Il razzismo prima di Gobineau: V. Courtet e le

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“La mia filosofia apporta il pensiero vittorioso che finisce per mandare in rovina ogni altro modo di
pensare: è questo il grande pensiero educatore: le razze che non lo sopportano sono condannate;
quelle che lo considerano come un grandissimo beneficio sono scelte per dominare. ”F. Nietzsche
“Trasmutazione di tutti i Valori”af.1053.
E’ usuale anche tra le persone di una certa cultura considerare il Conte di Gobineau “il padre del
razzismo” inteso in senso “moderno” (1) con il suo famoso Essai sur l’inégalité des races
humaines (“Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane”, pubblicato per la prima volta nel
1853-54) In realtà il Conte ebbe dei predecessori oggi dimenticati. In un precedente articolo
dedicato a Daniel Ramée, si è accennato ad Anne Gabriel Henri Bernard, marchese di Boulainvilliers
difensore dell’aristocrazia francese cui attribuiva origini franco-germaniche.
Riguardo a questo autore traduco dal francese di Metapedia “Il marchese Anne de Boulainvilliers
(1658-1722) viene considerato il primo autore che abbia teorizzato le differenze tra le razze umane.
Fu un ardente difensore del sistema feudale, il solo, ai suoi occhi, giusto, legittimo e conforme alle
realtà della storia. Fu il principale rappresentate della corrente ideologica della reazione feudale nel
XVIII secolo che vedeva le istituzioni medioevali sotto la forma di una repubblica federativa e
aristocratica, piuttosto che un sistema monarchico.- Secondo le sue tesi, la nobiltà francese
discendeva dai conquistatori franchi stabilitisi in Francia alla caduta dell’Impero Romano mentre il
Terzo stato era composto dai Galli. I nobili franchi erano in quanto tali, indipendenti e liberi di
render giustizia ai loro soggetti senza interferenze da parte del re, semplice magistrato civile scelto
per fare da arbitro nelle dispute. Tutti i membri della nobiltà erano dunque, come tali, su di un piede
di eguaglianza con il Re, semplice “primus inter pares”.
Il Boulainvilliers considerava la monarchia francese responsabile del progressivo declino dei
privilegi della nobiltà. Faceva risalire l’inizio di tale declino alle crociate a causa delle quali molti
nobili avevano ipotecato o venduto i loro diritti (honoraires) a dei plebei di condizione agiata,
introducendo costoro, che egli definiva “ignobili” nella nobiltà l’avevano corrotta.
In seguito l’ignoranza e la negligenza dei nobili che avrebbero dovuto amministrare la giustizia li
costrinsero a spogliarsi di codeste funzioni giudiziarie, di cui erano i legittimi depositari a favore del
clero e dei giuristi. La dignità intrinseca a tal ruolo rese ben presto queste due categorie altrettanto
importanti di quelli nel cui nome amministravano la giustizia. Il Boulanvilliers considerava la nuova
“nobiltà di toga” (de robe) nata in codeste circostanze come una “mostruosità”.
Vi era poi stata la politica della monarchia capetingia che egli considerava come l’affossatrice del
feudalesimo. I Capetingi indebolirono dapprima il potere della nobiltà francese abbagliata dallo
splendore della corte aggiungendo grandi feudi ai domini regi Come risultato, i re assunsero
un’importanza senza precedenti e ben presto del tutto sproporzionata. I signori divennero allora i
servitori di coloro di cui erano stati dei pari. L’ammissione ai ranghi della nobiltà di burocrati di
origine plebea poi l’ammissione del Terzo Stato agli Stati Generali, avrebbero, secondo lui, portato a
termine il rovesciamento della nobiltà.
Questa reazione contro l’alleanza tra un monarca assoluto e il Terzo Stato pone il Boulainvilliers su
posizioni “antinazionali” quando, appunto, l’idea di nazione, fondata sulla generale uguaglianza di
diritti, era considerata rivoluzionaria.
Attribuendo una specificità razziale all’aristocrazia, il Boulanvilliers sarebbe stato il primo a
elaborare una teoria delle classi sociali. Benché, per lui, il carattere radicalmente inegualitario su
cui si fonda la superiorità dell’aristocrazia si basi sul “diritto di conquista e sul costante bisogno dei
più di sottomettersi sempre ai più forti” e benché egli parli sempre non di razze, ma di individui, di
“diritto del più forte” e non si fondi su caratteristiche biologiche di gruppo, la distinzione razziale
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presente nelle sue concezioni ha, tuttavia, aperto la strada a un pensiero razzialista. Le sue opere
furono pubblicate in Olanda dopo la sua morte e furono proibite in Francia.
Alla vigilia della rivoluzione francese l’influenza delle idee del Boulanvilliers sull’aristocrazia
francese era notevole. Dubuat Nançay nella sua opera”Origines de l’Ancien Gouvernement de
France, de l’Allemagne et d’ltalie” pubblicato nel 1789, riprendeva le sue tesi antinazionali per
invocare la creazione di una sorta di internazionale delle aristocrazie di origine “barbara”(cioè
germanica).
Gli emigrati(dalla Francia rivoluzionaria NdC) contribuirono a diffondere in Europa tali idee,
specialmente negli stati tedeschi, poiché si supponeva che le origini della nobiltà francese fossero le
stesse di quella germanica.
D’altra parte si ritrova “in negativo” tale tesi nel pamphlet “Qu’est-ce que le Tiers Etat?” in cui il
Sieyés invitava il Terzo Stato a “rimandare nelle foreste della Franconia tutte le famiglie che
mantengono la folle pretesa di essere nate dalla razza dei conquistatori e di aver ereditato da loro il
diritto di conquista”.
E’ al Conte di Montloser che si deve l’aver volto le idee del Boulanvilliers verso il razzismo vero e
proprio, quando, dopo Valmy, i nobili non poterono più fondare la loro superiorità sul diritto di
conquista, né su quello del più forte e neppure sulla fortuna delle armi, egli avanzò l’idea di una
razza germanica superiore al “nuovo popolo di schiavi” (frutto di una mescolanza) di tutte le razze e
di tutte le epoche. Tale identificazione delle classi dominanti a delle razze superiori la si ritrova poi
in certi storici francesi del XIX secolo come Augustin Thierry che distingue “nobiltà germanica” e
“borghesia celta”, o Charles de Rémusat, che postulò l’origine germanica di tutta l’aristocrazia
europea. Nel 1871, lo stesso Bismarck per spiegare la sconfitta francese nella guerra contro la
Prussia, rimarcò “La rivoluzione del 1789 fu il rovesciamento dell’elemento germanico da parte di
quello celta, e che cosa abbiamo visto succedere in seguito?” (2)
Qui si vuole trattare soprattutto di un altro autore anche lui francese Victor Courtet de L’Isle
(1813-1867.) per questo studio si utilizza la ristampa anastatica di 2 delle sue opere “La Science
politique fondée sur la science de l’homme…(1838) e il “Tableau Ethnographique du Genre Humain”
Thunot, Paris, (1849) nonché il saggio che gli ha dedicato J.Boissel “Victor Courtet Premier
theoricien de la hierarchie des races” (il Boissel è anche autore di studi sul De Gobineau e,
giustamente, qui rileva come il famoso conte sia da collegarsi a tutto un fermentare di idee presenti
nelle alte classi della società francese ed europea).(3)
Al Courtet gli dedicò alcune righe Julius Evola nella seconda edizione “accresciuta e riveduta” del
1945 de “Il Mito del Sangue” da cui prendiamo le seguenti considerazioni che ci permettono di
“inquadrare“ questo anticipatore di molte delle tesi poi illustrate dal De Gobineau.
