Copyright © by Tommaso Ciccarone HEGEL: Sviluppo della Filosofia dello Spirito Premessa: rapporti con la Fenomenologia dello Spirito. Nell’ambito del pensiero speculativo di Hegel, la cosiddetta Filosofia dello Spirito costituisce la visione sistematica e completa, che già la Fenomenologia dello Spirito del 1807 aveva avviato sulla realtà come processualità storica dal punto di vista dello sviluppo della coscienza. La differenza rispetto alla prima opera della maturità consiste nel fatto che questa, la Fenomenologia, è la storia dello sviluppo della maturazione storica della Civiltà rivisitata dal punto di vista della coscienza, che ripercorre a ritroso le tappe del suo percorso, da semplice Coscienza sensibile ad Autocoscienza, diventando Ragione e finalmente Spirito (Geist), ovvero sapere Assoluto. Il punto di vista del “Sistema” della Filosofia dello Spirito, invece, è quello dell’Assoluto stesso ovvero della Filosofia compiuta come Sophia, come scienza assoluta di tutto il processo spirituale della storia. E’ in questo senso che la Filosofia è “civetta di Minerva che spicca il volo sul far della sera”. Se, da una parte, la Fenomenologia dello Spirito è il “remake” di un film rivissuto in presa diretta da parte della coscienza singola, la Filosofia dello Spirito, dall’altra, è la “recensione” definitiva e concettuale del film dello Spirito giunto alla fine; ne è insomma una descrizione “col senno di poi”. In realtà Hegel, per la sua Fenomenologia, non usa ovviamente la metafora del “film” ma quella del romanzo. Il protagonista di un romanzo, che nel caso della Fenomenologia è la coscienza individuale, non sa ancora come va a finire la sua storia: la vive in presa diretta, appunto, divenendo di volta in volta consapevole di quanto gli sta capitando in mezzo alle sue vicende, tappe, travagli, traversie, chiusure, svolte, etc. La Filosofia dello Spirito possiamo intenderla, invece, come “Postfazione” del romanzo o storia della Civiltà che è diventata Spirito ossia “sapere assoluto” del presente come risultato di tutto il passato e di tutte le filosofie passate, secondo lo sviluppo del “superamento e conservazione” (Auf-hebung). Essa è la storia dal punto di vista non della coscienza singola, questa volta, ma dell’Assoluto stesso. Al di là delle differenze, bisogna considerare la Fenomenologia dello Spirito e la Filosofia dello Spirito come due rami dello stesso albero che è il pensiero speculativo di Hegel; sono due aspetti o punti di vista sulla stessa cosa: la storia dello Spirito. O meglio: il pensiero di Hegel coincide col pensiero di tutta la Storia, ovvero come Storia che pensa se stessa tramite l’occhio concettuale di Hegel. 1 Nella seconda parte della Fenomenologia, del resto, questo risulta chiarissimo perché il discorso o il romanzo continua ad articolarsi nella dimensione della ragione individuale che, “uscita fuori di sé” è diventata Spirito, ovvero Eticità e Stato come oggettivazioni del “sapere assoluto”. La Fenomenologia, infatti, finisce con la necessaria anticipazione delle tematiche più importanti per l’Idealismo filosofico e del pensiero successivo di Hegel; le tematiche attinenti alla dimensione sociale, comunitaria, politica, statale dello Spirito nella storia. Ciò che segue è infatti la ripresa dell’essenza stessa del pensiero hegeliano che punta al discorso dell’Eticità e dello Stato senza di cui gli individui, la cultura, i popoli non avrebbero senso. Prima di articolare le parti essenziali della Filosofia dello Spirito, voglio ricordare che questa è espressa in opere centrali che, al di là della Fenomenologia, fanno capo innanzitutto alle seguenti: a) Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in Compendio (nelle sue tre edizioni del 1817, scritta ad Heildelberg; 1827 e 1830, queste ultime scritte a Berlino); b) Lineamenti di Filosofia del Diritto (Berlino, 1821); c) Lezioni di Filosofia della Storia (pubblicate postume da parte degli allievi berlinesi ovvero dopo la morte di Hegel, avvenuta improvvisamente nel 1831 a causa del colera che si era diffuso a Berlino. In realtà la raccolta delle sue Lezioni, a seconda degli argomenti specifici che Hegel di volta in volta aveva trattato, furono raccolte anche sotto forma delle celebri Lezioni di Storia della Filosofia e Lezioni di Estetica) L’opera che le riassume tutte, come anche recita il titolo, è l’Enciclopedia, che voleva essere da parte di Hegel un compendio o Summa di tutto il suo pensiero sistematico e speculativo e, in quanto professore universitario a Berlino, era tenuto, per regolamento e obbligo accademico, a produrre dei compendi sui corsi universitari che avrebbe affrontato, in modo che gli studenti potessero seguire meglio le sue lezioni. In