GRAVITAZIONE UNIVERSALE.
Introduzione.
Aristotele sosteneva che corpi diversi, di peso diverso, cadono tanto più velocemente
quanto maggiori sono le sue dimensioni. Tale affermazione è stata confutata solo
2000 anni dopo. Nel 1600 Galilei rovescia completamente il discorso filosofico di
Aristotele sostenendo semplicemente che un’affermazione circa le leggi della Natura,
per essere accettata deve essere provata da esperimenti riproducibili. “I discorsi
nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile e non sopra un mondo di carta”
(introduzione del metodo scientifico).
E’ dunque scienza galileiana tutto ciò che, scritto in linguaggio matematico, può essere
verificato sperimentalmente da chiunque. Si badi bene che questo atteggiamento di
Galilei riguardo la conoscenza del mondo fisico deriva dalla sua profonda fede nel
Creatore del mondo e da una reale umiltà intellettuale.
Galilei diceva infatti che non dobbiamo avere la pretesa di capire come Dio ha fatto il
mondo semplicemente ragionando su di esso, perché Dio è infinitamente più
intelligente di noi e potrebbe aver preso strade che noi neanche ce le immaginiamo per
creare e governare l’Universo. Fra le infinite logiche possibili, Dio ne aveva scelta una
sola e stava a noi capire quale, ponendo le domande giuste alla Sua creazione.
Secondo la sua mentalità quindi, l’unica via corretta da seguire era quella di porre
domande precise al Creatore attraverso l’esecuzione di esperimenti che mettessero in
evidenza le leggi matematiche che governano il mondo fisico. Ogni legge trovata, era
quindi per lui una risposta del Creatore all’umile creatura che si mette alla ricerca
della verità accettando di essere nel buio e nell’ignoranza più completa.
“Questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, non si
può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri nei
quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi,
ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne
umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto. (
Opere VI, 232.)
Nel 1636 Galileo sostenne che se fosse stato possibile eliminare completamente la
resistenza dell’aria, tutti i corpi sarebbero caduti con uguale velocità se abbandonati
dalla stessa altezza. Subito dopo la sua morte (1642), Torricelli riuscì a creare il
vuoto e dare quindi la possibilità di verificare sperimentalmente l’affermazione di
Galileo. Molto più tardi, nel 1971, David Scott, sul suolo lunare, abbandonò una piuma di
un falcone e un martello. Quando gli oggetti toccarono il suolo disse: “Che dire? Galileo
aveva ragione.” Ma bisogna dire che lo stesso Tito Lucrezio Caro, oltre 200 anni dopo
Aristotele, nel suo De rerum natura azzardò una affermazione secondo cui lo spazio
vuoto non può impedire ad alcuna cosa di cadere secondo la sua natura, per cui anche
corpi disuguali di peso si dovrebbero muovere con la stessa velocità.
Questo è il riferimento culturale che Newton aveva quando all’età di circa 23 anni
(1665) iniziò a porsi il problema del perché la luna non cade sulla terra così come la
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famosa mela (almeno secondo il racconto che ne fa un amico di Newton, William
Stukeley).In realtà, ricerche storiografiche recenti mostrano che quasi certamente
Newton fu indirettamente condotto ad occuparsi di gravità da Robert Hooke il quale
gli sottopose tutta una serie di problemi concernenti il moto di un corpo su una
traiettoria curva. Ma è, purtroppo, difficile ricostruire lo sviluppo storico perché
Newton odiava le controversie e non pubblicava volentieri i risultati delle sue ricerche.
I Principia furono pubblicati 22 anni dopo aver avanzato le idee principali e grazie ad
Halley. Da un punto di vista della cinematica del moto dei pianeti, Newton stava giusto
vivendo un cambiamento radicale della visione dell’universo dell’epoca che, sebbene
proposto un secolo prima da Copernico, aveva appena avuto un supporto scientifico da
parte di Galileo.
La concezione tolemaica secondo la quale la terra è ferma e i pianeti e il sole le girano
intorno, fu soppiantata dalla teoria eliocentrica che spiegava in modo più semplice il
moto dei pianeti. Le osservazioni del moto dei corpi celesti fatte dagli antichi greci
aveva stabilito che le orbite dei pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno
erano periodiche. In particolare, il primo modello planetario assumeva che i vari
pianeti descrivevano orbite circolari concentriche intorno alla Terra, fissa nel centro.
Tolomeo, nel II secolo d.C., per spiegare il moto osservato, sviluppò la teoria degli
epicicli secondo la quale un pianeta si muove di moto uniforme lungo una circonferenza
(epiciclo) il cui centro si muove su una circonferenza più grande (deferente) con
centro sulla Terra. Il moto risultante del pianeta è una epicicloide.
Nikolaj Kopernik (1473 – 1543) propose una teoria eliocentrica. Sostanzialmente la
differenza tra i due modelli era il diverso sistema di riferimento adottato: la Terra
per Tolomeo, il Sole per Copernico.
Da un punto di vista formale cambiavano i sistemi di riferimento: inerziale quello di
Copernico, non inerziale quello di Tolomeo.
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L’astronomo danese Tycho Brahe criticò l’ipotesi copernicana proponendo una teoria
alquanto diversa. Per poterla verificare, Brahe eseguì misure molto accurate della
posizione dei pianeti per un periodo di 25 anni. Tali dati furono successivamente
analizzati dall’astronomo tedesco Johannes Kepler (1571-1630) che riuscì a fornire
una base sperimentale alla teoria copernicana.
Le leggi di Keplero.
Dopo circa 20 anni di studio, Keplero stabilì tre leggi empiriche:
1. i pianeti si muovono su orbite ellittiche intorno al sole che occupa uno dei due
fuochi (visione eliocentrica);
2. il raggio vettore spiccato dal sole verso il pianeta spazza aree uguali in tempi
uguali (la velocità areolare è costante):
∆A
= cos t ;
∆t
3. i quadrati dei periodi di rivoluzione, T, dei pianeti intorno al sole sono
proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori, a, delle rispettive ellissi
T2
= cos t
a3
E’ chiara la visione eliocentrica o copernicana del sistema solare, in netto contrasto
con quella geocentrica allora dominante. E’ la terra che si muove attorno al sole fisso
nel fuoco dell’ellisse e non viceversa. Anche Galileo credeva nel sistema eliocentrico e
diceva che sostenere che fosse l’intero universo a girare attorno a noi e non viceversa
era come pensare che per osservare un intero paese, un ipotetico turista, in cima ad
una torre, pretendesse di stare fermo e che qualcuno gli ruotasse il paese intorno.
