GUIDA ALLA CELEBRAZIONE
DELL’UFFICIO DIVINO
NELLE CHIESE
DI TRADIZIONE BIZANTINA
a cura di Olivier Raquez
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
INDICE
© 2002 Lipa Srl, Roma
Prima edizione: giugno 2002
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
& 06 4747770
fax 06 485876
e-mail: [email protected]
http: //www.lipaonline.org
Autore: Olivier Raquez
Titolo: Guida alla celebrazione dell’Ufficio divino
nelle Chiese di tradizione bizantina
Formato: 100x170 mm
Pagine: 104
Stampato a Roma da Abilgraph, via Ottoboni, 11
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy
codice ISBN 88-86517-76-9
Introduzione........................................................
5
1. Organizzazione generale dell’Ufficio divino
9
Santificazione del tempo ...........................................
9
Struttura generale dell’Ufficio divino
e dell’Anthologhion..............................................
11
2. L’Orológhion e le preghiere specifiche
delle ore della giornata.........................................
14
Elementi comuni a tutte le ore ..................................
15
Struttura dell’órthros ...............................................
La parte corrispondente alla veglia........................
La parte mattutina....................................................
18
19
29
Struttura dell’ufficiatura delle ore ............................
39
Struttura dell’ufficio del vespro ................................
41
Struttura dell’ufficio dell’apódipnon o «dopo cena».....
48
3. Il ciclo settimanale
e più particolarmente gli otto toni .....................
49
4. Il ciclo annuale legato alla Pasqua.................
53
La Pasqua..................................................................
53
54
56
Il Grande Venerdì .....................................................
Il Grande Sabato .......................................................
Il Primo Giorno della Settimana
o Domenica di risurrezione ...............................
58
Il prolungamento della festa di risurrezione
o Pentikostárion...................................................
63
I sei giorni che precedono la Pasqua......................
I quaranta giorni .......................................................
La pre-quaresima......................................................
67
68
70
76
5. Il ciclo annuale secondo il calendario
dei dodici mesi.......................................................
78
La preparazione alla celebrazione della Pasqua.........
Le feste despotiche .....................................................
Il ciclo natalizio (Natività e Battesimo)..................
L’Esaltazione della santissima Croce
e la Trasfigurazione.............................................
79
79
84
Le feste theomitoriche o della Madre di Dio ..............
Le feste dei santi e il ricordo di avvenimenti particolari
86
90
Glossario..............................................................
94
Scheda sull’Autore .............................................
103
Introduzione all’uso dell’Anthologhion italiano
L
’Ufficio divino di tradizione costantinopolitana (detta anche bizantina), apparso originariamente in lingua greca, è stato successivamente diffuso con poche varianti e tradotto nelle varie
lingue di quelle Chiese orientali chiamate Ortodosse
perché fedeli alla tradizione dei primi sette Concili
Ecumenici. I testi che lo costituiscono sono assai numerosi e, assieme ad altri riti che celebrano momenti più
particolari, come i sacramenti o suppliche speciali,
vengono raccolti in una ventina di grossi volumi stampati: Eucologio, Orológhion, Paraklitikí, Triódion,
Pentikostárion, i dodici Minéi (mesi), l’Apostolo, il
Vangelo, il Sinassario, senza dimenticare il Typikon, che
stabilisce le regole da seguire. Contengono l’insieme
del patrimonio liturgico bizantino al quale bisogna
sempre riferirsi, anche se parte notevole di esso è usato
solo nei grandi monasteri e tralasciato nella prassi
liturgica più frequente.
Lo scopo dell’Anthologhion che presentiamo è di
ordine pratico. Per definizione, ogni «anthologhion»
presenta alcuni testi scelti. Una parte della prima edizione romana dei libri liturgici greci, stampata nel
1738, portava il titolo di Anthologhion, presentando la
ristampa parziale—con poche modifiche—dei testi
delle feste del calendario mensile a partire da edizioni
complete pubblicate a Venezia pochi anni prima.
Recentemente, nel 1992, un Anthologhion in due tomi è
stato edito a Tessalonica, contenente testi liturgici di
maggiore importanza inclusi quelli delle tre Divine
­5­
Liturgie. Il nostro Anthologhion invece vuol essere la
compilazione di un solo libro in quattro volumi, contenente tutti i testi necessari più abitualmente adoperati
per la celebrazione dell’Ufficio divino bizantino.
