la riforma della chiesa nell `anno mille prof . marcello pacifico

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“LA RIFORMA DELLA CHIESA NELL'ANNO
MILLE”
PROF. MARCELLO PACIFICO
Università Telematica Pegaso
La riforma della chiesa nell'anno mille
Indice
1
LA CRISI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 3
2
LA RIFORMA DEL PAPATO ---------------------------------------------------------------------------------------------- 9
3
LA CHIESA UNIVERSALE ------------------------------------------------------------------------------------------------ 12
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 15
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 La crisi
L’ordinamento ecclesiastico durante il X secolo aveva attraversato un periodo di profonda
crisi dovuta alla frantumazione del potere politico e alla conseguente mancanza del suo sostegno: i
laici iniziarono a influenzare l’elezione del papa e delle altre cariche ecclesiastiche, i membri del
clero trascurarono i loro doveri pastorali e si occupavano dei loro interessi mentre il livello culturale
e morale di tutta la Chiesa di abbassava inesorabilmente. A far peggiorare questa situazione
contribuirono vari aspetti di corruzione della Chiesa come la diffusione della simonia: questa era
una procedura di vendita delle cariche religiose ; infatti sovrani, vescovi e signori non esitavano ad
accettare denaro da chi volesse acquistare la dignità ecclesiastica. il problema dei chierici sposati:
tale fenomeno si diffuse molto nell’Italia meridionale a causa degli influssi della Chiesa greca che
invece ammetteva il matrimonio dei preti.
La crisi della Chiesa fu sentita molto dalla popolazione che negli uomini di Chiesa aveva
sempre riposto fiducia; le manchevolezze di questi ultimi furono perciò avvertite come molto gravi
e imperdonabili sia dai grandi signori che dai semplici fedeli.
La Chiesa però aveva le energie intellettuali per capire la natura di quei fenomeni e cercarne
la soluzione tanto che al suo interno nacque un movimento di riforma destinato a imprimere un
volto nuovo all’assetto organizzativo ecclesiastico.
I primi segni di rinnovamento si manifestarono all’interno dei monasteri, i luoghi dove
nonostante la crisi l’attività di studio e di riflessione teologica non era mai cessata. Nel corso del X
secolo all’interno di alcune realtà monastiche si sperimentarono nuove forme di convivenza fraterna
che riducevano al minimo i condizionamenti esterni.
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L’esperienza che si rivelò più feconda fu quella del monastero francese di Cluny, fondato
nel 910 da Guglielmo d’Aquitania e dall’abate Bernone; a Cluny venne applicata rigorosamente
un’organizzazione di tipo centralistico nel senso che i monasteri non erano autonomi l’uno
dall’altro e dovevano sottostare alla sola autorità dell’abate e del vescovo ma molti monasteri erano
sotto la guida del solo abate di Cluny. Questo si faceva aiutare dai priori e così poteva garantire
uniformità di governo e minori condizionamenti dall’esterno.
L’abate di Cluny inoltre godeva di immunità ed era dipendente direttamente dal papato;
novità importanti si ebbero anche in campo culturale e religioso infatti il lavoro manuale fu
completamente eliminato dai compiti dei monaci che ebbero così più tempo per dedicarsi sia alla
lettura giornaliera dei salmi, delle sacre scritture, delle vite dei santi sia per partecipare alle funzioni
liturgiche, ai culti dei santi, alla distribuzione dei pasti ai poveri.
Preghiere, riti e opere di misericordia erano i concetti su cui si fondava l’abbazia; l’obiettivo
era di creare una comunione universale tra vivi e defunti, benefattori e amici. Molti monaci si
dedicavano allo studio e all’attività letteraria volta a comporre opere utili all’edificazione morale di
laici ed ecclesiastici; si dava spazio alla preghiera e alle pratiche liturgiche ed inoltre alla
composizione di opere agiografiche.
I cluniacensi affidarono il lavoro manuale solo a servi e a coloni.