Egli però non accettava l’idea che le orbite non fossero circolari per la sua visione
divina ed armonica del mondo derivante dalla sua fede e morì con tale convinzione. C’è
da dire che la visione eliocentrica del sistema solare non è nata con Copernico e
Keplero, ma era già stata ipotizzata e avanzata su ragionevoli basi osservative
dall’astronomo greco Aristarco di Samo (310-230 a.C.) ma poi dimenticata nel corso
dei secoli anche a causa del disastroso incendio della biblioteca di Alessandria
d’Egitto. Le leggi di Keplero non avevano alcuna spiegazione teorica. Newton si rese
conto che tali leggi possono essere stabilite se si facevano due ipotesi:
1) ai corpi celesti possono essere applicate le leggi della meccanica valide per i corpi
sulla terra;
2) i pianeti si muovono sotto l’azione di una forza inversamente proporzionale al
quadrato della distanza.
Per verificare la correttezza della legge di gravitazione universale, Newton confrontò
l’accelerazione centripeta della luna, ac, con l’accelerazione di gravità con cui un corpo
cade nelle vicinanze della terra, g. La prima vale:
ac = v2/r= ω2r=(4π2/T2)r
posto r=3.84 108 m, T = 2.36 106 s, si ha ac = 2.72 10-3 m/s2.
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Il rapporto g/ac vale circa 602. Tale rapporto risulta essere lo stesso di (r/RT)2 se si
assume RT= 6.37 106 m. Tale uguaglianza di rapporti si ha se si assume che la forza che
tiene la luna in orbita intorno alla terra è dello stesso tipo di quella che fa cadere un
corpo sulla superficie terrestre. Infatti, se
M M
FLUNA = G T 2 L = M L a c
r
M m
FTERRA = G T2 = mg
RT
dividendo membro a membro si ha:
2
g ⎛ r ⎞
⎟
=⎜
a c ⎜⎝ RT ⎟⎠
Come già detto, Newton verificò tale uguaglianza e postulò come vera la legge di
gravitazione per due corpi qualunque e non solo pianeti del sistema solare. Questo
risultato fu pubblicato 20 anni dopo la sua scoperta perché non poteva giustificare
l’ipotesi che la massa della terra fosse come concentrata nel suo centro. Newton
sviluppò il calcolo differenziale ed integrale e dimostrò, come in seguito dimostrato,
che un guscio sferico omogeneo, e quindi una sfera solida omogenea, esercita su un
corpo esterno una forza pari a quella che si eserciterebbe sul corpo qualora tutta la
massa fosse concentrata nel centro della sfera.
La prima legge di Keplero stabilisce che l’orbita è piana.
Il significato profondo della seconda legge di Keplero risiede nella conservazione del
momento angolare. Fissato un sistema di riferimento Oxyz, definiamo momento
r r r
r
angolare di un corpo di massa m la quantità J = r × p dove r è un vettore spiccato da
r
r
un polo O e che individua (rispetto ad O) la posizione del corpo e p = mv la sua
quantità di moto. E’ facile dimostrare che per un corpo soggetto ad una forza
centrale, il momento angolare si conserva, cioè non varia nel tempo. Infatti, la
variazione temporale del momento angolare è nulla:
r
r
r
dJ dr r r dp r r
=
× p+r×
= r×F = 0
(1)
dt
dt
dt
1
L’area infinitesima spazzata dal raggio vettore è: ∆A = r 2 ∆θ e la sua variazione nel
2
tempo è:
J
∆A 1 2 ∆θ 1 2
= r
= r ω=
∆t 2
2m
∆t 2
Da ciò discende che se la velocità areale è costante (come affermato nella II legge di
Keplero), tale è anche il momento angolare.
La costanza del momento angolare assicura anche che la forza agente sul corpo è
centrale come risulta evidente dalla (1).
La terza legge di Keplero contiene un grande tesoro che Newton seppe scoprire e
valorizzare. Esso consiste nella legge di Gravitazione Universale che, in forma scalare,
si scrive:
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m1m2
R2
Assumiamo che un pianeta di massa mo, trascurabile rispetto al Sole, si muova attorno
alla sua stella di moto circolare uniforme, per cui è soggetto ad una forza centripeta:
F PS = m o ω 2 R
2π
diventa:
che scritta tenendo conto che ω =
T
4π 2
FPS = m o 2 R
T
Sfruttando la terza legge di Keplero otteniamo:
m o 4π 2
FPS = 2
R K
dove abbiamo indicato con K la costante di proporzionalità presente nella terza legge
di Keplero e abbiamo sostituito il semiasse maggiore dell’orbita, a, con il raggio
dell’orbita circolare, R. La forza centripeta che tiene legato il pianeta al Sole non è
altro che la forza di gravità, per cui la precedente rappresenta la forza di gravità con
cui il Sole attira il pianeta. Ma per il terzo principio della dinamica è anche la forza
con cui il pianeta attira a sé il Sole, ossia:
m 4π 2 m S 4π 2
FPS = o2
= 2
= FSP
R K
R KO
F =G
dove KO è una costante che dipende solo dal pianeta e non da ciò che ci gira attorno e
mS è la massa del Sole. Dalla precedente relazione discende che KmS=KOmo è una
costante fondamentale della fisica che non dipende da nulla, né dal pianeta né dal
Sole. Posto G=4π2/KmS=4π2/KOmo, possiamo scrivere la legge di gravitazione
universale in forma scalare:
m m
FoS = G o 2 S
R
r
Vettorialmente, se indichiamo con u r il versore spiccato dal centro di forza verso il
pianeta, la legge di gravitazione universale si scrive:
r
m m r
FoS = −G o 2 S u r
R
Essa afferma che due corpi si attraggono con una forza che è direttamente
proporzionale al prodotto delle loro masse gravitazionali ed inversamente
proporzionale al quadrato della loro distanza. La costante G vale 6.67 10-11 m3/s2 Kg e
fu misurata da Lord Cavendish nel 1798. La forza d’interazione tra due corpi non
dipende da ciò che si trova nello spazio circostante; se vi sono più corpi, la forza
risultante è data dal principio di sovrapposizione.
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Esperimento di Cavendish.
