Aggiornamento sui recenti eventi di Mercato 19 gennaio 2016 Il nuovo anno si è aperto con un forte calo dei mercati azionari, la svalutazione dello yuan e un'altra chiusura del mercato cinese, così com'era accaduto ad agosto. Sono riemersi gli stessi timori: un crollo della crescita USA e mondiale, un «crash landing» dell'economia cinese, un inasprimento monetario inadeguato da parte della Fed, una situazione geopolitica complessa… e la lista continua! All'avvio del nuovo anno, vale la pena di ricordare i principali trend in corso. Il 2015 è stato un anno contrassegnato da crisi economiche e dal «decoupling» ancora più marcato in materia di politica monetaria tra Paesi emergenti e Paesi sviluppati, e tra Stati Uniti ed Eurozona (in tema di politica monetaria). Il 2015 è stato anche un anno di maggiore volatilità, di violente oscillazioni dei tassi di cambio, dell'ulteriore crollo dei prezzi delle commodity e di un trend rialzista degli spread del credito. Di certo i tassi sono rimasti bassi, come anche gli spread dei Paesi periferici dell’Eurozona, ma la situazione delle obbligazioni societarie, penalizzata dall'ampliamento degli spread e dalla minore liquidità, è più complicata. Nel complesso, tutti i principali fattori di rischio individuati si sono concretizzati in diversa misura nel 2015, rendendolo indubbiamente un anno cruciale: una crisi europea, una crisi dei mercati emergenti, timori riguardo la crescita mondiale, timori per un «hard landing» della Cina, il ritorno della volatilità, rischi specifici (Russia, Brasile ecc.), un ulteriore calo dei prezzi delle commodity, bruschi riallineamenti dei tassi di cambio e timori di una guerra valutaria, rischi geopolitici. 1 In particolare, dall'inizio del 2016, due di questi temi (i prezzi delle materie prime e la Cina) sono tornati alla ribalta. Nella presente nota spieghiamo perché a grandi linee le nostre view non sono sostanzialmente cambiate nel corso delle ultime settimane. Caduta del prezzo del petrolio: di cosa è segno? Il prezzo del petrolio è sceso quasi del 75% dalla metà del 2014. È il più grande controshock petrolifero mai visto. Il recente calo, da 50 $ (fine ottobre) a 28 $ il 18 gennaio, è quasi interamente guidato dall’offerta. Infatti, vi è attualmente un eccesso di offerta che gonfierà ulteriormente a causa di (1) la nuova strategia OPEC (ad inizio dicembre i paesi aderenti all’OPEC hanno deciso di fare tutto il necessario per mantenere la loro quota di mercato) e (2) l'imminente ritorno dell'Iran sul mercato. In questo modo, i maggiori esportatori dell’OPEC intendono forzare i nuovi arrivati, come gli Stati Uniti, a tagliare la loro produzione. Anche se questa "strategia di guerra dei prezzi" sta fondamentalmente funzionando, dobbiamo tenere a mente che ci vorrà tempo per drenare l'eccesso di petrolio. Ecco perché i prezzi del petrolio rimarranno sotto pressione. Nel corso del 2016 comunque i fornitori non convenzionali di petrolio sono attesi ad un taglio della loro produzione. Conseguentemente, ci aspettiamo che i prezzi del petrolio rimbalzino e si stabilizzino sopra i 40 $ ma probabilmente non prima della fine del 2016. Non vediamo il calo dei prezzi del petrolio come una minaccia per l'economia globale. Più probabilmente, i prezzi più bassi dovrebbero stabilizzarsi o anche stimolare la domanda interna dei paesi importatori. Detto questo, la pressione sugli esportatori di petrolio (Stati sovrani) e sulle compagnie petrolifere (mondiali) è notevolmente aumentata. Inoltre, dato che il dollaro USA e i prezzi del petrolio sono negativamente correlati, tutte le società dei paesi emergenti che sono fortemente indebitate in USD sono stati ulteriormente indebolite nel corso degli ultimi due mesi. In questo contesto, gli operatori di mercato sono sempre più preoccupati per una potenziale "ondata di eventi di credito" (corporate o persino stati sovrani) che potrebbe far deragliare la crescita mondiale. Pur riconoscendo che quest’anno aumenteranno i default societari (nel settore energetico USA così come nei paesi emergenti), ci atteniamo alla view che non è in vista una recessione globale. Nonostante la decelerazione, il tasso di crescita del PIL globale è rimasto sopra il 3% per tutto il 2015 per il quarto anno consecutivo. Anche se in alcune regioni (USA, Cina) i segni di esitazione nel quarto trimestre sono riemersi, la crescita globale nel 2016-2017 dovrebbe rimanere vicina al 3%. Le previsioni sulla crescita mondiale sono probabilmente ancora troppo alte in questa fase, ma i timori di recessione sono certamente esagerati. Il “decoupling” tra economie sviluppate ed emergenti che abbiamo visto lo scorso anno è destinato a continuare anche quest'anno. La Cina sta attualmente rallentando ma la tendenza è quella dello sviluppo In Cina, il rallentamento in atto non è una novità e, sotto molti aspetti, era inevitabile: è in