realtà questa Summa costituisce la visione sistematica della Filosofia che ha come oggetto o contenuto l’Idea che da essere astratta forma logica si estranea nella materia empirica della Natura per diventare infine e concepirsi come Spirito storico della Civiltà. Per questo l’Enciclopedia comprende le tre sezioni della 1. Logica (tratta l’Idea dal punto di vista della forma del pensiero ,al di là di ogni possibile contenuto, e di tutti i suoi concetti e strumenti; parla del funzionamento dell’Intelletto, delle categorie del pensiero e infine del valore formale e strutturale della ragione dialettica che costituisce l’essenza della logica per Hegel); 2. Natura (tratta l’Idea intesa come Mondo naturale che è sottoposto alle leggi della fisica, da quella inorganica a quella organica e, naturalmente, questo aspetto sarà sorpassato da Hegel in quanto ritiene che la Natura sia lo Spirito che ancora deve sbocciare o, se si vuole, lo Spirito è appesantito e sommerso dal buio della materia che ne impedisce il riconoscimento); 2 3. Spirito (tratta l’Idea nel superamento del punto di vista materialistico e naturalistico per cogliersi come evoluzione consapevole di sé lungo la storia di epoche e popoli incarnandosi nelle istituzioni sociali e politiche ovvero nello Stato). La Filosofia dello Spirito. Per motivi legati alla messa in chiaro dello Storicismo e della concezione etica dello Spirito, in questa sede salto la descrizione di Logica e Natura, per concentrarmi sulla terza sezione della Filosofia dello Spirito che, appunto, costituisce la sintesi di tutto l’Idealismo storicistico hegeliano. La struttura della Filosofia dello Spirito si articola lungo lo svolgimento triadico e dialettico di Tesi/Antitesi/Sintesi (Idea In Sé – Idea fuori di Sé – Idea in sé e per sé) ovvero, come è noto, lo svolgimento del momento astratto o semplicemente intellettuale del Pensiero in quello “negativo” del Pensiero, che si relaziona con l’Altro da sé, fino al recupero e riavvolgimento speculare/speculativo del Pensiero che si coglie nella sua completezza, in sé e per sé appunto, quando ha superato e compreso tutte le separazioni e fratture della Storia. Le sezioni che corrispondono a questa struttura fanno capo a: a) Spirito Soggettivo; b) Spirito Oggettivo; c) Spirito Assoluto. La chiave di volta interpretativa dell’intero edificio hegeliano è che lo Spirito diventa Assoluto, e riflette lo Spirito del Tempo (ZeitGeist) di un’epoca, solo quando si è oggettivizzato storicamente nelle istituzioni e forme socio – politiche senza cui Pensiero e Cultura in genere, o tutte le loro varie espressioni - Arte, Diritto, Religione, Filosofia delle varie epoche e dei vari popoli, nemmeno esisterebbero o avrebbero senso. Per questa ragione la parte più cruciale di tutto il sistema della Filosofia dello Spirito è quella dello “Spirito Oggettivo”. A) SPIRITO SOGGETTIVO (Antropologia – Fenomenologia – Psicologia) Hegel parte con l’analizzare lo sviluppo dello Spirito dal punto di vista finito della vita psichica o delle facoltà individuali, nell’orizzonte dell’atteggiamento scientifico che dipende dai suoi oggetti esterni, empirici e che comunque vuole controllarli e dominarli attraverso le sue leggi. Antropologia. Una delle prime scienze che studia la vita individuale dello spirito dal punto di vista empirico delle caratteristiche e disposizioni psico-fisiche e caratteriali, è la cosiddetta Antropologia. Questa concentra il suo studio non sulla evoluzione sociale o etica dell’uomo, ma dal punto di vista delle tappe di crescita biologico – antropologia, per esempio studiando le trasformazioni 3 dell’individuo in base alle fasce di età di appartenenza (infanzia - giovinezza – maturità/vecchiaia), in base al normale sviluppo dell’equilibrio psichico ma anche delle deviazioni patologiche che sfociano nella follia, e infine in base alla differenziazione dei sessi. L’Antropologia è una scienza che rimane chiusa in un perimetro di studio di fenomeni esterni o immediatamente empirici attinenti l’individuo e la sua crescita. Fenomenologia. Hegel decide di chiamare “fenomenologia” il punto di vista della scienza che comincia a vedere lo Spirito come processo che va oltre il chiuso perimetro dei suoi condizionamenti empirici, in omaggio al testo che aveva scritto nel 1807 e in cui, come è noto, la parte decisiva risulta essere il momento del superamento della coscienza sensibile nell’Autocoscienza. Questa, infatti, è il risultato dell’acquisizione della consapevolezza di sé non a partire dai semplici dati psichici, pulsionali o empirici dell’esperienza (come fa l’Antropologia), bensì a partire dalla fuoriuscita da questa visione chiusa, nell’apertura e confronto con altre