HEGEL: Sviluppo della Filosofia dello Spirito

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HEGEL: Sviluppo della Filosofia dello Spirito
Premessa: rapporti con la Fenomenologia dello Spirito.
Nell’ambito del pensiero speculativo di Hegel, la cosiddetta Filosofia dello Spirito
costituisce la visione sistematica e completa, che già la Fenomenologia dello
Spirito del 1807 aveva avviato sulla realtà come processualità storica dal punto di
vista dello sviluppo della coscienza.
La differenza rispetto alla prima opera della maturità consiste nel fatto che
questa, la Fenomenologia, è la storia dello sviluppo della maturazione storica
della Civiltà rivisitata dal punto di vista della coscienza, che ripercorre a ritroso le
tappe del suo percorso, da semplice Coscienza sensibile ad Autocoscienza,
diventando Ragione e finalmente Spirito (Geist), ovvero sapere Assoluto.
Il punto di vista del “Sistema” della Filosofia dello Spirito, invece, è quello
dell’Assoluto stesso ovvero della Filosofia compiuta come Sophia, come scienza
assoluta di tutto il processo spirituale della storia.
E’ in questo senso che la Filosofia è “civetta di Minerva che spicca il volo sul far
della sera”.
Se, da una parte, la Fenomenologia dello Spirito è il “remake” di un film rivissuto
in presa diretta da parte della coscienza singola, la Filosofia dello Spirito,
dall’altra, è la “recensione” definitiva e concettuale del film dello Spirito giunto
alla fine; ne è insomma una descrizione “col senno di poi”.
In realtà Hegel, per la sua Fenomenologia, non usa ovviamente la metafora del
“film” ma quella del romanzo.
Il protagonista di un romanzo, che nel caso della Fenomenologia è la coscienza
individuale, non sa ancora come va a finire la sua storia: la vive in presa diretta,
appunto, divenendo di volta in volta consapevole di quanto gli sta capitando in
mezzo alle sue vicende, tappe, travagli, traversie, chiusure, svolte, etc.
La Filosofia dello Spirito possiamo intenderla, invece, come “Postfazione” del
romanzo o storia della Civiltà che è diventata Spirito ossia “sapere assoluto” del
presente come risultato di tutto il passato e di tutte le filosofie passate, secondo
lo sviluppo del “superamento e conservazione” (Auf-hebung). Essa è la storia dal
punto di vista non della coscienza singola, questa volta, ma dell’Assoluto stesso.
Al di là delle differenze, bisogna considerare la Fenomenologia dello Spirito e la
Filosofia dello Spirito come due rami dello stesso albero che è il pensiero
speculativo di Hegel; sono due aspetti o punti di vista sulla stessa cosa: la storia
dello Spirito. O meglio: il pensiero di Hegel coincide col pensiero di tutta la Storia,
ovvero come Storia che pensa se stessa tramite l’occhio concettuale di Hegel.
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Nella seconda parte della Fenomenologia, del resto, questo risulta chiarissimo
perché il discorso o il romanzo continua ad articolarsi nella dimensione della
ragione individuale che, “uscita fuori di sé” è diventata Spirito, ovvero Eticità e
Stato come oggettivazioni del “sapere assoluto”. La Fenomenologia, infatti,
finisce con la necessaria anticipazione delle tematiche più importanti per
l’Idealismo filosofico e del pensiero successivo di Hegel; le tematiche attinenti alla
dimensione sociale, comunitaria, politica, statale dello Spirito nella storia.
Ciò che segue è infatti la ripresa dell’essenza stessa del pensiero hegeliano che
punta al discorso dell’Eticità e dello Stato senza di cui gli individui, la cultura, i
popoli non avrebbero senso.
Prima di articolare le parti essenziali della Filosofia dello Spirito, voglio ricordare
che questa è espressa in opere centrali che, al di là della Fenomenologia, fanno
capo innanzitutto alle seguenti:
a) Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in Compendio (nelle sue tre edizioni
del 1817, scritta ad Heildelberg; 1827 e 1830, queste ultime scritte a
Berlino);
b) Lineamenti di Filosofia del Diritto (Berlino, 1821);
c) Lezioni di Filosofia della Storia (pubblicate postume da parte degli allievi
berlinesi ovvero dopo la morte di Hegel, avvenuta improvvisamente nel
1831 a causa del colera che si era diffuso a Berlino. In realtà la raccolta
delle sue Lezioni, a seconda degli argomenti specifici che Hegel di volta in
volta aveva trattato, furono raccolte anche sotto forma delle celebri Lezioni
di Storia della Filosofia e Lezioni di Estetica)
L’opera che le riassume tutte, come anche recita il titolo, è l’Enciclopedia, che
voleva essere da parte di Hegel un compendio o Summa di tutto il suo
pensiero sistematico e speculativo e, in quanto professore universitario a
Berlino, era tenuto, per regolamento e obbligo accademico, a produrre dei
compendi sui corsi universitari che avrebbe affrontato, in modo che gli
studenti potessero seguire meglio le sue lezioni.
