanizzato, naturale, naturalistico,
residuale o dedicato ad usi produttivi primari; questo spazio territoriale concorre, unitamente
agli ambiti del tessuto urbano consolidato ed agli ambiti di trasformazione, a formare la totalità
del territorio regionale”.
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mario con particolare riferimento alla sua competitività, la vocazione turistico-fruitiva dell’attività agricola, la ricognizione di elementi naturali ed ambientali connessi
alla attività agricola, anche con specifico riferimento alla Rete Ecologica Regionale,
l’interferenza con le aree urbanizzate e le infrastrutture viarie ed il collegamento
con le aree territoriali del Programma di Sviluppo rurale 2007-2013. Non prevede
però alcun contributo alle aziende agricole od ad altri operatori per incentivare lo
svolgimento di funzioni di tutela e di miglioramento dell’ambiente naturale.
Altresì, si rinviene nella lettura dell’art.43, comma 2-bis, della stessa legge la
penalizzazione delle attività di sottrazione di suoli destinati ad attività agricole per
altri finalità costruttorie. Si legge infatti che gli interventi di nuova costruzione che
comportino la riduzione della superficie agricola disponibile sono assoggettati ad
una maggiorazione del contributo di costruzione, nella misura determinata dai
singoli comuni, che, obbligatoriamente, è poi destinata ad “interventi forestali a
rilevanza ecologica e di incremento della naturalità”. Pertanto, la diversa zonizzazione del territorio non è impedita, ma scoraggiata e i maggiori introiti non possono essere destinati ad altri scopi se non quelli di portare nuovamente in equilibrio
la naturalità locale3. Rimane ferma la disciplina in materia di individuazione degli
ambiti agro-silvo-pastorali, degli ambiti agricoli di salvaguardia e di rilevanza paesaggistica (zone a prati terrazzati come definite dal Parco dell’Adamello) e degli
ambiti agricoli ricomprese nelle zone di protezione speciale (ZPS) e dei siti di importanza comunitaria (SIC).
Il PTR recepisce in parte tali prescrizioni. Non dà una definizione di territorio
periurbano, ma, da più parti, lo riconosce quale componente importante. Non a
caso, il suo contenimento è obiettivo essenziale degli elementi pianificatori posti
alla base di tutta l’attività di riordino territoriale. Tra questi, figurano l’ordine e la
compattezza dello sviluppo urbanistico, l’equipaggiamento con essenze verdi, a
fini ecologico-naturalistici e di qualità dell’ambiente urbano e l’utilizzo razionale
e responsabile del suolo e la minimizzazione del suo consumo. Con riferimento
a questo ultimo principio, il PTR fa propria la prescrizione di legge regionale che
riconosce il suolo come bene comune e in particolare quello agricolo quale spazio dedicato alla produzione di alimenti, alla tutela delle biodiversità, all’equilibrio
del territorio e dell’ambiente; pertanto, evidenzia che il suo uso contenuto sia scelta strategica per il raggiungimento dell’effettiva sostenibilità delle trasformazioni
territoriali e monitora le scelte pianificatorie locali affinché siano coerenti con la
diminuzione dei fenomeni di dispersione insediativa, il rapporto tra nuove trasformazioni ed i reali fabbisogni insediativi, oltre che la diminuzione di nuovi insedia-
3
Successivamente, l’art.21 della Legge Regionale 7/2010 istituisce un ulteriore fondo ad incremento delle risorse già esistenti per gli scopi di riequilibrio naturali. Le risorse ivi disponibili
provengono, oltre che da risorse regionali, anche dai proventi delle maggiorazioni dei contributi di costruzione derivanti da interventi in aree ricadenti in ”accordi di programma o programmi integrati di intervento di interesse regionale; comuni capoluogo di provincia; parchi
regionali e nazionali; proventi delle maggiorazioni che i comuni non capoluogo di provincia
decidano di destinare al fondo; altre risorse”.
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menti in aree libere a vantaggio del recupero di aree già trasformate o degradate
o dismesse. A tal fine, non esclude di introdurre soglie percentuali di consumo di
suolo sostenibile per sistemi territoriali omogenei, salvaguardando in via prioritaria le superfici agricole e prevedendo la compensazione ambientale preventiva
quale forma di credito esigibile dalla comunità e prevedere procedure incentivanti
il riuso prioritario di suoli/immobili dismessi. Parimenti, trova importante l’esame
dell’impatto paesistico per interventi urbanistici che prevedono l’utilizzo di suolo
libero e delle tempistiche di adeguamento degli strumenti di pianificazione locale.
