VITA DI RICERCATORE
Manager della ricerca
Come il cioccolato
nel bacio di dama
Silvia Marsoni è una ricercatrice atipica:
il suo ruolo è quello di progettare e seguire
nel tempo le sperimentazioni farmacologiche
sui pazienti, facendo da collante indispensabile
tra la ricerca di base e la ricerca clinica
a cura di FABIO TURONE
e chiedete a una cuoca sopraffina il segreto della sua
ricetta migliore, non di
rado vi indicherà un ingrediente apparentemente secondario, che usa con inventiva e un
pizzico di improvvisazione per legare
tra loro materie prime più e meno pregiate, esaltando le caratteristiche e il
gusto di ciascuna in una miscela di
odori, sapori, forme e colori unica e imprevedibile. Con la ricerca oncologica,
e in particolare con quella
traslazionale
– che punta
ad applicare
rapidamente
alla clinica le
scoperte via via realizzate in laboratorio – Silvia Marsoni è convinta che sia
utile fare lo stesso.
Oggi responsabile della ricerca clinica dell’Istituto per la ricerca e la cura
del cancro di Candiolo, in provincia di
Torino, e cuoca appassionata, Silvia
Marsoni usa anche un’altra appetitosa
immagine per descrivere la specificità
del proprio lavoro di scienziata-manager: “La ricerca traslazionale è un po’
S
come un bacio di dama” spiega, alludendo ai pasticcini tipici piemontesi.
“In mezzo tra il biscottino della ricerca
di base e il biscottino della clinica c’è
uno strato di cioccolata, che ovviamente non ha solo la funzione di tenerli insieme. Io sono come la cioccolata”.
Il riferimento a un dolcetto che appartiene alla storia del Piemonte
nasce da un legame antico: Silvia Marsoni è veneziana di nascita (“in realtà
sono nata a Treviso, ma solo perché
mia mamma è stata colta alla sprovvista durante
una passeggiata, all’ottavo
mese di gravidanza”) ed è
cresciuta tra
Biella e Milano, prima di andare negli Stati Uniti.
Oltre ad aver vissuto a lungo a Biella,
città natale della madre, conta tra i
suoi antenati Quintino Sella, scienziato, economista e politico piemontese
che ebbe un ruolo cruciale nella nascita dello Stato unitario, e dal marito
Francesco ha acquisito un altro cognome scolpito nella storia del Risorgimento: “Anni fa, sbarcando dall’aereo negli Stati Uniti, strappai un sorri-
Una miscela di sapori:
così è anche la ricerca
che passa dal
laboratorio alla cura
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VITA DI RICERCATORE
scandito il cognome completo ‘Marsoni in Mori Ubaldini degli Alberti La
Marmora’ ogni sospetto ha lasciato il
posto a una reazione divertita”.
Dall’Italia
agli States e ritorno
Negli Stati Uniti era arrivata per la
prima volta nel 1979, dopo la laurea in
medicina all’Università di Milano e il
dottorato in ricerca farmacologica all’Istituto Mario Negri. Per restare a fare
l’università a Milano, in quei primi anni
Settanta pieni di rivolgimenti in cui
anche lei coltivava
la speranza di un
futuro diverso,
aveva preso la decisione di non seguire a Londra la
madre, che andava
a specializzarsi per diventare psicanalista, e il fratello, che nella capitale inglese sarebbe divenuto architetto.
Lo stesso “spirito rivoluzionario” che
l’aveva convinta a restare a Milano per
cambiare il mondo la spinse, poco dopo
il completamento del dottorato di ricerca, a volare negli Stati Uniti per occuparsi di farmaci sperimentali al National Cancer Institute di Bethesda. Il
colpo di fulmine fu immediato, ma
dopo circa sei anni, nel corso dei quali
era stata nominata capo dello sviluppo
farmacologico dell’Istituto, al profondo
In questo articolo:
5 per mille
cancro del colon-retto
sperimentazioni farmacologiche
innamoramento iniziale seguì una fase
di insoddisfazione: “Ricevetti offerte mirabolanti anche sul piano economico da
istituti oncologici americani d’eccellenza, ma dopo una lunga fase di incertezza
decisi di tornare in Italia”. La decisione
non fu ovviamente legata alle prospettive di stipendio – al contrario – ma fu
frutto delle insistenze del collega farmacologo ed epidemiologo Alessandro Liberati, anche lui reduce da un’esperienza ad Harvard.
Insieme misero
in piedi all’Istituto
Mario Negri di Milano il Laboratorio
di farmacologia
clinica per i farmaci antitumorali. L’idea era quella di mettere in pratica in Italia l’esperienza acquisita negli Stati Uniti portando avanti
studi per sviluppare nuovi farmaci. Il
loro idealismo si scontrò però con la
realtà italiana: “Solo di recente, grazie ai
fondi del 5 per mille AIRC, sono diventate disponibili risorse economiche sufficienti per la ricerca indipendente (cioè
non legata agli investimenti dell’industria) in ambito farmaceutico, assegnate
con meccanismi trasparenti e basati
solo sulla qualità scientifica delle proposte” spiega Marsoni.