Bilancia di torsione usata da Cavendish
Cavendish, H.: Experiment to Determine the Density of the Earth’,
Philosophical Transactions of the Royal Society of London, 88, pp. 469-526,
Londra, 1798;
Per la misura di G, Cavendish utilizzò una bilancia di torsione. Un filo metallico, o una
fibra di quarzo, fissato con un estremo al soffitto, recava all’altro estremo un’asta
rigida come in figura. Agli estremi dell’asta attaccò due sfere identiche di massa nota
e, molto vicine ad esse, altre due sfere identiche molto pesanti. La piccola rotazione
della bilancia per effetto dell’attrazione gravitazionale, fu amplificata con uno
specchietto collegato al filo verticale sul quale faceva incidere un raggio di luce che
veniva poi riflesso su una scala graduata. La bilancia raggiunge la condizione di
equilibrio quando il momento della forza di attrazione rispetto all’asse OC eguaglia
quello torcente – κθ, essendo κ la costante di torsione del filo. Perciò, detta L la
lunghezza del manubrio ed r la distanza tra i centri delle sfere di massa m e m’,
all’equilibrio si ha:
mm'
G 2 L = κθ
r
da cui si ricava G note tutte le altre grandezze.
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Il valore ricavato da Cavendish fu G=6.75 10-11 contro quello oggi accettato di 6.67
10-11 Kg-1 m3 s-2.
Con questo esperimento Cavendish poté calcolare la massa della Terra. Infatti la
forza con cui la Terra attira un oggetto è il suo peso, F=mg. Ma tale forza può
esprimersi tramite la legge di gravitazione universale, per cui:
mM T
mg = G
R2
gR 2 9.8 ⋅ (6.37 ⋅10 6 ) 2
da cui, noto R, M T =
= 5.96 ⋅10 24 Kg
=
−11
G
6.67 ⋅10
Massa inerziale e massa gravitazionale.
Per ricavare la legge di gravitazione, Newton usa la seconda legge della dinamica nella
quale compare la massa inerziale. Questa è intesa come la resistenza che un corpo ha
a cambiare il suo stato di moto, cioè, è una misura dell’inerzia posseduta dal corpo.
Operativamente la massa inerziale di un corpo si determina misurando l’accelerazione
che una forza nota produce su di esso, per cui mi=F/a; essa si definisce quindi per via
dinamica. Nel caso della forza d’interazione gravitazionale che si esercita, per
esempio, tra terra e un corpo nelle sue vicinanze, le masse che intervengono non hanno
nulla a che vedere con l’inerzia dei corpi. La proprietà della materia responsabile della
forza gravitazionale si chiama massa gravitazionale. A priori, non c’è motivo per poter
affermare che i due tipi di massa coincidono. La massa gravitazionale può
operativamente determinarsi con una bilancia; la misura è quindi di tipo statico.
Possiamo facilmente verificare che queste due proprietà della materia sono
proporzionali; inoltre, con altissima precisione la costante di proporzionalità è 1.
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L’esperienza mostra che tutti i corpi nel vuoto cadono con la stessa accelerazione
(Galilei); nelle vicinanze della superficie terrestre potremo scrivere:
GM T M g (1)
M i (1)a(1) =
per un corpo 1:
RT2
GM T M g (2)
M i (2)a(2) =
per un corpo 2:
RT2
M i (1) M i (2) a(2)
Dividendo membro a membro, si ha:
=
. Essendo a(2)=a(1), si ha
M g (1) M g (2) a(1)
che il rapporto tra massa inerziale e massa gravitazionale di un corpo è costante.
Storicamente si potrebbe considerare come primo esperimento quello sulla caduta dei
gravi eseguito da Galileo Galilei a Pisa: corpi che hanno la stessa massa inerziale hanno
lo stesso tempo di caduta, il che implica che hanno la stessa accelerazione di caduta
libera e quindi la stessa massa gravitazionale. Questo esperimento mostrò anche che il
periodo di un pendolo semplice non dipendeva dal materiale utilizzato. (Galileo attribuì
le
piccole
differenze
osservate
alla
resistenza
dell'aria).
Newton, avendo a disposizione le prime macchine pneumatiche, poté ripetere le stesse
esperienze riducendo di parecchi ordini di grandezza l'effetto dell'aria: mostrò che in
un simile ambiente (tubo di Newton) tutti i corpi cadevano con la stessa accelerazione
confermando l'ipotesi di Galileo.
Successivamente utilizzando un pendolo formato da un involucro cavo in cui poteva
introdurre materiali diversi misurò il periodo delle piccole oscillazioni introducendo nel
pendolo vari materiali.
Il periodo di un pendolo semplice di lunghezza l ottenuto mantenendo distinte le due
masse vale:
T = 2π
mi l
mg g
d 2 (lθ )
Infatti, con riferimento alla figura, si ha: − m g g sin θ = m i
e, per piccole
dt 2
mg g
d 2θ
d 2θ
θ = 2 da cui l’espressione di T.
oscillazioni: − m g gθ = m i l 2 ovvero: −
mi l
dt
dt
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Perciò se il periodo risulta indipendente dal materiale, si può affermare che corpi di
materiali diversi, aventi la stessa massa inerziale, hanno la stessa massa
gravitazionale.
I risultati ottenuti da Newton mostrarono che l'affermazione è valida entro una parte
su mille, cioè corpi di eguale massa inerziale hanno la stessa massa gravitazionale
entro una parte su mille.
Un miglioramento notevole è stato ottenuto da Eötvös con la bilancia di torsione con
cui si mette in evidenza che la forza peso ha la stessa direzione per corpi di materiale
diverso.
La forza peso che agisce su un corpo fermo rispetto alla Terra è somma della forza di
attrazione gravitazionale mggN diretta verso il centro della Terra e della forza
centrifuga miω2r dovuta al moto di rotazione terrestre:
r
r
r
P = m g g N + mi ω 2 r
la sua direzione è quella del filo a piombo che, in una data posizione, non dipende dal
materiale solo se i corpi, a parità di massa inerziale, hanno la stessa massa
gravitazionale.
Eötvös utilizzò una bilancia di torsione del tipo di quella di Cavendish, costituita da
un'asticella sospesa per mezzo di un sottile filo di quarzo alle cui estremità vengono
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poste due sfere di diverso materiale, ma aventi la stessa massa inerziale. Se la massa
gravitazionale fosse diversa esse avrebbero pesi diversi.
Le forze agenti sulle due masse non sono parallele al filo: quindi hanno momento non
nullo rispetto allo stesso, e, come si vede dalla figura, i due momenti hanno lo stesso
segno. Ne segue che l'equipaggio della bilancia di torsione ruoterà in un certo verso.
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Proiettando l’apparato su un piano ortogonale al filo di quarzo e con l’asta ruotata di
180°, possiamo rappresentare le forze nel modo seguente.