Quello del contenimento del suolo ritorna come obiettivo specifico poi delle
diverse aree tematiche e dei vari sistemi territoriali che il piano individua.
Con riferimento alle prime, merita particolare attenzione la TM 2.10 “Perseguire
la riqualificazione e la qualificazione dello sviluppo urbano” che fissa come obiettivi quello del riuso del patrimonio esistente, anche dismesso, a sostegno della riqualificazione complessiva, e non parziale, dell’ambito urbano nonché quello della
creazione di sistemi verdi nei contesti urbani ed a protezione delle aree periurbane.
Al contrario, con riferimento ai secondi, l’attenzione al periurbano è più marcato, soprattutto limitatamente al sistema metropolitano milanese. Qui infatti si
auspica l’applicazione di modalità di progettazione integrata tra i vari tipi di paesaggio, urbano, periurbano, infrastrutturale e dei grandi insediamenti, a tutela
delle caratteristiche del territorio. In tale attività, precisa la necessità di applicare
sistematicamente modalità di progettazione integrata, di valorizzare anche le reti
di polarità urbane minori, di recuperare aree dismesse, ma qui, con una logica di
maggiore efficienza che contenga anche considerazioni circa l’insediamento di servizi pubblici e di verde. La difesa del suolo torna anche qui come tema evidente;
tuttavia, si dà maggiore evidenzia alla sua dotazione di verde ed al suo ridisegno
nelle aree di frangia, per il miglioramento della qualità del paesaggio periurbano
ed il contenimento di fenomeni conurbativi. Soprattutto per il sistema della pianura irrigua, è poi incentivata la multifunzionalità degli ambiti agricoli, per creare
nuovi posti di lavoro, mantenere la pluralità delle produzioni rurali e sostenere il
recupero delle aree di frange. E’ poi sottolineata l’importanza della conservazione
degli spazi agricoli strategici nonché di quelli periurbani come ambiti di mediazione tra città e campagna. Quasi a naturale collegamento di tutti questi obiettivi,
il documento programmatorio individua la Rete Verde Regionale come utile strumento per la ricomposizione, la salvaguardia paesistica, il contenimento dei processi conurbativi ed il riordino degli spazi periurbani.
4. La Regione Calabria
Questa regione ha una struttura territoriale che poggia su di un policentrismo di realtà urbano-rurali di piccole dimensioni. La loro specificità è strettamente
connessa al carattere rurale dei luoghi tanto che le aree urbane e rurali si intrecciano creando un paesaggio eterogeneo e diversificato. Solo il 9% del territorio è pianeggiante, il 41% è montano ed il 50% è collinare (Istat, 2012). A ciò, si aggiungono le trasformazioni dell’economia regionale che, di fatto, ridisegnano il territorio
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secondo un modello basato sull’attivismo di gruppi di città tra loro simili per affinità sociali, culturali ed economiche. Molto spesso, si assiste alla rottura dei confini
amministrativi comunali, tanto che alcune città hanno cominciato a pensare non
più come se fossero semplici comuni, ma come organizzazioni più complesse, seppur non propriamente definite. Le più attive, in tal senso, sono le aree attorno al
capoluogo, nella Sibaritide, sulla costa tirrenica.
Dopo che gli studi sullo stato della pianificazione locale hanno messo in evidenzia il mancato coordinamento tra gli strumenti di pianificazione sovracomunale determinando una sorta di vuoto nel governo del territorio ai livelli più alti,
regionale e provinciale, la regione comincia a riflettere sullo sviluppo di una strategia di azione incentrata su sistemi territoriali intercomunali. Parimenti, impone
l’inserimento della programmazione territoriale in una visione integrata tra pianificazione urbanistico-territoriale, sistema paesaggistico e sostegno all’economia
locale. Si impegna nella definizione delle “polarità urbane”, anche a livello legislativo, e sul recupero dei centri storici o della prima periferia. La seconda, quella
più lontana, sembra abbandonata, e rimane area scarsamente collegata e tutelata.