Il prestigio dell’abbazia di Cluny si diffuse presto in tutta Europa e il suo modello
organizzativo fu imitato da altri riformisti; il monachesimo cluniacense era caratterizzato però dalla
grandiosità dei riti e degli edifici e dalla grande disponibilità economica, tutti elementi che , per
contrasto, spinsero alcuni uomini a ricercare delle forme di spiritualità più vicine all’ideale
originario del Vangelo.
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Nei primi secoli dopo Cristo alcuni sentirono l’esigenza di isolarsi completamente dalla
società dando vita a quel fenomeno conosciuto con il termine di eremitismo. Intorno all’anno Mille
questo fenomeno riprese vigore proprio come una forma di religiosità più vicina all’ideale
evangelico di povertà e semplicità.
All’inizio alcuni uomini decisero di vivere lontano dalle città ma ben presto questi venivano
raggiunti da fedeli o da discepoli e nacquero piccole comunità di eremiti.
Al filone eremitico si deve collegare l’ordine dei Certosini fondato in Francia alla fine del
XI secolo da Bruno di Colonia; quest’ordine prese il nome dal luogo dove sorse la prima comunità
mentre i monasteri vennero chiamati certose.
Ogni certosa costituiva un grande complesso edilizio costituito da luoghi comuni di
preghiera e da celle singole ognuna dotata di un piccolo giardino in cui i certosini trascorrevano
gran parte della loro giornata.
Ordini religiosi di tipo eremitico furono fondati a Camaldoli (nell’Aretino). Un altro ordine
di tipo eremitico fu quello dei Cistercensi nato sempre in Francia (Citeaux) alla fine del XI secolo;
grande esponente era Bernardo di Chiaravalle.
I monaci cistercensi oltre a voler vivere solitudine avevano anche il desiderio di recuperare
lo spirito benedettino legato alla povertà e agli ideali evangelici. I cistercensi si insediarono in
luoghi paludosi e incolti che bonificarono con il loro lavoro; questi inoltre vollero restare sottomessi
ai vescovi che li premiarono favorendo la diffusione del loro ordine.
I Cistercensi erano in netto contrasto con i cluniacensi ma anche loro entrarono in crisi
quando cominciarono ad accumulare ricchezze e ad avere potere (le cose di cui tanto avevano
mosse critiche a Cluny); anche loro dovettero lasciare il lavoro manuale e pian paino persero quello
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slancio iniziale che li aveva caratterizzati e lasciarono campo libero all’affermazione degli ordini
mendicanti.
Un’altra componente importante del movimento di riforma della Chiesa fu costituita dalle
comunità canonicali; le prime comunità di questo tipo furono creata da Ludovico il Pio che con esse
aveva tentato di ripristinare la vita comune del clero in appositi edifici, i claustra canonicorum.
Con la crisi dell’ordinamento ecclesiastico anche queste realtà persero il loro spirito
originario ma coloro che animarono i movimenti riformistici capirono l’importanza della vita
comune, che si rivelava come una buona soluzione contro il concubinato, e cercarono di ripristinare
la vita in comune del clero.
Nel corso dell’XI secolo di formarono vere e proprie comunità canonicali costituite da
chierici che vivevano in comunione per imitare gli apostoli e prepararsi meglio all’esercizio del
ministero sacerdotale.
Questo clima di rinnovamento ecclesiastico forniva ai laici sempre più intense esperienze di
vita contemplativa lontane da quelle caratterizzate invece dalla corruzione materiale e morale che il
clero aveva vissuto nel passato.
Da sempre gli imperatori tedeschi avevano compreso quanto importante fosse l’appoggio del
clero a sostegno del loro potere; avevano anche cercato di far giungere al soglio pontificio prelati
dall’alta levatura morale e intellettuale e non ostacolarono in nessun modo il processo di
rinnovamento che interessò la Chiesa tra il X e l’XI secolo.
Enrico III, ad esempio, oltre che appoggiare i piccoli feudatari intraprese un’opera di
moralizzazione all’interno dei suoi territori; condannò i vescovi che conducevano uno stile di vita
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simile a quello dei grandi signori e appoggiò le forme di vita monastica come quella del monastero
di Cluny.
