Economia globale verso una crescita più equilibrata

Economia globale verso una crescita piu’ equilibrata
Pur se ancora tra molte incertezze e aree grigie, l’economia globale sembra aver imboccato un
percorso di crescita economicamente (e forse anche finanziariamente) sostenibile ed esente da rischi
di implosione. Nel periodo di apice della crisi, i paesi emergenti piu’ significativi (BRICS ma non
solo) hanno mostrato una forza endogena inattesa, pur se nell’ambito di un rallentamento della loro
stessa progressione verso livelli di reddito consoni a societa’ moderne.
Se dopo la crisi sub-prime del 2008, l’area OCSE ha vissuto fino al 2013 tra periodi di recessione e
di pallide riprese, i paesi al di fuori di essa (includendo anche tutta l’area non emergente) hanno
continuato a segnare tassi di sviluppo invidiabili, da una media di oltre il 3% annuo per l’America
Latina a circa il 6% per l’area asiatica, passando per il 4-5% dei paesi del medio-oriente e del nordAfrica.
Bernanke svelo’ un cambiamento di rotta. L’annuncio dato da Bernanke a fine maggio 2013
dell’imminente, pur se progressiva, fine del QE2 (l’acquisto di bond e mortgage-backed securities)
fece prendere coscienza al mondo intero che gli USA stavano ormai uscendo dalla piu’ grave crisi
che il mondo aveva conosciuto dagli anni trenta in poi. Una pragmatica combinazione di politiche
fiscali, industriali e monetarie aveva consentito agli Stati Uniti di recuperare competitivita’, ridurre
il tasso di disoccupazione e riprendere il suo ruolo di traino dell’economia mondiale.
L’effetto piu’ eclatante sui mercati dell’annuncio di Bernanke fu la “flight to quality” che ne segui’
nei mesi estivi. Gli investitori ovviamente ritennero che con la fine della politica monetaria
espansiva della Fed, sarebbe stato inevitabile vedere i tassi di interesse salire rapidamente, con il
rischio di mettere in dubbio le prospettive di crescita dei paesi emergenti. Il deflusso di capitali fu
massiccio e fini’ per sottolineare ulteriormente la fine del periodo storico caratterizzato dall’effetto
traino dei paesi emergenti sull’economia globale.
Il modello economico cinese al giro di boa. Nel giro di pochi mesi, anche il passaggio di consegne
da Hu Jintao a Xi Jinping in Cina decreto’ ufficialmente un’accelerazione nel cambiamento di rotta
nella politica economica cinese (per quanto nella consueta continuita’ tipica della cultura cinese). Il
Terzo Plenum del Comitato Centrale constato’ definitivamente la non sostenibilita’ di un modello di
sviluppo fortemente basato sugli investimenti e sulla domanda estera e a scapito dei consumi
privati. L’enfasi posta nei venti anni precedenti sulla necessita’ di sviluppare infrastrutture e
impianti produttivi aveva determinato un chiaro squilibrio nella composizione del Pil del paese, con
la quota di Pil destinata negli ultimi anni agli investimenti regolarmente superiore al 40% e ormai
vicina al 45%. Il ribilanciamento della domanda interna a favore dei consumi era quindi inevitabile,
ma altrettanto inevitabile sarebbe stata la riduzione del ritmo di crescita del paese nella fase di
transizione da un’economia investment-based a una consumer-oriented – se e’ facile ridurre il ritmo
degli investimenti, di certo non lo e’ altrettanto far decollare i consumi. Peraltro, la decisione di
ridurre gli investimenti avrebbe esposto il sistema bancario a rischi di insolvenza della clientela.
L’impatto sull’economia globale del rallentamento degli investimenti in Cina e’ stato duplice. Da
un lato ha diminuito le potenzialita’ dell’export di molti paesi, sia avanzati che emergenti, dall’altro
ha ridotto la pressione sui prezzi del petrolio e delle commodity, prodotte soprattutto nei paesi
emergenti e loro fondamentale fonte di reddito. Il combinato disposto di deflussi finanziari, minori
opportunita’ di export ed entrate fiscali in diminuzione ha ridotto i tassi di crescita della parte del
pianeta meno agiata (emersa, emergente o aspirante emergente). Brasile e Russia vedono oggi i loro
tassi di sviluppo correnti e attesi per il 2014 avvicinarsi pericolosamente a livelli che implicheranno
una riduzione del reddito pro-capite, con l’aggravante di una inflazione difficile da controllare.
L’India e’ a sua volta alle prese con alta inflazione (oltre 8%) e conseguenti alti tassi d’interesse,
indebitamento delle imprese e FDI in diminuzione. Per la maggior parte dei paesi emergenti
occorrera’ attendere almeno la seconda parte del 2015 per tornare ai livelli di crescita ante-2013.
Notizie positive dai paesi avanzati. Il rischio di avvitamento negativo della ripresa economica e’
quindi presente nella situazione venutasi a creare negli ultimi trimestri. Ma una serie di notizie
positive convergono per il riequilibrio della crescita mondiale. I fattori principali, anche se non
unici, riguardano i paesi avanzati dove la crisi era esplosa nel 2008:
1. il processo di deleveraging delle finanze pubbliche e del settore privato avviato alcuni fa sta
riportando la problematica del debito entro limiti ragionevoli e in molti casi gestibili senza
ulteriori allarmi – si pensi ai paesi periferici europei, al deficit pubblico USA,
all’indebitamento delle imprese non finanziarie e delle famiglie
2. negli USA la ripresa appare ormai avviata nonostante il primo trimestre 2014 sia stato
negativo a causa delle avverse condizioni atmosferiche – Oxford Economics prevede una
crescita di circa il 2.5% per il 2014 e del 3.3% nel 2015
3. l’eurozona e’ uscita dai doldrums della recessione degli ultimi due anni, nonostante le
problematiche dei paesi periferici e di alcuni grandi (come Francia e Olanda)
4. la “Abenomics” ha riportato le aspettative di inflazione in Giappone su livelli piu’
compatibili con prospettive di crescita a lungo termine, anche se saranno necessarie riforme
strutturali che per ora stentano a trovare il necessario consenso
5. l’output del settore manifatturiero e’ in miglioramento da alcuni trimestri in pressoche’ tutti
i paesi dell’area OCSE mentre gli indici di utilizzazione della capacita’ produttiva
manifatturiera si stanno avvicinando alle loro medie storiche
Questo passaggio di consegne da paesi emergenti a paesi avanzati relativamente alla crescita attesa
e’ testimoniato anche da quelli che sono oggi considerati i maggiori rischi per l’economia globale.
Bastera’ citare quelli che Oxford Economics ha analizzato nel suo ultimo “Global Scenario report”:
l’acuirsi della crisi russo-ucraina, un ulteriore significativo deflusso di capitali dai mercati
emergenti, una crisi bancaria in Cina. Per i paesi avanzati invece, un solo rischio negativo
(deflazione nell’eurozona) peraltro compensato da un rischio positivo proveniente dagli USA: la
possibilita’ che da oltreoceano ci sorprendano con investimenti maggiori di quanto atteso e una
corrispondente ripresa piu’ alta del previsto.
Emilio Rossi
Senior Advisor, Oxford Economics
Presidente, EconPartners