In linea di massima, l’Anthologhion pubblicato da
Lipa è la traduzione dell’Anthologhion greco edito a
Roma con questo stesso scopo preciso negli anni 19671980. Va da sé che, essendo in lingua greca, doveva riprendere le usanze greche, diffuse pure in molte Chiese di altra lingua dell’antico impero turco—talvolta un
po’ differenti da quelle del mondo slavo—e stabilite
dal Typikon della Grande Chiesa di Cristo, pubblicato
la prima volta nel 1838 a Costantinopoli dal
Protosalmista Costantino e successivamente perfezionato e sempre ristampato, nonché precisato, ogni anno
dai Dittici dell’Apostoliki Diaconia della Chiesa di
Grecia che aiuta a trovare le norme di applicazioni
delle prescrizioni dei grandi libri liturgici rimasti
immutati nella loro fedeltà alla tradizione del Typikon
di San Saba, più volte stampato come volume a parte
tra il 1545 e il 1771.
I testi liturgici dell’Anthologhion greco provengono
direttamente dalle edizioni pubblicate a Roma tra il
1873 e 1901, alle quali avevano collaborato diversi celebri filologi, tra i quali il cardinale Giovan Battista Pitra
ed Enrico Stevenson, e poi riprese nel 1937 per l’Orologhion e nel 1950 per lo Ieratikon. Senza pretendere ad
un’illusoria edizione scientifica, avevano tentato di
verificare e migliorare alcuni testi sulla base di manoscritti talvolta più corretti di quelli usati nelle edizioni
precedenti, miglioramenti riconosciuti da molti, ma
assai limitati, così che nell’insieme si differenziavano
poco dalle edizioni prima veneziane poi ateniesi.
a certe lacune sperimentate nell’Anthologhion greco,
certe a carattere limitatamente rituale, altre più profonde, per ripristinare e talvolta salvare elementi importanti del patrimonio tradizionale. Ne diamo alcuni
esempi: l’introduzione degli stavrotheotokia (tropari in
onore della Madre di Dio con allusione al mistero della
croce) nelle feste dei 12 mesi (cf ad esempio Anthologhion I, p. 551; per brevità, da ora in avanti indicato solo
con il numero del volume e della pagina), la riduzione
alla sola nona ode dell’órthros nelle feste di una certa
importanza ma non fondamentali (cf ad esempio I,
547; mentre nell’Anthologhion greco se ne conservavano tre ad imitazione poco convincente dei complessi di
odi chiamati triodia), l’introduzione del salmo 118
(káthisma 17) accanto ai salmi del polyéleos dell’órthros
festivo (I, 52-63), la soppressione del primo káthisma
del Salterio nel vespro della domenica e delle feste (inserito nei voll. II, III, IV dell’Anthologhion greco, ma tralasciato nella versione italiana: II, 162; III, 109; IV, 132,
ecc.). Per conservare una certa «lectio continua» di
tutta la Sacra Scrittura, è sembrato preferibile un semplice rimando a versioni italiane dell’insieme del
Salterio della LXX. Altra preziosa differenza innovatrice è l’aggiunta, ai margini delle pagine, dei riferimenti
biblici dei testi liturgici.
La traduzione italiana pubblicata da Lipa riprende
la linea generale dall’Anthologhion greco, ma modifica
talvolta la scelta di alcuni testi per tentare di rimediare
Nato nell’ambiente teologico della migliore patristica greca e poi sviluppatosi attorno a Costantinopoli
con importanti contributi dalla Siria e dalla Terra
Santa, l’Ufficio divino bizantino è ricco di contenuti e
riesce ad esprimere molte dimensioni del mistero divino rivelato agli uomini, ma proprio per questo è inevitabilmente complesso. Pertanto, per poter utilizzare
convenientemente l’Anthologhion che lo riassume, è
opportuno esservi introdotti con spiegazioni che ne
descrivano il contenuto e ne esprimano almeno rapidamente il significato.
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­7­
Si può trovare una introduzione alle pagine 8-20 del
volume I dell’Anthologhion italiano, ma tale introduzione si limita ad esprimere alcuni principi, validi ma
molto generali. Assai preziose—anzi, indispensabili—
le note rubricali che accompagnano la pubblicazione
dei testi stessi, che tuttavia si riducono spesso ad indicazioni particolari e talvolta descrivono usanze locali
buone ed utili, ma non universali. Sono dunque da utilizzare con discrezione, confrontandole con altre abitudini e tenendo conto dei loro fini e del loro significato.
Lo scopo della nostra «Guida» è limitato. Vorrebbe
semplicemente descrivere i vari elementi costitutivi
dei diversi momenti dell’Ufficio divino bizantino
attuale, mettendo in risalto le linee principali della loro
struttura interna e tentando di esprimerne brevemente
il significato, senza analizzare ciascuno degli innumerevoli particolari, per i quali si rimanda alle rubriche
dell’Anthologhion. Inoltre, per non appesantire il nostro
testo, eviteremo il più possibile i riferimenti storici.