primo luogo legato alle caratteristiche demografiche del paese e al cambiamento di un modello economico in cui i servizi hanno sostituito l’industria. L’economia è semplicemente nel mezzo di una crisi di eccesso di produzione e così continuerà a rallentare nei prossimi anni. Di fatto è la crescita potenziale che sta rallentando in Cina (invecchiamento della popolazione, minori 2 incrementi di produttività) e nella maggior parte dei mercati emergenti. Comunque, la buona notizia è che un ribilanciamento è già in atto, con uno spostamento di attività dal settore manifatturiero a quello dei servizi insieme con uno spostamento dagli investimenti ai consumi. Attualmente, il PIL reale nel settore dei servizi ha avuto una qualche accelerazione lo scorso anno (dal +7,8% del IV trimestre 2014 al +8,3% del IV trimestre 2015) mentre stava rallentando rapidamente quello del settore manifatturiero (dal +7,3% del IV trimestre 2014 al +6,0% del IV trimestre 2015). Grazie a questo sfasamento tra il settore dei servizi e il settore manifatturiero, il PIL complessivo dovrebbe assestarsi intorno al 6% sia nel 2016 che nel 2017. Notiamo che i sevizi sono già diventati un contributore significativo all’occupazione e crediamo che lo sviluppo dei servizi, che è stato dimostrato essere fortemente collegato al reddito pro-capite in molte economie avanzate, sia attualmente sottostimato dal mercato. Alla luce dell’esperienza con le principali economie avanzate, ci attendiamo che la crescita Cinese diventi sempre più guidata dai servizi. Nel 2016 il ribilanciamento che è in atto dovrebbe agire come un cuscinetto di protezione contro una più violenta contrazione nel settore manifatturiero. In aggiunta, in caso di emergenza la PBOC e il governo cinese si muoverebbero per “stemperare” il ciclo. La Cina ha ampi spazi di manovra. Quando sono stati posti in essere i vari programmi di QE a livello globale, la PBoC, si è sempre mossa in ritardo se confrontata con le altre banche centrale e, anche in questi ultimi mesi, si è difficilmente mossa. In particolare riteniamo che qualsiasi evento che potrebbe mettere in discussione il ribilanciamento dell’economia comporterebbe interventi importanti di carattere fiscale e monetario. Ci aspettiamo che sia la PBOC che il governo faranno qualsiasi cosa necessaria per rendere agevole il processo di transizione. La questione dello yuan (che è stato incluso nel basket internazionale di rilevamento del IMF a ottobre 2016) è diventato un punto di domanda durante la scorsa estate e ancora all’inizio dell’anno. Il rapido apprezzamento dello yuan partito dalla crisi finanziaria del 2008, sulla scia del rafforzamento del dollaro e della svalutazione di diverse valute emergenti, è diventato gravoso per la Cina. Ma non ci dobbiamo aspettare una rapida e massiva svalutazione: la Cina vuole promuovere lo yuan come valuta internazionale mentre l’economia non è così dipendente dalla valuta come nel 1994, quando la Cina svalutò la propria valuta di 1/3. Le autorità sono intervenute recentemente al fine di stabilizzare il tasso di cambio (ponderato i volumi di commercio estero) e, molto probabilmente, continueranno a farlo. E’ probabile che il governo voglia che lo yuan diventi “un’ancora” regionale. Dato che una guerra delle valute non sarebbe in linea con questo obiettivo ci aspettiamo una svalutazione graduale verso USD entro la fine dell’anno. Tuttavia le autorità cinesi potrebbero stabilire nuove regole sul controllo dei capitali per arrivare a questo obiettivo. Relativamente all’economia globale possiamo dire che: mentre il rallentamento economico mette in discussione la crescita USA, non ci sono segnali che la recessione si possa estendere al di fuori del settore manifatturiero . Da un lato, le esportazioni nette peseranno sul PIL nel 2016. Dall’altro lato i servizi, che rappresentano un punto strategico per l’economia USA, dovrebbero continuare a beneficiare dalla resilienza dei consumi. Detto questo il ciclo economico è molto più avanzato rispetto all’Europa. Con il rapido apprezzamento dell’USD il ciclo dei profitti delle aziende è probabilmente arrivato ad una picco. Nel migliore dei casi, dopo un periodo di transizione (il PIL è fortemente peggiorato nel Q4 2015) la crescita dovrebbe convergere 3 verso il suo potenziale (stimata attorno al 2% a causa principalmente della debolezza delle produttività). Su questo scenario di base la FED potrebbe adotterà un approccio “di attesa” prima di aumentare nuovamente i tassi. Il rallentamento economico è stato particolarmente violento per tutti i paesi emergenti. L’eccessiva dipendenza dal commercio mondiale e dalle materie prime (il cui prezzo è in discesa da diversi anni) spesso non è controbilanciato sufficientemente dalla forza della domanda domestica e molte grandi economie (ad esempio Russia e Brasile) si trovano in forte recessione. Solo i paesi