Periodico della Società Italiana di Farmacologia - fondata nel 1939 - ANNO VIII n. 29 – Marzo 2012 Riconosciuto con D.M. del MURST del 02/01/1996 - Iscritta Prefettura di Milano n. 467 pag. 722 vol. 2° ISSN 2039-9561 Canali di comunicazione sul farmaco: i media Riccardo Renzi Giornalista Medico Scientifico, Milano Quando nelle ricerche editoriali si richiede a un campione di lettori di indicare, a numero libero, in un elenco di tematiche giornalistiche quali sono gli argomenti più interessanti che vorrebbero veder trattati sui giornali o in Tv, l’unico tema che supera normalmente il 50 per cento dei voti è la Salute. Che risulta quindi sempre prima in classifica, grazie soprattutto al fatto che suscita un interesse molto trasversale ai diversi segmenti di pubblico. È certamente più femminile che maschile, trova un’attenzione più assidua nella popolazione più anziana, ma comunque nelle sue diverse articolazioni può interessare tutti, scavalcando tranquillamente le altre differenze sociologiche, di istruzione, di livello economico, di area geografica. In questa accezione la salute è dunque per i mass media il tema più popolare. E il mondo del farmaco, nel bene e nel male, è inevitabilmente legato a filo doppio a questa vasta audience. Eppure, analizzare il rapporto tra farmaci e mass media tradizionali significa soprattutto affrontare una lunga serie di contraddizioni, a tutti i livelli. Esiste, tanto per cominciare, una contraddizione legale. In teoria, ma molto in teoria naturalmente, non si potrebbe nemmeno parlare sui giornali o alla Tv di farmaci che non siano quegli stessi, di fascia C, per i quali è ammessa la pubblicità. Ma qui sorge subito una sottocontraddizione: parlare di farmaci che vengono anche pubblicizzati può costituire pubblicità occulta e violare le regole deontologiche della professione giornalistica. Per questo sarebbe quantomeno vietato citare i nomi commerciali dei medicinali, rifugiandosi ipocritamente nei nomi delle molecole. Salvo ampie eccezioni, quando tali nomi diventano ampiamente popolari (Aspirina, Voltaren, Prozac, Viagra) e liberano il redattore (noblesse oblige) dall’arrampicarsi faticosamente, soprattutto nei titoli, tra acido acetilsalicilico e sildenafil. Di tutte le altre molecole però non potrebbero parlare nemmeno i medici intervistati, neppure gli specialisti più accurati, secondo le loro regole deontologiche. Ma qui ci giunge in soccorso, per fortuna, il diritto di cronaca: se c’è una scoperta, una nuova ricerca, l’arrivo sul mercato (o il ritiro) di un farmaco, uno studio di efficacia o un warning, allora c’è una notizia. Che può e deve essere data. Ma questo meccanismo provoca spesso un altro paradosso: al di fuori delle pagine e rubriche specializzate difficilmente trovano posto, a meno che non abbiano un particolare glamour, le notizie positive che accompagnano lo sviluppo di un farmaco, mentre tutti si sentono in dovere di riportare le notizie negative. Si tratta, d’altra parte, della solita vecchia regola dell’uomo che morde il cane: il fatto che un farmaco apporti dei benefici non è una notizia, mentre lo è quando provoca la morte (o si sospetti che lo faccia) dei pazienti. È lo stesso motivo per cui sulle pagine dei giornali prevale la malasanità rispetto a quella buona. Anche il modo stesso di dare le notizie crea contraddizioni. Le esigenze di comunicazione semplice, rapida, netta si scontrano inevitabilmente con i tempi lunghi, le complessità, le articolazioni del mondo scientifico del farmaco. Dal punto di vista dei mass media il farmaco ideale è il Viagra e non soltanto per la popolarità del suo Quaderni della SIF (2012) vol. 29- 11 ambito terapeutico. Il sildenafil è il farmaco ideale perché risponde appieno al semplice schema problema-farmaco-soluzione: un problema ben preciso, una pillolina blu facilmente identificabile, una soluzione in tempi rapidi e ben visibile, con pochi e definibili effetti indesiderati. E inoltre alle spalle una storia di serendipity che non guasta alla “narrazione” giornalistica. Ma sono ben pochi i farmaci che possono godere di questo “effetto Viagra” comunicativo. In tutti gli altri casi, per una comunicazione efficace, non resta che affidarsi all’enfasi, che è la figura retorica del giornalismo, che piaccia o no. Ogni comunicazione radiofonica o televisiva deve avere un titolo e un’highlight, che sono costruiti sulla sintesi e sull’enfasi e che sono evidentemente in contraddizione con il rigore scientifico, basato su precise indicazioni e controindicazioni, sui distinguo e sulla cautela. Raramente il titolo di una rivista scientifica potrebbe trovare posto, anche fisico, sulla pagina di un quotidiano. Inoltre la comunicazione giornalistica nel campo della salute tende a puntare su aspetti emozionali (anch’essi agli antipodi sulle necessità razionali della farmacologia) e in particolare sulle due grandi leve della speranza e della