La ricerca
indipendente sui
farmaci è ancora
troppo rara
so a uno degli agenti dell’immigrazione, che normalmente hanno un’aria
molto severa e minacciosa” racconta
divertita. “Quell’agente si era insospettito perché il cognome sulla carta
d’imbarco non sembrava corrispondere a quello sul passaporto, ma quando
gli ho spiegato che per semplicità
usavo la versione abbreviata, e gli ho
“
DALLA TORRE DI BABELE ALLA TAVOLA ROTONDA
inora il ricercatore ha
parlato un linguaggio e il
clinico un altro. Ora
vogliamo creare figure
professionali bilingui, capaci di
far proprie le istanze della
ricerca ma con un occhio alle
necessità concrete dei pazienti.
È un compito difficile, perché
finora i medici che hanno fatto
anche ricerca hanno sempre
privilegiato il paziente, come è
giusto che sia, visto che il loro
“F
compito principale è l’assistenza.
Il medico ricercatore potrà trarre
dalla clinica gli stimoli di cui avrà
bisogno per dare concretezza al
suo lavoro di ricercatore,
lasciando ad altri le ambasce
dell’assistenza quotidiana”. Con
queste parole Paolo Comoglio,
direttore scientifico delll’IRCC di
Candiolo (Torino), ha spiegato il
presupposto dello studio
finanziato con il 5 per mille AIRC,
che avrà una prima fase triennale
”
al termine della quale, dopo una
attenta valutazione dei risultati
ottenuti, sarà erogato il
finanziamento per un altro
biennio.
Il progetto oggi in corso tra
Candiolo e Milano rappresenta lo
sbocco in ambito clinico delle
ricerche iniziate da Comoglio 20
anni fa, a partire dalla scoperta
dell’oncogene Met e degli altri
geni che determinano la crescita
invasiva delle cellule tumorali. Lo
Silvia Marsoni
col marito
nel giardino
della casa
torinese
Prospettive
di lungo respiro
Circa un anno fa è stata chiamata a
Candiolo a coordinare la ricerca ideata da
Paolo Comoglio: “Qui mi trovo benissimo
perché condivido in pieno la visione del
professor Comoglio” racconta. “Sono innamorata di Torino perché sono molto
studio coinvolge circa 100
ricercatori in 11 gruppi di
ricerca, tutti operanti all’Istituto
di Candiolo tranne uno, che
lavora all’Ospedale Niguarda Ca'
Granda di Milano.
“A Torino ho trovato molta
voglia di lavorare in gruppo,
senza eccessi di protagonismo
da parte di nessuno” racconta
Marsoni, che per spiegare il
segreto della cooperazione usa
un’immagine molto evocativa.
“Il clima che si respira mi fa
pensare a Camelot e ai cavalieri
della Tavola Rotonda”.
sensibile all’estetica, e sono molto grata
all’AIRC perché con questa modalità di finanziamento di lungo respiro sta favorendo, in un periodo di profonda crisi, la
rinascita, o forse potremmo dire il risorgimento, della ricerca clinica”.
Un risorgimento che passa dalla costituzione di gruppi di lavoro multidisciplinari composti da ricercatori molto competenti e affiatati: “La ricerca di base si
può fare anche da soli, ma quando ci si
prefigge di ottenere in breve tempo un risultato tangibile per i malati occorre mettere in rete tante competenze diverse, sapendo che spesso i ricercatori con diversa
specializzazione parlano linguaggi diversi”
spiega la farmacologa.
“Occorre coordinare il
lavoro prevenendo gli
intoppi e soprattutto pianificare con
estrema chiarezza l’argomento e gli specifici obiettivi di ciascuna ricerca. Il mio
ruolo di direttore della ricerca clinica richiede di trasformare le idee che escono
dai laboratori in protocolli di ricerca ba-
sati su un’ipotesi che sia possibile verificare o smentire con una sperimentazione”.
In questo senso Marsoni – che alla
metà degli anni Novanta ebbe anche una
parentesi di amministratore pubblico,
come presidente della Provincia di Biella
– opera come una sorta di “mediatore culturale”, che conosce il linguaggio tecnico,
gli strumenti e quindi il punto di vista dei
molti specialisti necessari alla ricerca
traslazionale in oncologia, e fa in modo
che nel realizzare una sperimentazione
tutti concorrano all’obiettivo condiviso,
così da assicurare il
massimo rendimento
per le risorse investite:
“L’estremo rigore metodologico con cui oggi si
pianificano le sperimentazioni cliniche
nasce dall’esigenza non solo di offrire la
miglior risposta possibile ai pazienti, ma
anche di fare tesoro appieno degli eventuali insuccessi, totali o parziali, che spesso forniscono utilissime indicazioni per il
progresso della ricerca”.