Nel 1046 Enrico intervenne anche per portare ordine e moralità a Roma; la gestione della
Chiesa era caduta in mano all’aristocrazia romana che aveva eletto ben tre papi, arrivato in Italia
Enrico convocò il Concilio di Sutri durante il quale depose i tre papi, fece eleggere un suo
candidato, Clemente II e depose tutti gli ecclesiastici giudicati simoniaci.
Pian piano si fece strada l’idea che fosse giusto eliminare ogni ingerenza laica dagli affari
della Chiesa; nel 1049 salì al soglio pontificio Leone IX il quale riunì a Roma i maggiori riformisti
del tempo e insieme a loro organizzò concili durante i quali furono condannate simonia e
concubinato e fu proclamato il primato del papa sulla Chiesa universale.
Leone IX si fronteggiò anche con i Normanni che avevano occupato i territori dell’Italia
meridionale; fu sconfitto e fatto prigioniero per un anno e liberato dopo aver accettato di stringere
con loro un’intesa che prevedeva ai Normanni di aver riconosciute le loro conquiste e al papato di
aver il loro appoggio militare e politico.
L’attività moralizzatrice dell’imperatore Enrico nel frattempo incontrò diverse difficoltà
poiché Leone IX stava prendendo autonomia dalle sue direttive, i vescovi erano ostili all’idea di
cambiare stile di vita e anche alcuni riformisti sentirono il bisogno di separare l’attività ecclesiastica
da quella dell’imperatore che nel 1056 morì; la sua morte evitò temporaneamente l’esplodere dei
contrasti e consentì ai riformatori romani di delineare con calma una strategia.
Il movimento riformatore della Chiesa era caratterizzato dall’esistenza di due diverse
posizioni, quella rigorista e quella più moderata.
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Lo schieramento rigorista, guidato da Umberto di Silvacandida, desiderava un completo
distacco della Chiesa dal potere imperiale e regio, la netta condanna di ogni forma di simonia e
corruzione, la deposizione dei vescovi simoniaci e l’annullamento di ogni loro atto.
Lo schieramento moderato, guidato da Pier Damiani, riteneva impraticabili tali richieste
poiché i sacramenti erano sempre validi e non aveva importanza la correttezza morale di chi li
aveva impartiti e anche perché alcuni sacramenti, come l’ordinazione, non potevano essere impartiti
due volte e avrebbero pure causato la perdita di molti rettori e chierici nelle chiese.
Nel 1056 la morte di Enrico III e la debolezza del potere imperiale retto dall’imperatrice
Agnese, in nome del figlio Erico IV evitarono l’esplodere di ulteriori lotte.
Il papato approfittò della minore età del figlio di Enrico III, Enrico IV, per rafforzarsi
stringendo sempre più strette alleanze con i Normanni, accelerando la riforma religiosa che previde
anche: la modifica delle procedure per l’elezione del papa (riservata ai soli cardinali), il rinnovo
dell’obbligo del celibato per tutti gli ecclesiastici, il divieto per ogni membro del clero di ricevere,
anche come dono, chiese dai laici, la deposizione definitiva dei vescovi simoniaci ma non la
sconsacrazione dei sacramenti che avevano impartito.
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2 La riforma del Papato
Nel 1059, alla stipula dell’accordo di Melfi con Roberto il Guiscardo, fu stipulata un’intesa
con i Normanni, grazie alla quale egli ottenne il titolo di duca di Puglia e di Calabria.
Nel 1066 Enrico IV prese il potere e si rese conto che l’operato riformista del papato lo
aveva di fatto privato di ogni potere sulle sedi vescovili e sulle abbazie e gli aveva tolto di
controbilanciare l’eccessivo potere dell’aristocrazia laica appoggiandosi al clero.
Nel 1073 fu eletto papa Gregorio VII (1073-1085), un monaco convinto sostenitore della
riforma, Gregorio aveva una forte personalità e teneva in alta considerazione la dignità papale tanto
che rivendicò subito il primato della Chiesa di Roma e la sua identificazione a Cristo che
determinava la richiesta di obbedienza assoluta da tutti gli uomini.
Questa sua intransigenza creò fratture all’interno della Chiesa e molti riformatori ritornarono
dalla parte dell’imperatore anche vescovi riformatori contrari però al primato papale.