Agendo sul filo, la sbarra viene orientata in direzione est-ovest in modo che, se le due
masse gravitazionali fossero diverse, i due pesi avrebbero direzione ed intensità
diverse per cui si genererebbe un momento che tenderebbe a far ruotare la bilancia.
Tale momento verrebbe compensato da un momento di torsione del filo per mantenere
il sistema in equilibrio.
Se, dopo aver raggiunto l'equilibrio, la bilancia di torsione viene ruotata di 180º le due
forze peso si scambiano di posizione e il momento di torsione del filo si somma a quello
dovuto alle forze peso facendo sbilanciare il sistema. L'effetto potrebbe essere
messo in evidenza mediante una opportuna leva ottica.
Ma l'esperimento evidenziò alcun effetto dovuto a differenze tra le masse
gravitazionali.
Altri esperimenti hanno alla base il confronto tra le accelerazioni di caduta libera
rispetto al Sole. Il procedimento è il seguente: nell'approssimazione di orbite
circolari, il raggio dell'orbita per un corpo solidale con la Terra, avente massa
inerziale mi e massa gravitazionale mg che descrive un'orbita (circolare) intorno al
Sole di massa MS vale
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r=3 G
mg M s
mi ω 2
e quindi corpi con massa gravitazionale minore percorrono orbite con raggio minore e
viceversa.
Se un dispositivo simile a quello di Eötvös viene posizionato sul piano dell'orbita
terrestre, in direzione ortogonale alla retta che congiunge il centro della Terra col
centro del Sole, se, a parità di masse inerziali i due corpi avessero massa
gravitazionale diversa, tenderebbero a portarsi su orbite diverse. Nella figura a) è
schematizzata la situazione iniziale: il corpo di massa gravitazionale minore (corpo
pieno) tende a percorrere un'orbita più vicina al Sole.
Dopo 12 ore la terra ha compiuto una rotazione di 180° e se tutto l’apparato si
muovesse rigidamente, il manubrio si porterebbe nella posizione indicata.
Ma poiché il corpo vuoto tende a descrivere un’orbita di raggio maggiore la situazione
sarà quella in figura e il manubrio oscillerà con un periodo di 24 ore.
Perciò il sistema comincerà ad oscillare con periodo ben definito (24 ore) intorno alla
posizione di equilibrio e si possono mettere in evidenza anche oscillazioni di ampiezza
estremamente piccola. Esperimenti in tal senso non hanno, però, evidenziato alcun
effetto e hanno permesso di ridurre di alcuni ordini di grandezza l'indeterminazione,
in particolare l'esperimento di Roll et al. (1964) ha ridotto l'indeterminazione a 1x10-11
e quello di Braginski e Panov (1972) fino a 1x10-12.
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Campo gravitazionale prodotto da una distribuzione
sferica cava di massa.
Rdθ
t
x
R
θ
O
α
r
P
m
Consideriamo una sfera cava di massa M, spessore t e raggio R. Vogliamo calcolare la
forza di attrazione gravitazionale tra la sfera e un corpo puntiforme di massa m posto
a distanza r dal centro O. Tagliamo una fetta di dimensioni trasversali t e Rdθ, raggio
Rsinθ e avente centro sul segmento OP. Iniziamo col calcolare la forza di attrazione
gravitazionale tra questo anello e P. La massa dell’anello è dM=ρdV=ρ 2πRsinθ Rdθ t.
Consideriamo sull’anello un elemento infinitesimo di massa dm’ distante x da m, per cui
la forza sarà
Gmdm'
dF ' =
x2
Tutte queste forze giacciono sulla superficie laterale del cono di vertice P e base
l’anello. Se le sommiamo, notiamo che le componenti ortogonali ad r sono a due a due
uguali ed opposte per cui la loro somma è zero. Le componenti parallele ad r si
sommano per cui la forza esercitata dall’intero anello avrà modulo
Gmdm'
GmdM
Gm cos α 2πρ tR 2 sin θdθ
dF ' r = ∫
cos
cos
α
α
=
=
x2
x2
x2
e sarà diretta lungo r. Se sommiamo le forze esercitate da tutti gli anelli otterremo la
forza che la sfera esercita su m. A tale scopo notiamo che
r 2 + R2 − x2
2
2
2
x = r + R − 2rR cos θ
e quindi R cos θ =
; differenziando si ha:
2r
r 2 + R2 − x2
r−
x
r r 2 + R2 − x2
r − R cos θ
2r
=
= −
− R sin θdθ = − dx . Inoltre cos α =
.
x
x
x
2rx
r
dF’r potrà quindi scriversi:
⎛ r 2 + R2 − x2 ⎞ 1
x ⎛ r r 2 + R2 − x2 ⎞ 1
⎟⎟ 2 = Gm2πρtR⎜⎜1 −
⎟⎟ 2 dx =
dF ' r = Gm2πρtR dx⎜⎜ −
r ⎝x
2rx
2r 2
⎠x
⎝
⎠x
r 2 − R2 + x2
R
= GmπρtR
dx = Gmtπρ 2
2 2
r x
r
⎛ r 2 − R2
⎜⎜1 +
x2
⎝
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⎞
⎟⎟dx
⎠
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Integrando si ha:
F = Gmtπρ
R
r2
r+R
⎛ r 2 − R2
⎞
R
∫r − R ⎜⎜⎝ x 2 + 1⎟⎟⎠dx = Gmtπρ r 2
R
mM
4R = G 2
2
r
r
massa della sfera
⎡ 2
2
⎢r −R
⎢⎣
(
)⎛⎜ − 1x ⎞⎟
⎝
r+R
⎠ r−R
r+R ⎤
+ x r−R ⎥ =
⎥⎦
= Gmtπρ
essendo
la
M = ρ 4πR 2 t .
Pertanto
la
forza
d’interazione
gravitazionale tra una sfera cava e un punto materiale posto a distanza r>R dal centro
della sfera è la stessa di quella che si eserciterebbe se la massa della sfera fosse
concentrata nel suo centro O.
Vediamo cosa accade se r<R ovvero se m si trova all’interno della sfera.
R
O
R+r
r
P
R-r
L’integrale va ora effettuato tra R-r e R+r:
r+R
⎛ r 2 − R2
⎞
R⎡ 2
1⎞
r+R ⎤
2 ⎛
⎜
⎟
+
+
=
−
−
1
dx
Gmt
πρ
r
R
x
=0
⎜
⎟
⎢
∫ ⎜ x2
⎟
R−r ⎥
r 2 ⎢⎣
⎝ x ⎠ R−r
⎠
R−r ⎝
⎦⎥
Se consideriamo una sfera piena e la suddividiamo in tanti gusci sferici, se m è al di
fuori della sfera, i contributi dei gusci si sommano e quindi la forza sarà la stessa di
quella che si eserciterebbe se la massa della sfera fosse concentrata nel suo centro.