Sono certamente molto utili sotto tanti riguardi, ma si
possono trovare altrove, ad esempio nell’ottima presentazione riassuntiva pubblicata da Robert Taft (l’ultima edizione in lingua italiana: La liturgia delle ore in
oriente e in occidente, Roma, Lipa, 2001). Le nostre indicazioni si riferiranno soprattutto all’Anthologhion italiano citato sopra e, per le parti comuni ai 4 tomi, di
solito al primo volume.
1. ORGANIZZAZIONE GENERALE
DELL’UFFICIO DIVINO
Santificazione del tempo
L
’Ufficio divino è stato costruito progressivamente per illuminare il cammino dei cristiani
lungo il tempo della loro vita terrena. Una
breve riflessione sul tempo e sulle sue divisioni sembra
necessaria per poter comprendere il suo significato e la
sua complessità.
La prima divisione del tempo è quella che riguarda
ogni singola giornata. Viene descritta nella Sacra
Scrittura: «E separò Dio da una parte la luce e da una
parte la tenebra. E chiamò Dio la luce giorno e la tenebra chiamò notte. E fu sera e fu mattina» (Gen 1,5);
oppure «Ha fatto la luna per segnare i tempi, il sole ha
conosciuto il suo tramonto. Hai posto le tenebre e si è
fatto notte… È sorto il sole… uscirà l’uomo per l’opera
sua, per il suo lavoro fino a sera» (Sal 103,19-23). La
Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano
II sottolinea che, secondo la venerabile tradizione di
tutte le Chiese, le preghiere del mattino e della sera
sono il duplice cardine dell’Ufficio quotidiano. Essa
ricorda pure il valore della veglia notturna, con la recita di salmi e di letture (cf SC 89). Sin dall’antichità,
molte Chiese hanno poi aggiunto altri momenti di preghiera lungo le diverse ore della giornata. La tradizione bizantina, come molte altre, ha stabilito sette ore
diurne ed una notturna.
La seconda divisione del tempo è quella settimanale. Narrando la creazione, il libro della Genesi dice che,
dopo aver compiuto la sua opera, Dio si riposò, bene-
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­9­
disse il settimo giorno e rese sacro il sabato, caratterizzato dal riposo. Fondava così il ciclo settimanale (cf Gen
2,2-3 e Es 25,12) che i cristiani conservarono, modificandone parzialmente il significato alla luce della
redenzione, celebrando particolarmente non più l’ultimo, ma il primo giorno della settimana, quello della
risurrezione di Cristo che inaugura i tempi nuovi, come
viene precisato da tutti i quattro vangeli, e chiamandolo «giorno del Signore», cioè domenica (cf Ap 1,10).
Notevole è l’attenzione rivolta a questa dimensione del
tempo nell’Ufficiatura delle Chiese bizantine. La domenica vi rimane sempre al centro di tutte le celebrazioni,
anche quando coincide con altri festeggiamenti di rilievo. Inoltre, anche ciascuno degli altri giorni della settimana riveste caratteristiche proprie, ricordando successivamente personaggi o dimensioni importanti del
mistero della salvezza.
dell’inizio del III secolo. Dopo la pace costantiniana, si
stabilì poi progressivamente un anno liturgico completo durante il quale ricordare dettagliatamente i momenti principali della storia della salvezza.
Struttura generale dell’Ufficio divino
e dell’Anthologhion
La triplice divisione del tempo, con tutta la ricchezza che comporta, si ritrova nella struttura del complesso delle preghiere del popolo cristiano, dunque nei
libri che le contengono, e più specificatamente nell’Anthologhion.
La terza ed ultima divisione del tempo è quella dell’anno, con il ritorno ciclico delle sue stagioni. Gli ebrei
celebravano tre feste maggiori. Nel loro primo mese, la
festa «degli Azzimi» (del pane senza lievito) coincideva con l’inizio della mietitura dell’orzo ed era legata
alla commemorazione della Pasqua o uscita dall’Egitto. Quella della mietitura del grano, 50 giorni dopo
e perciò chiamata con il termine greco di «Pentecoste»
(cinquantesimo). Quella del settimo mese, detta «della
Raccolta», dopo la vendemmia e la raccolta degli ulivi
e della frutta (cf Es 23,15-17). Le prime comunità cristiane condivisero inizialmente queste celebrazioni,
interpretandole alla luce del Vangelo. Poi, lentamente,
le rielaborarono per conto proprio, iniziando dalla
festa di Pasqua prefigurata nell’Antico Testamento e
realizzata nella morte e risurrezione di Cristo. Questa
celebrazione annuale è attestata alla metà del II secolo,
mentre quella di Pentecoste, che prolungava la festa di
Pasqua per 50 giorni, viene commentata dagli autori
Esso è stato stampato in quattro volumi autonomi,
destinati a quattro periodi dell’anno. Il I parte dal 1°
settembre e si prolunga sino all’inizio della preparazione alla Pasqua. Il II si estende lungo il tempo di questa
preparazione, includendo pre-quaresima, quaresima, e
Grande Settimana sino al Grande Sabato incluso.