A pag.20 del testo evoliano si legge “Qui citeremo ancora la divisione del Klemm in “razze attive” e
“razze passive” e quella in “razza femina” e “razza maschia” di Gustavo D’Eichtal. I motivi principali
di questa suddivisione sono ripresi nel 1849 da Victor Courtet de l’Isle, non senza precise intenzioni
polemiche: ferveva allora, in Francia, la polemica circa l’abolizione, o meno, della schiavitù e, nel
riguardo, gli abolizionisti si rifacevano naturalmente alla tesi umanitaria e alla concezione
democratica dell’eguaglianza assoluta di tutte le razze umane. Courtet de l’Isle, per contro, si dette
a sostenere l’esistenza di “razze naturalmente preponderanti” e di “razze naturalmente debili” nei
termini di una vera e propria antitesi, da ciò traendo tutte le logiche conseguenze in fatto di politica
razziale e coloniale. Egli svolse così una teoria, ancor oggi non priva di interesse, basata sulla
differenza fra le “razze conquistatrici” e quelle “nate per servire”, fra “razze nobili” e “antiche razze
di schiavi”, fra “razze adulte” e “razze infantili” facendo inoltre intervenire la distinzione di “razze
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maschie” e “razze femina“ del tedesco d’Eichtal e affermando su tali basi la necessità di ben diversi
rapporti di dignità e di supremazia fra le varie parti del genere umano”. (4)
Nello stesso libro l’Evola ritornava sul Courtet, con un vistoso errore di datazione, a pag.61
“Notiamo che anche fuor dalla Germania si ebbero tendenze analoghe all’antropologia politica del
Woltmann. Citiamo p.es. V.Courtet de l’Isle, che con molto più senso di equilibrio cercò di trarre, in
opere scritte verso il 1883, dalla scienza delle razze umane la base per una nuova scienza politica.”
Victor Alexandre Courtet “uomo di pensiero e d’azione” come lo definisce il Boissel nacque il
21Luglio1837 a L’Isle sur la Sorgue, figlio di una ricca famiglia di mercanti di tessuti, si diede a
studi letterari (tra l’altro scrisse sul Petrarca che
aveva, ai suoi tempi, soggiornato nella zona, dove avrebbe incontrato la famosa Laura) e al
giornalismo. Imbevuto di idealità liberali aderì al “san simonismo” (per poi prenderne le distanze),
tale corrente, come è noto, auspicava una società in cui l’uomo potesse trovare il suo giusto posto in
base alle sue capacità innate e acquisite il che contribuì a spinger il Nostro allo studio dell’uomo.
Nell’ambito delle sue ricerche il Courtet si imbatté in un fenomeno che iniziava a essere conosciuto e
discusso in Europa: il sistema indiano delle caste, ben presto il nostro arrivò alla conclusione che tali
caste non erano che razze diverse dotate di bisogni e diritti diversi. Fondamentalmente il Courtet si
convinse che l’uomo andasse studiato anche per mezzo delle scienze naturali e allora la prima cosa a
saltare agli occhi era che l’umanità è divisa in varie razze, sorgeva allora la domanda: se gli uomini
sono ineguali tra loro in base alle capacità di ciascuno, lo sono allora anche le diverse razze? E se
una società ben ordinata deve assicurare a ogni uomo il suo posto secondo la sua capacità, ciò vale
anche per le varie razze umane? Forse la “stabilità” di una società dipende anche dalla stabilità degli
elementi etnici che la compongono? Il Courtet rispondeva affermativamente: una società stabile
deve essere fondata sulle leggi della natura e la legge più importante è quella dell’ineguaglianza
degli esseri viventi, degli uomini e delle razze. Scrisse così vari opuscoli sull’argomento e poi la sua
opera principale “La Science Politique fondée sur la Science de l’Homme ou Etude des races
humaines sous le rapport philosophique, historique et social”.
Oltre che alle questioni sociali e antropologiche il Courtet si occupò di costruzione di canali, di
irrigazione, di mulini e delle sue proprietà. Negli ultimi anni ritornò alla fede Cattolica che aveva
abbandonato in gioventù; Victor Courtet morì il 4 settembre 1867 nel suo castello a Lamotte-Faucon.
L’opera maggiore del Courtet è dunque “La Science Politique fondée sur la Science de l’Homme ou
Etude des Races Humaines sous le rapport philosophique, historique et social” del 1838. Molti passi
di questo libro andrebbero senz’altro accostati a quelli molto simili che si trovano nel “Saggio” del
De Gobineau, peraltro, per quel che mi consta questi non cita mai il Courtet.
Iniziamo dalla fine: il libro del Courtet si conclude con la seguente massima riassuntiva (pag.397) “Il
primo elemento di ogni società è l’uomo, secondo la sua naturale diversità dagli altri uomini, è la
prima causa di tutte le differenze nelle forme sociali”.
Per elaborare una scienza politica valida, scrive l’Autore, bisogna fondarla sulla conoscenza
dell’uomo e della natura dell’uomo di cui fa parte l’appartenere a una determinata razza. L’uomo va
inserito nell’ambito della “natura” nella quale, per il Courtet vi è un graduale passaggio a stadi
sempre “superiori”, così non si possono negare le somiglianze tra certe scimmie e gli uomini, e per il
Courtet, e non certo solo per lui anche a quei tempi, i negri sarebbero i più simili ai “bruti”. Si
sbaglierebbe ad aspettarsi dal Courtet molto di quello che costituisce la scienza antropologica
moderna, pur dimostrando il Nostro una vasta conoscenza dei principali autori dei suoi tempi. Per
lui(pag. 32) la “razza è la riunione di tutti gli individui appartenenti al medesimo lignaggio, che
d’altra parte, non è che la derivazione di una specie”. Egli non cessa di rimarcare che le divisioni
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razziali del mondo a lui contemporaneo sono state presenti in tutta la storia conosciuta. Senza subire
modificazioni dovute agli ambienti in cui si sono trovate a vivere. Infatti “E’ interessante trovare,
proprio sul principio della storia umana a noi nota, che l’umanità era già divisa in razze…”G.Wells
“Breve Storia del Mondo”(Laterza Bari, 1930, pag.47.)
Tale persistenza dimostrerebbe che l’ambiente può modificare di ben poco gli esseri umani, dunque
la distinzione tra le razze è antica quanto l’umanità. Ma le razze non stanno immobili in determinate
zone, migrano, conquistano altri territori e sottomettono altre genti, viene in contatto in moltissimi
modi l’una con l’altra. Rimanendo fisso il “tipo” delle varie razze, lo si può dunque ritrovare dove
esse sono sovrapposte o anche mescolate; naturalmente il Courtet non conosceva le successive
scoperte dell’Abate Mendel e le sue idee sugli effetti degli incroci rimangono assai vaghe.
Il nostro inizia a riportare testimonianza di viaggiatori che hanno potuto notare nelle più svariate
parti del mondo, la presenza negli stessi agglomerati umani, di individui il cui colore della cui pelle
poteva essere alquanto diverso. “I viaggiatori hanno così constatato che la gerarchia sociale
corrisponde, anche se in modo alquanto vago, a una differenziazione anatomica dei tipi. Essi hanno
constatato che più un tipo è simile a quello negro, più è distante, nel sistema politico, dalle classi
dirigenti industriose o conquistatrici” J,Boissel “Victor Courtet”pag,144”.
