Pietro e 10.000 sassetti

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PERSONAGGI
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25 agosto
Pietro e 10.000 sassetti
Oltre diecimila partecipanti al
Meeting hanno assistito nel
grande auditorium della Fiera
alla messa celebrata dal vescovo di Rimini, monssignor
Francesco Lambiasi e, in collegamento con Piazza San Pietro, all’Angelus del Papa. L’omelia del vescovo e le parole
del Pontefice erano incentrate
sulla pagina del vangelo della
liturgia festiva di ieri, con il
racconto dell’episodio in cui
Gesù affida a Pietro la guida
della sua Chiesa. Pietro risponde senza esitazione alla domanda di Gesù rivolta ai discepoli:
«Voi chi dite che io sia». Pietro
esclama: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivo». I diecimila
di Rimini si sono uniti a una
sola voce alla folla di piazza
San Pietro che ha risposto all’invito del Papa di ripetere,
per tre volte, la frase di Pietro:
«Tu sei il Cristo, il figlio di Dio
vivo». «Anche a noi oggi – ha
sottolineato monsignor Lambiasi - Gesù affida la sua Chiesa, questa casa con crepe e
brecce, che ha continuo bisogno di essere riparata, come la
Chiesa del tempo di Francesco
d'Assisi, che era tutta in rovina. Noi non ci sentiamo affatto
delle rocce, ma solo delle piccole pietre, dei poveri sassetti.
Ma nessun sassetto al mondo è
inutile. Altrimenti “tutto sarebbe inutile, anche le stelle” (il
vescovo ha citato qui il film La
strada di Fellini cui è stato dedicato lo spettacolo inaugurale,
ndr). In mano a Gesù ogni
sassetto diventa prezioso. Perché lui è fatto così: prende il
primo ciottolo che incontra per
strada e lo colloca dove ne ha
bisogno». Hanno concelebrato
la messa anche il Custode della
Terrasanta Pierbattista Pizzaballa e i vescovi Luigi Bressan
di Trento e Lorenzo Leuzzi, vicario episcopale a Roma.
«Anche io sono Nazareno»
Wael Farouq è certo: non è possibile essere un buon musulmano senza riconoscere il cristianesimo
«Se siamo credenti, possiamo incontrarci e costruire insieme uno spazio di umanità nuova. Questo non è un’utopia»
Il dolore profondo, inflitto dai guerrieri del Grande Califfato nella povera
carne martoriata dei cristiani dell’Iraq,
diventa l’occasione di un bene grande.
Per tutto il mondo, per chi è cristiano e
per i musulmani. Per chi partecipa a
un’esperienza di fede e per chi cerca,
con tutto se stesso, la via verso il proprio
destino buono.
Wael Farouq, visiting professor di lingua araba all’Università Cattolica di Milano, racconta con passione la sua voglia
di vivere fino in fondo il suo essere
musulmano dentro all’esperienza di amicizia che lo
lega ad alcune persone che seguono il
carisma del Don
Gius.
Farouq partecipa al Meeting
proponendo, insieme con i ragazzi del gruppo Swap
(Share with all people), una mostra tutta
pervasa dal cambiamento nei
rapporti tra cristiani e musulmani nato
da un incontro, da un confronto carico di
stima e di libertà.
Tutto il mondo assiste da settimane
alla persecuzione dei cristiani, in particolare in Iraq. E allora, che senso ha
una mostra che rischia di essere solo
un’utopia?
Penso che ogni cristiano che abbia un
amico musulmano si sia accorto che
qualche cosa è cambiato, nel loro rapporto. Con semplicità, ma al tempo
stesso con la nettezza di una scelta di fede, milioni di musulmani hanno affermato «io sono Nazareno». L’hanno fatto
attraverso gli strumenti dei social media,
modificando i propri profili Twitter o
Facebook. Oppure, solo indossando una
croce. O dichiarandosi Nazareni pubblicamente, a scuola, all’università, al lavoro. L’11 settembre del 2001, di fronte
alla tragedia delle torri gemelle, milioni di musulmani espressero una condanna totale del terrorismo, ma questo
giudizio passò praticamente sotto silenzio. Adesso no, la situazione è cambiata. Ora il mondo islamico, il mondo intero, ha la possibilità di riflettere
su questo fatto concreto: la stragrande
maggioranza dei musulmani desiderano incontrare i cristiani. Abbiamo bisogno di abbracciarci, ognuno con la
nostra fede. Perché se siamo credenti,
possiamo costruire un mondo
nuovo. La mostra racconta questo: in un
abbraccio, in un
incontro, c’è una nuova umanità. Non è
quindi un’utopia, ma il riconoscimento
di qualche cosa che è già accaduto.