Se m si trova dentro la sfera, i gusci che la contengono danno contributo nullo per cui
la forza sarà esercitata da una sfera di raggio pari alla distanza di m dal centro e
massa m’ pari a M(r3/R3), cioè:
mM r 3
mM
F =G 2
=G 3 r
3
r R
R
R
F = Gmtπρ 2
r
r+R
(
)
F
r
1/r2
R
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r
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Energia potenziale gravitazionale.
Consideriamo un corpo di massa m che si muove sotto l’azione della forza
gravitazionale F, esercitata su di esso da un corpo di massa M, posto in O. Tale forza
sarà conservativa se il lavoro che essa compie quando il corpo si sposta da una
posizione i ad una f risulterà indipendente dal percorso.
i
ds
f
F
r
r + dr
dθ
O
Calcoliamo il lavoro usando la sua definizione:
f r
r f
r f r r f
Mm r
Mm
L = ∫ F ⋅ d s = ∫ − G 2 u r ⋅ d s = ∫ F ⋅ d s = ∫ − G 2 dr =
r
r
i
i
i
i
⎛1 1⎞
= −GmM⎜⎜ − ⎟⎟ = U i − U f
⎝ ri rf ⎠
Il lavoro dipende solamente dalle posizioni iniziale e finale del corpo di massa m;
GMm
+cost, tale che il
possiamo quindi definire una funzione energia potenziale U = −
r
lavoro sia pari all’opposto della sua variazione. Poniamo nulla l’energia potenziale
all’infinito.
Si definisce ‘velocità di fuga’ la minima velocità con cui un corpo dev’essere lanciato
per sfuggire all’attrazione gravitazionale del pianeta su cui si trova e raggiungere
l’infinito. L’orbita descritta è perciò aperta e quindi dev’essere E = 0. Per un corpo
sulla superficie terrestre:
1
Mm
0 = mv 2 − G
2
RT
da cui vfuga = 11.2 Km/s
Campo gravitazionale.
Definiamo campo gravitazionale la regione dello spazio in cui sono sensibili azioni di
tipo gravitazionale. Se nello spazio circostante una massa m, poniamo una massa m’ in
r
varie posizioni, questa sentirà una forza attrattiva data da F = −G
mm' r
u r essendo
r2
r
ur il versore orientato da m verso m’. Possiamo ritenere che l’azione gravitazionale
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15
esercitata da m esista indipendentemente dalla presenza di m’
r
produce un campo gravitazionale G , definito come:
r
r F
m r
G=
= −G 2 u r
m'
r
e diciamo che m
Con questa definizione, l’accelerazione di gravità può essere considerata come il
campo gravitazionale alla superficie terrestre. Se consideriamo un corpo esteso, il
campo gravitazionale da esso prodotto in un punto P, sarà dato dai contributi di
ciascun elemento di massa dm distante r da P:
r
dm r
G = ∫ - G 2 ur
r
Se introduciamo il potenziale gravitazionale definito come V=-Gm/r, il campo
r
gravitazionale può esprimersi come G = - grad V.
Il problema dei due corpi.
Il problema riguarda la determinazione dell’equazione del moto di due corpi soggetti
ad una forza centrale attrattiva che varia con l’inverso del quadrato della loro
distanza, come la forza gravitazionale o elettrostatica.
Sia Oxyz un sistema di riferimento inerziale, r1 ed r2 la distanza dall’origine dei corpi
di massa m1 ed m2, rispettivamente. Le equazioni del moto dei due corpi sono:
r
d 2 r1 r
mm
(1)
m1
= F12 = G 1 2 2 r̂21
2
dt
r21
r
r
d 2 r2
m1 m 2
(2)
r̂21
m2
=
F
21 = −G
2
dt
r212
r
r
r r
dove F12 è la forza agente sul corpo 1 dovuta al corpo 2, r21 = r2 − r1 , è il vettore che
r
individua la posizione del corpo 2 rispetto a 1, F21 è la forza agente sul corpo 2 dovuta
al corpo 1. Se sommiamo la (1) e la (2) otteniamo la legge di conservazione della
quantità di moto che sappiamo essere valida per sistemi isolati di particelle; di
conseguenza, il centro di massa si muoverà con velocità costante, nel sistema di
riferimento inerziale scelto.
m2
y
F21
r2
F12
m1
r1
O
x
Moltiplicando la (1) per m2 e la (2) per m1 e sottraendo la (2) dalla (1), si ha:
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16
µ
r
d 2 r12
dt 2
= −G
m1 m 2
r122
r̂12
(3)
m1m 2
la massa ridotta dei due corpi. Tale equazione è quella di una
m1 + m 2
mm
particella di massa µ soggetta alla forza − G 1 2 2 rˆ . Le due equazioni di partenza che
r
contengono i vettori posizione dei due corpi, in funzione del tempo, si sono ridotte ad
una sola equazione che coinvolge un solo corpo di massa µ e il cui vettore posizione ha
origine sull’altro corpo come se questo fosse fermo.
Per risolvere il sistema notiamo che il momento angolare,
r
r r
J = µr × v = µr 2 ωzˆ
(4)
essendo µ =
si conserva, essendo la forza centrale. Ciò implica che il moto dei due corpi avviene in
un piano formato dal vettore posizione e velocità iniziali. In questo piano scegliamo un
sistema di coordinate polari r e φ. Se descriviamo il fenomeno da un sistema di
riferimento non inerziale dovremo tener conto della forza centrifuga che vale µω2r;
nel sistema rotante l’equazione del moto è:
mm
µ&r& = −G 1 2 2 + µω 2 r
(5)
r
J2
2
Dalla (4) ricaviamo ω = 2 4 , per cui la (5) diventa:
µ r
m1 m 2 J 2
&
&
(6)
µr = −G 2 + 3
r
µr
Nella (6) solo r varia col tempo. Questa equazione è di fondamentale importanza nella
meccanica celeste e governa il moto di pianeti, stelle doppie e satelliti. Tenendo conto
che r=r(φ), possiamo scrivere:
dr dr dϕ
dr
J dr
=
=ω
= 2
dt dϕ dt
dϕ µr dϕ
funzione
z=1/r(φ),
dr
d ⎛1⎞
1 dz
=
⎜ ⎟=− 2
dϕ dϕ ⎝ z ⎠
z dϕ
Introducendo
la
dr
J dr
= 2
=
dt µr dϕ
d 2r
J d 2z
=
−
µ dϕ 2
dt 2
⎛ 1 dz ⎞
J dz
z 2 ⎜⎜ − 2
. Possiamo valutare la derivata seconda:
⎟⎟ = −
µ ⎝ z dϕ ⎠
µ dϕ
dϕ
. Sostituendo nella (6) si ottiene:
dt
e
quindi
J
µGm1 m 2
d 2z
+z=
2
dϕ
J2
(7)
Tale equazione è un’equazione armonica con il secondo membro costante, la cui
soluzione è:
1
µGm1m2
z= = Acosφ +
(8)
J2
r
La (8) è l’equazione di una conica in coordinate polari:
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17
r=
s
1 − ε cos ϕ
(9)
(si veda l’appendice A)
1 a µGm 1 m 2
=
e ε = −sA ;
(10)
=
s b2
J2
ε è l’eccentricità della conica ( 0 per la circonferenza, 1 per la parabola, >1 per
l’iperbole e compresa tra 0 ed 1 per l’ellisse).