Questo periodo spesso è chiamato con il termine greco
Triódion perché usa numerose composizioni innografiche chiamate appunto «Tre odi». Questo titolo viene
talvolta precisato, aggiungendo katanyktikós cioè «di
compunzione», perché durante il periodo di preparazione alla Pasqua si insiste generalmente molto su questa dimensione spirituale (il suo contenuto specifico si
trova soprattutto alle pp. 387-1145). Il III è chiamato
Pentikostárion perché inizia all’alba della domenica di
risurrezione e continua per 50 giorni sino alla festa
della Discesa dello Spirito Santo, aggiungendovi ancora una ulteriore ottava settimana centrata sulla contemplazione di questo ultimo mistero, che si conclude con
la domenica successiva, dedicata a tutti i Santi. Riceve
talvolta il titolo di Triódion charmósinon (gioioso), perché
contiene inni in forma di triodia all’ufficio domenicale
10
­11­
di mezzanotte. Il suo contenuto più specifico si trova
alle pp. 149-591, condividendo molto materiale che
proviene dal Paraklitikí o Oktoichos (ufficio degli otto
toni). Il IV volume inizia dopo la festa di Tutti i Santi e
si conclude il 31 agosto.
quale, perché parzialmente inserito nelle otto settimane di questo periodo).
Una seconda parte contiene i testi più caratteristici
di ogni giorno della settimana. Chiamato Paraklitikí
(cioè, intercessione), consiste in una serie di otto composizioni diversificate, redatte per corrispondere ad
ognuno degli otto toni musicali. Perciò viene chiamato
pure «ciclo degli otto toni». Inizia la domenica che
segue la festa di Tutti i Santi e la conclusione del periodo Pentikostárion, e si ripete poi sino alla domenica che
precede la Pasqua successiva (I, 177-533; II, 225-385; IV
161-517; manca nel III volume, dedicato al tempo pas-
La terza parte presenta i testi specifici dell’anno
liturgico con le sue due componenti, una centrata sul
calendario pasquale, l’altra sul calendario dei dodici
mesi.
Quella centrata sulla data della Pasqua si trova soltanto nei volumi II e III. Comporta due momenti. Il
primo è di preparazione: inizia con la pre-quaresima e
si conclude con il Grande Sabato. Viene chiamato con
il termine greco di Triódion perché, come spiegato
sopra, usa numerose composizioni innografiche chiamate appunto «tre odi» (II, pp. 387-1145). Il secondo
momento è di risurrezione. Inizia all’alba della domenica di Pasqua e si prolunga lungo i cinquanta giorni
successivi. È chiamato Pentikostárion, che in greco
significa «cinquanta», sino alla festa della Discesa
dello Spirito Santo, aggiungendovi ancora una ulteriore settimana per concludersi con la domenica di Tutti i
Santi (III, pp. 140-591). Utilizza anche molto materiale
proveniente dal Paraklitikí o ufficio settimanale degli
otto toni.
La parte centrata sul calendario dei mesi viene chiamata, dal termine greco, Minéi. Segue il suo calendario
proprio lungo tutto l’anno, svolgendo il suo contenuto
accanto a quello dipendente dalla Pasqua. Conserva
l’antico inizio dell’anno al 1° settembre e si conclude il
31 agosto. Per poter rispettare le norme del calendario
dipendenti dalla data della Pasqua, il I volume dell’Anthologhion inizia il 1° settembre e si prolunga sino
al 26 febbraio (pp. 537-1522), il II volume lo riprende
parzialmente a partire del 15 gennaio prolungandolo
sino al 22 aprile ed anche, brevemente, sino al 7 maggio (pp. 1149-1473), il III volume contiene i testi dal 22
marzo al 30 giugno (pp. 593-859), il IV volume inizia il
18 maggio e si conclude il 31 agosto (pp. 519-1003).
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­13­
La struttura dei quattro volumi è molto simile,
anche se ciascuno di essi include variazioni corrispondenti alle caratteristiche differenziate dell’anno liturgico. Constano di tre parti essenziali che si utilizzano in
un modo congiunto, arricchendosi vicendevolmente, e
vi si trovano pure appendici, contenenti alcune preghiere o ufficiature più indipendenti dai cicli liturgici.
Ne diamo una prima descrizione rapida.
Iniziano tutti con una parte chiamata Orológhion (I,
29-175) che contiene le preghiere che si ripetono ogni
giorno. È particolarmente importante, perché costituisce la base sulla quale vengono ad inserirsi gli altri elementi provenienti dai cicli settimanale ed annuale.
Per comodità, vi si è inserito il testo relativamente
breve delle celebrazioni del ciclo settimanale che si
ripetono ogni settimana (I, 101-102, 153-154) e del ciclo
dei vangeli della risurrezione che si prolunga lungo 11
domeniche (I, 66-73) perché non dipendono dal sistema degli otto toni.