Eppure sembra
che il terrore e la violenza siano più affascinanti di questo abbraccio. Milioni di seguaci del
Grande Califfato vogliono la guerra
santa e uccidono cristiani e chi si oppone al grande stato islamico. Allora dov’è la speranza?
Milioni di persone che hanno scelto
il terrore come modo di vita, è vero.
Ma non sono tutti i musulmani, anzi
sono una minoranza. Vivono di terrore
perché disprezzano la vita. E non vinceranno la loro guerra proprio perché
non è santa, ma è stata maledetta, anche in queste ore, dai grandi leader religiosi musulmani. Le religioni non
s’incontrano, ma i credenti possono
incontrarsi. Io credo fermamente in
questa possibilità e dico con chiarezza
che nella religione islamica io non
posso essere un buon credente se non
riconosco il cristianesimo. Se non ho
rispetto per la sacralità delle figure di
Gesù e di Maria. E di fronte al terrore,
c’è la realtà quotidiana di migliaia di
cristiani che scelgono di non salvare la
propria vita proclamando l’abiura: Allah è il mio Dio e Maometto è il suo
profeta. Se pronunciano quelle poche
parole, la loro vita cambia in un attimo: non sono più perseguitati, sono
salvi e addirittura sono portati d’esempio. Loro, però, non lo fanno. Quelle
poche parole non le pronunciano. E
così facendo danno a me, musulmano,
e ai miei fratelli l’esempio più vero di
che cosa voglia dire vivere un’esperienza di fede.
Il sacrificio di questi cristiani è un
valore anche per lei, dunque?
Di più, se possibile. Il sacrificio di
questi cristiani, il loro dolore, il loro
martirio a causa della loro fede è il
motivo per cui io, musulmano, sono
richiamato ad avere coscienza fino in
fondo della mia fede. In questo dolore, in questo martirio riconosciuti, c’è
la verità della mia esperienza quotidiana. Ma, tornando alla domanda precedente, mi sento di dire che il fascino
del terrore è la risposta più disumana
alla laicità estrema che oggi pervade il
mondo, soprattutto l’Occidente.
La laicità estrema vista come l’estremo confine del relativismo?
Sì, nel senso della reazione dell’uomo che vuole essere il padrone di se
stesso e della vita degli altri. Addirittura, la religione diventa uno strumento
per sostenere la cultura del terrore. Per
questo la persecuzione dei cristiani
non è una guerra di religione che riguarda una parte, ma è un dramma
mondiale. E’ il drammatico evolvere
di una umanità che non sa riconoscere
il suo destino buono. Sembra che non
ci sia speranza, ma non è così: Dio c’è
e non cede al terrore. Dio c’è e riserva
all’uomo un destino nell’eternità divina. L’uomo non si fa da solo e tutto
Con semplicità
milioni di musulmani
hanno affermato
“Io sono
un Nazareno”
***
Il dolore
dei cristiani
richiama
la coscienza
di ogni uomo
***
Papa Francesco
è l’unico
a non parlare
di guerra,
ma di preghiera
quello che accade nella realtà parla all’uomo del significato della vita: riconoscere un Dio che agisce nel mondo
e nella storia. Questa coscienza è ciò
che determina me, musulmano e il
mio amico cristiano.
Papa Francesco ha condannato
duramente il terrore, ma non ha
pronunciato una sola parola contro
l’Islam. Una posizione prudente,
dettata da rapporti in qualche modo politici, oppure un riconoscimento del valore di questa coscienza di
chi crede, anche se ha una fede diversa da quella cristiana?
Papa Francesco si è comportato da
grande amico dell’Islam perché non si
è lasciato tentare da una facile posizione ideologica, ma ha parlato da uomo
di Dio. Ha parlato con amore, riconoscendo il valore dell’Islam e con il rispetto che prova nei confronti dei credenti musulmani. Non una posizione
diplomatica, ma un invito a pregare insieme con lui. Ci ha domandato di essergli compagno nella preghiera che
implora da Dio una nuova civiltà dell’amore. Lui è l’unico ad aver condannato la guerra, ogni tipo di guerra, opponendo il perdono. Una ferma condanna del terrore, che va fermato con
l’impegno e l’intervento di tutta la comunità internazionale. Ma anche la
preghiera per le anime degli assassini
e un richiamo alla loro vera, ultima umanità. Una posizione di grande realismo, se possibile. Anche da un punto
di vista più strettamente politico. Proprio perché il problema è mondiale,
Francesco sposta l’attenzione sul piano del tavolo internazionale e al tempo
stesso, riconoscendo il valore della vera religione islamica obbliga l’Islam a
respingere le interpretazioni aberranti
del Corano. Per questo i musulmani
devono ringraziarlo, dal profondo del
cuore e non solo come atto formale.
Paolo Cavallo
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