coscienze. Come si è visto l’Autocoscienza, nella Fenomenologia dello Spirito, al di là dell’esempio del rapporto servo-padrone, non è stata storicamente in grado di mantenere questa apertura e ricchezza relazionale, perché l’individuo, se non opportunamente guidato o illuminato da una Società e Stato che gli garantiscano libertà e soddisfacimento dei suoi bisogni, rimane inchiodato in una separazione dal suo contesto o in una chiusura che sortisce non l’arricchimento, ma la decadenza spirituale, la presunzione, l’arroganza, l’inganno, la paura per la vita e per il mondo circostante, il rifugiarsi in dimensioni utopiche, virtuali e “oniriche” oppure trascendenti come per esempio la vita ascetica, religiosa, o sentimentalistica (tipica delle “anime belle” romantiche, per esempio). Questo è il motivo per cui Hegel inserisce la Fenomenologia nella sfera dello Spirito Soggettivo e, nello specifico, al livello dell’antitesi e negatività che però rimane negatività irrisolta e “povera”. Psicologia. La Psicologia studia lo Spirito dal punto di vista dell’insieme delle facoltà razionali ma che riguardano la ragione intesa nella sua singolarità e non nella sua dimensione sociale e storica. Queste facoltà riguardano in generale: a) la sfera della conoscenza scientifica, non solo l’Antropologia, considerata in precedenza e che è la più “bassa” delle scienze, ma anche la fisica, biologia, astronomia e, in generale, le cosiddette scienze naturali. b) la sfera della attività pratica o “attiva”, che ha a che fare con l’attività a partire dalle inclinazioni verso il soddisfacimento dei propri bisogni. Già nella Fenomenologia Hegel aveva trattato di questo punto richiamando l’attenzione alla tendenza da parte della ragione attiva a cercare il soddisfacimento di bisogni empirici o compiti in vista del 4 godimento nel piacere e del benessere, ma tutto ciò sempre in un orizzonte empirico o “egoistico”. Nella sfera della ragione “attiva” è individuata la volontà libera che definisce il carattere dell’individuo. Hegel evidenzia che la volontà libera non è definita o compresa appieno dalla Psicologia, perché la libertà è piuttosto un concetto ambiguo che nemmeno Kant, dal punto di vista della ragion pura pratica, è riuscito a svolgere rimanendo in un ambito comunque astratto. La libertà non può essere compresa dalla Psicologia se questa pretende di risolvere la conoscenza dello Spirito soggettivo con parametri, tra l’alto costituiti da condizionamenti o moventi empirici della volontà, legati alla sfera puramente individuale. La libertà, piuttosto, è comprensibile all’interno delle condizioni sociali che rendono possibile la realizzazione e sviluppo della volontà e può esprimersi solo e necessariamente nella dimensione dello “spirito oggettivo”. B) SPIRITO OGGETTIVO (Diritto astratto – Moralità – Eticità) Passo molto sinteticamente ad illustrare i punti in cui si articola il discorso di Hegel e vorrei che emerga che questo discorso esprime l’analisi dello Spirito dal punto di vista sociale – dialettico, o sovraindividuale, come l’unica dimensione “concreta” di affermazione e sensatezza della vita individuale stessa. B.1 – DIRITTO ASTRATTO (Proprietà – Contratto – Torto/Pena) L’individuo, quando viene al mondo, ha a che fare con un ambiente o involucro sociale costituito dalle norme e leggi che reggono una qualsiasi comunità. Il Diritto, nella sua forma immediata e astratta, come forma “esterna” della vita individuale, è imprescindibile e necessario. Contrariamente si avrebbe quella “convivenza” s-regolata che Hobbes aveva chiamato stato ferino o di Natura (Homo hominis lupus) in una condizione di Bellum Omnium contra Omnes ovvero uno stato di guerra permanente di tutti contro tutti. A questo livello Hegel si occupa della nozione di libertà “di diritto”, appunto, tutelata da norme imposte e non arbitrarie. Stando al linguaggio di Hegel si deve quindi dire che il Diritto astratto è il momento “positivo” dello Spirito Oggettivo. Innanzitutto l’individuo, come persona giuridica, è riconosciuto dalla sfera del Diritto in riferimento alla sua “proprietà privata”. Con questo termine non si intende il semplice possesso di un qualsiasi bene materiale (per esempio una casa, i soldi, un frullatore, etc…) ma anche, a livello ontologico o esistenziale, si intendono i principi inalienabili alla vita dell’individuo stesso come il diritto alla vita o alla sicurezza della propria persona (ne parlava ancora Hobbes nel De Cive e poi nel Leviatano). 