TERAPIE Chemio peritoneale Un’arma più efficace per il tumore dell’ovaio Una chemioterapia infusa direttamente nell’addome può rivelarsi molto efficace in alcuni casi di tumore ovarico, ma studi recenti dimostrano che, per diverse ragioni, non è ancora entrata a far parte della pratica clinica di molti ospedali 16 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2016 In questo articolo: tumore all’ovaio chemioterapia nuove cure S a cura di DANIELA OVADIA i chiama chemioterapia intraperitoneale: è una terapia che non viene introdotta nell’organismo attraverso la circolazione sanguigna, ma viene immessa direttamente nell’addome e rappresenta una possibile risposta alla ricerca di nuove opzioni di trattamento per il tumore ovarico. Questa malattia conta circa 5.000 nuove diagnosi ogni anno in Italia e purtroppo resta ancora complessa da curare nonostante i progressi in campo chirurgico e terapeutico. Uno dei fattori che la rende così subdola è la mancanza di sintomi nelle fasi iniziali o la presenza di sintomi molto generici spesso sottovalutati: ecco perché molte delle diagnosi vengono effettuate quando la malattia ha già dato metastasi a livello addominale. L’intervento chirurgico seguito dalla chemioterapia per via endovenosa resta l’opzione più utilizzata, ma non sempre si rivela efficace, soprattutto se con il bisturi non è stato possibile asportare tutte le cellule tumorali visibili. GLI STUDI PARLANO CHIARO Sono passati ormai 10 anni da quando la Food and Drug Administration (FDA), l’ente a stelle e strisce che si occupa della regolamentazione dei farmaci, ha emesso un comunicato speciale per sottolineare l’efficacia della combinazione della chemioterapia intraperitoneale e di quella più classica intravenosa nel trattamento del tumore ovarico. Questo tipo di annunci da parte della FDA è piuttosto raro e sottolinea in modo inequivocabile la fiducia che gli esperti ripongono in questa terapia, considerata rivoluzionaria al tempo della pubblicazione del comunicato, basato sui risultati di diversi studi clinici e in particolare di quello chiamato GOG-172. Per le donne che oltre alla chemioterapia classica si erano sottoposte anche a quella intraperitoneale si allungava in effetti il tempo di sopravvivenza di oltre un anno rispetto a quanto osservato per quelle che invece avevano utilizzato solo la chemioterapia per via endovenosa. Studi più recenti hanno inoltre dimostrato che, grazie alla combinazione dei due tipi di trattamento, il rischio di mortalità si riduce del 23 per cento. Anche nel corso del più recente congresso della American Society of Clinical Oncology (ASCO), nel mese di giugno scorso, sono stati presentati dati sull’efficacia del trattamento intraperitoneale, capace di controllare meglio della sola chemioterapia endovenosa la malattia e di allungare la vita alle pazienti, con una sopravvivenza significativamente più lunga. Non tutto però è così positivo: il trattamento è infatti gravato da effetti collaterali che lo rendono inadatto ad alcune pazienti. Se tollerata allunga la vita delle pazienti SISTEMA SANITARIO NAZIONALE LA TERAPIA INTRAPERITONEALE IN ITALIA A nche se, sulla base degli studi, la terapia intraperitoneale per il carcinoma ovarico avanzato non è ancora molto diffusa, in Italia non mancano i centri nei quali il trattamento è disponibile. Elencarli tutti su carta è impossibile, ma per una ricerca mirata può essere utile consultare il Libro bianco dell’oncologia italiana, pubblicato dalla Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) nel quale è presente un elenco aggiornato dei centri di eccellenza nella cura del cancro presenti sul territorio nazionale (librobianco.aiom.it). Nel sito non è disponibile l’informazione specifica relativa al trattamento intraperitoneale, ma sono elencate comunque numerose strutture alle quali è possibile rivolgersi direttamente per avere informazioni dettagliate e che dispongono in