2. L’OROLÓGHION
E LE PREGHIERE SPECIFICHE DELLE ORE DELLA GIORNATA
L
a giornata liturgica bizantina attuale segue le
norme indicate dal salmo 118. Per corrispondere al v. 164—«sette volte al giorno ti ho
lodato per i giudizi della tua giustizia»—, ha disposto
sette momenti di preghiera diurna: mattutino, ora
prima, terza, sesta, nona, vespro e dopo cena. Per corrispondere al suo v. 62—«Nel mezzo della notte mi
alzavo a confessarti per i giudizi della tua giustizia»—,
ha aggiunto un’ora supplementare chiamata di mezzanotte. Per motivi d’ordine pratico, ma anche perché il
suo contenuto è forse meno centrale, quest’ora ulteriore non è stata inserita nella compilazione dell’Anthologhion.
I libri tradizionali, chiamati Orologhia, genericamente destinati ai lettori, iniziano con l’ora di mezzanotte,
seguita dall’órthros o mattutino, sino al vespro e all’apódipnon (dopo cena), mentre quelli che riportano i
testi dei cicli settimanali ed annuali e l’Eucologio (che
contiene le preghiere sacerdotali o diaconali) iniziano
con il vespro, prassi che corrisponde alla struttura
interna dell’insieme delle celebrazioni, le quali si concentrano maggiormente attorno alla notte sul finire e
sull’iniziare delle giornate. Praticamente, nell’Anthologhion l’Orológhion integra anche i testi provenienti
dall’Eucologio.
14
Questi stessi libri, gli Orologhia, contengono pure
quattro ore intermedie dopo le ore di prima, terza,
sesta e nona, ed anche un’ufficiatura speciale chiamata
Typiká. Nell’Anthologhion, la raccolta Orológhion omette
queste parti, poco celebrate. Inizia con l’Ufficio detto
órthros (o mattutino) e si conclude con quello dell’apódipnon o dopo cena.
Il duplice cardine dell’Ufficio quotidiano sono
l’órthros ed il vespro. Il loro contenuto è assai ricco, ed è
legato ai cicli settimanali ed annuali, il che si manifesta
anche nella loro struttura interna relativamente complessa. Le altre ore sono più semplici. Quelle di prima,
terza, sesta e nona seguono un’organizzazione interna
identica, anche se con salmi, orazioni e tropari propri.
L’apódipnon è simile, ma con aggiunte specifiche.
Elementi comuni a tutte le ore
Notiamo prima tre elementi comuni a tutte le ore.
Ciascuna inizia con la benedizione di Dio, seguita dall’invocazione allo Spirito Santo e la recita del Padre
nostro introdotto dall’inno trisagio (cf, ad es., I, 31).
Verso la fine di ogni ora si recita nuovamente il Padre
nostro, sempre preceduto dal trisagio. Si conclude poi
con una preghiera di congedo. Data la loro frequente
ripetizione, sembra opportuno evocare il significato di
questi tre elementi.
La benedizione iniziale è una breve formula di lode
con la quale si rende gloria e grazie a Dio. Esprime l’atteggiamento in vista del quale l’uomo è stato creato e
poi redento, come è ripetuto in tutti i libri dell’Antico
e del Nuovo Testamento, in maniera particolarmente
insistente in quello dei salmi e di Daniele, e come si
ritrova nell’Ultima Cena, quando Cristo benedice Dio,
prima di dare il suo Corpo e il suo Sangue da mangiare e da bere ai suoi discepoli.
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Esistono pure altre formule iniziali. Ben nota quella
usata nella celebrazione della Divina Liturgia, dove si
benedice il regno delle Tre Persone della Santissima
Trinità, il che mette in rilievo la nostra partecipazione
alla vita della Trinità, partecipazione che esiste sin da
adesso, ma che si manifesterà pienamente quando
Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver
ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza» (1Cor 15,25). Importante pure la benedizione o dossologia che precede la recita quotidiana dell’exápsalmos
(sei salmi) all’órthros (I, 33) e l’insieme dell’órthros e del
vespro durante la settimana di Pasqua (III, 151ss)
«Gloria alla santa, consustanziale, vivificante ed indivisibile Triade in ogni tempo…», la quale riassume il
grande apporto del IV secolo alla teologia.
Il Padre nostro è recitato due volte, prima all’inizio
e poi verso la fine di ogni ora. Occorre notare che la
prima recita, di uso più recente, ha un carattere preparatorio, mentre la seconda costituisce un punto centrale, il culmine verso il quale tende tutta l’ufficiatura,
quando possiamo scoprirvi meglio il segreto del mistero della preghiera rivelato dal Signore Gesù.