In realtà questa Summa costituisce la visione sistematica della Filosofia che
ha come oggetto o contenuto l’Idea che da essere astratta forma logica si
estranea nella materia empirica della Natura per diventare infine e concepirsi
come Spirito storico della Civiltà.
Per questo l’Enciclopedia comprende le tre sezioni della
1. Logica (tratta l’Idea dal punto di vista della forma del pensiero ,al di
là di ogni possibile contenuto, e di tutti i suoi concetti e strumenti;
parla del funzionamento dell’Intelletto, delle categorie del pensiero e
infine del valore formale e strutturale della ragione dialettica che
costituisce l’essenza della logica per Hegel);
2. Natura (tratta l’Idea intesa come Mondo naturale che è sottoposto alle
leggi della fisica, da quella inorganica a quella organica e,
naturalmente, questo aspetto sarà sorpassato da Hegel in quanto
ritiene che la Natura sia lo Spirito che ancora deve sbocciare o, se si
vuole, lo Spirito è appesantito e sommerso dal buio della materia che
ne impedisce il riconoscimento);
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3. Spirito (tratta l’Idea nel superamento del punto di vista materialistico
e naturalistico per cogliersi come evoluzione consapevole di sé lungo
la storia di epoche e popoli incarnandosi nelle istituzioni sociali e
politiche ovvero nello Stato).
La Filosofia dello Spirito.
Per motivi legati alla messa in chiaro dello Storicismo e della concezione etica
dello Spirito, in questa sede salto la descrizione di Logica e Natura, per
concentrarmi sulla terza sezione della Filosofia dello Spirito che, appunto,
costituisce la sintesi di tutto l’Idealismo storicistico hegeliano.
La struttura della Filosofia dello Spirito si articola lungo lo svolgimento
triadico e dialettico di Tesi/Antitesi/Sintesi (Idea In Sé – Idea fuori di Sé –
Idea in sé e per sé) ovvero, come è noto, lo svolgimento del momento astratto
o semplicemente intellettuale del Pensiero in quello “negativo” del Pensiero,
che si relaziona con l’Altro da sé, fino al recupero e riavvolgimento
speculare/speculativo del Pensiero che si coglie nella sua completezza, in sé
e per sé appunto, quando ha superato e compreso tutte le separazioni e
fratture della Storia.
Le sezioni che corrispondono a questa struttura fanno capo a:
a) Spirito Soggettivo;
b) Spirito Oggettivo;
c) Spirito Assoluto.
La chiave di volta interpretativa dell’intero edificio hegeliano è che lo Spirito
diventa Assoluto, e riflette lo Spirito del Tempo (ZeitGeist) di un’epoca, solo
quando si è oggettivizzato storicamente nelle istituzioni e forme socio –
politiche senza cui Pensiero e Cultura in genere, o tutte le loro varie
espressioni - Arte, Diritto, Religione, Filosofia delle varie epoche e dei vari
popoli, nemmeno esisterebbero o avrebbero senso.
Per questa ragione la parte più cruciale di tutto il sistema della Filosofia dello
Spirito è quella dello “Spirito Oggettivo”.
A) SPIRITO SOGGETTIVO
(Antropologia – Fenomenologia – Psicologia)
Hegel parte con l’analizzare lo sviluppo dello Spirito dal punto di vista finito
della vita psichica o delle facoltà individuali, nell’orizzonte dell’atteggiamento
scientifico che dipende dai suoi oggetti esterni, empirici e che comunque
vuole controllarli e dominarli attraverso le sue leggi.
Antropologia.
Una delle prime scienze che studia la vita individuale dello spirito dal punto
di vista empirico delle caratteristiche e disposizioni psico-fisiche e
caratteriali, è la cosiddetta Antropologia. Questa concentra il suo studio non
sulla evoluzione sociale o etica dell’uomo, ma dal punto di vista delle tappe di
crescita biologico – antropologia, per esempio studiando le trasformazioni
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dell’individuo in base alle fasce di età di appartenenza (infanzia - giovinezza
– maturità/vecchiaia), in base al normale sviluppo dell’equilibrio psichico ma
anche delle deviazioni patologiche che sfociano nella follia, e infine in base
alla differenziazione dei sessi.
L’Antropologia è una scienza che rimane chiusa in un perimetro di studio di
fenomeni esterni o immediatamente empirici attinenti l’individuo e la sua
crescita.
Fenomenologia.
Hegel decide di chiamare “fenomenologia” il punto di vista della scienza che
comincia a vedere lo Spirito come processo che va oltre il chiuso perimetro
dei suoi condizionamenti empirici, in omaggio al testo che aveva scritto nel
1807 e in cui, come è noto, la parte decisiva risulta essere il momento del
superamento della coscienza sensibile nell’Autocoscienza.