Nel 1075 il pontefice scrisse un testo, il Dictatus papae, che riteneva estesa la sua
giurisdizione anche all’ambito temporale e si considerava un monarca universale superiore a ogni
carica laica.
Queste sue affermazioni fecero nascere la «lotta per le investiture» fra Gregorio VII ed
Enrico IV che fu combattuta non solo con le armi ma anche con interventi di intellettuali, scrittori e
filosofi che si contrastavano anche sul piano ideologico.
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Gregorio VII già nel 1074 aveva proibito a imperatori, re e signori feudali
di concedere
investiture a vescovi o abati (pena la scomunica) e agli abati e ai vescovi aveva impedito di
consacrare uomini già investiti da laici pena la deposizione.
Nel 1076 Enrico convocò una dieta a Worms e con il consenso dei partecipanti (laici ed
ecclesiastici) fece deporre e scomunicare il papa che, a sua volta, rispose con la deposizione e la
scomunica dei vescovi partecipanti e dell’imperatore.
La scomunica per Enrico costituì un grave problema e lo mise in una situazione di fragilità
di fronte alla sempre riottosa aristocrazia tedesca che subito ne approfittò chiedendo che Enrico si
sottoponesse al giudizio del papa ad Augusta nel 1077, appunto nella dieta ad Augusta.
Il papa si mise in cammino e si fermò al castello di Canossa, presso la contessa Matilde, sua
amica e fedele alleata, in attesa della scorta tedesca che lo doveva condurre in Germania ma durante
questa sosta arrivò l’imperatore Enrico che aveva lasciato segretamente la Germania per andare a
chiedere l’assoluzione dalla scomunica privatamente. Il papa rifiutò per ben tre giorni: l’imperatore
attese a piedi nudi in mezzo alla neve in abito da penitente, riottosa
I principi tedeschi però non fermarono la loro rivolta e nel 1077 elessero un nuovo re,
Rodolfo di Svevia che però non riuscì a imporsi; Enrico di nuovo forte si ribellò nuovamente al
papa che gli rinnovò la scomunica.
Enrico durante un concilio a Magonza depose Gregorio ed elesse Clemente III (1080-1100),
successivamente scese in Italia riuscendo ad entrare a Roma nel 1084 e costringere Gregorio a
rifugiarsi presso Castel Sant’Angelo.
Clemente III fu riconosciuto papa ed Enrico incoronato imperatore ma da quel momento in
poi nulla fu più come prima nei rapporti tra papato e impero.
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Nel 1088 fu eletto papa un monaco cluniacense, Urbano II il quale strinse stretti legami con
gli episcopati dei quali rafforzò l’autorità e dotò di mezzi come nuove canoniche che avrebbero
aiutato i vescovi nella cura delle anime.
Questo orientamento “episcopalista” riportò dalla parte del papa gran parte dei vescovi che
si erano allontanati e così l’imperatore restò isolato e l’antipapa Clemente III ebbe sempre maggiori
difficoltà a controllare Roma. Urbano II viaggiò molto in Italia e in Francia per incitare i suoi
aderenti allo sforzo contro il partito filo imperiale mentre il consenso verso di lui e il suo operato
cresceva sempre di più.
Nel 1095 Urbano II tenne un concilio a Clermont- Ferrand esortò tutti i cristiani che si erano
macchiati di aver lottato contro altri cristiani di partire in pellegrinaggio verso la Terrasanta per
purificarsi dai peccati; il fatto che molti accettarono il suo invito fa capire come la sua autorità stava
diventando sempre più forte a discapito di quella dell’imperatore.
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3 La chiesa universale
Dal 1099 al 1118 fu pontefice un altro monaco, Pasquale II che favorì un ritorno
dell’orientamento rigorista di Gregorio VII.
Nel Concilio del Laterano del 1102 il pontefice lanciò una proposta di disarmante semplicità
che consisteva nel ritorno a una Chiesa povera, il papa invitò tutti gli ecclesiastici a rinunciare ai
beni e alle cariche che avevano ricevuto dallo Stato per eliminare così anche ogni tipo di ingerenza
laica all’interno della Chiesa.