Nell’ufficiatura di tutte le Chiese orientali, fuori
dalla Divina Liturgia, la recita del Padre nostro è sempre preceduta dall’inno trisagio, che trova la sua origi-
ne nel canto dei serafini rivelato in una visione al profeta Isaia e descritta da lui in un testo molto importante «... io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio.
Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali:
con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi,
e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro: santo,
santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è
piena della sua gloria» (6,1-3). Qui il termine «santo»
esprime la perfezione divina intrinseca, lontana da
ogni limite creato, mentre quello di «gloria» indica la
sua manifestazione o comunicazione esterna a tutta la
terra.
La prima forma del trisagio, assai fedele a quella
biblica, si è conservata nelle preghiere eucaristiche di
tutte le Chiese ed anche talvolta in certe parti
dell’Ufficio divino, ad esempio nella Chiesa copta.
L’ufficio bizantino ne utilizza una forma diversa, ma
apparentata, apparsa nel V secolo: «Santo Dio, Santo
forte, Santo immortale, abbi pietà di noi». Insiste evidentemente sulla santità o perfezione divina in contrasto con tutte le imperfezioni del nostro mondo.
Sottolinea la sua forza incomparabile e perciò capace
di trasformare ogni cosa e ne evidenzia la qualità interiore di immortalità, vicina a quelle di eternità e di
incorruttibilità. La supplica «Signore, pietà» che la
conclude, come la formula «La terra è piena della tua
gloria» (di Isaia), mette la perfezione divina in relazione con noi. È santa e dunque totalmente diversa dalle
nostre realtà, ma si collega con noi, rispondendo alla
nostra supplica, trasformandoci e divinizzandoci con
l’irradiazione della sua gloria. Il Padre nostro è la preghiera più perfetta che ci mette come figli di fronte alla
perfezione divina, mentre la recita del trisagio ci aiuta
a prendere coscienza delle vere dimensioni di questo
trovarci «con fiducia» davanti al Santo.
In conformità alla linea del Concilio di Calcedonia,
16
­17­
L’invocazione allo Spirito Santo è costituita da un
tropario proveniente dal vespro di Pentecoste (III, 522).
Recitato all’inizio di ogni momento di preghiera, corrisponde alle esigenze più volte ripetute da san Paolo,
ad esempio nella sua prima Lettera ai Corinzi: «I segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo
Spirito di Dio… L’uomo lasciato alle sue forze non
comprende le cose dello Spirito di Dio e non è capace
di intenderle… mosso dallo Spirito, invece, giudica
ogni cosa» (2,11-15).
le Chiese bizantine danno al nostro inno un’interpretazione prettamente trinitaria, come indica la breve preghiera che lo precede e come viene descritto a lungo in
un tropario che si ritrova in diverse occasioni, ad esempio nel vespro di Pentecoste: «Santo Dio, che tutto hai
creato mediante il Figlio con la sinergia del Santo
Spirito; Santo Forte, per il quale abbiamo conosciuto il
Padre e per il quale lo Spirito Santo è venuto al mondo;
Santo Immortale, o Spirito Paraclito, che dal Padre
procedi e nel Figlio riposi» (III, 519). Forse è bene notare che altre confessioni cristiane lo attribuiscono più
direttamente alla persona di Cristo, Dio e uomo,
aggiungendovi formule diversificate, quali «tu che sei
stato crocifisso per noi», o «tu che sei risuscitato per
noi», ecc.
La preghiera di congedo è semplice. Si presenta con
due formule simili, una più lunga all’órthros e al
vespro, una seconda più breve alle altre ore (I, 94, 118).
Notiamo pure che all’ufficiatura dell’apódipnon il congedo viene spesso seguito da una litania finale.
Struttura dell’órthros
Va segnalato anzitutto che l’órthros, così come si
presenta oggi, è la componente più ricca, e di conseguenza anche più complessa, di tutta l’ufficiatura quotidiana. Lo è a più titoli. Anzitutto perché la sua
sostanza interna comporta due momenti differenti,
anche se questa divisione non è indicata nei libri liturgici: prima una parte che corrisponde maggiormente
ad una veglia notturna, poi una seconda di lodi più
mattutine. Inoltre, perché ha caratteristiche diversificate se si celebra di domenica e nelle feste maggiori (I,
41ss) oppure nei giorni semplici settimanali o di sabato (I, 95ss). Infine, perché utilizza abbondantemente
materiale proveniente dai cicli settimanali ed annuali.
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La parte corrispondente alla veglia
La prima parte, corrispondente alla veglia, comprende più elementi.