Questa, infatti, è il risultato dell’acquisizione della consapevolezza di sé non
a partire dai semplici dati psichici, pulsionali o empirici dell’esperienza (come
fa l’Antropologia), bensì a partire dalla fuoriuscita da questa visione chiusa,
nell’apertura e confronto con altre coscienze.
Come si è visto l’Autocoscienza, nella Fenomenologia dello Spirito, al di là
dell’esempio del rapporto servo-padrone, non è stata storicamente in grado
di mantenere questa apertura e ricchezza relazionale, perché l’individuo, se
non opportunamente guidato o illuminato da una Società e Stato che gli
garantiscano libertà e soddisfacimento dei suoi bisogni, rimane inchiodato in
una separazione dal suo contesto o in una chiusura che sortisce non
l’arricchimento, ma la decadenza spirituale, la presunzione, l’arroganza,
l’inganno, la paura per la vita e per il mondo circostante, il rifugiarsi in
dimensioni utopiche, virtuali e “oniriche” oppure trascendenti come per
esempio la vita ascetica, religiosa, o sentimentalistica (tipica delle “anime
belle” romantiche, per esempio).
Questo è il motivo per cui Hegel inserisce la Fenomenologia nella sfera dello
Spirito Soggettivo e, nello specifico, al livello dell’antitesi e negatività che però
rimane negatività irrisolta e “povera”.
Psicologia.
La Psicologia studia lo Spirito dal punto di vista dell’insieme delle facoltà
razionali ma che riguardano la ragione intesa nella sua singolarità e non nella
sua dimensione sociale e storica.
Queste facoltà riguardano in generale:
a) la sfera della conoscenza scientifica, non solo l’Antropologia,
considerata in precedenza e che è la più “bassa” delle scienze, ma
anche la fisica, biologia, astronomia e, in generale, le cosiddette
scienze naturali.
b) la sfera della attività pratica o “attiva”, che ha a che fare con l’attività
a partire dalle inclinazioni verso il soddisfacimento dei propri bisogni.
Già nella Fenomenologia Hegel aveva trattato di questo punto
richiamando l’attenzione alla tendenza da parte della ragione attiva a
cercare il soddisfacimento di bisogni empirici o compiti in vista del
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godimento nel piacere e del benessere, ma tutto ciò sempre in un
orizzonte empirico o “egoistico”.
Nella sfera della ragione “attiva” è individuata la volontà libera che definisce
il carattere dell’individuo.
Hegel evidenzia che la volontà libera non è definita o compresa appieno dalla
Psicologia, perché la libertà è piuttosto un concetto ambiguo che nemmeno
Kant, dal punto di vista della ragion pura pratica, è riuscito a svolgere
rimanendo in un ambito comunque astratto.
La libertà non può essere compresa dalla Psicologia se questa pretende di
risolvere la conoscenza dello Spirito soggettivo con parametri, tra l’alto
costituiti da condizionamenti o moventi empirici della volontà, legati alla
sfera puramente individuale.
La libertà, piuttosto, è comprensibile all’interno delle condizioni sociali che
rendono possibile la realizzazione e sviluppo della volontà e può esprimersi
solo e necessariamente nella dimensione dello “spirito oggettivo”.
B) SPIRITO OGGETTIVO
(Diritto astratto – Moralità – Eticità)
Passo molto sinteticamente ad illustrare i punti in cui si articola il discorso di
Hegel e vorrei che emerga che questo discorso esprime l’analisi dello Spirito
dal punto di vista sociale – dialettico, o sovraindividuale, come l’unica
dimensione “concreta” di affermazione e sensatezza della vita individuale
stessa.
B.1 – DIRITTO ASTRATTO
(Proprietà – Contratto – Torto/Pena)
L’individuo, quando viene al mondo, ha a che fare con un ambiente o
involucro sociale costituito dalle norme e leggi che reggono una qualsiasi
comunità. Il Diritto, nella sua forma immediata e astratta, come forma
“esterna” della vita individuale, è imprescindibile e necessario.
Contrariamente si avrebbe quella “convivenza” s-regolata che Hobbes aveva
chiamato stato ferino o di Natura (Homo hominis lupus) in una condizione
di Bellum Omnium contra Omnes ovvero uno stato di guerra permanente di
tutti contro tutti.
A questo livello Hegel si occupa della nozione di libertà “di diritto”, appunto,
tutelata da norme imposte e non arbitrarie. Stando al linguaggio di Hegel si
deve quindi dire che il Diritto astratto è il momento “positivo” dello Spirito
Oggettivo.
Innanzitutto l’individuo, come persona giuridica, è riconosciuto dalla sfera
del Diritto in riferimento alla sua “proprietà privata”. Con questo termine non
si intende il semplice possesso di un qualsiasi bene materiale (per esempio
una casa, i soldi, un frullatore, etc…) ma anche, a livello ontologico o
esistenziale, si intendono i principi inalienabili alla vita dell’individuo stesso
come il diritto alla vita o alla sicurezza della propria persona (ne parlava
ancora Hobbes nel De Cive e poi nel Leviatano).