Il rango dunque tende a corrispondere al “sangue”. Perciò compito degli storici sarà l’indagare sulle
trasformazioni causate dalla mescolanza delle razze essendo necessario mettere in luce che la
gerarchie sociali corrispondono, nelle varie nazioni, a gerarchie razziali. L’esempio del sistema delle
caste indiane tende così ad assumere un ruolo sempre maggiore.
Nel suo libro, il Courtet passa ed esaminare i vari tipi di supremazia di un gruppo sugli altri, di
dominio e di schiavitù. Per quanto riguarda l’antichità greco-romana il Nostro fa ampio riferimento
alle famose concezioni di Aristotele secondo cui la schiavitù sarebbe giustificata dall’inferiorità di
natura di chi è ridotto in tale stato, Anche questo porta il Courtet a ritenere che anche allora, vi
fosse una qualche diversità etnica tra padroni e schiavi. D’altronde non era stato anche il “divino”
Platone nelle “Leggi” ad insegnare che i “barbari” dovevano essere considerati, almeno
potenzialmente, come schiavi e che se gli Ateniesi erano destinati a comandare, i “barbari” erano
fatti per obbedire!
Arriviamo così all’India delle caste, sistema caro a ogni vero reazionario, sul quale ritorneremo più
avanti, per il Courtet se tale sistema sociale continua a mantenersi vuol dire che (pag.174) “…le
ineguaglianze sociali “sono” fondate su ineguaglianze di natura, e le diverse caste “sono” graduate
(graduèes) secondo le loro rispettive capacità oltre che secondo la loro posizione ereditaria”. E il
nostro porta la testimonianza di vari altri autori per provare che gli appartenenti alle “…caste
inferiori che si riconoscono per il colore più scuro, furono i primi abitanti dell’India, e che le caste
dominanti le assoggettarono, col passare del tempo, grazie alla religione .e forse anche con la forza
delle armi”(pag.,179). Insomma (pag.184) “Ogni casta, diciamo, è in realtà una razza particolare
predestinata dalla natura al ruolo che adempie”. Si potrebbe rimandare qui il lettore a certe pagine
di Savitri Devi una scrittrice che meriterebbe, certamente, di essere meglio conosciuta anche in
Italia. ( 5)
Dopo l’India, l’autore passa agli Stati Uniti dove, nel Sud, esisteva ancora la “peculiare istituzione”
della schiavitù. Il Courtet esamina lo status di sottomissione in cui sono tenuti, anche nel Nord, i
negri “liberi”; questi si ridurrebbero a rimanere nella “peggior condizione possibile”: quella di
essere “schiavi senza padrone”!(pag.202). In parole povere, allora, le tanto vantate libertà degli USA
vigevano solo per i bianchi. Oggi sicuramente le condizioni sono ben mutate, i matrimoni misti si
moltiplicano e il Nord America deve godersi la presidenza piuttosto infelice) di un mulatto. Tuttavia
“Nessuno contesta, nel mondo scientifico americano o in quello politico che i negri abbiano quozienti
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medi di intelligenza più bassi dei bianchi” (Arturo Zampaglione “Sei nero?Allora sei stupido” in “La
Repubblica”18X1984). Infatti “Statisticamente la media della popolazione negra appare meno
intelligente della media della popolazione bianca”(M.Blondet “Sei cretino? E’ colpa di papà” in “Il
settimanale” 12 XI 1975).
Nota il Nostro (pag,.263) “laddove vi è identità di razza, vi è identità di posizione sociale, di diritti
politici, di rango. Dove vi è diversità di razze, non rimangono che la servitù e le distinzioni
ereditarie”. Col che pare dimenticare che lo stabilirsi di gerarchie sarebbe inevitabile anche
nell‘ambito di società etnicamente omogenee.
Sempre riguardo agli Stati Uniti il Courtet prendeva nota delle tre posizioni in cui si risolveva,
allora, colà il dibattito sulla schiavitù: i difensori dell’istituzione, gli abolizionisti ad oltranza che,
come conclusione, miravano ad una fusione tra le due razze, e i “colonizzatori” cioè coloro che, come
lo stesso Lincoln, avrebbero voluto sì la liberazione degli schiavi per poi allontanarli dalla
popolazione bianca mandandoli a colonizzare una qualche terra lontana. Com’è nota questa tesi
ebbe una seppur parziale realizzazione nel più o meno fallimentare esperimento della Liberia ove gli
schiavi liberati e i loro discendenti instaurarono un loro dominio sugli “indigeni” finché questi
giunsero a rovesciarli. D’altra parte il caso di Haiti, che poi sarebbe stato studiato da Lothrop
Stoddard, avrebbe provato che i negri lasciati a loro stessi non potevano che ritornare a quello che
appariva come uno stato di barbarie. Il Nostro pare schierarsi per una forma piuttosto “addolcita” di
schiavismo che lasciasse ai negri anche la possibilità di guadagnarsi la libertà, insomma una
emancipazione “dolce” e graduale. (6)
Per il Courtet, comunque, l’abolizione della schiavitù non avrebbe certamente messo negri e bianchi
in una condizione di eguaglianza.
Nel vicino Messico notava poi il Courtet, i bianchi signoreggiavano, seguivano i meticci, poi i mulatti,
poi gli indiani rimasti puri e, in fondo alla scala sociale, i negri. Anche qui le divisioni e le gerarchie
sociali riflettevano quelle razziali.
Dopo aver trattato dello schiavismo quale ancora resisteva (ancora per poco) ai suoi tempi, il Courtet
passava a trattare del sistema feudale. (7)
Certamente, alle sue origini il feudalesimo non è che uno schiavismo modificato, “addolcito”, ma
che, in ogni caso, trae la sua origine dalle diversità delle popolazioni in contatto. Qui non si tratta
più del rapporto tra bianchi e negri ma di qualcosa di più complesso. “Se l’ineguaglianza morale dei
negri e dei bianchi viene ammessa, diventa impossibile negare l’analoga ineguaglianza, seppur meno
pronunciata, tra le razze intermedie”. Si tratta qui di una gerarchia tra i popoli bianchi per questo
secondo il Courtet bisogna iniziare a cercare nella storia del nostro continente quali stirpi siano
state generalmente dominatrici e quali per lo più sottomesse alle prime visto che paiono esservi
diseguaglianze e gerarchie anche nell’ambito di ciascuna delle grandi razze umane.
Così a pag.243 possiamo leggere “In Europa come in tutte le altre parti del mondo, esistono delle
ineguaglianze naturali fra le razze. Codeste ineguaglianze qui sono, però, minori che altrove poiché
le razze sono molto mescolate. Tuttavia, esse si manifestano, come altrove, attraverso delle
differenze sul piano fisico. In Europa, sono anche minori le differenze sociali. Ma dove vi sono
differenze sociali, che si conciliano con una certa stabilità, con una comunanza di religione e di una
qualche prosperità, noi dobbiamo affermare che esse, come altrove, corrispondono a delle
ineguaglianze di natura.”
Anche in Europa vi sono state stirpi conquistatrici e altre che sono state sottomesse dalle prime;
perciò vi è una certa somiglianza tra il sistema feudale europeo e quello indiano delle caste, solo che
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le differenze, dalle nostre parti, sono minori.
Il Courtet cerca poi di dimostrare la sua tesi con un breve excursus storico sulle isole britanniche
con la serie d’invasioni e domini che s’imposero e sovrapposero alla popolazione indigena. E che
culminarono nell’invasione normanna. Ma anche questi ultimi conquistatori, nonostante tutte le cure
che misero per evitarlo, finirono per mescolarsi col resto della popolazione. Sviluppo frequente nelle
vicende storiche, le differenze e diseguaglianze di censo sostituirono quelle etniche; solo
nell’aristocrazia si preservò l’elemento normanno, solo gruppi di aristocratici. “…l’aristocrazia
normanna ha mostrato, sempre, una marcata superiorità morale nei confronti delle altre
classi”(Ricordiamo che anche il De Gobineau si voleva discendente dei Normanni e, risalendo il
corso della storia, dei Vichinghi). Ma il Courtet non manca di rilevare che anche questa aristocrazia
declinava di fronte al sorgere della borghesia.