L’ufficiatura per i re o i benefattori
Dopo le formule iniziali comuni a tutte le Ufficiature, inizia un’ufficiatura particolare per i re o altri
governanti, che spesso erano fondatori o benefattori
dei monasteri. L’Anthologhion ne riporta tre tropari ed
una litania (I, 32-33) e tralascia i salmi detti «regali» (il
19 e il 20) che li accompagnavano abitualmente nel
passato, riportandoli soltanto nel vol. II per l’órthros
della quaresima alle pp. 89-91. L’insieme di questa ufficiatura è meno essenziale, anche se non è privo di
valore oggettivo. Potrebbe essere eventualmente tralasciato se si dovesse abbreviare l’insieme dell’órthros.
L’ufficiatura notturna
Segue il complesso dell’ufficiatura notturna. È
costituito da quattro o cinque momenti specifici: la
recita di sei salmi fissi, la litania detta «della pace»,
l’inno «Il Signore è Dio» con alcuni versetti del salmo
pasquale 117 (sostituito da altri nei giorni feriali della
quaresima e nei sabati semplici), la «lettura continua»
dell’insieme del libro dei salmi, diviso in venti parti,
chiamate káthisma, distribuite lungo la settimana
all’órthros e al vespro. Nelle domeniche e nelle feste, si
conclude con la lettura di un Vangelo. L’Anthologhion
riporta pure le dodici «Preghiere dell’órthros» indicate
negli Eucologi bizantini (I, 40-45). Per motivi pratici,
vengono abitualmente lette sotto voce l’una dopo l’altra dal sacerdote celebrante durante la lettura dei sei
salmi iniziali, anche se corrispondono ai vari momenti
della celebrazione: 9 alla parte della vigilia, 3 alla parte
mattutina (I, 33).
­19­
La formula introduttiva
L’insieme di questa parte dell’Ufficio dell’órthros è
preceduto da una formula introduttiva (I, 33), composta da due versetti ripetuti più volte, che si ritrova in
altri momenti delle celebrazioni liturgiche. Il primo
riproduce l’acclamazione gioiosa degli angeli al
momento della nascita di Gesù (cf Lc 2,14): «Gloria a
Dio nel più alto dei cieli, pace sulla terra, e per gli uomini benevolenza». Essa riassume tutta l’economia della
salvezza, dichiarandola compiuta dal Verbo di Dio. Il
secondo, «Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca
proclamerà la tua lode», proviene dal salmo 50, che sottolinea la debolezza umana chiedendone sincera confessione ma, nel contempo, vedendola guarita dalla
forza dello Spirito, e concedendoci la possibilità di
unire la nostra voce a quella del mondo celeste (cf v. 17).
L’exápsalmos
I sei salmi (exápsalmos) seguenti (I, 33-40) appartengono tipicamente al ciclo quotidiano e perciò si leggono ogni giorno. Sono scelti perché possono guidare i
pensieri e i sentimenti di chi prega nella notte o al suo
finire. A questo scopo, al termine di ciascuno, se ne
ripetono due versetti maggiormente significativi. Più
tradizionale il salmo 62 («O Dio, Dio mio, per te veglio
all’alba…»), ma anche gli altri contengono ricche caratteristiche. Meditati ogni giorno, aprono progressivamente le menti alla conoscenza dei segreti della
Sapienza divina.
so «Signore, pietà», oppure «Concedi, o Signore». Tre
litanie principali si ripetono nelle tre celebrazioni liturgiche maggiori bizantine del vespro, dell’órthros e
della Divina Liturgia. Quella detta «della pace», perché la maggior parte delle domande che vi si presentano al Signore evocano vari aspetti della pace, viene
proclamata all’inizio di queste celebrazioni.
L’inno «Il Signore è Dio»
L’inno «Il Signore è Dio...» proviene dal salmo 117.
È ripetuto più volte, accompagnato da alcuni versetti
dei salmi 117 e 104. Ha un significato pasquale e festivo: ricorda che Dio è sovrano della storia ed afferma
che, invocandolo, saremo liberati da ogni nemico. È
seguito dal tropario apolytíkion del giorno. È sostituito
in due circostanze. Nei giorni feriali di quaresima si
canta l’alleluia con alcuni versetti di Is 26 che evocano
la meditazione dei comandamenti del Signore (II, 91),
seguiti dagli inni triadici secondo gli otto toni (II, 9195). Nei giorni di sabato semplice si canta l’alleluia con
versetti dei salmi 64, 101, 111, seguiti da tropari che
evocano la memoria dei morti, dei santi e di altri
defunti (I, 95-96).
La lettura continua del Salterio
La grande colletta, o litania detta «della pace» (iriniká). Le litanie sono una serie di proclamazioni concise, abitualmente attribuite al diacono o al presbitero,
nelle quali si indicano i motivi per i quali occorre supplicare il Signore. L’assemblea vi interviene, rispondendo ad ognuna di esse con un canto breve, più spes-
I Salmi, il libro dell’Antico Testamento di gran lunga
più citato nel Nuovo, sono alla base di tutte le preghiere cristiane e specialmente dell’Ufficio divino.