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Il fatto che sia riconosciuta la proprietà privata individuale implica, al plurale,
il riconoscimento e mantenimento delle proprietà altrui, in termini di
reciprocità e questa è riconosciuta attraverso un “patto” o ciò che in termini
legali si chiama “contratto”.
Dato che in società gli uomini sono sempre esposti alla competitività e
egoismi, in una potenziale conflittualità di tutti contro tutti, il mantenimento
dei “contratti” deve prevedere la possibilità realistica del loro rovesciamento
o violazione, determinando così ciò che Hegel chiama la dimensione del
“torto”, ovvero uno strappo o scissione della reciprocità sociale. Le scissioni
vanno ripristinate e risolte: per questo alla nozione del torto deve essere
associata quella di Pena o Giustizia, secondo il nesso Diritto – negazione del
Diritto – Pena (come ripristino del diritto negato o “negazione della
negazione”).
La Pena, in quanto sintesi/ripristino, è intesa da Hegel come Pena
“correttiva”: in una società civile che intenda riconoscersi come etica, non può
che essere così. Una teoria della Pena concepita in termini di Giustizia
correttiva implica la “restituzione del cittadino nel criminale”, come già aveva
detto Fichte e in realtà Hegel segue la tradizione teorica inaugurata da Cesare
Beccaria con il suo testo di riferimento “Dei delitti e delle pene”.
In linea di principio la pena come ripristino del torto, si determina se il
criminale riconosce interiormente la necessità razionale e formativa della
pena, non percepita cioè come una vendetta estrinseca dello Stato. Tra l’altro
la pena di morte, per esempio, nega l’impianto razionale di una società civile,
perché abdica all’universale etico in quanto sottoposto al principio emotivo
della vendetta (di cui la pena di morte è espressione: celebri in questo senso
sono le pagine riguardanti la pena di morte, scritte da Albert Camus nel 1957
sotto il titolo “Sulla pena di morte”).
La pena, come tutto il Diritto, necessita dunque di una sua interiorizzazione,
in opposizione all’estraneità del diritto stesso, nella sfera della Moralità che,
non casualmente, apre la successiva sezione dello Spirito Oggettivo descritto
da Hegel. La Moralità costituisce il momento negativo perché nega la
“positività” o estraneità del Diritto che, contrariamente, rimarrebbe una
impalcatura vuota e astratta di norme non partecipate intenzionalmente ma
solo “ipocritamente”.
B.2 – MORALITA’
(Proponimento – Inclinazione – Bene/Felicità)
La sfera interiore che determina la vita dell’individuo non è il diritto esterno
ma è la sfera della volontà.
Ad un primo livello la volontà si manifesta come proponimento responsabile
in quella che Hegel chiama intenzione che ha come fine “pratico” il benessere.
Rimanendo nell’involucro della sfera individuale, la Moralità presa da Hegel
in considerazione è quella di cui ha parlato Kant nella Critica della ragion
pratica. Il punto di vista kantiano è comunque criticato, nonostante
l’importanza delle sue premesse fondate sul carattere “sacro” della libertà
(che per Kant è un postulato a-priori e imprescindibile), perché per Kant il
“benessere” si configura come l’idea stratta e universale di Bene (o Sommo
Bene), nella negazione dei bisogni che regolano le massime soggettive
dell’individuo.
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Ora si tratta di capire che per Hegel il Benessere non può non essere
compatibile e associato al sistema dei bisogni in cui l’intenzionalità e, in
generale, le inclinazioni sono costitutivamente immerse.
Il cosiddetto “Regno dei Fini” o l’universalità kantiana degli “imperativi
categorici” della ragione, devono per Hegel poter essere espressione di una
realtà di fatto all’interno di una comunità di Diritto.
Kant, invece, non ha “curvato” la formulazione dell’imperativo categorico sul
come poterlo realizzare né con quali mezzi.
Di certo, per Hegel, le condizioni di realizzazione di un Regno dei Fini o,
meglio, di una comunità etica, non possono saltar fuori magicamente dal
chiuso della propria individualità o inclinazione morale ma, come sarà più
chiaro avanti, queste condizioni dipendono dallo Stato e Società in cui
l’individuo vive, cresce e si forma.
Hegel, insomma, critica e supera la frattura tra l’Intenzione della volontà e il
Bene ovvero lo scarto tra l’Essere e il Dover Essere.
Ironicamente Hegel associa questo tipo di morale, troppo formale e sganciata
dal sistema dei bisogni della realtà storica, alla “morale del cuore” addirittura
etichettando la, seppur nobile, morale delle intenzioni di Kant come
“donchisciottesca” (Hegel si riferisce al personaggio del celebre romanzo
dello spagnolo Cervantes, Don Chisciotte, come emblema di una “coscienza
infelice” sganciata dalla realtà, inseguendo ideali astratti e impraticabili
metaforizzati dai celebri mulini a vento).