Così pag.267 “Le ineguaglianze create in Europa dalle conquiste medioevali, derivano dalle stesse
cause di tutte le ineguaglianze stabilite in tutti i popoli e in tutti i paesi… é sempre in ragione delle
differenze originarie delle popolazioni. che si formano le differenze di rango. Non si saprà trovare un
popolo presso il quale la schiavitù e il sistema delle caste abbia un altro fondamento… “Così:
nell’Europa moderna la servitù feudale è stata imposta ai nostri avi dai popoli scandinavi e
germanici. Ovunque la stessa causa ha prodotto gli stessi effetti. La servitù non è differente che
d’intensità secondo i luoghi e i tempi, perché i rapporti naturali tra i popoli erano più o meno
prossimi o più o meno distanti”. Il De Gobineau avrebbe poi osservato “Dappertutto dove vi è
schiavitù, vi è dualità e pluralità di razze, vi sono vincitori e vinti e quanto più le razze sono distinte,
tanto più l’oppressione è completa”.
(G.A. De Gobineau “Saggio sull’Ineguaglianza delle Razze” Voghera, Roma, 1912, pag.194.).
In Europa, però, i rapporti tra le varie etnie “bianche” non potevano essere gli stessi di quelli tra
“bianchi” e genti “di colore”. Le diseguaglianze sono molto meno accentuate e certe supremazie
sarebbero più dovute alle circostanze che a tali differenze. Poi sono state più frequenti fra i vari
strati delle popolazioni le comunanze di lingua, religione e costumi il che ha facilitato anche i
matrimoni “misti”.
Il Courtet non desiste però dalle sue concezioni antiegualitariste di cui fa un riassunto alla pagg. 270
e 271.
“Tutti gli individui non hanno la stessa organizzazione, e da tal fatto si può concludere che non sono
ugnali nelle loro facoltà. Similmente, le razze umane non hanno la stessa organizzazione, da tal fatto,
si può concludere che non sono eguali nelle loro facoltà. Come principio, ciò non è contestabile. Nei
fatti, tutto ciò è evidente.
Gli individui che hanno ricevuto dalla nascita delle predisposizioni, delle facoltà eminenti, di solito
primeggiano nella società. Analogamente, le razze che grazie alla loro organizzazione sono dotate di
un’evidente superiorità, di solito, primeggiano in tutte i grandi agglomerati di popoli.
E come potrebbe essere altrimenti? In tutte le relazioni tra gli esseri, quali che siano, il più forte
domina e il più debole è dominato. Tra gli uomini il grado di forza e di debolezza dipende dal grado
di intelligenza, e il grado di intelligenza è in rapporto costante con il grado di perfezionamento
dell’organizzazione. Paragonate le razze tra di loro. Il tipo di una mostra un sensibile predominio
degli organi predisposti alle attività intellettuali, il tipo di un’altra mostra, invece, allo stesso tempo
la debolezza di tali organi e uno sviluppo estremo degli organi che presiedono agli istinti grossolani.
La prima, per la sua stessa conformazione, si allontana il più possibile dai caratteri propri agli
animali; la seconda vi si avvicina a tal punto da formare una sorta di transizione tra l’Europeo e il
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bruto. Non è permesso credere che codeste differenze fisiche non producano alcuna ineguaglianza
in fatto di intelligenza e per la stesse ragioni e forse possibile credere che non abbiano una qualche
influenza anche sulle ineguaglianze sociali”.
Ragionamento esasperato e scientificamente “incerto” (a partire dalla vaghezza del termine
“organisation” ma non privo di una certa sua coerenza. (8)
Comunque, gli effetti delle situazioni createsi, dei mutamenti storici e delle mescolanze hanno
condotto in Europa a una situazione che parrebbe contrastare con quanto affermato dal Courtet,
infatti, leggiamo a pag.280 “Il sentimento che oggigiorno spinge i partiti, è la progressiva ambizione
delle classi un tempo asservite, che un lungo processo di meticciato ha reso più o meno identiche a
quelle privilegiate”.
Segue nel libro un esame della decadenza dell’Impero Romano causata dal venir meno delle stirpi
nobili e dall’avanzata inarrestabile di schiavi, liberti e stranieri di ogni razza e paese; un quadro che
i “razzisti” posteriori (a partire sempre dal De Gobineau) non mancheranno di dipingere a colori
sempre più foschi. Tale società ormai putrescente non poteva reggere contro le popolazioni
germaniche ancora sane . Così pag.288 “Riassumendo pare che il risultato delle grandi lotte che
hanno diviso in nazioni gli antichi abitanti dell’Europa non sia stato che quello di sottometterli in
maniera quasi uniforme ai popoli germanici e ai Normanni.” Il Courtet ne prende lo spunto per
dedicare qualche considerazione alla “razza teutonica” che dopo aver abbattuto il decadente Impero
Romano ha svolto in così grande ruolo nella storia dell’Europa e, più recentemente, del Nord
America. Dopo averne lodato la bellezza, la forza fisica e il valore, il Nostro non esita a dichiarare
che è difficilmente credibile che essa, anche in un ormai lontano passato, sia stata veramente
“barbara”. A smentire tale pretesa “barbarie” basterebbe secondo il Courtet, un elemento
essenziale: la vera superiorità si manifesta nel valore guerriero. D’altra parte sarebbe bastato
riferirsi a Tacito A pag.297 possiamo leggere: “Di fronte ai Romani, i Germanici erano
incontestabilmente barbari nell’accezione banale della parola; ma se erano barbari, possiamo dire
che avevano ragione d’esserlo, poiché tale barbarie doveva assicurare loro la facile conquista di quei
popoli che avevano fatto un così fatale progresso nella via della civilizzazione. Roma godeva dei
frutti delle conquiste ottenute grazie alle vittorie riportate dai suoi figli più nobili, ma la sua
popolazione non era più, sotto l’Impero, che una mescolanza di elementi confusi capaci solo di
affrettare la sua rovina”.
Ritornando al mondo attuale, l’inarrestabile mescolanza delle razze avrebbe ormai fatto sì che gli
“uomini forti” che un tempo si sarebbero trovati soprattutto nei ranghi delle aristocrazie, appaiono
ormai in tutte le classi il che induce il Courtet a invocare una sorta di “meritocrazia”; Si deve
instaurare un’eguaglianza di possibilità e di diritti il che (pag.319) “Non esclude l’idea di
un’ineguaglianza reale, in rapporto alle facoltà umane”.
La visione del Courtet è dunque più serena di quella del De Gobineau il quale, tra l’altro, aveva
concepito la bizzarra idea che la mescolanza delle razze ne diminuisse la fecondità di modo tale che
l’umanità si avviava al suo tramonto non solo qualitativamente ma anche quantitativamente. Il che
con gli attuali, e futuri, problemi di sovrappopolazione appare persino delirante.(si può qui
rimandare a quelle correnti di “ecologismo radicale” che giungono ad auspicare che, in un modo o
nell’altro, si arrivi a una drastica riduzione del numero dei bipedi che infestano il Pianeta.)
Comunque, alla conclusione della sua opera il Nostro riassume le sue concezioni (pag.397 e segg.).