che sono consumatori netti di materie prime sono avvantaggiati dal calo delle commodities, ma non sono stati in grado di evitare le turbolenze finanziarie che hanno colpito tutti i mercati emergenti. Il caso dell’Area Euro è qualcosa di particolare: dopo parecchi anni difficili, l’area sta beneficiando di uno scenario di tassi di interesse bassi (sia a breve termine che a lungo termine), dal processo in atto di deframmentazione finanziaria, di politiche fiscali e monetarie più accomodanti, di un Euro più debole e, per alcuni paesi, di una buona ripresa dei motori della crescita interna. La crescita chiaramente non è spettacolare, ma dovrebbe rimanere sopra il potenziale nel 2016 e 2017. Un'altra particolarità è rappresentata dal calo del commercio mondiale, causato soprattutto dall'andamento delle economie emergenti. In base a tutte le indicazioni, la globalizzazione sta perdendo terreno, uno sviluppo relativamente nuovo. I motori della crescita interna saranno decisivi, è ciò significa che il rischio Paese sarà ancora una volta un fattore cruciale. Nel 2015, anche i rischi politici e geopolitici sono ritornati in primo piano. Elezioni con esiti incerti (Grecia, Portogallo e, in particolare, Spagna), situazioni politiche complesse (Brasile e Turchia) e attacchi terroristici hanno ancora una volta rivelato la fragilità del contesto attuale, i cui effetti non sono stati ancora compresi appieno. Le tensioni tra l'Iran e l'Arabia Saudita sono riemerse dalla fine del 2015- Da tempo siamo consapevoli delle tensioni politiche, diplomatiche e religiose tra questi due Paesi, ma la crisi ha preso una nuova piega. In questo contesto le politiche monetarie rimangono complessivamente accomodanti, cosa che mantiene bassi i tassi d’interesse. La FED è stata una delle poche banche centrali ad alzare i tassi nel 2015. L’istituto americano voleva lanciare un messaggio positivo sulla crescita e, per riguadagnare qualche margine di azione, è stato forzato ad attendere il mese di dicembre prima di implementare quanto aveva annunciato. Nel frattempo, attraverso le sue azioni sui tassi d’interesse, la BCE a chiaramente ricreato le condizioni adatte per dare alle società miglior accesso ai finanziamenti; comunque ha anche contribuito a drenare liquidità sul mercato dei corporate bond. Continuerà il suo programma di acquisti almeno fino a marzo 2017. Per farla semplice, a seguito delle azioni delle banche centrali e in particolare di quelle della BCE l’area Euro continuerà a muoversi in uno scenario di tassi d’interesse estremamente bassi. 4 I cinque punti da ricordare: A seguito della caduta dei prezzi del petrolio ed in assenza di una inflazione salariale nelle maggiori economie, un ritorno veloce ai target di inflazione delle Banche centrali nel 2016 è fuori portata nelle maggiori economie sviluppate. Conseguentemente, le politiche monetarie rimarranno molto accomodanti. La Fed aspetterà e valuterà prima di rialzare ancora i tassi, il primo rialzo della BoE non è un obiettivo imminente e, ultimo ma non meno importante, sia la BCE che la BoJ probabilmente faranno di più nei prossimi mesi. La politica monetaria non può fare tutto da sola e in caso peggiorassero le cose la politica fiscale verrebbe ulteriormente mobilizzata (in Cina, negli USA, in Giappone e in alcuni paesi europei). Il «decoupling» e la divergenza creano opportunità in termini di valutazioni relative e di attrattività relativa. Tra gli effetti del «decoupling» ci sono un dollaro più forte e spread più ampi dei tassi d'interesse (a breve e lungo termine) tra Stati Uniti ed Europa. L'effetto della divergenza è il ritorno in primo piano del rischio, rischio-Paese e rischio specifico, di cui uno degli esempi più eclatanti nel 2015 è quello del settore energetico nel segmento high-yield USA rispetto al suo omologo europeo. I periodi di tensione creano regioni e classi di asset trascurate. Tra gli asset trascurati o sottovalutati troviamo oggi gli asset dei Paesi emergenti e gli asset indicizzati all'inflazione: i primi sono molto più interessanti a breve termine rispetto ai secondi per via della totale assenza d'inflazione. Tutta la nostra strategia è improntata alla prudenza. Le revisioni al ribasso sulla crescita non sono finite, e l'attuale situazione politica è probabilmente la più delicata degli ultimi anni. Il calo della liquidità sul mercato obbligazionario continua a preoccupare. Ѐ oltre un anno che insistiamo su questo tema. La scarsa liquidità, aggravata dalle politiche non convenzionali delle banche centrali, dalle restrizioni normative, dall'allineamento delle posizioni dei principali investitori ( tutti con posizioni lunghe sulle obbligazioni e sugli spread), nonché il calo del numero di soggetti che erogano liquidità sta aumentando il rischio sul mercato obbligazionario in un contesto già caratterizzato da una crescente volatilità. 5