Prima ho scritto che Hegel “critica e supera”: qui dobbiamo intendere questa
espressione all’interno della dialettica della filosofia dello Spirito: ciò che
emerge è il necessario superamento (Auf) delle posizioni, rispettivamente
astratte, se chiuse in se stesse, di Diritto e Moralità per conservarne (Heben),
in una sintesi compiuta, le caratteristiche necessarie ai fini della realizzazione
dello Spirito.
E’ necessario che in una Società il Diritto sia vissuto e sentito come giusto
moralmente e, dall’altra parte, che la Moralità individuale veda soddisfatta la
propria inclinazione al benessere e realizzazione della dignità razionale in un
sistema concreto di norme che rispecchino i bisogni individuali.
Diritto e Moralità, così sintetizzate, hanno senso solo nel campo dell’Eticità,
che è appunto il superamento delle chiusure di entrambe le sfere e allo stesso
tempo la loro conservazione o interconnessione (Aufhebung).
B.3 – ETICITA’
(Famiglia – Società Civile – Stato)
E’ bene fare attenzione sull’uso della terminologia hegeliana: Moralità (in
tedesco: Moralität) ed Eticità (in tedesco: Sittlikcheit) non sono termini
interscambiabili, come nella lingua italiana.
La Moralità afferisce alla sfera individualistica della coscienza morale;
l’Eticità si riferisce, aristotelicamente, all’Ethos, alla sfera collettiva in cui la
moralità può aver senso e realizzarsi concretamente. Dunque la chiave di
lettura consiste nel cogliere la Moralità solo all’interno delle dimensioni
oggettive, istituzionali, sociali dello Spirito (o Civiltà).
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A meno che non si associ l’individuo al “buon selvaggio” ideale di cui parlava
Rousseau, l’uomo nasce sempre in un contesto sociale già precostituito e qui
vale la classica definizione data da Aristotele per cui l’uomo è “animale
sociale” e la sua virtù (phronesis) di essere razionale individuale si realizza
solo in termini di appartenenza politica alla comunità in cui vive.
Ecco perché i momenti di concretizzazione dell’Eticità sono assicurati dallo
sviluppo dell’individuo nei suoi contesti/nuclei sociali che lo condizionano,
dalla famiglia di origine alla società civile in generale, entro il supremo
orizzonte dello Stato, la cui definizione di Hegel è cruciale: lo Stato è la
“sostanza etica consapevole di sé”, ovvero è la condizione sostanziale di ogni
civiltà e del suo Spirito Assoluto!
a) La Famiglia riflette l’unità spirituale attraverso la fusione e amore tra i
due sessi sancito dal “contratto” del matrimonio. La famiglia è il primo
nucleo sociale in cui, amministrando il Patrimonio e determinando
soprattutto l’Educazione dei figli, l’individuo sviluppa il senso delle
norme e del senso sociale al di là della naturale e iniziale incoscienza,
passività e dipendenza nel soddisfacimento dei bisogni essenziali di cui la
famiglia si fa carico fino a che l’individuo a suo volta è pronto a fuoriuscire
dalla famiglia per proiettarsi nella maturazione di formare, a sua volta,
una famiglia e formare la propria coscienza civica all’interno della rete dei
rapporti sociali.
b) La Società civile, infatti, rappresenta la fuoriuscita dalla famiglia e
costituisce, nella visione dialettica di Hegel, il momento di “negatività”
perché, da un lato, si basa sulla relazione – interazione tra gli individui;
dall’altro, almeno potenzialmente, la società civile è atomizzata da
individui che interagiscono per soddisfare i propri bisogni e quindi danno
vita a dinamiche di competitività. Questa competizione si traduce non
solo in termini economico – sociali (Marx più avanti parlerà di “lotta di
classe” per esempio) ma prevede necessariamente, ed è qui che ritorna
l’importanza del Diritto, una regolamentazione giuridico –
amministrativa. Si tratta, cioè, di poter garantire da parte della Società la
coesistenza degli interessi particolaristici.
La regolamentazione di questi interessi individualistici nonché la garanzia
di un equilibrio razionale (e ragionevole) passa attraverso le sue
espressioni oggettive, concrete e necessarie che sono:
1) il controllo e soddisfacimento del Sistema dei Bisogni;
2) l’Amministrazione della Giustizia vera e propria;
3) la Polizia e le Corporazioni.
Prima di spiegare questi tre punti sollevo una considerazione.
La società che Hegel prima della sua morte (1831) ha di fronte, non è
ancora la “società di massa” che si affermerà dalla fine del XIX sec grazie
all’esplosione del Capitalismo e delle contraddizioni sociali che questo
porterà con sè e dentro di sé. Quella che Hegel ha di fronte è una società
pre-capitalistica (e in buona parte della Prussia addirittura sono ancora
presenti residui di feudalità), ovvero “chiusa” in ceti o ambiti sociali che
facevano capo agli agricoltori, possidenti terrieri, artigiani e il ceto
borghese affaristico, includendo in questo gli intellettuali.