5 Il fatto che sia riconosciuta la proprietà privata individuale implica, al plurale, il riconoscimento e mantenimento delle proprietà altrui, in termini di reciprocità e questa è riconosciuta attraverso un “patto” o ciò che in termini legali si chiama “contratto”. Dato che in società gli uomini sono sempre esposti alla competitività e egoismi, in una potenziale conflittualità di tutti contro tutti, il mantenimento dei “contratti” deve prevedere la possibilità realistica del loro rovesciamento o violazione, determinando così ciò che Hegel chiama la dimensione del “torto”, ovvero uno strappo o scissione della reciprocità sociale. Le scissioni vanno ripristinate e risolte: per questo alla nozione del torto deve essere associata quella di Pena o Giustizia, secondo il nesso Diritto – negazione del Diritto – Pena (come ripristino del diritto negato o “negazione della negazione”). La Pena, in quanto sintesi/ripristino, è intesa da Hegel come Pena “correttiva”: in una società civile che intenda riconoscersi come etica, non può che essere così. Una teoria della Pena concepita in termini di Giustizia correttiva implica la “restituzione del cittadino nel criminale”, come già aveva detto Fichte e in realtà Hegel segue la tradizione teorica inaugurata da Cesare Beccaria con il suo testo di riferimento “Dei delitti e delle pene”. In linea di principio la pena come ripristino del torto, si determina se il criminale riconosce interiormente la necessità razionale e formativa della pena, non percepita cioè come una vendetta estrinseca dello Stato. Tra l’altro la pena di morte, per esempio, nega l’impianto razionale di una società civile, perché abdica all’universale etico in quanto sottoposto al principio emotivo della vendetta (di cui la pena di morte è espressione: celebri in questo senso sono le pagine riguardanti la pena di morte, scritte da Albert Camus nel 1957 sotto il titolo “Sulla pena di morte”). La pena, come tutto il Diritto, necessita dunque di una sua interiorizzazione, in opposizione all’estraneità del diritto stesso, nella sfera della Moralità che, non casualmente, apre la successiva sezione dello Spirito Oggettivo descritto da Hegel. La Moralità costituisce il momento negativo perché nega la “positività” o estraneità del Diritto che, contrariamente, rimarrebbe una impalcatura vuota e astratta di norme non partecipate intenzionalmente ma solo “ipocritamente”. B.2 – MORALITA’ (Proponimento – Inclinazione – Bene/Felicità) La sfera interiore che determina la vita dell’individuo non è il diritto esterno ma è la sfera della volontà. Ad un primo livello la volontà si manifesta come proponimento responsabile in quella che Hegel chiama intenzione che ha come fine “pratico” il benessere. Rimanendo nell’involucro della sfera individuale, la Moralità presa da Hegel in considerazione è quella di cui ha parlato Kant nella Critica della ragion pratica. Il punto di vista kantiano è comunque criticato, nonostante l’importanza delle sue premesse fondate sul carattere “sacro” della libertà (che per Kant è un postulato a-priori e imprescindibile), perché per Kant il “benessere” si configura come l’idea stratta e universale di Bene (o Sommo Bene), nella negazione dei bisogni che regolano le massime soggettive dell’individuo. 6 Ora si tratta di capire che per Hegel il Benessere non può non essere compatibile e associato al sistema dei bisogni in cui l’intenzionalità e, in generale, le inclinazioni sono costitutivamente immerse. Il cosiddetto “Regno dei Fini” o l’universalità kantiana degli “imperativi categorici” della ragione, devono per Hegel poter essere espressione di una realtà di fatto all’interno di una comunità di Diritto. Kant, invece, non ha “curvato” la formulazione dell’imperativo categorico sul come poterlo realizzare né con quali mezzi. Di certo, per Hegel, le condizioni di realizzazione di un Regno dei Fini o, meglio, di una comunità etica, non possono saltar fuori magicamente dal chiuso della propria individualità o inclinazione morale ma, come sarà più chiaro avanti, queste condizioni dipendono dallo Stato e Società in cui l’individuo vive, cresce e si forma. Hegel, insomma, critica e supera la frattura tra l’Intenzione della volontà e il Bene ovvero lo scarto tra l’Essere e il Dover Essere. Ironicamente Hegel associa questo tipo di morale, troppo formale e sganciata dal sistema dei bisogni della realtà storica, alla “morale del cuore” addirittura etichettando la, seppur nobile, morale delle intenzioni di Kant come “donchisciottesca” (Hegel si riferisce al personaggio del celebre romanzo dello spagnolo Cervantes, Don Chisciotte, come emblema di una “coscienza infelice” sganciata dalla realtà, inseguendo ideali astratti e impraticabili metaforizzati dai celebri mulini a vento). Prima ho scritto che Hegel “critica e supera”: qui dobbiamo intendere questa espressione all’interno della dialettica della filosofia dello Spirito: ciò che emerge è il necessario superamento (Auf) delle posizioni, rispettivamente astratte, se chiuse in se stesse, di Diritto e Moralità per conservarne (Heben), in una sintesi compiuta, le caratteristiche necessarie ai fini della realizzazione dello Spirito. E’ necessario che in una Società il Diritto sia vissuto e sentito come giusto moralmente e, dall’altra parte, che la Moralità individuale veda soddisfatta la propria inclinazione al benessere e realizzazione della dignità razionale in un sistema concreto di norme che rispecchino i bisogni individuali. Diritto e Moralità, così sintetizzate, hanno senso solo nel campo dell’Eticità, che è appunto il superamento delle chiusure di entrambe le sfere e allo stesso tempo la loro conservazione o interconnessione (Aufhebung). B.3 – ETICITA’ (Famiglia – Società Civile – Stato) E’ bene fare attenzione sull’uso della terminologia hegeliana: Moralità (in tedesco: Moralität) ed Eticità (in tedesco: Sittlikcheit) non sono termini interscambiabili, come nella lingua italiana. La Moralità afferisce alla sfera individualistica della coscienza morale; l’Eticità si riferisce, aristotelicamente, all’Ethos, alla sfera collettiva in cui la moralità può aver senso e realizzarsi concretamente. Dunque la chiave di lettura consiste nel cogliere la Moralità solo all’interno delle dimensioni oggettive, istituzionali, sociali dello Spirito (o Civiltà). 7 A meno che non si associ l’individuo al “buon selvaggio” ideale di cui parlava Rousseau, l’uomo nasce sempre in un contesto sociale già precostituito e qui vale la classica definizione data da Aristotele per cui l’uomo è “animale sociale” e la sua virtù (phronesis) di essere razionale individuale si realizza solo in termini di appartenenza politica alla comunità in cui vive. Ecco perché i momenti di concretizzazione dell’Eticità sono assicurati dallo sviluppo dell’individuo nei suoi contesti/nuclei sociali che lo condizionano, dalla famiglia di origine alla società civile in generale, entro il supremo orizzonte dello Stato, la cui definizione di Hegel è cruciale: lo Stato è la “sostanza etica consapevole di sé”, ovvero è la condizione sostanziale di ogni civiltà e del suo Spirito Assoluto! a) La Famiglia riflette l’unità spirituale attraverso la fusione e amore tra i due sessi sancito dal “contratto” del matrimonio. La famiglia è il primo nucleo sociale in cui, amministrando il Patrimonio e determinando soprattutto l’Educazione dei figli, l’individuo sviluppa il senso delle norme e del senso sociale al di là della naturale e iniziale incoscienza, passività e dipendenza nel soddisfacimento dei bisogni essenziali di cui la famiglia si fa carico fino a che l’individuo a suo volta è pronto a fuoriuscire dalla famiglia per proiettarsi nella maturazione di formare, a sua volta, una famiglia e formare la propria coscienza civica all’interno della rete dei rapporti sociali. b) La Società civile, infatti, rappresenta la fuoriuscita dalla famiglia e costituisce, nella visione dialettica di Hegel, il momento di “negatività” perché, da un lato, si basa sulla relazione – interazione tra gli individui; dall’altro, almeno potenzialmente, la società civile è atomizzata da individui che interagiscono per soddisfare i propri bisogni e quindi danno vita a dinamiche di competitività. Questa competizione si traduce non solo in termini economico – sociali (Marx più avanti parlerà di “lotta di classe” per esempio) ma prevede necessariamente, ed è qui che ritorna l’importanza del Diritto, una regolamentazione giuridico – amministrativa. Si tratta, cioè, di poter garantire da parte della Società la coesistenza degli interessi particolaristici. La regolamentazione di questi interessi individualistici nonché la garanzia di un equilibrio razionale (e ragionevole) passa attraverso le sue espressioni oggettive, concrete e necessarie che sono: 1) il controllo e soddisfacimento del Sistema dei Bisogni; 2) l’Amministrazione della Giustizia vera e propria; 3) la Polizia e le Corporazioni. Prima di spiegare questi tre punti sollevo una considerazione. La società che Hegel prima della sua morte (1831) ha di fronte, non è ancora la “società di massa” che si affermerà dalla fine del XIX sec grazie all’esplosione del Capitalismo e delle contraddizioni sociali che questo porterà con sè e dentro di sé. Quella che Hegel ha di fronte è una società pre-capitalistica (e in buona parte della Prussia addirittura sono ancora presenti residui di feudalità), ovvero “chiusa” in ceti o ambiti sociali che facevano capo agli agricoltori, possidenti terrieri, artigiani e il ceto borghese affaristico, includendo in questo gli intellettuali. Voglio dire che l’idea della superiorità di uno Stato “forte” e controllore degli equilibri sociali da non stravolgere