Mediatrice
culturale
tra due rami
della medicina
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VITA DI RICERCATORE
“
UNA RICERCA
CHE BRUCIA
LE TAPPE
”
llo studio finanziato a Candiolo
con i fondi del 5 per mille AIRC
partecipano ben 11 gruppi
diretti da altrettanti brillanti
ricercatori: “La ricerca che portiamo
avanti richiede un gioco di squadra
in cui le vere stelle sono loro, e io ho
il compito di garantire che ci si
capisca perfettamente e si condivida
non solo l’obiettivo, ma anche tattica
e strategia, cioè il metodo” spiega la
Marsoni, per poi ricorrere di nuovo a
un’immagine colorita: “Io sono un
po’ la governante che fa funzionare
la casa”.
Il progetto ha già portato in tempi
rapidissimi a un primo risultato
molto significativo, sancito dalla
pubblicazione, a fine ottobre,
sull’importante rivista oncologica
americana Cancer Discovery. Ciò ha
reso possibile l’avvio, con grande
anticipo rispetto alla tabella di
marcia, di una sperimentazione
clinica multicentrica sui pazienti. Il
gruppo è costituito da persone con
carcinoma del colon-retto e con uno
specifico profilo genetico abbastanza
raro, tanto che si prevede di dover
esaminare circa 1.500 malati per
reclutare i 37 previsti dal protocollo.
Questa ricerca ha coinvolto 28
ricercatori che partecipano al
progetto AIRC: “È frutto di uno sforzo
collegiale non indifferente, ma deve a
Livio Trusolino e Andrea Bertotti
l’ispirazione e il successo” spiega
Comoglio, direttore scientifico
dell’Istituto di Candiolo. “Al lavoro ha
contribuito anche la squadra
piemontese-lombarda coordinata da
Alberto Bardelli a Candiolo e da
Salvatore Siena all’Ospedale
Niguarda Ca’ Granda di Milano”.
A
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Terapie mirate
per chi se ne giova
Lo studio in corso a Candiolo mira a
ottenere una migliore comprensione dei
meccanismi molecolari alla base della
estrema variabilità con cui i malati di carcinoma del colon-retto rispondono alla
somministrazione dei farmaci biologici.
È noto che solo una piccola parte dei
malati ottiene benefici dalla terapia mirata con cetuximab, l’anticorpo monoclonale che rappresenta la terapia d’elezione
in questo tumore. Inizialmente non c’era
modo di prevedere chi avrebbe ottenuto
benefici, ma oggi è già possibile fare una
prima selezione dei malati sulla base
della presenza o meno di una caratteristica genetica associata alla resistenza al farmaco: la mutazione del gene KRAS. I malati che ai test genetici presentano questa
mutazione – ovvero questo “biomarcatore” che permette di prevedere l’inefficacia
della terapia – evitano
di essere sottoposti a
un trattamento inutile
e potenzialmente dannoso (oltreché costoso).
Una volta esclusi i portatori di questa
mutazione genetica, solo il 20 per cento
circa dei restanti malati ottiene dei miglioramenti: l’ipotesi più verosimile è che
quelli che non ottengono benefici presentino, a livello molecolare, altre caratteristiche (che i medici definiscono “lesioni molecolari”) responsabili della resistenza alla terapia. In termini generali la
speranza è che si possa agire in qualche
modo per inibire in parte o del tutto gli
effetti di quelle mutazioni rallentando la
crescita neoplastica, cosa che al momento non si riesce a fare con la mutazione
del gene KRAS. In concreto, gli studi preliminari realizzati impiegando il sofisticato modello sperimentale innovativo
messo a punto a Candiolo hanno individuato una seconda caratteristica molecolare, legata al gene HER-2 che potrebbe
essere usata non tanto per escludere certi
malati, ma al contrario per riservare loro
un trattamento combinato di due farmaci, che presentano tutte le premesse per
dimostrarsi capaci di far regredire il tumore in maniera durevole.
La prospettiva di avviare entro breve
con il gruppo di ricerca una sperimentazione clinica multicentrica su 37 pazienti, con molto anticipo rispetto alla
tabella di marcia, è entusiasmante, ma
Marsoni tende a non
mettersi troppo in
luce: “Come scienziata
sono mediocre: sono
una cuoca assai migliore, tanto che secondo mio figlio, che ora
ha 21 anni e studia antropologia in Scozia, dovrei dedicarmi a tempo pieno ai
fornelli”. A giudicare da come nella sua
professione riesce a mettere insieme
tanti “ingredienti” pregiati per esaltare
le caratteristiche di ognuno, rendendo
possibile una ricerca d’avanguardia,
viene da pensare che a casa Marsoni il
menu sia da Guida Michelin.
Si selezionano
i pazienti sulla
base del gene
KRAS