Voglio dire che l’idea della superiorità di uno Stato “forte” e controllore
degli equilibri sociali da non stravolgere con spinte rivoluzionarie (a cui
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Hegel era allergico) o peggio con il forte rischio di una società
individualistica fondata sul modello anglosassone (e americano)
dell’utilitarismo e del liberismo/liberalismo, era un’idea assolutamente
prioritaria e ritenuta la più necessaria.
Questo può gettare luce su alcuni tratti del pensiero hegeliano che alludono
ad una posizione conservatrice o addirittura reazionaria se non
“statolatrica” (come è stato anche detto da alcuni interpreti).
Tornando allora ai punti che stanno alla base della logica strutturale della
Società Civile e all’altrettanto logica regolamentazione “dall’Alto”, il
cosiddetto “Sistema dei bisogni” (punto 1) è la struttura stessa della
convivenza e del funzionamento economico – sociale basato sul sistema
produttivo di beni, proprietà e ricchezza, in senso lato, degli individui
attraverso il sistema del lavoro.
Alla divisione del lavoro corrisponde costitutivamente la diversificazione e
divisione della società in “classi” (ma ripeto: come anticipato prima
sarebbe più corretto parlare ancora di “ceti sociali”, perché il termine
“classe” allude ad una fluidità e dinamicità sociale che invece il termine
“ceto” non esprime, essendo più attinente ad una struttura sociale chiusa
in settori e compartimenti stagni. Quella ai tempi di Hegel, insomma, era
una società cristallizzata; quella di oggi la possiamo definire una “società
liquida” come dice il sociologo contemporaneo Z. Bauman o una società
“precarizzata”, come invece dico io).
Per Hegel i ceti sono essenzialmente tre e assolvono alla garanzia delle
corrispondenti sfere dei bisogni da soddisfare con i rispettivi beni:
A. Il ceto “naturale” dei contadini: questi si occupano dei beni derivanti
immediatamente dalla natura o dalla terra;
B. Il ceto “formale” dei fabbricanti: sono gli artigiani che lavorano le
materie prime dando una “forma” – ecco perché Hegel parla di ceto
“formale” – a questo ceto naturalmente appartengono i commercianti
che scambiano i beni lavorati. Possiamo parlare di questo ceto come
quello della piccola – media borghesia;
C. Il ceto “Universale”: vi appartengono i Pubblici funzionari, coloro che
presiedono e si occupano di soddisfare i bisogni “universali” di tutta la
società civile. Esempio di bene universale è la Giusitizia, l’ordine, o altri
bisogni spirituali che servono alla realizzazione della dignità dell’uomo
e del cittadino. Tra gli appartenenti a questo ceto superiore, in quanto
attinente al benessere universale della società, vi sono gli Intellettuali a
cui Hegel stesso appartiene.
L’Amministrazione della Giustizia (punto 2)presiede e tutela il Diritto
pubblico, a garanzia del mantenimento e stabilità della società civile. In
particolare, il Diritto Pubblico si concretizza attraverso la difesa della
sicurezza sociale e si traduce nella necessità non solo della Polizia ma
anche delle Corporazioni (punto 3)
Come nella società rinascimentale e pre-capitalistica, queste sono
Associazioni di mestiere il cui scopo, o la cui logica, è quella di
“incapsulare” gli interessi individualistici dei lavoratori all’interno del più
largo interesse pubblico e comunitario delle corporazioni stesse. Ancora
una volta emerge la visione se si vuole “paternalistica” di uno Stato la cui
priorità è la Ragion di Stato stessa in cui gli individui devono riconoscersi
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superando la pericolosa deriva non solo sociale ma anche etica data dagli
interessi egoistici. Le corporazioni, insomma, fungono da “collante”
dialettico tra gli interessi individualistici e l’interesse universale di Stato e
trasmettendo così negli individui il superiore e assoluto“senso dello Stato”.
Per inciso: questa logica corporativa sarà ripresa nel ‘900 dal Totalitarismo
fascista ma nell’accentuazione poliziesca dell’assorbimento di ogni libertà
individuale convertita in obbedienza al Regime: questa sarà una forzatura
rispetto alla filosofia di Hegel la cui manipolazione da parte del Fascismo
poggerà sul fraintendimento e cancellazione dell’elemento etico – civile di
cui lo Stato deve farsi garante rispecchiando i bisogni materiali e spirituali
della Società civile.
c ) Lo Stato etico, dunque, è la sintesi del particolarismo dell’unità della
Famiglia da una parte e della frammentazione potenziale utilitaristica
della Società civile, dall’altra.
Lo Stato, insomma, come “sostanza etica consapevole di sé” è come una
“grande Famiglia”: per questo prima ho usato l’aggettivo “paternalistico”.
Si può anzi aggiungere che si è in presenza di una visione
“provvidenzialistica” dello Stato hegeliano, non nel senso teologico del
termine, ma in quello tecnico per cui lo Stato “provvede” e realizza il senso
degli individui e della loro condizione etica.