paura, la paura della malattia e la speranza di guarigione. Un farmaco, agli occhi del pubblico, guarisce o non guarisce, funziona o non funziona ed è poco attraente la molecola che funziona solo in alcuni casi o che promette un miglioramento della sopravvivenza del 5%. Il che può essere un grande risultato dal punto di vista medico, ma troverà scarso interesse nel caporedattore che dovrà decidere la pubblicazione della notizia. È da notare che il contenuto emotivo delle notizie relative ai farmaci è spesso indipendente dal trattamento delle notizie stesse, ma insito nelle aspettative dei lettori-spettatori non professionali, 12 - Quaderni della SIF (2012) vol. 29 soprattutto quando sono personalmente coinvolti delle patologie trattate. Nel Corriere Salute, il settimanale di medicina del Corriere della Sera, ospitavamo una rubrica, intitolata Ci guarirà domani, dedicata alla ricerca di base e d’avanguardia e tenuta da uno dei migliori giornalisti medicoscientifici italiani, Giuliano Ferrieri. Nonostante il titolo esplicito e le immancabili frasi cautelative (tipo: Ci vorranno anni prima di passare alla pratica clinica oppure I primi risultati dovranno essere verificati da successive ricerche) ogni settimana ricevevamo telefonate di lettori che chiedevano ansiosamente dove si potesse trovare il farmaco citato o dove si potesse godere di quell’avveniristica terapia. Alla fine la rubrica fu abolita. Al di là di questi problemi-contraddizioni, non possiamo esimerci poi da citare quello che è forse il più importante: l’impreparazione, l’ignoranza, la faciloneria del mondo giornalistico che si occupa di salute e medicina, figlie di una non lunga tradizione italiana in questo campo e dalla mancanza, se non negli ultimi anni, di una formazione specifica. Un problema aggravato oggi dallo sviluppo globale, attraverso Internet, di un sistema informativo che facilita la circolazione delle notizie giuste e sbagliate e ne rende ancora più arduo il controllo. A nessun giornalista può essere richiesta una conoscenza specifica di tutte le specialità mediche di cui gli tocca occuparsi (oltre agli altri temi “salutisti”: l’alimentazione, l’attività fisica, l’estetica eccetera), ma certamente una competenza professionale nella verifica e nel confronto delle fonti, nel sapersi districare tra i “trucchi” della statistica medica, nel sapere evitare le trappole (è giusto ricordarlo) del marketing farmaceutico. E dall’astenersi dai conflitti di interesse, che non derivano soltanto dalle pressioni pubblicitarie o dai legami, talvolta forti, tra gruppi ospedalieri ed editoriali, ma anche dai coinvolgimenti diretti (sotto forma di inviti, viaggi per conferenze stampa, congressi ed eventi vari) con le case farmaceutiche, che pure restano una delle fonti primarie di informazione. Facendo attenzione anche ai conflitti di interesse degli altri, i medici stessi e i ricercatori in primo luogo, gli enti pubblici e privati, le fonti di informazione scientifica, comprese le grandi riviste internazionali. Un buon riassunto di queste problematiche si ritrova in un documento dedicato appunto al rapporto tra informazione e farmaco, nato da un incontro, organizzato nel 2007 da Giampaolo Velo, farmacologo dell’Università di Verona, al quale hanno partecipato giornalisti medico-scientifici (compreso il sottoscritto), rappresentanti della sanità locale, dell’industria farmaceutica e naturalmente del mondo accademico. Il documento (detto “Carta di Verona”) è stato poi pubblicato dalla rivista Drugs (1) da cui, per esempio, si evince che quando proposto un nuovo farmaco per una certa malattia dobbiamo chiederci: Esiste la malattia per cui viene proposto o si tratta di un caso di disease mongering? Il farmaco è veramente nuovo o si tratta di un clone di farmaci esistenti? Le ricerche di sviluppo sono state sufficientemente ampie e approfondite in modo da metterne in luce gli eventuali effetti indesiderati? Da chi sono stati finanziati i ricercatori che hanno sviluppato il farmaco? I benefici illustrati sono reali e sufficientemente ampi da giustificare l’impiego di una nuova molecola (con i rischi connessi)? Che garanzie offre la rivista scientifica che ha pubblicato lo studio in questione? Qual è il rapporto costo-benefici? È stato fatto un confronto con altre terapie, non necessariamente farmacologiche, in termini di costi e risultati? Esistono fonti indipendenti che possono confermare i risultati? Tutte domande che garantiscono rigore e trasparenza, ma le cui risposte sono tutt’altro che agevoli. Una strada, come si vede, lunga e difficile per chi vuole dare semplicemente un’informazione corretta, da percorrere esercitando continuamente l’esercizio del dubbio. Ma che vale la pena affrontare per fare bene il proprio mestiere. BIBLIOGRAFIA 1. Velo G. P., Renzi R. e Satolli R., Drugs in the Newspaper, Drugs, 68(7): 1017■ 18, 2008. Quaderni della SIF (2012) vol. 29- 13