Questa proposta ebbe anche il consenso dell’Imperatore. Nell’1111, Enrico V incontrò il
Papa a Sutri e raggiunsero un accordo che però non fu gradito dai rispettivi partiti perché la
divisione dei due poteri dopo secoli di interazione sembrava impossibile. Questo malcontento
generale indusse un concilio a sconfessare Pasquale II, il papa divenne succube dell’imperatore
infatti oltre che incoronarlo dovette anche concedergli il potere di investire i vescovi.
Nel 1112 un nuovo concilio annullò le concessioni estorte al papa e nel 1116 Enrico V fu
scomunicato.
Tra varie vicende continuava il dibattito sul ruolo dei vescovi e alla fine acquistò più forza la
posizione di coloro i quali confidavano in un compromesso: vescovi e abati avrebbero potuto
continuare a svolgere compiti spirituali e politici però dividendo nettamente i due ambiti perciò:
l’autorità ecclesiastica avrebbe conferito cariche spirituali con l’anello e il pastorale l’autorità
politica avrebbe invece avrebbe potuto investire per le sole funzioni temporali utilizzando i simboli
del potere politico.
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Nel 1122 il pontefice Callisto II stipulò il Concordato di Worms che segnò una vittoria per
la Chiesa che così evitava le ingerenze imperiali nell’elezione di vescovi e abati. Specialmente in
Germania comunque all’imperatore restò un ampio margine di manovra visto che lui o un suo
delegato poteva assistere all’investitura o all’elezione e intervenire in caso di dissenso suo o degli
elettori.
Tuttavia le concessioni che il papato rilasciò non furono destinate all’impero ma alla singola
persona di Enrico V, così facendo la Chiesa metteva fine a un periodo di contrasti troppo lungo ma
si lasciava ampio spazio per manovre politiche future.
Il concordato di Worms venne ratificato dal Concilio lateranense nel 1123 al quale
parteciparono circa trecento vescovi e tutti gli abati della Chiesa occidentale; dopo questo concilio il
papato fu di nuovo al vertice della società, ritrovò il suo primato e seppe avviare una grandiosa
opera di consolidamento in tutti i campi.
Prima di tutto il concilio ribadì la condanna alla simonia e al concubinato, escluse i laici da
ogni attività all’interno degli organismi ecclesiastici e si dotò di un efficiente apparato burocratico
(cancelleria, uffici finanziari, autorità politiche) e strumenti in grado di poter intervenire nel
controllo di tutti i settori.
Pian piano ogni decisione importante fu convogliata presso la curia romana: l’elezione dei
vescovi, le funzioni amministrative, finanziarie e politiche.
Nel 1139 si tenne il secondo Concilio ecumenico lateranense in cui si eleggevano i vescovi
da capitolo cattedrale con il beneplacito di Roma.
Nel corso del XII secolo lo Stato pontificio poteva godere di numerose entrate derivanti
dall’immenso patrimonio fondiario laziale costituite dal censo pagato dagli Stati vassalli della Santa
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Sede (Sicilia, Aragona, Portogallo); l’”obolo di San Pietro” (Polonia e Ungheria) versato dai regni i
cui sovrani avevano ottenuto la corona dal Pontefice; il censo pagato dai monasteri (Cluny,
Camaldoli, Montecassino, Cava, Montevergine), le offerte erogate dai vescovi in occasione della
visita ad limina apostolorum per il Papa.
Tutte le entrate furono censite in un elenco ufficiale nel 1192 noto come Liber censuum di
Cencio Savelli, futuro papa Onorio III camerlengo.
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Bibliografia
 C.D. Fonseca, Medioevo Canonicale. Milano, Vita E Pensiero, 1970 AA.VV.
 G. M Cantarella, I Monaci Di Cluny, Torino, Einaudi, 1993
 G. Vitolo, Vescovi E Diocesi , In Storia Del Mezzogiorno, Dir. Da G. Galasso e R. Romeo
Vol. III Napoli Edizioni Del Sole, 1990
 P. Golinelli, Matilde E I Canossa Nel Cuore Del Medioevo, Firenze, Camunia 1996
 Storia dell’italia religiosa a cura di de rosa
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