In questa cornice filosofica Hegel ha anche affermato che lo Stato è
l’incarnazione dello Spirito Assoluto in quanto espressione dello Spirito
del tempo (WeltGeist) di un Popolo: per dirla tutta questa fu anche
l’intuizione teorica di Montesquieu quando scrivendo Lo Spirito delle
Leggi sostenne che le leggi incarnano lo spirito di un popolo in una data
epoca storica.
Detto diversamente: ogni popolo ha dunque le leggi e lo Stato che si
“merita”!
Ma quale forma istituzionale corrisponde alla teoria politica di Hegel?
Innanzitutto è necessario stabilire quali forme di Stato non possono
necessariamente rispecchiare un fondamento etico e sostanziale per la
società e gli individui. Hegel esclude sia lo Stato liberale sia lo Stato
democratico/repubblicano.
Lo Stato liberale, infatti, rispecchia il primato dell’individuo e della libera
iniziativa all’interno di una cornice utilitaristica alla luce di cui la
competitività individuale e la logica del profitto/proprietà privata
costituiscono le virtù fondamentali. Il filone anglosassone dell’empirismo
inglese, per esempio, con Locke e Hume, esaltando la Monarchia
parlamentare e la divisione dei poteri (con un forte peso alla borghesia
imprenditoriale) vede lo Stato ad immagine e somiglianza del virtuosismo
capitalistico ovvero lo Stato è un mezzo che legittima l’individualismo
stesso. Hegel, al contrario, pone lo Stato come fine e la Società civile deve
essere compattata e blindata dai rischi di atomismo individualistico e il
profitto, tutt’al più, è solo uno strumento per soddisfare al sistema dei
bisogni in vista del benessere universale.
Lo Stato repubblicano o democratico e ancora più lontano dalla
prospettiva di una concreta compiutezza etica e razionale perché, stando
ai giudizi negativi che Hegel a espresso nelle sue opere mature, le
rivoluzioni che sono state mosse da ideali repubblicani da una parte sono
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state storicamente fallimentari, e dall’altra la massa (o il popolo) non ha
una coscienza politica perché è “informe”, ovvero è dominata dai “facili
entusiasmi”, dai sentimenti o, ancor peggio, dalla violenza, fame e
disperazione. Gli stessi ideali egualitari della rivoluzione francese, nonché
il modello di una democrazia diretta ventilato da Rousseau, non hanno mai
preso forma se non come maschere demagogiche in mano al Terrore (vedi
il terrorismo di Robespierre, uno dei “padri” della Rivoluzione Francese).
La “Dea Ragione” o “Virtù” espressa dal lume della Libertà democratica –
fratellanza - uguaglianza o ancora la “Volontà generale” (quest’ultimo è
concetto di Rousseau) si sono rivelate false forme di Universale etico,
perché non hanno mai germinato nella coscienza o Spirito del Popolo in
questo caso francese.
Per dirla tutta Hegel non accoglie nemmeno le teorie giusnaturalistiche:
queste, infatti, si basano sulla concezione che lo Stato sia il risultato della
volontà di associazione entro Patti o contratti stabiliti dalla volontà umana.
Locke, Hume, lo stesso Hobbes in termini ancora più forti, hanno
teorizzato questa idea per cui lo Stato è il risultato della libera associazione
degli uomini e non piuttosto il presupposto assoluto e apriori. Questo
spiega l’assunto di hegel per cui lo Stato viene “prima” dell’individuo (non
cronologicamente ma logicamente, come fondamento a-priori appunto).
E’ lo stato che fonda e dà sostanza e senso agli individui e non il contrario!
Hegel, al di là di queste forme di Stato, e in nome della necessità del Diritto,
è accettato del giusnaturalismo almeno l’idea della legge come
manifestazione della razionalità dello Stato.
Ecco perché lo Stato per Hegel non può nemmeno essere dispotico (come
appare essere l’esito del Leviatano di Hobbes, per esempio), ma
“illuminato”: a governare è la “Ragion di Stato”, attraverso le leggi e non
l’arbitrio degli uomini.
Quello di Hegel, in termini giuridici, è ciò che si definisce lo “Stato di
Diritto” sotto la forma di Assolutismo illuminato o principesco.
Rimanendo ancora a qualche riferimento storico, nella analisi hegeliana
dello Stato di Diritto, questo è stato un fondamento sicuramente moderno,
al di là degli esiti imperialistico – dispotici che ha assunto in Europa,
nell’operato di Napoleone. Hegel ne apprezza il capolavoro politico nella
emanazione del Codice Civile del 1804.
Il Codice o Costituzione è per Hegel la necessaria espressione razionale e
adeguata allo spirito della società e non può essere il prodotto forzato o
artificiale, anacronistico, di decisioni imposte. In questo caso, come spesso
è successo nella storia, una costituzione o il Diritto che, in generale non
rifletta il sistema dei bisogni delle moltitudini a cui si rivolge, risulta essere
fatalmente anacronistica, contraddittoria e sintomatica di una scissione
tra la forma della legge e il suo contenuto che è lo Spirito del popolo
(VolkGeist) in un dato momento della storia.