L’energia meccanica si conserva e può scriversi:
Confrontando si ha:
2
2
Gm1 m 2 J 2 ⎛ 1 ⎞
Gm1 m 2
1 r
J2 ⎛ 1 ⎞
⎜⎜
⎟⎟ −
⎜⎜
⎟⎟ −
E = T + U = µr& 2 + U =
=
(11)
rmin
rmax
2
2µ ⎝ rmin ⎠
2µ ⎝ rmax ⎠
dove si è sfruttato il fatto che la componente radiale della velocità è nulla al perielio e
all’afelio. Dalla (9) si ha:
1
1
1
1
= (1 + ε) (per φ=π (perielio)) ,
= (1 − ε) (per φ=0 (afelio))
rmin s
rmax s
Sostituendo nella (11) otteniamo:
1/ 2
2
⎛
2 EJ 2 ⎞
⎜
⎟
(12)
E=− ⎜
⎟ (1 − ε ) ; ε = ⎜1 +
2
2
2 ⎟
2⎝ J ⎠
G
m
m
µ
1
2 ⎠
⎝
Riassumiamo in tabella la relazione esistente tra energia totale dei due corpi,
eccentricità dell’orbita e la sua forma geometrica:
µ ⎛ Gm1 m 2 ⎞
Forma dell’orbita
Circonferenza
2
Eccentricità ε
0
Ellisse
0<ε<1
Parabola
1
Iperbole
>1
Energia totale E
E=−
E=−
E=−
µ ⎛ Gm1 m 2 ⎞
⎜
2⎝
J
µ ⎛ Gm1 m 2 ⎞
⎜
2⎝
⎟
⎠
2
⎟ (1 − ε 2 ) < 0
J ⎠
E=0
µ ⎛ Gm1 m 2 ⎞
⎜
2⎝
2
⎟ (1 − ε 2 ) > 0
⎠
J
µ ⎛ Gm1 m 2 ⎞
2
Stato
Legato
Legato
Asintoticamente
libero
Non legato
2
Gm1 m 2
= −2.7 ⋅10 33 J
⎜
⎟ =−
2⎝ J ⎠
2R
dove si è assunta per la Terra l’orbita circolare.
Possiamo calcolare l’energia potenziale totale che genera il moto dei due corpi;
∂U (r )
mm
J2
tenendo presente che µ&r& = F = −
= − G 1 2 2 + 3 , si ha:
r
µr
∂r
2
mm
J
U eff (r ) = −G 1 2 +
= U grav (r ) + U rep (r )
r
2µr 2
40
Per la Terra: J = 2.7 10
2
-1
Kg m s , E = −
Il primo termine è quello dovuto all’interazione gravitazionale, il secondo è un termine
repulsivo che deriva dalla rotazione del corpo ovvero dalla conservazione del momento
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18
angolare: più un corpo tende ad avvicinarsi all’altro più il termine repulsivo domina su
quello attrattivo e quindi da una certa distanza in poi i corpi si respingono. Questo vale
rigorosamente per corpi puntiformi. Per corpi sferici estesi dipende dal parametro
d’urto; se questo è inferiore della somma dei due raggi, ci sarà l’urto. A grande
distanza predomina il termine attrattivo e i corpi tendono ad avvicinarsi. In figura è
riportato l’andamento dell’energia potenziale gravitazionale, di quella repulsiva e di
quella efficace.
Tipi di orbite.
Abbiamo già visto che il tipo di orbita dipende dal valore dell’energia totale
posseduta dal corpo; essa è data da
1 r
E = T + U = µr& 2 + U
2
e quindi essa deve essere sempre almeno uguale al potenziale efficace. Nel caso di
uguaglianza, r& = 0 , cioè il corpo si mantiene a distanza costante dal centro di forza
e quindi il moto avviene lungo una circonferenza. Se l’energia cinetica è positiva,
E>Ueff e può essere positiva, nulla o negativa corrispondente ad un’orbita
iperbolica, parabolica o ellittica, rispettivamente. Intanto vediamo che:
lim U eff = 0 − ; lim U eff = +∞
2
r →∞
2
r →0
2
Inoltre, Ueff,min=- (Gm1m2) µ/(2J ) e rmin=J /(Gm1m2µ), quindi tale potenziale ha la
forma di una buca di potenziale. Per ciascuno dei 3 casi sopra citati, si ha,
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19
rispettivamente, un moto ellittico compreso fra un perielio (rmin) ed un afelio ( rmax
); un moto parabolico che s’inverte all’infinito ed un moto iperbolico aperto, senza
ritorno.
Se Ueff=E, possiamo scrivere:
2µEr2 + 2µkr – J2 = 0
essendo k=Gm1m2. Risolvendo l’equazione in r abbiamo che
∆
µk 2
= µ 2 k 2 + 2µEJ 2 ≥ 0 ⇒ E ≥ − 2
4
2J
e
r=
− µk ± ∆ / 4
2µE
µk 2
−n±0
=
−
E
Per
2J 2 , la soluzione è della forma r = − q che è positiva.
r = J2/µk = costante e quindi si tratta di una circonferenza.
Se
µk 2
−n±p
− 2 <E<0⇒r =
2J
−q
con p < n . Ci sono due soluzioni positive:
−n−p
−n+p
>0 ;
> 0 esistono perciò due punti in cui r& = 0 che sono l’afelio e il
−q
−q
perielio (nel sistema solare).
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20
Derivazione della terza legge di Keplero.