con spinte rivoluzionarie (a cui 8 Hegel era allergico) o peggio con il forte rischio di una società individualistica fondata sul modello anglosassone (e americano) dell’utilitarismo e del liberismo/liberalismo, era un’idea assolutamente prioritaria e ritenuta la più necessaria. Questo può gettare luce su alcuni tratti del pensiero hegeliano che alludono ad una posizione conservatrice o addirittura reazionaria se non “statolatrica” (come è stato anche detto da alcuni interpreti). Tornando allora ai punti che stanno alla base della logica strutturale della Società Civile e all’altrettanto logica regolamentazione “dall’Alto”, il cosiddetto “Sistema dei bisogni” (punto 1) è la struttura stessa della convivenza e del funzionamento economico – sociale basato sul sistema produttivo di beni, proprietà e ricchezza, in senso lato, degli individui attraverso il sistema del lavoro. Alla divisione del lavoro corrisponde costitutivamente la diversificazione e divisione della società in “classi” (ma ripeto: come anticipato prima sarebbe più corretto parlare ancora di “ceti sociali”, perché il termine “classe” allude ad una fluidità e dinamicità sociale che invece il termine “ceto” non esprime, essendo più attinente ad una struttura sociale chiusa in settori e compartimenti stagni. Quella ai tempi di Hegel, insomma, era una società cristallizzata; quella di oggi la possiamo definire una “società liquida” come dice il sociologo contemporaneo Z. Bauman o una società “precarizzata”, come invece dico io). Per Hegel i ceti sono essenzialmente tre e assolvono alla garanzia delle corrispondenti sfere dei bisogni da soddisfare con i rispettivi beni: A. Il ceto “naturale” dei contadini: questi si occupano dei beni derivanti immediatamente dalla natura o dalla terra; B. Il ceto “formale” dei fabbricanti: sono gli artigiani che lavorano le materie prime dando una “forma” – ecco perché Hegel parla di ceto “formale” – a questo ceto naturalmente appartengono i commercianti che scambiano i beni lavorati. Possiamo parlare di questo ceto come quello della piccola – media borghesia; C. Il ceto “Universale”: vi appartengono i Pubblici funzionari, coloro che presiedono e si occupano di soddisfare i bisogni “universali” di tutta la società civile. Esempio di bene universale è la Giusitizia, l’ordine, o altri bisogni spirituali che servono alla realizzazione della dignità dell’uomo e del cittadino. Tra gli appartenenti a questo ceto superiore, in quanto attinente al benessere universale della società, vi sono gli Intellettuali a cui Hegel stesso appartiene. L’Amministrazione della Giustizia (punto 2)presiede e tutela il Diritto pubblico, a garanzia del mantenimento e stabilità della società civile. In particolare, il Diritto Pubblico si concretizza attraverso la difesa della sicurezza sociale e si traduce nella necessità non solo della Polizia ma anche delle Corporazioni (punto 3) Come nella società rinascimentale e pre-capitalistica, queste sono Associazioni di mestiere il cui scopo, o la cui logica, è quella di “incapsulare” gli interessi individualistici dei lavoratori all’interno del più largo interesse pubblico e comunitario delle corporazioni stesse. Ancora una volta emerge la visione se si vuole “paternalistica” di uno Stato la cui priorità è la Ragion di Stato stessa in cui gli individui devono riconoscersi 9 superando la pericolosa deriva non solo sociale ma anche etica data dagli interessi egoistici. Le corporazioni, insomma, fungono da “collante” dialettico tra gli interessi individualistici e l’interesse universale di Stato e trasmettendo così negli individui il superiore e assoluto“senso dello Stato”. Per inciso: questa logica corporativa sarà ripresa nel ‘900 dal Totalitarismo fascista ma nell’accentuazione poliziesca dell’assorbimento di ogni libertà individuale convertita in obbedienza al Regime: questa sarà una forzatura rispetto alla filosofia di Hegel la cui manipolazione da parte del Fascismo poggerà sul fraintendimento e cancellazione dell’elemento etico – civile di cui lo Stato deve farsi garante rispecchiando i bisogni materiali e spirituali della Società civile. c ) Lo Stato etico, dunque, è la sintesi del particolarismo dell’unità della Famiglia da una parte e della frammentazione potenziale utilitaristica della Società civile, dall’altra. Lo Stato, insomma, come “sostanza etica consapevole di sé” è come una “grande Famiglia”: per questo prima ho usato l’aggettivo “paternalistico”. Si può anzi aggiungere che si è in presenza di una visione “provvidenzialistica” dello Stato hegeliano, non nel senso teologico del termine, ma in quello tecnico per cui lo Stato “provvede” e realizza il senso degli individui e della loro condizione etica. In