genere dei trattamenti più all’avanguardia. DICEMBRE 2016 | FONDAMENTALE | 17 TERAPIE Chemio peritoneale ANCORA QUALCHE DUBBIO Il termine intraperitoneale si riferisce al fatto che la terapia arriva in contatto con il peritoneo, una sottile membrana che riveste tutto l’addome e dove si localizzano le metastasi del tumore ovarico, ancor prima di raggiungere le sedi più lontane dall’organo di origine. C o m e funziona in pratica la chemioterapia intraperitoneale? Il processo di somministrazione non è molto diverso da quello usato per la dialisi intraperitoneale, una tecnica utilizzata nei pazienti con insufficienza renale. Si tratta di inserire un tubicino attraverso una speciale “porta” creata proprio nella parete addominale. Tramite questo catetere la TERMINOLOGIE UN LAVAGGIO ANTICANCRO L’ espressione chemioterapia intraperitoneale si utilizza anche per indicare una tecnica che a volte viene definita semplicemente “lavaggio intraperitoneale”. Si tratta di una procedura utile per trattare i tumori del peritoneo – la sottile membrana che riveste la parete addominale e gli organi in esso contenuti – anche quando non si tratta di malattia primaria (mesotelioma), ma di metastasi di altri tumori (soprattutto colon e ovaio). 18 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2016 chemioterapia può arrivare direttamente al tumore nella regione addominale senza dover passare dal sangue, può rimanerci più a lungo e in concentrazioni molto elevate, impossibili da somministrare con la tecnica endovenosa classica. Guardando i risultati degli studi, non sembrano esserci grandi ostacoli alla diffusione di questo trattamento, eppure la tecnica è ancora poco utilizzata: meno del 50 per cento delle pazienti idonee al trattamento la riceve. E la percentuale è probabilmente più bassa in molti ospedali, dal momento che i dati riportati sono stati ottenuti valutando centri di eccellenza oncologica statunitensi. I motivi della scarsa diffusione? Soprattutto gli effetti collaterali, sicuramente più pesanti di quelli già difficili da sopportare della chemioterapia per via endovenosa, e che costringono spesso le pazienti a interrompere il trattamento prima del completamento dei sei cicli previsti, riducendo così l’efficacia della cura. Per somministrare i far- maci in questo modo è inoltre necessario che il catetere resti in sede a lungo e ciò può essere veicolo di infezioni. Inoltre, per poter effettuare la terapia intraperitoneale è necessario che il tumore originale sia stato rimosso in modo ottimale con la chirurgia (ovvero che ne restino solo frammenti inferiori a 1 cm), che la paziente abbia una buona funzionalità renale, buone condizioni di salute generale e che l’intervento iniziale abbia lasciato poche cicatrici e poche “aderenze” intraperitoneali, altrimenti la chemioterapia non raggiunge tutte le zone che devono essere trattate. Questi fattori, insieme alla scarsa esperienza di molti centri, non permettono al momento alla chemioterapia intraperitoneale di diventare il trattamento di prima scelta nel tumore ovarico avanzato benché molte linee guida, tra cui quelle dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) la raccomandino per tutte le pazienti che, dopo l’intervento chirurgico, presentano ancora un residuo di malattia. Non ci devono essere aderenze nel peritoneo In questo intervento viene introdotta nell’addome una soluzione contenente il farmaco chemioterapico che così raggiunge direttamente e in concentrazioni particolarmente elevate le cellule tumorali e che viene tolto solo dopo circa 90 minuti. Il liquido viene anche riscaldato a 42 °C – si parla infatti di ipertermia o terapia ipertermica – poiché il calore danneggia il tumore e rende più efficaci alcuni farmaci. Resta però un intervento estremamente complesso, che dura molte ore e prevede una degenza lunga e probabili complicazioni. Per questo è importante discuterne tutti i dettagli con il medico.