La volontà è quella di rafforzare le potenzialità del sistema urbano come luogo di
attrazione di funzioni e di servizi specializzati, oltre che di connessione e di servizi
per lo sviluppo del territorio, aumentare la fruizione dello spazio urbano e migliorare la mobilità ed infine riqualificare il tessuto edilizio urbano.
Gli interventi di localizzazione e di programmazione delle infrastrutture, degli
insediamenti produttivi e residenziali, le azioni di tutela dell’ambiente avvengono
attraverso l’ausilio di strumenti urbanistici comunali.
I decisori locali preferiscono rafforzare i collegamenti centro-periferia e quelli
con i principali nodi infrastrutturali nazionali ed internazionali piuttosto che quelli
tra le realtà urbano-rurali minori.
La loro idea di pianificazione passa per il tentativo di integrare l’articolazione
funzionale con la qualità del sistema insediativo urbano e regionale attraverso la
creazione di condizioni per lo sviluppo economico e la rigenerazione urbana, oltre
alla integrazione del livello di pianificazione urbana con quello della crescita sociale e produttiva.
Queste scelte sono “urbanocentriche” e portano inevitabilmente a sottostimare
la specificità delle aree periurbane ed a non includerle in piani di riqualificazione
di più ampio respiro, siano essi regionali che comunali.
Non è quindi un caso che la legge urbanistica regionale n.19/2002 non le preveda o non provveda alla caratterizzazione di aree di espansione urbana o con
presenze sporadiche di costruzioni rurali. Precisa però all’art.5 che fanno parte del
“sistema insediativo”. All’interno di questo, individua infatti gli insediamenti urbani, periurbani e diffusi, residenziali, industriali/artigianali, agricolo-produttivi e
turistici e distingue tra i periurbani i suoli agricoli abbandonati contigui agli ambiti
urbani, i suoli agricoli di uso civico e collettivi contigui agli ambiti urbani ed i sistemi insediativi diffusi extraurbani privi di organicità.
La stessa legge detta l’obbligo in capo alle amministrazioni locali di individuazione nei loro territori non ritardando così una più corretta zonizzazione territoriale, ma anche lo studio delle trasformazioni territoriali. Rimanda infatti al Piano
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Strutturale Comunale (PSC) la classificazione del territorio comunale in urbanizzato, urbanizzabile, agricolo e forestale, individuando le risorse naturali ed antropiche del territorio e le relative criticità ed applicando gli standard urbanistici fissati
dalla stessa legge urbanistica oltre alla delimitazione degli ambiti urbani e periurbani soggetti al mantenimento degli insediamenti o alla loro trasformazione. Riserva poi attenzione alla qualificazione del territorio agricolo e forestale in allodiale,
civico e collettivo, secondo le specifiche potenzialità di sviluppo ed individua gli
ambiti di tutela del verde urbano e periurbano valutando il rinvio a specifici piani
delle politiche di riqualificazione, gestione e manutenzione.
Del suolo, stabilisce che gli strumenti urbanistici debbano tutelarlo, nell’individuazione delle zone agricole, al fine di salvaguardarne il valore naturale ed ambientale, oltre che la sicurezza da dissesti idrogeologici. Al contempo, questi devono promuovere la sua permanenza nelle zone agricole, anche migliorando le
condizioni insediative, ma devono recare misure stringenti per il contenimento del
suo uso o la trasformazione per usi insediativi, come avviene in altre regioni, perché è stabilito che nelle zone a destinazione agricola è comunque vietata ogni attività comportante trasformazioni dell’uso del suolo tanto da renderlo incompatibile
con la produzione vegetale o con l’allevamento e valorizzazione dei prodotti oltre
che ogni intervento comportante frazionamento del terreno a scopo edificatorio
(già lottizzazione di fatto) e la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e
secondaria del suolo in difformità alla sua destinazione.