questa cornice filosofica Hegel ha anche affermato che lo Stato è l’incarnazione dello Spirito Assoluto in quanto espressione dello Spirito del tempo (WeltGeist) di un Popolo: per dirla tutta questa fu anche l’intuizione teorica di Montesquieu quando scrivendo Lo Spirito delle Leggi sostenne che le leggi incarnano lo spirito di un popolo in una data epoca storica. Detto diversamente: ogni popolo ha dunque le leggi e lo Stato che si “merita”! Ma quale forma istituzionale corrisponde alla teoria politica di Hegel? Innanzitutto è necessario stabilire quali forme di Stato non possono necessariamente rispecchiare un fondamento etico e sostanziale per la società e gli individui. Hegel esclude sia lo Stato liberale sia lo Stato democratico/repubblicano. Lo Stato liberale, infatti, rispecchia il primato dell’individuo e della libera iniziativa all’interno di una cornice utilitaristica alla luce di cui la competitività individuale e la logica del profitto/proprietà privata costituiscono le virtù fondamentali. Il filone anglosassone dell’empirismo inglese, per esempio, con Locke e Hume, esaltando la Monarchia parlamentare e la divisione dei poteri (con un forte peso alla borghesia imprenditoriale) vede lo Stato ad immagine e somiglianza del virtuosismo capitalistico ovvero lo Stato è un mezzo che legittima l’individualismo stesso. Hegel, al contrario, pone lo Stato come fine e la Società civile deve essere compattata e blindata dai rischi di atomismo individualistico e il profitto, tutt’al più, è solo uno strumento per soddisfare al sistema dei bisogni in vista del benessere universale. Lo Stato repubblicano o democratico e ancora più lontano dalla prospettiva di una concreta compiutezza etica e razionale perché, stando ai giudizi negativi che Hegel a espresso nelle sue opere mature, le rivoluzioni che sono state mosse da ideali repubblicani da una parte sono 10 state storicamente fallimentari, e dall’altra la massa (o il popolo) non ha una coscienza politica perché è “informe”, ovvero è dominata dai “facili entusiasmi”, dai sentimenti o, ancor peggio, dalla violenza, fame e disperazione. Gli stessi ideali egualitari della rivoluzione francese, nonché il modello di una democrazia diretta ventilato da Rousseau, non hanno mai preso forma se non come maschere demagogiche in mano al Terrore (vedi il terrorismo di Robespierre, uno dei “padri” della Rivoluzione Francese). La “Dea Ragione” o “Virtù” espressa dal lume della Libertà democratica – fratellanza - uguaglianza o ancora la “Volontà generale” (quest’ultimo è concetto di Rousseau) si sono rivelate false forme di Universale etico, perché non hanno mai germinato nella coscienza o Spirito del Popolo in questo caso francese. Per dirla tutta Hegel non accoglie nemmeno le teorie giusnaturalistiche: queste, infatti, si basano sulla concezione che lo Stato sia il risultato della volontà di associazione entro Patti o contratti stabiliti dalla volontà umana. Locke, Hume, lo stesso Hobbes in termini ancora più forti, hanno teorizzato questa idea per cui lo Stato è il risultato della libera associazione degli uomini e non piuttosto il presupposto assoluto e apriori. Questo spiega l’assunto di hegel per cui lo Stato viene “prima” dell’individuo (non cronologicamente ma logicamente, come fondamento a-priori appunto). E’ lo stato che fonda e dà sostanza e senso agli individui e non il contrario! Hegel, al di là di queste forme di Stato, e in nome della necessità del Diritto, è accettato del giusnaturalismo almeno l’idea della legge come manifestazione della razionalità dello Stato. Ecco perché lo Stato per Hegel non può nemmeno essere dispotico (come appare essere l’esito del Leviatano di Hobbes, per esempio), ma “illuminato”: a governare è la “Ragion di Stato”, attraverso le leggi e non l’arbitrio degli uomini. Quello di Hegel, in termini giuridici, è ciò che si definisce lo “Stato di Diritto” sotto la forma di Assolutismo illuminato o principesco. Rimanendo ancora a qualche riferimento storico, nella analisi hegeliana dello Stato di Diritto, questo è stato un fondamento sicuramente moderno, al di là degli esiti imperialistico – dispotici che ha assunto in Europa, nell’operato di Napoleone. Hegel ne apprezza il capolavoro politico nella emanazione del Codice Civile del 1804. Il Codice o Costituzione è per Hegel la necessaria espressione razionale e adeguata allo spirito della società e non può essere il prodotto forzato o artificiale, anacronistico, di decisioni imposte. In questo caso, come spesso è successo nella storia, una costituzione o il Diritto che, in generale non rifletta il sistema dei bisogni delle moltitudini a cui si rivolge, risulta essere fatalmente anacronistica, contraddittoria e sintomatica