Tutti gli esseri fanno parte di una scala alla cui sommità sta l’uomo e, tra gli uomini, primeggia la
“razza caucasica”. Perciò (pag.373) “Quando delle razze ineguali o degli individui ineguali si
riuniscono per formare una società. le distinzioni che stabiliscono tra loro devono essere ed
effettivamente sono in un qualche modo l’espressione del rapporto naturale tra le rispettive
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facoltà…Possiamo dunque prevedere che quando Europei ed Etiopici (allora si definivano anche così
i negri e gli africani in genere, oggi sappiamo che il tipo “etiopico” si distingue nettamente da quello
più propriamente “negro”(9) si ritrovassero sullo stesso suolo, si noteranno tra queste due razze
grandi ineguaglianze; che queste ineguaglianze saranno minori tra razze meno dissimili tra loro per i
loro caratteri distintivi, come per esempio, tra Caucasici e Mongoli, tra Caucasici e Amerindi, o
anche tra Mongoli ed Etiopici, o tra Amerindi ed Etiopici”. Come si vede il Courtet pone le varie
razze su altrettanti gradini di una scala, o qualora le razze presenti nello stesso spazio, si
mescolassero (cosa in fondo, a lungo termine, inevitabile) si creerebbero tipi intermedi. Per il
Nostro, come poi per il De Gobineau, sono gli eventi storici a confermare le sue tesi. Pag.374: “Gli
Europei hanno ovunque e sempre ottenuto la preminenza sulle razze che hanno incontrato… Gli
Asiatici (pag,375) hanno asservito i negri… Gli Indiani d’America hanno mantenuto dei negri in
schiavitù:..” (10) Mentre (pag.376) “I negri d’Africa non hanno mai asservito alcuna razza straniera,
si sono asserviti tra di loro. Tribù giunte da zone del Nord e dell’Ovest si sono sovrapposte a tribù
delle zone centrali e meridionali…” Qui il Courtet fa l’esempio dei Mandingo: i “meno negri” si sono
resi padroni dei “più negri”, e ciò sarebbe accaduto in più partir dell’Africa.
Da parte nostra possiamo notare che il Courtet, costui, dunque non si pone quel problema della
creazione di “nuove aristocrazie” che si riaffaccerà col “radicalismo aristocratico” del Nietzsche e
poi in alcuni settori dei movimenti nazionali del secolo scorso. (11)
Poi l’Autore ripete brevemente le sue considerazioni sulla poca influenza del clima e sul fatto che le
razze di più bell’aspetto siano anche le più civilizzate.Passiamo poi a una altra opera del Courtet il
“Tableau Ethnographique du Genre Humain”. Il libro non vuole solo essere un trattatello di
antropologia dato che non vi mancano riferimenti politici. tratti anche da vari altri autori. Il Nostro
accennando ai conflitti in corso in Europa e nel mondo, infatti, nota(II) “ si vedrà che quasi ovunque
si combatte si tratta di una questione di razze”. In Europa si combattono popoli diversi per origini,
lingua e costumi; altrove “razze asservite cercano di spezzare il giogo dei dominatori”. Ma osserva il
Courtet (III) “…nei rapporti tra le razze, il braccio che opprime è anche quello che protegge. E’ bello
liberarsi dal giogo, ma a condizione che non lo si sostituisca con l’abbandono” e, come in altri casi, la
difesa del dominio, e anche dello schiavismo, si tingeva di paternalismo!
In seguito entriamo in un discorso assai complesso: i viaggiatori (e gli studiosi) dei secoli passati
ritennero di rilevare in molte parti del mondo, delle differenze anche sul piano fisico, in molte
popolazioni, tra governanti e governati. Fu facile dedurne che le stirpi “più chiare”, dominassero
ovunque quelle “più scure” in quanto ad esse superiori.(12)
Oggi tutto ciò è rientrato nel politicamente “scorretto”: se un tempo si diceva che i Tutsi (camiti)
dominassero gli Hutu (negroidi) grazie alla loro superiorità razziale manifesta anche nelle differenze
fisiche tra le due stirpi, oggi si dice che i Tutsi e Hutu sono della stessa razza solo che i primi
essendo più ricchi, si accoppiavano con le femmine migliori, mangiavano meglio, lavoravano meno
sotto il Sole ardente e così via. Chi scrive ritiene che questo sia un argomento che debba essere
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ripreso per uno studio imparziale soprattutto in vista della società multirazziale e meticcia, in cui
quello che era l’“Occidente bianco” sta irrimediabilmente sprofondando. (13)
Alla pag 7 ed 8 possiamo leggere “Nell’Oceania vedo ovunque due tipi, due stadi di civiltà.
Nell’Oceano Indiano scrive il Crawfurd, vi sono due razze ben distinte, una razza aborigena di tinta
chiara o bruna, e una anch’essa aborigena, negra. Queste due razze possono essere considerate
come quello che presentano il più perfetto parallelismo che si possa concepire, nelle caratteristiche
fisiche e morali, con la razza bianca e la razza negra nel nostro mondo occidentale. La prima fa
costantemente prova, nei confronti della seconda, di una superiorità relativa tanto manifesta che
quella dei bianchi su i negri. Ogni civiltà indigena dell’arcipelago è opera della prima, mentre la
razza negra è sempre rimasta nello stato più selvaggio” (cfr. anche Alfonso De Filippi “Gli Arii
nell’Oceano Pacifico” in “Algiza” n.14.)
Nel suo “I Grandi Viaggiatori del Secolo XIX” edito in Italia da Sonzogno di Milano nel 1898, Giulio
Verne raccolse le testimonianze di vari navigatori ed esploratori, ad esempio, riguardo alle isole
Hawaii (pag.282) “Tutti i navigatori sono d’accordo nel riconoscere che la classe dei capi forma una
razza superiore agli altri abitanti per statura e intelligenza.” Riguardo poi a certi fenomeni di
megalitismo presenti nella zona, Silvano Lorenzoni nel suo “Mondo Aurorale” (Primordia, Milano,
2010, pag.55) scriveva “In particolare in Melanesia e in Nuova Guinea esso fu portato da popolazioni
“bianche” (delle quali, per meticciato, si possono osservare le tracce nelle classi dirigenti
melanesiane odierne)…”
Passando poi al caso dell’India il Courtet scrive “Le differenti caste sono delle razze più o meno
scure, il cui tipo è più o meno lontano da quello europeo”.