In questo senso, rimanendo all’esempio di Napoleone, Hegel ne individua
il carattere erroneo e contraddittorio laddove l’imperatore francese ha
preteso di imporre lo stesso Codice Civile a realtà storicamente e
spiritualmente incompatibili a quel Codice come è stata la Spagna quando
fu conquistata nel 1812.
Il modello politico che corrisponde allo Stato etico hegeliano è allora quello
di una Monarchia Costituzionale, sul modello di quella prussiana, in cui i
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poteri siano distinti ma non divisi/separati. Cosa vuol dire? Prima ho
infatti usato il termine più esemplificativo di Assolutismo illuminato o
“principesco”. In effetti la Monarchia Costituzionale, cui allude Hegel, non
è quella di tipo inglese, in cui i poteri sono separati (con accentuazione del
potere legislativo nel Parlamento) e il Re è subordinato al potere di veto
del Parlamento stesso (l’espressione che il Bill of Rights riporta sin dal
1689, riguardante il ruolo del sovrano, è quella del “King in Parliament”).
Il modello cui invece allude Hegel riguarda la distinzione dei poteri ma
questi non sono separati nella misura in cui il potere legislativo non ha il
primato, in quanto è comunque subordinato al potere esecutivo e
principesco, sortendo una struttura verticistica e piramidale, il cui vertice
è la persona del Sovrano che però incarna simbolicamente la Ragion di
Stato o la sovranità universale dello Stato in sé.
Mi avvio alla conclusione schematizzando sulla struttura piramidale in cui
si articola la concezione del Potere statale:
1.
2.
3.
Potere Legislativo;
Potere Governativo;
Potere Principesco.
Voglio segnalare che l’”assenza” del potere giudiziario non è una omissione
di Hegel, in quanto il potere giudiziario coincide con quanto già si è detto
sull’amministrazione della Giustizia nella Società Civile o, ancora prima,
quando si è descritta la sezione del Diritto Astratto.
Il potere legislativo è detenuto in parte dalla rappresentanza che si spalma
tra la Camera Alta e la Camera Bassa e, più che un Parlamento
“democratico”, questo bicameralismo è una assemblea rappresentativa dei
ceti che costituiscono la Società Civile.
Hegel, in virtù del già citato antidemocraticismo, propende per la
conservazione dell’ordine sociale fondato sul sistema oligarchico – cetuale,
anche se non chiuso in logiche private ma illuminato dalla logica o etica
razionale della meritocrazia.
Per Hegel, comunque, il potere legislativo non può da solo rappresentare
universalmente lo spirito delle leggi dello Stato di Diritto, proprio in virtù
del fatto e del rischio assai realistico che prevalgano interessi di parte o di
partito, come si direbbe oggi che, per questo, inquinerebbe la purezza della
rappresentatività dell’interesse o benessere universale/pubblico dello
Stato.
Il potere governativo (o esecutivo) ha la logica di applicare l’universalità
delle leggi ed incorporare quella funzione di controllo e amministrazione
della Giustizia, del codice penale e delle funzioni di Polizia all’interno della
Società Civile (vedi sopra).
A presiedere il potere governativo sono i Funzionari Pubblici che oggi
possiamo associare alle funzioni degli apparati ministeriali.
Sono i funzionari pubblici che hanno il ruolo fondamentale di far sì che
l’universalità delle leggi sia di volta in volta garantita in tutti i casi
particolari della vita dello Stato.
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Il Potere Monarchico/Principesco è l’incarnazione, nella persona singola
del sovrano, della stessa maestà universale dello Stato.
La persona del sovrano ha quindi una valenza simbolica (come può esserlo
Cristo nel simboleggiare l’Universalità dello Spirito del Cristianesimo) ma
l’essenza funzionale dello Stato per Hegel è riposta e si incardina nel potere
governativo dei Funzionari Pubblici.
In conclusione, Hegel può così legittimamente celebrare la
“divinizzazione” dello Stato associandolo alla sua funzione di Universale
sostanziale.
Nei Lineamenti di Filosofia del Diritto dice infatti che “lo Stato è l’ingresso
di Dio nel Mondo”!
Lo Stato è l’incarnazione dello Spirito Assoluto della storia e del Mondo
(Weltgeist) nel suo svolgimento. Lo Stato è espressione dello Spirito di un
Popolo (VolkGeist) e lo Spirito diventa a tutti gli effetti “assoluto” e
compiuto nel momento in cui è consapevole di se stesso e questo è possibile
a partire dalla visuale speculativa della Filosofia che riflette sullo spirito
della propria epoca, sopperendo ai punti di vista “insufficienti” e parziali
dell’Arte e della stessa Religione basate, rispettivamente, sul
sentimentalismo estetico e sulle rappresentazioni simboliche della fede.
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