Leo Longanesi rivela la natura degli italiani

Leo Longanesi rivela la natura degli italiani
“Il Fascismo non ha tolto la libertà di stampa ma ha introdotto la responsabilità di
stampa; e i giornali d’oggi sono monotoni, uguali, zelanti, cortigiani, leccapiatti
appunto perché nessuno ha il coraggio d’assumere questa responsabilità, a costo di
perdere onori e cariche. Non è dunque la libertà di stampa che fa difetto, ma è la
stampa, che per vivere in pace si taglia la testa e la mette nel sacco dei luoghi
comuni.” Il fascismo era caduto da tre anni e questo scriveva Leo Longanesi in In piedi
e seduti: e adesso ch’esce una splendida antologia longanesiana scelta da Pietrangelo
Buttafuoco (Il mio Leo Longanesi a cura di Pietrangelo Buttafuoco, Longanesi, pp. 251, € 19)
mi torna il passo all’immaginativa e mi fa interrogare: non è dunque cambiato nulla, la
descrizione non è quella dei giorni che viviamo, forse con aggravati zelo e unzione?
Longanesi era un genio con una punta di cialtroneria della quale era consapevole
sebbene della cialtroneria fosse il più grande fustigatore per possedere un intuito
infallibile nello scovarla e una ineguagliata capacità di punirla. Io l’ho letto passim e
disordinatamente nel corso della vita; la contemplazione di quest’antologia, che per
la selezione mostra il genio riflesso di Pietrangelo, m’induce a pensare che per quanto
il battutista Longanesi sia di suprema qualità alla fine dobbiamo vedere in lui lo
storico e il moralista del nostro costume nazionale. Il mio non esser uno specialista
del tema mi concede la libertà di affermare, certo dilettantescamente, ch’egli mi pare
un discendente di Guicciardini e del Leopardi del Discorso sopra lo stato presente dei
costumi degl’Italiani. Quest’operetta fra le più grandi della nostra filosofia politica e
della nostra sociologia la lessi la prima volta quarantacinque anni fa indottovi da
Piero Buscaroli, che di Longanesi era stato seguace, collaboratore e in parte erede sia
come scrittore che come editore: c’è sempre una ragione nel caso.
A comprendere il fascismo più dei libri di Renzo De Felice bastano poche pagine di
quest’antologia. Benedetto Croce lo riteneva un’invasione aliena; Longanesi lo mostra
intimo alla nostra natura nazionale nella sua parte bassa: forse davvero fascisti furono
in pochi ma l’attrazione e il consenso nati da viltà e convenienza furono quasi di tutti.
Il Mussolini dipinto da Longanesi possiede una sua incompiuta grandezza che
diviene poi ridicola e criminale. Allora rivelatore è questo romagnolo di Bagnacavallo
là ove addita la sostanziale complicità del fascismo coll’antifascismo e
dell’antifascismo col fascismo: quasi da subito, dunque a prescindere da quella che si
sarebbe rivelata nel dopoguerra la miseria dell’antifascismo professionista. La pagina
che descrive il terrore onde vien preso Mussolini al delitto Matteotti e lo speculare
terrore onde vengon presi tutti, dai Savoia a liberali agli antifascisti, che Mussolini
fosse per poter cadere, è degna di Tacito e delle riflessioni sulla storia e sull’umana
natura nella parte sulla peste dei Promessi sposi. E torno alla mia idea fissa: noi italiani
siamo abbietti ma anche il primo popolo al mondo.
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