Anche qui si è tentato di addossare tutto all’ambiente, ma, negli ultimi tempi, i moderni studi di
genetica sembrano aver confermato quello che i vecchi osservatori avevano visto. Riprendiamo un
articolo apparso il 21 Maggio 2001 nell’edizione online del Times of India a firma di Chidanad
Rajghatta, dal titolo “Indian male caste in european mould? “, che potremmo tradurre: “I maschi
delle caste indiane sono di stampo europeo?.”. Vale la pena di segnalarne i contenuti; vi leggiamo :
“La componente maschile delle caste superiori indiane è geneticamente più simile agli Europei di
quella delle caste inferiori, che sarebbe maggiormente asiatica. Tali idee erano sostenute in un
saggio destinato ad essere pubblicato sulla rivista Human Genome. Gli autori di tale studio
sostenevano, sulla base dei dati tratti dalle conclusioni delle loro ricerche, che gli eurasiatici
occidentali immigrati in India durante gli ultimi 10.000 anni erano per lo più maschi e il materiale
genetico mostrava come gli antenati degli uomini e delle donne indiani provenissero da diverse zone
del mondo. Inoltre tali studi rilevavano che le differenze riscontrate offrivano una chiave per la
comprensione dell’origine del sistema delle caste; risulterebbe infatti che gli invasori e/o immigrati
maschi abbiano lasciato più discendenti nelle caste alte che in quelle basse. Infatti il DNA
mitocondriale (trasmissibile solo in linea materna) degli appartenenti alle varie caste è più simile a
quello di altri popoli asiatici che a quello europeo, e tale somiglianza sarebbe maggiore nelle caste
basse che in quelle alte. Al contrario, il cromosoma Y, che viene trasmesso solo in linea paterna,
mostra in ogni casta una certa somiglianza con quello degli Europei, somiglianza che si accentua
nelle caste superiori. Il che indicherebbe appunto che a entrare nel subcontinente siano stati più
uomini che donne. Michael Barmshad dell’Università dell’Utah, capo di questo gruppo di studiosi,
sostiene che, avendo ampliato lo studio ad altri 40 geni addizionali, ereditari sia in linea maschile
che femminile, ulteriori risultati hanno confermato che gli appartenenti alle caste più alte sono
maggiormente simili agli Europei di quelli delle caste inferiori, il che rivela come nell’antica India vi
fosse una certa mobilità sociale per le donne dal basso verso l’alto. Tali ricercatori sarebbero giunti
a stabilire una gerarchia delle caste in base alla loro somiglianza genetica con gli Europei, e questa
classifica vede al primo posto i Bramini, al secondo gli Kshatriyas, al terzo i Vaishyas. Nei mesi
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seguenti non abbiamo più avuto notizie di questi studi e dei loro risultati, le cui implicazioni
antiegualitaristiche li avrebbero resi politicamente scorretti. Cfr Alfonso De Filippi “Razze e caste in
India” in Arthos nuova serie anno VI (2002) – vol. II – n. 10 (2002), pp. 100-103.
Anche per l’Africa varrebbero analoghe considerazioni; innanzi tutto (pag.23) “ogni traccia di
civilizzazione in Africa attesta o una influenza straniera o l’iniziativa di una razza molto diversa da
quella negra”. Poi, “Su tutti i punti del continente si osserva una stesso spettacolo, si vedono più
razze sovrapposte, le une conquistatrici le altre conquistate”. Forse con qualche forzatura ha scritto
Silvano
Lorenzoni
in
“Il
Selvaggio,
saggio
sulla
degenerazione
umana”(Ghenos,Ferrara,2005,pag.779 “…le strutture tribali più consistenti (che, per esempio nel
caso degli Zulù dell’Africa meridionale assunsero a dimensioni quasi statali sotto qualche dirigente
più dotato) furono dovute a meticciato culturale e anche biologico con elementi appartenenti
all’ecumene artico. Nell’Africa nera, in particolare, le famiglie dei capi erano invariabilmente di
razza “camitica”/etiopica e quindi di origine meticcia contenente una componente europide… Tutti i
cosiddetti imperi africani (Mali, Ghana, Timbuctù ecc) furono il frutto di intrusioni esogene
provenienti dall’Africa settentrionale, dall’Arabia o dall’India, all’interno dei quali i negri non fecero
altro che da manodopera servile”). E anche su questo sarà necessario ritornare!
Certo, le fonti di allora esageravano i caratteri “barbari” di molti popoli e ne svalutavano sia le
realizzazioni che le capacità, (soprattutto riguardo a certe regioni dell’Asia e all’America precolumbiana) tuttavia è da ritenere che molte testimonianze non vadano respinte a priori.
Anche riguardo all’ Europa il Courtet credeva di poter fare analoghe osservazioni credendo di
individuare nel nostro continente un elemento “indigeno bruno” cui si sarebbero sovrapposti
conquistatori, manco a dirlo, alti, biondi e dagli occhi chiari. Già alla pag.5 si poteva leggere “Anche
in Europa, le razze brune, dalle forme angolose, piccole di statura, dal cranio meno sviluppato, sono
state respinte nei ranghi inferiori, mentre il dominio…è generalmente appartenuto a razze bionde,
dagli occhi azzurri, dalla taglia slanciata e dal cranio prominente”, Evidentemente il buon Conte di
Gobineau non aveva “inventato” nulla! Ed evidentemente la decadente nobiltà francese cercava nel
“razzismo” un’arma per una estrema difesa. (14)
Alle pagg.27 e 28 si possono leggere interessanti considerazioni: ribadita la superiorità dei bianchi,
il Courtet scrive “Se la constatazione di queste verità ripugna a certi uomini, tra i quali riconosco
uomini eminenti, è perché sembra che da ogni constatazione della differenza tra le razze possa
servire di sostegno all’oppressione di una parte della famiglia umana. E’ contro codesta conseguenza
illogica che io mi levo con tutte le forze della mia ragione e della mia coscienza. Ebbene, vi sono
razze per natura preponderanti (“preponderantes”), e vi sono delle razze deboli per natura, vi sono,
per così dire delle razze di bambini e delle razze di adulti, o ancor meglio, secondo l’idea del mio
onorevole amico, M.d’Eichtal, vi è nel genere umano la parte femminile e la parte virile. Ma nulla
sarebbe più odioso e maggiormente irragionevole che pensare che tale differenza conferisca alla
forza il diritto di opprimere la debolezza. La forza impone innanzi tutto dei doverti a chi Dio ne ha
accordato i privilegi, la forza accresce la responsabilità nella proporzione delle prerogative che
dona, prerogative che risiedono unicamente nell’adempimento di differenti funzioni…”
Giustamente è stato scritto: “Qualsiasi pretesa alla superiorità, per i popoli come per gli individui,
deve tradursi in un aumento di doveri.” Abel Bonnard “Sulla Razza” (AR, Padova, 1992, pag26). Ed è
altrettanto vero che “noi riteniamo per fermo che non si può veramente garantire il primato e il
diritto di una razza al dominio assoluto, quando non si abbia per premessa una sua superiorità
spirituale”, Julius Evola “Il Problema della Supremazia della Razza Bianca” in “Indirizzi per una
Educazione Razziale” AR, Padova,1994)
Ritengo che tutto questo, sempre in vista della società multirazziale e meticciata in cui stiamo
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sprofondando, riapre un argomento trascurato da quando Julius Evola è passato di moda e che
dovrebbe, forse, venire ripreso: quello delle aristocrazie. Ciò in quanto “Non esiste un solo esempio
storico di società plurietnica non conflittuale e che non sia stata crudelmente gerarchizzata e
oppressiva” G. Faye “Archeofuturismo” (SEB, Milano 1999, pag. 160). Inoltre “Il problema razziale
non viene eliminato neppure dal meticciato, contrariamente alle fantasie morbose di tanti utopisti
egualitari. Nelle terre e nelle società a meticciato diffuso… si incomincia a formare una
stratificazione sociale nel cui ambito l’ “aristocrazia” è formata da coloro che hanno un massimo di
sangue degli antichi padroni”, Silvio Waldner “La Deformazione della Natura” pag.28.
Riguardo all’aspetto conflittualità per ora mi limito a citare da W. Laqueur “Fascismi. Passato,
presente, futuro” Tropea, Milano, 2008, pag,172”. L’odio etnico è un fenomeno globale. Se Tutsi e
Hutu, Induisti e Musulmani, Greci e Turchi, Tamil e Cingalesi, Arabi ed ebrei, Serbi e Bosniaci,
Armeni e Azeri, Irlandesi e Irlandesi non riescono a convivere in pace, è irrealistico pensare che solo
l’Europa, fra tutti i continenti possa essere l’eccezione”. Lo studio della storia “suggerisce che il
genocidio – come la guerra, il massacro, lo stupro di massa e altre simili atrocità – non sia niente di
nuovo e che difficilmente possa essere considerato un fenomeno nato nel XX secolo. Che tali orrori si
sono sempre verificati nel corso dei secoli e in tutte le regioni del pianeta ”R.Gellately, B.Kiernan ‘Il
secolo del genocidio’ Longanesi Milano 2006 pag.16.