di una scissione tra la forma della legge e il suo contenuto che è lo Spirito del popolo (VolkGeist) in un dato momento della storia. In questo senso, rimanendo all’esempio di Napoleone, Hegel ne individua il carattere erroneo e contraddittorio laddove l’imperatore francese ha preteso di imporre lo stesso Codice Civile a realtà storicamente e spiritualmente incompatibili a quel Codice come è stata la Spagna quando fu conquistata nel 1812. Il modello politico che corrisponde allo Stato etico hegeliano è allora quello di una Monarchia Costituzionale, sul modello di quella prussiana, in cui i 11 poteri siano distinti ma non divisi/separati. Cosa vuol dire? Prima ho infatti usato il termine più esemplificativo di Assolutismo illuminato o “principesco”. In effetti la Monarchia Costituzionale, cui allude Hegel, non è quella di tipo inglese, in cui i poteri sono separati (con accentuazione del potere legislativo nel Parlamento) e il Re è subordinato al potere di veto del Parlamento stesso (l’espressione che il Bill of Rights riporta sin dal 1689, riguardante il ruolo del sovrano, è quella del “King in Parliament”). Il modello cui invece allude Hegel riguarda la distinzione dei poteri ma questi non sono separati nella misura in cui il potere legislativo non ha il primato, in quanto è comunque subordinato al potere esecutivo e principesco, sortendo una struttura verticistica e piramidale, il cui vertice è la persona del Sovrano che però incarna simbolicamente la Ragion di Stato o la sovranità universale dello Stato in sé. Mi avvio alla conclusione schematizzando sulla struttura piramidale in cui si articola la concezione del Potere statale: 1. 2. 3. Potere Legislativo; Potere Governativo; Potere Principesco. Voglio segnalare che l’”assenza” del potere giudiziario non è una omissione di Hegel, in quanto il potere giudiziario coincide con quanto già si è detto sull’amministrazione della Giustizia nella Società Civile o, ancora prima, quando si è descritta la sezione del Diritto Astratto. Il potere legislativo è detenuto in parte dalla rappresentanza che si spalma tra la Camera Alta e la Camera Bassa e, più che un Parlamento “democratico”, questo bicameralismo è una assemblea rappresentativa dei ceti che costituiscono la Società Civile. Hegel, in virtù del già citato antidemocraticismo, propende per la conservazione dell’ordine sociale fondato sul sistema oligarchico – cetuale, anche se non chiuso in logiche private ma illuminato dalla logica o etica razionale della meritocrazia. Per Hegel, comunque, il potere legislativo non può da solo rappresentare universalmente lo spirito delle leggi dello Stato di Diritto, proprio in virtù del fatto e del rischio assai realistico che prevalgano interessi di parte o di partito, come si direbbe oggi che, per questo, inquinerebbe la purezza della rappresentatività dell’interesse o benessere universale/pubblico dello Stato. Il potere governativo (o esecutivo) ha la logica di applicare l’universalità delle leggi ed incorporare quella funzione di controllo e amministrazione della Giustizia, del codice penale e delle funzioni di Polizia all’interno della Società Civile (vedi sopra). A presiedere il potere governativo sono i Funzionari Pubblici che oggi possiamo associare alle funzioni degli apparati ministeriali. Sono i funzionari pubblici che hanno il ruolo fondamentale di far sì che l’universalità delle leggi sia di volta in volta garantita in tutti i casi particolari della vita dello Stato. 12 Il Potere Monarchico/Principesco è l’incarnazione, nella persona singola del sovrano, della stessa maestà universale dello Stato. La persona del sovrano ha quindi una valenza simbolica (come può esserlo Cristo nel simboleggiare l’Universalità dello Spirito del Cristianesimo) ma l’essenza funzionale dello Stato per Hegel è riposta e si incardina nel potere governativo dei Funzionari Pubblici. In conclusione, Hegel può così legittimamente celebrare la “divinizzazione” dello Stato associandolo alla sua funzione di Universale sostanziale. Nei Lineamenti di Filosofia del Diritto dice infatti che “lo Stato è l’ingresso di Dio nel Mondo”! Lo Stato è l’incarnazione dello Spirito Assoluto della storia e del Mondo (Weltgeist) nel suo svolgimento. Lo Stato è espressione dello Spirito di un Popolo (VolkGeist) e lo Spirito diventa a tutti gli effetti “assoluto” e compiuto nel momento in cui è consapevole di se stesso e questo è possibile a partire dalla visuale speculativa della Filosofia che riflette sullo spirito della propria epoca, sopperendo ai punti di vista “insufficienti” e parziali dell’Arte e della stessa Religione basate, rispettivamente, sul sentimentalismo estetico e sulle rappresentazioni simboliche della fede. 13