Le aree rurali non sono molto “valorizzate” nel senso che solo il primo Quadro
Territoriale Regionale a valenza Paesaggistica (QTRP) del Dicembre 2009 le include
tra i territori regionali di sviluppo (TRS)4. Tale documento ne evidenzia il crescente
processo di sottoutilizzazione ed i rischi di depauperamento delle risorse naturali
presenti. Al contempo, evidenzia la “negatività” del periurbano tanto che ne propone l’arresto oppure la rigenerazione dei tessuti per integrarli nel contesto rurale
oppure connetterli alla città purché diventino ecocompatibili. Tutto ciò con particolare attenzione agli ambiti agricoli di pregio ed ai parchi agricoli urbani.
5. Conclusioni
Le realtà urbane e rurali sono oggi molto complesse e formano una rete di relazioni, dalle molteplici esternalità, che non possono essere dissolte, se non a rischio di disparità territoriali e di diminuzione della coesione sociale.
4
Questo documento recita che i TRS rappresentano le unità fondamentali di riferimento per la
pianificazione e programmazione regionale, all’interno dei quali trovano integrazione e coerenza le diverse Azioni strategiche e le politiche regionali di sviluppo e di coesione, nonché le
strategie di tutela e valorizzazione del paesaggio. I TRS sono individuati come territori caratterizzati da una propria identità geografica, storica e culturale, e dalle loro dinamiche di mutamento in atto e potenziali, ciò che li rende oggetto di una specifica e comune prospettiva di
sviluppo sostenibile.[…]. Da allora, i piani regionali hanno cominciato ad interessarsi anche ai
territori periurbani, nonostante la legge urbanistica li avesse già previsti molti anni prima.
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Tra questi territori, però, non occorre forzare la dicotomia; piuttosto, è preferibile guardarli come dimensioni autonome, “vittime” di un processo di osmosi che
rende difficile ogni tentativo, univoco e restrittivo, di rinvenire ad una mappatura
completa delle relazioni esistenti.
Ciò, in parte, giustifica le difficoltà delle regioni italiane di individuare i loro
territori; tuttavia, solo alcune sono da premiare perché si sono sforzate a delimitare i territori periurbani. La Regione Emilia Romagna è alquanto attenta e precisa, la Lombardia rimette ai propri comuni l’individuazione di ambiti agricoli definiti strategici e frettolosamente assimilabili ai periurbani. Le altre ignorano questi
ambiti territoriali e quindi le rispettive leggi urbanistiche andrebbero aggiornate
presto.
La zonizzazione infatti non deve essere considerato esercizio noioso od inutile,
ma attività indispensabile per poter individuare correttamente i territori e su di
essi attuare corrette politiche che risultino coerenti con le loro specificità.
Nonostante queste imprecisioni, queste leggi mostrano moltissimi elementi importanti tanto da essere ripresi e sviluppati maggiormente nei relativi strumenti di
programmazione regionale.
La legge regionale di Regione Lombardia, per esempio, definisce solo gli ambiti agricoli strategici e dà grande importanza alle aree verdi ed agricoli, ma non
dà incentivi alla loro conservazione. Ha però il merito di considerare il suolo come
“bene comune” e di cercare strumenti idonei per il suo contenimento, quali il recupero di aree dismesse o la diminuzione della dispersione urbana.
Il suo PTR pur non definendo bene le caratteristiche dei territori periurbani,
declina molti obiettivi in modo che comprendano il loro riordino ed il loro contenimento. Tuttavia, la loro formulazione rimane generica e, talvolta, di difficile
comprensione, proprio a causa dei vari aggiornamenti seguiti alle revisioni normative. In generale, tutta la struttura del PTR è si ricca di spunti, strumenti operativi, ma non è di facile comprensione. La sovrapposizione tra sistemi territoriali e
tipologie di paesaggi non corrisponde spesso ad una identica individuazione degli
obiettivi per gli stessi territori, ma risponde anche ad una difficoltà di individuare
un ambito di governo preciso per la pianificazione e la progettazione del territorio. Per ora, dalla sua lettura così come da quella della legge regionale, si evince la
necessità di integrare i vari strumenti di programmazione e favorire la collaborazione tra i vari enti territoriali; tuttavia, poca importanza è riservata all’adesione ai
processi di riordino da parte dei cittadini. Tale necessità è avvertita e ripresa anche
nel PTR dell’Emilia Romagna; tuttavia, qui si cerca di ripensarla nel senso di riaggregarla intorno a realtà territoriali diverse delle province o dai comuni, ma secondo la dimensione delle città effettive e dei sistemi complessi di area vasta. Anche
qui però il problema del periurbano è avvertito perché se ne rinviene la capacità
di distruggere l’agrosistema agricolo di periferia e alterare la qualità ambientale;
tuttavia, seppur ritenuto importante, il contenimento del consumo del suolo non
è considerato obiettivo così imperante come in Lombardia tanto che si preferisce
non tanto ridurre l’espansione urbana quanto piuttosto la fissazione di limiti che
distinguano nettamente le aree urbane da quelle rurali, anche grazie al potenziamento di reti verdi. Analogamente, è attribuita grande importanza all’agricoltura,
Defining periurban areas
91
soprattutto di margine. Rispetto ad altri piani, infine, il PTR emiliano-romagnolo
abbraccia una visione del territorio fortemente integrato con tutte le dimensioni
sociali, economiche ed ambientali.