Consideriamo un’orbita circolare e una particella di massa µ che si muove sotto
l’azione di un centro di forza. Dalla (6), tenendo conto che r=costante, abbiamo:
m1 m 2 J 2
0 = −G 2 + 3
r
µr
J2
ed essendo ω = 2 4 e ω = 2π / T , si ha:
µ r
2
4π 2
T2
=
r 3 G (m1 + m 2 )
Tale rapporto dipende dalla massa del pianeta anche se essa è molto minore della
massa del sole e quindi può essere trascurata (perciò Keplero non evidenziò alcuna
dipendenza). La precedente relazione può scriversi:
2
2
⎛ m
⎛ m 2 ⎞ ⎞⎟
⎛ m 2 ⎞ ⎞⎟ s 2
T 2 4π 2 ⎛⎜ m 2
−19 ⎜
2
⎟⎟ = 3 ⋅10
⎟
=
+ O⎜⎜
+ O⎜⎜
1−
1−
⎜ m1
m1 ⎟⎠ ⎟ m 3
r 3 Gm1 ⎜⎝ m1
⎝ m1 ⎠ ⎟⎠
⎝
⎝
⎠
La derivazione per l’orbita ellittica è alla fine dell’ultimo paragrafo.
Nella tabella sono riportati i dati astronomici relativi al sistema solare e nel
grafico sono riportati i valori di T2 in funzione di a3; è evidente che i punti si
situano su una retta e quindi la terza legge di Keplero è verificata .
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21
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22
Equazione generale del moto
I risultati precedenti possono essere ricavati anche usando un sistema di riferimento
inerziale.
Ricaviamo le componenti della velocità e dell’accelerazione in un sistema di riferimento
polare.
r
r r
du r dr r
r d r
r
dr r
dr r
=
u r + ω ru t
ur + r
u r + rω × u r =
v = (ru r ) =
dt
dt
dt
dt
dt
r
2
⎞r ⎛
r r ⎞ ⎛ d 2r
r dv d r r dr r r dω r
dr dω ⎞ r
⎛ dr r
r ⎟u t
+
ru t + ω ⎜ u t + rω × u t ⎟ = ⎜⎜ 2 − ω 2 r ⎟⎟u r + ⎜ 2ω
= 2 ur + ω × ur +
a=
dt
dt
dt
dt dt
dt
⎠
⎠ ⎝ dt
⎝
⎝ dt
⎠
Essendo la forza centrale diretta lungo r, essa sarà data da:
d 2r
Fr = m 2 − mω 2 r
dt
Se poniamo u=1/r, l’equazione dell’ellisse si scrive:
a
u = (1 − ε cos ϕ) 2
b
dr dr dϕ dr J 2
J
J2 3
2
=
=
Tenendo presente che ω =
,
si
ha
che
m
ω
r
=
u ; inoltre
u ,
2
m
dt dϕ dt dϕ m
mr
d 2r
J d 2u dϕ
J 2 d 2u 2
dr
d ⎛1⎞
1 du
dr
J du
= −
= − 2
u .
=−
e quindi
e
=
⎜ ⎟=− 2
dt 2
m d ϕ 2 dt
m dϕ 2
dϕ dϕ ⎝ u ⎠
dt
m dϕ
u dϕ
Sostituendo nell’espressione della forza si ha:
J2 2⎛
d 2u
J 2 d 2u 2 J 2 3
u −
u =−
u ⎜⎜ u +
Fr = −
m
m
m dϕ 2
dϕ 2
⎝
⎞
⎟⎟
⎠
d2u
d2 ⎛ a
a
⎞ a
⎞ d ⎛ a
ma
=
⎜ 2 ε sin ϕ ⎟ = 2 ε cos ϕ = 2 − u e quindi:
⎜ 2 (1 − ε cos ϕ)⎟ =
2
2
dϕ
dϕ ⎝ b
b
⎠ b
⎠ dϕ ⎝ b
2
2
K
J 2 a
J a 1
Fr = −
u 2 =−
=− 2
2
2
m
m b r
b
r
2
J a
avendo posto K =
.
mb 2
πab
dA
J
J
La III legge di Keplero si ottiene tenendo presente che:
e quindi
.
=
=
dt 2m
T
2m
4π 2 m 3
J 2a
2
Essendo K =
,
risulta
T
=
a .
K
mb 2
Vediamo quale relazione esiste tra forma dell’orbita ed energia e momento angolare di
un corpo. L’energia totale è, confondendo la massa ridotta con la massa m del corpo
avente massa minore:
1
Mm 1
Mm
E = mv 2 − G
= m(v r2 + vθ2 ) − G
2
2
r
r
2
⎛ dr ⎞
2
2
2
usando un riferimento polare. Essendo v = v r + v ϕ = ⎜ ⎟ + ω 2 r 2 e il momento
⎝ dt ⎠
2
angolare J = mr ω, possiamo scrivere
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23
2
1 ⎛ dr ⎞
1
J2
Mm
E = m⎜ ⎟ + m 2 2 − G
2 ⎝ dt ⎠
2 m r
r
Il termine J2/(2mr2) è il potenziale centrifugo perché corrisponde ad una forza
‘centrifuga’ con verso concorde ad ur. Il potenziale efficace a cui il corpo è soggetto è
quindi
U eff
Abbiamo
visto
che
1 J2
Mm
G
=
−
2 mr 2
r
dr dr dϕ dr J 1
=
=
dt dϕ dt dϕ m r 2
2
e
quindi
2
⎛ dr ⎞ J 2
⎛ dr ⎞
⎜ ⎟ = ⎜⎜ ⎟⎟
2 4 ;
⎝ dt ⎠
⎝ dϕ ⎠ m r
dell’espressione di E otteniamo:
2
⎛
Mm 1 J 2 ⎞ 2 ⎛ dr ⎞
⎟ =⎜ ⎟
⎜E + G
−
2 ⎟
⎜
r
2
mr
⎠ m ⎝ dt ⎠
⎝
Uguagliando si ha:
⎡2 ⎛
Mm ⎞
J 2 ⎤ m 2 r 4 ⎛ dr ⎞
+
E
G
−
= ⎜⎜ ⎟⎟
⎟
⎢ ⎜
2 2 ⎥
2
r
m
m
r
J
⎝
⎠
⎝ dϕ ⎠
⎣
⎦
2
Derivando rispetto a φ l’equazione A3 si ha:
2
⎛ dr ⎞
r4
⎜⎜ ⎟⎟ = 2 sin 2 ϕ
f
⎝ dϕ ⎠
e quindi
⎡2 ⎛
r4
Mm ⎞
J2 ⎤ m2r 4 r 4
2
2
⎟ − 2 2 ⎥ 2 = 2 sin ϕ = 2 (1 − cos ϕ)
⎢ ⎜E + G
r ⎠ m r ⎦ J
f
f
⎣m ⎝
Considerando l’equazione A3 per esprimere il cosφ, si può scrivere:
1−
1 2f 2mf 2
2mf 2 GMm
E
+
=
+
r
J2
J2
ε 2 εr
Questa eguaglianza implica quella tra i termini indipendenti da r e dipendenti da r,
cioè:
1−
1 2mf 2
=
E
ε2
J2
2f 2mf 2 GMm
1 GMm 2 f
=
=
ovvero
r
εr
ε
J2
J2
J2
e quindi f =
εGMm 2
Eliminando f nella precedente espressione si ha:
2EJ 2
ε = 1+ 2 2 3
G M m
2
In questa relazione l’unica quantità che può essere negativa è l’energia totale E; se E è
negativa, risulta ε < 1 e quindi l’orbita è ellittica, se E è positiva, risulta ε > 1 e quindi
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24
l’orbita è iperbolica, se E=0, ε = 1 e l’orbita è parabolica. Inoltre, l’eccentricità dipende
sia dall’energia che dal momento angolare.