Ritornando al problema delle aristocrazie mi limito, per concludere, a qualche citazione: “L’elemento
razziale costituisce un fattore di primo piano nell’evoluzione dei popoli e delle nazioni come in
particolare della formazione delle classi dominanti e delle aristocrazie.” così R. Battaglia in “Razze e
Popoli della Terra” a cura di R. Biasutti, UTET, Torino 1967, Vol I pag. 333 “Faremo
osservare…,come la classe cosiddetta aristocratica rappresenti qualche volta un elemento
antropologico estraneo, almeno originariamente, alla compagine razziale nazionale, poiché può
essere immigrata per ragioni politiche, militari, e perciò i suoi rappresentanti si distaccano, come
tipo, dalla massa della popolazione. Questo fatto può generare degli errori di interpretazione
antropologica, facendo credere ad una differenziazione prodotta da una particolare selezione
nell’ambito della compagine razziale, selezione che non esiste per la ragione detta”. G. Pullè “Razze
e Nazioni” (Cedam, Padova, 19398Vol.I, pag. 43)
Su di un piano puù generale: A James Gregor in “L’Ideologia del Fascismo” (Ed de Il Borghese,
Milano, 1974 pag. 214) scriveva: “l’uomo, sottratto alla tutela ferma e precisa di una aristocrazia
ispirata e illuminata, non ha più un fondamento e affonda nelle sabbie mobili degli interessi materiali
e sensuali. Soltanto un’aristocrazia della volontà e dell’intelligenza può disciplinare le masse informi
e indirizzarle a fini morali che trascendono la sfera dei loro interessi immediati. Una tale aristocrazia
educa le masse a quella virtù che esse non potrebbero mai raggiungere da sole”. P. Ottone in “Il
Tramonto della Nostra Civiltà” (Mondadori, Milano, 1994, pag. 109) ribadiva “Per sua natura una
civiltà è un fatto di minoranze, non di masse, di qualità, non di quantità” e a pag. 100 “Il governo
degli uomini è compito della nobiltà, cioè di quella classe di proprietari terrieri e di guerrieri che si
ritrova in tutte le civiltà.” Lo possiamo vedere nelle vicende della Civiltà Occidentale (pag. 102) “…il
compito di governo degli uomini rimane costante. Ministri, ambasciatori, generali, ammiragli sono
usciti fin quasi ai nostri giorni dai ranghi dell’aristocrazia…C’è molto di vero nella tesi secondo la
quale l’ aristocrazia ha continuato a governare l’ Europa, in maniera più o meno palese anche dopo
la Rivoluzione Francese…Unico mestiere che si addice ai nobili è governare.”
Nuove aristocrazie potrebbero scaturire solo da terribili lotte, chi potrebbe assicurare oggi che in
Europa non torni a scorrere il sangue? (cfr. anche Silvano Lorenzoni “Mondo Aurorale” Primordia,
Milano, 2010, pag.119). Chi potrebbe escludere che si avveri quanto scriveva Franco G. Freda in
“Monologhi” (AR,Padova, 2007, pag,.79) “E’finita l’epoca delle guerra civili europee, sta per
cominciare quella delle guerre razziali. Sotto l’ urto di imponenti immigrazioni extraeuropee, gli stati
nazionali si dissolveranno. Il futuro sarà teatro di scontri razziali?”. “L’eterna guerra tra le razze è la
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legge della storia mentre la pace perpetua non è che il sogno degli idealisti. ”L, Gumnplowicz “La
Lucha de Razas” (La Espana Moderna, Madrid, s.i.d.pag.284)”
“bisogna poter scegliere o di andare in rovina o di imporsi Una razza dominatrice può nascere
soltanto da origini terribili e violente” F. Nietzsche “La Volontà di
Potenza”Newton,Roma,.2003,pag.44
ALFONSO DE FILIPPI
NOTE
(1) Cfr la “Seconda edizione accresciuta e riveduta (1942) de “Il Mito del Sangue” riproposta nel
1995 da SeaR di Borzano e da AR,Padova nel 1994
(2) Delle opere del Boulainvilliers ricordiamo Histoire de l’ancien gouvernement de la France (La
Haye, 1727) Etat de la France, avec des memoires sur l’ancien gouvernement (London,
1727) Histoire de la pairie de France (London, 1753)Histoire des Arabes (1731).François Dominique
de Reynaud conte di Montlosier (1755-1838) fu eletto agli Stati Generali dove si distinte nella difesa
dei privilegi degli aristocratici e della monarchia finché fu costretto all’’esilio, prima a Coblenza poi
a Londra Nel 1800 sotto il Consolato rientrò in Francia dove si inserì nel Regime Napoleonico
diventando funzionario al Ministero degli Esteri, era protetto dal Ministro di polizia Fouché il quale
l’avrebbe anche in precedenza stipendiato per averne notizie sugli emigrati monarchici. Caduto
Napoleone passò a Luigi XVIII, e pubblicò la sua “Une Histoire de la Monarchie Française” cosa che
gli era stata vietata sotto il precedente regime. Nella sua opera il Montlosier faceva l’elogio del
sistema feudale imperniato su una aristocrazia di origini germaniche,a differenza del Boulanvilliers
non fondava il dominio degli aristocratici sopra il diritto di conquista ma su un processo sociale che
aveva portato all’affermazione dei nobili di origine germanica. Sotto il regno di Carlo X combatté
certe pretese del Vaticano assumendo posizioni anticlericali. Riuscì infine a “riciclarsi”anche sotto
Luigi Filippo e nel 1832 fu ammesso alla Camera dei Pari. Non essendosi riconciliato con la chiesa
ebbe funerali solamente civili. Louis-Gabriel Du Buat-Nançay( 1732-1787) fu drammaturgo, storico e
scrittore di materie politiche , ministro di Francia a Dresda risiedette per molti anni in Germania.
Oltre all’opera citata scrisse, fra l’altro, una « Histoire ancienne des Peuples de l’Europe » (1772)
«Le Elements de la Politique » (1773) « Les Maximes du Gouvernement Monarchique» (1778) Nella
sua «Storia delle Crociate » (Sonzogno,Milano,1933.pag.591 il Michaud scriveva « Boulanvilliers
dice che se le Crociate non avessero fatto partire una moltitudine di servi, sarebbe stato d’uopo più
tardi di esterminarli siccome bestie feroci »
(3) Ricordiamo che al cimitero di Torino una lapide segna il sepolcro del De Gobineau,vi si legge
“GIUSEPPE ARTURO CONTE DI GOBINEAU/ Nato in Ville d’Avray nel 1816/-morto in Torino il 13
ottobre 1882/diplomatico scrittore filosofo/Il tempo e gli eventi/ne esaltano la figura/di presago
pensatore” (Cfr anche Lorenzo Gigli “Vita di Gobineau”Bompiani,Milano,1933)
(4) Quel poco che sono riuscito a trovare su codesti autori non permette certamente di catalogarli
tra i “teorici del razzismo”.