La Calabria è la più “urbanocentrica” delle regioni considerata: i suoi documenti di programmazione da poco rilevano il problema dell’espansione urbana
disordinata e pongono in essere strumenti per la sua correzione. Nonostante tale
ritardi, è da apprezzare il tentativo di considerare aggregazioni territoriali che differiscano da quelli tradizionali dei comuni e delle province.
In generale, si rileva un’asimmetria temporale tra leggi regionali e strumenti
della programmazione: molto spesso, risalgono a molti anni fa ed i loro aggiornamenti non hanno cambiato drasticamente l’impianto originario. Parimenti, non
raccolgono e non governano le trasformazioni territoriali che appaiono molto più
veloci dell’operato degli organi di governo. Tale situazione può generare vuoti,
normativi e regolatori, che lasciano liberi i livelli di governo inferiore di determinare le destinazioni dei territori in maniera incoerente e poco organica. Ed è proprio l’esigenza di coordinamento tra i vari piani territoriali ad emergere con più
forza in entrambe le tipologie di atti pianificatori: è compito della regione creare
un quadro di contesto organico ed armonioso, ma è anche responsabilità rimessa ai comuni, alle province e talvolta ad altre aggregazioni territoriali di guardare
al territorio come ambito produttivo autonomo e svincolato da limiti amministrativi. Lo sforzo definitorio è quindi rimesso a diversi livelli: ciò giustifica in parte
l’imprecisione regionale nella classificazione dei territori. Questi sono molto differenti tra di loro ed una definizione univoca al km sarebbe inadatta; tuttavia, data
la proliferazione degli studi nella materia e l’evidenza paesaggistica possono aiutare almeno a distinguere territori che non sono solo urbani o solo rurali. L’elevato consumo di suolo, la distruzione dell’agrotessuto agricolo che rimane però
nei pochi cunei lasciati liberi, la dispersione insediativa sono tutte caratteristiche
di questi territori: fissare delle soglie agli indicatori che possono misurarli potrebbe essere un primo tentativo per costruire una tassonomia da replicare in tutti gli
strumenti urbanistici.
Se si allarga l’analisi non tanto ai principi definitori o di coordinamento territoriale, ma anche ai contenuti regolati, si evince pressoché ovunque (più in Lombardia ed in Emilia, meno in Calabria) dell’importanza dell’agricoltura, non solo
di margine, quale attività in grado di ridurre gli squilibri generati dall’espansione
urbana. Pur limitata ad aree poco estese, rimane attività critica, ricompresa in tutti i documenti ed esaltata come attività in grado di ridurre inquinamento e salvaguardare le risorse naturali. Per questo motivo, le aree in cui si pratica sono
previste, regolate e talvolta ben definite. Il divieto alla loro conversione per scopi insediativi non è previsto, tuttavia, sono ammesse delle trasformazioni solo se
ricorrono delle circostanze ben definite. Queste non sono così stringenti perché
continua a permanere ovunque una sorta di “paura” allo stop del consumo di
suolo, quasi volesse significare la limitazione alla crescita ed allo sviluppo economico locale. Per questo motivo, è maggiormente incentivato il ri-uso di terreni dismessi o inoccupati.
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Leggi e Piani urbanistici di:
•Lombardia;
• Emilia Romagna;
•Veneto;
•Calabria.
Siti (accessi in vari anni):
•Istat;
•Eurostat;
• ASR Lombardia.