2
J
fε
f
=
,
Abbiamo visto che a =
εGMm 2
1− ε 2
per cui
1− ε 2 =
fε
J2
=
a aGMm 2
e
1 2mf 2
E si ha:
sostituendo in 1 − 2 =
ε
J2
E=−
GMm
2a
cioè, l’energia meccanica di un pianeta che si muove su un’orbita ellittica è
inversamente proporzionale al semiasse maggiore dell’ellisse. L’energia, quindi
determina il semiasse maggiore, mentre la forma è determinata dal momento angolare,
fissata l’energia. Dall’espressione di b=a(1-e2)1/2 e dell’eccentricità si ottiene:
1
b=J −
2mE
In definitiva, date le condizioni iniziali di una particella, possiamo determinare la
r
forma dell’orbita. Se nel punto P, la particella ha velocità v1 che forma un angolo φ1
r
con il vettore che individua la posizione di P rispetto al centro di forza, r1 , l’energia
GMm 1
+ mv12
meccanica sarà E = −
2
r1
v1
C
.θ
φ1
r1
1
P
Il momento angolare è dato da: J=mv1r1sinφ1; il semiasse maggiore sarà dato da
1
a= - GMm/2E e quello minore da b = J −
. Infine, l’orientazione degli assi
2mE
dell’ellisse nel piano contenente r1 e v1, potrà ottenersi dall’equazione dell’ellisse
⎛ b2
⎞1
fε
fε
2 1/2
= 1 + ε cos θ1 . Essendo a =
e b=a(1-ε ) si trova facilmente: cos θ1 = ⎜⎜
− 1⎟⎟ .
2
r1
1− ε
⎝ ar1 ⎠ ε
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25
Dalla figura si può notare che la lunghezza dell’asse maggiore dipende da E e quindi
solo dal modulo e non dalla direzione della velocità iniziale v1.
2a
v1
C
.θ
φ1
r1
1
P
v1
2a
Se il pianeta non fosse soggetto all’interazione gravitazionale con altri corpi, esso
descriverebbe un’orbita ellittica perfetta. La presenza di altri corpi e, in particolare,
degli altri pianeti determina i seguenti effetti: 1) l’asse maggiore dell’ellisse ruota
molto lentamente intorno al centro di forza (avanzamento del perielio per i pianeti del
sistema solare) e la traiettoria ellittica non è chiusa; 2) l’eccentricità dell’ellisse varia
periodicamente intorno al suo valore medio. Per la Terra, il periodo di questa
variazione è di 105 anni. La teoria della relatività di Einstein prevede un effetto
addizionale relativo alla rotazione dell’asse maggiore dell’orbita del pianeta. Tale
effetto è stato osservato con notevole precisione per il pianeta Mercurio.
Rotazione dell’asse dell’ellisse
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Oscillazione dell’eccentricità dell’ellisse
26
Appendice.
P
H
r
φ
V1
c
F1
c
F2
V2
b
f
d
a
L’ellisse è il luogo dei punti del piano aventi la somma delle distanze da due punti fissi,
detti fuochi, costante e pari alla lunghezza dell’asse maggiore:
PF1 + PF2 = r + r’ = 2a
(A1)
Sia F1F2 = 2c la distanza focale e b la lunghezza del semiasse minore.
Dalla (A1), r’ = 2a – r e quindi r’2 = 4a2 + r2 – 4ar; d’altro canto, utilizzando il teorema
di Carnot: r’2 = r2 + 4c2 -4rc cosφ e quindi: 4a2 + r2 – 4ar = r2 + 4c2 -4rc cosφ ovvero:
a2 – ar = c2 -rc cosφ ⇒ a2 – c2 = ar -rc cosφ = r(a-c cosφ), ma a2 – c2 = b2 per cui
b2 / a
b2 / a
(A2)
r=
=
c
1 − ε cos ϕ
1 − cos ϕ
a
essendo c/a = ε, l’eccentricità dell’ellisse. La A2 è l’equazione dell’ellisse in coordinate
polari.
Una conica è il luogo dei punti del piano tali che il rapporto PF/PH = ε, costante
positiva. PH è la distanza del punto da una retta d, detta direttrice distante f dal
fuoco F.
P
H
r
φ
F
f
d
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27
L’equazione della conica in coordinate polari si ottiene tenendo conto che
r
PH = f + rcosφ e quindi
=ε
f + r cos ϕ
fε
ovvero:
r=
(A3)
1 − ε cos ϕ
Nell’ellisse PF/PH è minore di 1, vale 1 nella parabola ed è maggiore di 1 nell’iperbole. Il
prodotto fε = p è detto parametro della conica. La circonferenza è un ellisse
degenere in cui r = p = cost.
Confrontando A3 con A2, risulta: b2/a = fε. I vertici della conica si hanno ponendo φ =
fε
fε
2fε
b2
0 e π: r1 =
, r2 =
. Nell’ellisse r1 + r2 = 2a =
e quindi
⇒
a
=
1+ ε
1− ε
1− ε 2
a 1− ε 2
c
b 2 = a 2 1 − ε 2 ; ma a2 – c2 = b2 e quindi si trova ε = come precedentemente assunto.
a
r1
r2
fε
Inoltre si ha anche: a =
=
=
1− ε 2 1− ε 1+ ε
(
(
)
)
Prof. V. Augelli –Gravitazione - Complementi di Fisica 1 – CdL Spec. in Matematica
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