Gustav Klemm (1802-1867) fu bibliotecario a Dresda, scrisse una monumentale “Allgemeine Cultur
Geschichte der Menscheit”in cui individuava 3 stadi di sviluppo degli uomini e delle società: quello
selvaggio, quello che potremmo definire di “addomesticamento”e quello della libertà. Di
orientamento liberale vedeva con favore il trionfo delle idee democratiche. Riteneva che le razze
differissero in temperamento e mentalità e tra quelle “attive”poneva i persiani, gli Arabi, i Greci, i
Romani e infine, i Tedeschi, ma finiva per considerare benefico il loro mescolarsi con quelle
“passive”.Il De Gobineau cita il Klemm nel suo “Essai”ma scrive di non averne letto l’opera.
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Gustave d’Eichtal (1804-1886) fu pubblicista etnologo e studioso dell’antica Grecia. Fu allievo di
Auguste Comte e adepto del san simonismo. Ebreo si convertì al cattolicesimo all’età di 13 anni.
Amico di Ismail Urbain mulatto della Cayenna e convertito all’Islam scrisse con lui le “Lettres sur la
race noire et la race blanche”, vedendo nell’amico il prototipo di una umanità nuova meticciata,
pensava che negri ed ebrei fossero entrambi dei “proscritti”!
Non è qui il caso di affrontare il problema se e come stirpi “maschie” possano svirilizzarsi e
femminilizzarsi, per chi scrive ciò sarebbe accaduto più volte nella storia, ad esempio Mongoli e
Tibetani avrebbero perso ardore guerriero aderendo al Buddhismo. Si potrebbe qui pensare a
fenomeni di “contro selezione”, anche la teoria della “passionarietà” elaborata dal russo Gumilev
potrebbe offrire validi spunti di riflessione (Cfr. Leo Gumilev”Ethnogenesis and the
Biosphere”Progress, Mosca, 1990.)
(5 ) “..i nazisti prefiguravano una società divisa in caste secondo un rigido criterio razziale quale
stadio definitivo dello sviluppo dell’umanità”E.Nolte<La crisi dei regimi liberali e i Movimenti
Fascisti>Il Mulino, Bologna, 1970. 307.
(6) Il Vice Presidente degli Stati Confederati Alexander Stephens parlando a Savannah (Georgia) il
21 Marzo 1861 ebbe a dire “ La pietra angolare su cui poggia il nostro governo è la grande verità
che il negro non è uguale all’uomo bianco, che la schiavitù e la subordinazione alla razza superiore è
la sua condizione normale e naturale Così, il nostro nuovo governo è il primo, nella storia del mondo,
ad essere basato su questa grande verità fisica,filosofica e morale.”
(7) “Il mondo feudale … resta l’esempio più caratteristico di una costituzione sociale conforme alla
casta dei guerrieri”J.Evola “Rivolta contro il Mondo Moderno”Hoepli, Milano.1934, pag 389.
8) Citiamo da Frank H.Hankins “La Race dans la Civilisation”Payot, Paris, 1935, pagg.27/28 “le
differenze tra le razze si manifestano in maniera evidente sul piano fisico, il che permette, come
minimo .di presumere che ci possano essere differenze sul piano mentale”Pag.268 “..le razze sono
ineguali quanto alla loro capacità mentali,.conseguentemente differiscono nelle loro capacità
culturali” Nota “Per la valutazione quantitativa dell’intelligenza si sono sviluppate tecniche
statistiche altamente complesse che non hanno mancato di confermare che le razze dalla pelle
scura-i negri in particolare sui quali esistono numerose rilevazioni statistiche-dimostrano una
capacità intellettiva drasticamente inferiore non solo a quella degli europei, ma degli asiatici, degli
indiani d’America, eccetera. Questi risultati appaiono tanto più significativi quando si ricordi che la
maggior parte dei dati relativi ai negri sono stati ottenuti negli Stati Uniti dove i negri sono in realtà
dei mulatti. I risultati riguardanti i negri africani indicano un’intelligenza ancora minore che presso i
negri americani; nell’Africa meridionale in particolare dove la popolazione negra risulta meticciata
con elementi capoidi(boscimani ed ottentotti) essi segnalano un’intelligenza di grado ancora
inferiore”Silvio Waldner “La Deformazione della Natura”pag.22l. Inoltre negli USA “il colore della
pelle si schiarisce presso i negri man mano che si sale verso categorie di più alto livello sociale, il
che conferma che fattori genetici intervengono in un modo o nell’altro, nella determinazione di
questo livello,”Arthur Jensen “ genetica, educabilità e differenze tra le popolazioni” in “L’Uomo
Libero”n.8 Ottobre 1981”
(9) Da Henri V.Valois “Le Razze Umane”Garzanti, Milano, 1957,pag-52 e segg. “..la razza etiopica
viene considerata abitualmente come risultante dall’incrocio tra un gruppo negro, che per primo
dovette abitare il paese, e invasori bianchi venuti dall’Arabia o dal Bassi Egitto……Al Sud del
massiccio abissino, gli Etiopi si sono infiltrati tra le popolazioni negre dell’Africa
orientale….E’interessante notare che dovunque essi “(gli Etiopici)”,si sono imposti a questi ultimi(i
negri) e hanno conquistato una posizione sociale di primo piano.”
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10) Alcune tribù pellerossa degli USA tennero schiavi negri e si schierarono con i Confederati
durante la Guerra di Secessione alla fine della quale l’ultimo generale sudista ad arrendersi fu il
Cherokee Stand Watie, anche tra gli indiani proprietari di schiavi era stata presente la setta
schiavista dei Knights of the Golden Circle alla quale alcuni fanno risalire, almeno in parte, le origini
del Ku Klux Klan Cfr.Sandra Busatta “Oro Catene e Sangue -La schiavitù indiana nel
Nordamerica”L’Angolo Manzoni ed, Torino,1996 ,anche su tutto questo si potrà ,eventualmente
ritornare in futuro.
(11)“La storia ci offre …. un panorama di gerarchie che nascono, vivono, si trasformano, declinano,
muoiono. Si tratta dunque di conservare i valori delle gerarchie che non hanno esaurito il loro
compito, si tratta di innestare nel tronco di talune gerarchie elementi nuovi di vita; si tratta di
preparare l’avvento di nuove gerarchie” Benito Mussolini in “Gerarchia”N.1 25 Gennaio 1922.
(12)“ nella Polinesia i capi delle tribù sono più alti e più grassi de’loro subalterni; nei Beckhuani
d’Africa, i capi oltre la statura più alta, hanno anche la pelle più chiara.”Cesare Lombroso “L’Uomo
Bianco e l’Uomo di Colore”Sacchetto, Padova, 1871, pag.102.
(13) “Quando alla fine del Kali Yuga, l’ultima era vitale della presente specie umana, si creerà una
mescolanza irrimediabile di razze e di caste e le più alte forme del sapere cadranno nelle mani di
individui che non possiedono valori morali corrispondenti, l’umanità cesserà di interpretare il suo
ruolo e verrà distrutta. Il solo mezzo per evitare l’ecatombe, la distruzione che ci minaccia, sarà un
ritorno alle caste, al rispetto delle differenze e delle razze, cioè all’opera del Creatore”. Alain
Danielou “Caste, egualitarismo e genocidi culturali.”(Società Editrice Barbarossa, Milano, 1997,
pagg. 37-38.)
(14) “Chi ci garantisce che la democrazia moderna,l’ancor più moderno anarchismo,e specialmente
la tendenza alla forma più primitiva, che è propria oggi di tutti i socialisti europei, non rappresentino
un mostruoso ritorno atavico,.e che la razza dei conquistatori dei signori,l’ariana,non sia in procinto
di soccombere anche fisiologicamente?”F. Nietzsche “La Genealogia della Morale” Libro I af.5 (Cfr.
anche Adriano Romualdi” Nietzsche” Europa, Roma, 1971, pag,.181)
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