Questo uso vi si manifesta in diverse maniere. Ne
abbiamo già sottolineate alcune: la lettura di salmi
interi particolarmente adatti a questa o a quella circostanza, come ad esempio l’exápsalmos, gruppo fisso di
sei salmi che contengono allusioni alla notte o all’alba,
oppure i salmi 19 e 20 dell’ufficio per i re. In questo
modo, ogni ora dell’ufficiatura bizantina comporta
salmi fissi, spesso particolarmente ricchi ed espressivi,
che si ripetono tutti i giorni. In altri momenti se ne
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La litania della pace
estraggono pochi versetti più caratteristici, accompagnandoli con ritornelli che possono essere presi dagli
stessi salmi, come è il caso dell’inno «Il Signore è
Dio…» visto sopra, oppure dell’alleluia, o anche di
inni redatti dalla tradizione cristiana posteriore.
Inoltre, occorre notare che molte orazioni ed inni non
direttamente scritturistici hanno utilizzato espressioni
e formule provenienti da tutta la Sacra Scrittura, e specialmente dai salmi.
Nel contempo, è anche l’insieme del Salterio ad
avere un valore proprio. Come san Paolo a Timoteo,
così sant’Atanasio, testimone di tutta la tradizione, scrive a Marcellino che «tutta la Scrittura è divinamente
ispirata ed utile per insegnare» (cf 2Tm 3,16), ma
aggiunge che ogni suo libro tratta un argomento particolare, mentre «il libro dei salmi, contenendoli tutti
come un paradiso, li canta congiungendovi inoltre i
suoi tesori propri». Il primo pregio dell’insieme del
Salterio è dunque quello di riassumere tutta la Scrittura,
e perciò tutta la storia della salvezza. Atanasio sottolinea poi che nei salmi la rivelazione divina viene cantata, cioè non solo analizzata, ma assimilata in modo tale
che la sua conoscenza ci introduce davanti al Signore
per poter cantare il suo mistero e rendergli gloria.
Infine, più avanti nella sua lettera, noterà pure che cantando i salmi ce ne appropriamo, sentiamo ciò che dicono come se fosse nostro: «per chi li canta, sono uno
specchio dove contempla se stesso e i movimenti della
sua anima» (cf nn. 2,11 e 12 in PG 27, 12,21 e 24).
Questi principi, ben diffusi al tempo di sant’Atanasio, sono all’origine della lettura continua del Salterio
esistita in ogni Chiesa cristiana e tuttora conservata
almeno parzialmente in quasi tutte.
Nella tradizione bizantina, il Salterio liturgico costituisce un libro a parte—non riportato nell’Anthologhion
—diviso in 20 parti, ciascuna delle quali è chiamata
káthisma (termine che indica la possibilità di sedersi),
ognuna suddivisa in tre parti dette «stanze». Ne presentiamo la ripartizione, ricordando che il testo e la
numerazione dei salmi sono quelli della versione dei
LXX.
káthisma 1
salmi 1-3, 4-6, 7-8
káthisma 2
salmi 9-10, 11-13, 14-16
káthisma 3
salmi 17, 18-20, 21-23
káthisma 4
salmi 24-26, 27-29, 30-31
káthisma 5
salmi 32-33, 34-35, 36
káthisma 6
salmi 37-39, 40-42, 43-45
káthisma 7
salmi 46-48, 49-50, 51-54
káthisma 8
salmi 55-57, 58-60, 61-63
káthisma 9
salmi 64-66, 67, 68-69
káthisma 10
salmi 70-71, 72-73, 74-76
káthisma 11
salmi 77, 78-80, 81-84
káthisma 12
salmi 85-87, 88, 89-90
káthisma 13
salmi 91-93, 94-96, 97-100
káthisma 14
salmi 101-102, 103, 104
káthisma 15
salmi 105, 106, 107-108
káthisma 16
salmi 109-111, 112-114, 115-117
káthisma 17
salmo 118
káthisma 18
salmo 119-123, 124-128, 129-133
káthisma 19
salmo 134-136, 137-139, 140-142
káthisma 20
salmo 143-145, 146-147, 148-150
Questi káthisma sono abitualmente letti durante
l’órthros ed il vespro in maniera variabile, più breve o
più estesa a seconda delle caratteristiche del tempo.
All’órthros della domenica si leggono tre káthisma e
questa regola vale anche nelle feste più importanti. Va
notato che il terzo káthisma delle feste è relativamente
diversificato (I, 48ss). Per gli altri giorni della settimana, se ne leggono abitualmente due, ma sono anche tre
in certi periodi dell’anno, come dopo il 14 settembre o
in quaresima. È importante che il loro insieme sia percorso regolarmente, anche se il valore di questa norma
è oggi meno compresa, e pertanto poco osservata.
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