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TRE SECOLI ALLA TASTIERA:
SCARLATTI, SCHUBERT, BERIO
SECONDO ANDREA LUCCHESINI
ELISABETTA TORSELLI
Scarlatti
a giovinezza e prima maturità di compositore di musica strumentale, vocale e teatrale e di virtuoso della tastiera di
Domenico Scarlatti, a Napoli, Firenze, Venezia, Roma e
Palermo, ebbero fortune ondeggianti, anche se con episodi memorabili, come quelli delle gare all’organo e al cembalo con Haendel e
con il clavicembalista irlandese Roseingrave, che avrebbe poi ricordato con ammirazione i “mille diavoli” scaturenti dalle dita del collega e rivale napoletano (senza però portargliene rancore, anzi proprio le esecuzioni e pubblicazioni scarlattiane di Roseingrave sarebbero state alla base del culto inglese per Scarlatti, poi ulteriormente
fiorito grazie a Muzio Clementi). Negli anni Venti Scarlatti prende
la decisione del trasferimento a Lisbona, anche se solo nel 1728,
stando al Musikalisches Lexikon del Walther, sarebbe stato ufficialmente assunto al servizio della corte portoghese, con gli obblighi
abituali e con quello specifico di diventare maestro di musica dell’Infanta Maria Barbara di Braganza. Alcuni anni dopo Maria Barbara andò sposa all’Infante di Spagna e Scarlatti la seguì a Madrid
dove sarebbe morto il 23 luglio del 1757. Era una corte quieta, e
tranne qualche occasionale obbligo non c’era più niente a frapporsi
fra Domenico e il suo diletto clavicembalo. Negli ultimi anni alla
corte di Spagna arriva anche Carlo Broschi, il Farinelli, che invece
si dava un gran da fare e riuscì forse a scalzare nelle predilezioni
di Maria Barbara il suo vecchio maestro.
Questa biografia si intreccia dunque intimamente con la leggenda (e con alcune spinose questioni storiche ed esegetiche) del
grande esule dal paese del melodramma, che però in questo romanzo biografico continuerebbe a perseguitarlo come una nemesi, tanti
anni dopo, anche in Spagna, nelle sembianze di un inflaccidito
Farinelli. Nella tranquilla cerchia di Maria Barbara matura il trionfo
scarlattiano di una musica strumentale che trasforma, senza dimenticarli, i modelli di costruzione e di retorica musicale precedenti in
sostanze e forme nuove, nella concentrazione di quella cosa perfetta
che è la sonata scarlattiana, in equilibrio miracoloso fra le memorie
della civiltà strumentale che è alle sue spalle e il sonatismo che
verrà. È infatti negli ultimi decenni che si concentra prevalentemen-
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