Lezione 17 - Multiculturalismo in Benhabib

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Facoltà di Sociologia – unimib
a.a. 2008 - 2010
Corso di Laurea in Servizio Sociale
Esame di Filosofia Politica
LEZIONE 17
Il multiculturalismo, o meglio i fenomeni di incontro e scontro fra gruppi culturali diversi e
spesso in opposizione fra loro, è seriamente considerato da Seyla Benhabib. Egli ritiene
che questa sia la sfida più grande che la politica e la filosofia politica devono affrontare. Il
fatto del pluralismo non può più essere eluso e le democrazie liberali devono formulare
nuovi strumenti filosofici per comprendere questa costellazione di culture diverse e spesso
in conflitto fra loro. Le proposte normative della filosofia politica sono state intempestive e
spesso si dimostrano inadeguate finendo per proporre un’oggettivazione forzata delle
identità culturali, che si dimostra inappropriata e limitativa, oppure sottraendo loro dignità
appiattendole su un quadro istituzionale entro una teoria politica normativa incapace di
cogliere le particolari identità. Proprio riguardo alla nozione di identità occorre, per
Behnabib, un nuova formulazione che lungi dal sottrarre dignità alle culture diverse possa
comprenderle nella prassi politica attraverso le caratteristiche e le modalità con le quali
esse decidono di palesarsi e di affermarsi. Mentre il costruttivismo metodologico,
intempestivo e per questo indifferente ai problemi non riesce a proporre soluzioni
percorribili, Benhabib ripensa alla democrazia deliberativa come unico strumento teorico in
grado, applicato nella prassi quotidiana delle democrazie liberali, di ammettere la massima
conflittualità culturale all’interno della sfera pubblica. L’idea di Behnabib è che la
democrazia deliberativa rispecchi da vicino, nella sua particolare pratica democratica, la
natura stessa delle «culture». Se nella democrazia deliberativa determinate azioni di
governo, pratiche governative e interventi normativi da parte delle istituzioni sono
legittimate dal consenso accordato da parte di un nucleo di discussione fra i cittadini, che
prendono sul serio il discorso pubblico su questioni fondamentali del vivere in società e
della giustizia, anche le culture non sono entità discrete. Benhabib le definisce come:
“complesse pratiche umane di significazione e rappresentazione, organizzazione e
attribuzione, frazionate al proprio interno da narrazioni in conflitto”. Le culture non sono
entità statiche né monolitiche; esse variano nel tempo e continuamente subiscono
dall’interno, non soltanto dall’esterno per cause imputabili al mancato o accordato loro
riconoscimento,
un
processo
di
significazione,
dotandosi
di
nuovi
significati
o
recuperandone di latenti. Questo processo è in relazione alla rappresentazione di sé che
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esse posseggono propriamente. Le rappresentazioni mutano continuamente in relazione
alle circostanze con cui vengono in contatto; inoltre tali rappresentazioni non sono mai
univoche. Benhabib fa riferimento a diverse narrazioni di sé che all’interno di una stessa
cultura convivono e si scontrano. Quindi le culture sono l’espressione mutevole di questa
continua ridefinizione di sé, di questo susseguirsi di narrazioni che sfociano in un
assecondarsi di oggettivazioni, ma sempre in una prospettiva che è propriamente dialogica.
Per questo motivo Benhabib crede che la dimensione della democrazia deliberativa possa
essere inclusiva delle diverse identità culturali, che per natura non sono così diverse dallo
schema democratico e dialogico della democrazia deliberativa. La democrazia deliberativa
potrebbe essere la sede appropriata per portare all’esterno questo processo continuo di
narrazione, oggettivazione e auto-rappresentazione delle culture, includendo gli stessi
processi, proposti dalle altre culture, nel dialogo politico. Tale dialogo non deve quindi
essere pensato come un processo interno alle singole culture. Una volta riconosciuta la
sostanziale identità della struttura della democrazia deliberativa con la struttura di autodefinizione delle identità culturali, l’assimilazione e il passaggio da una discussione “privata”
ad un dialogo “pubblico” si renderà possibile senza che le culture implicate debbano
rinunciare a parti della loro identità per entrare nell’arena politica e conseguire il
riconoscimento di attori politici.
Il sistema di ampliamento dell’arena democratica tranite l’inclusione di più culture nel
dibattito pubblico permette che sempre più spesso si passi da fenomeni culturali di
chiusura, motivati dalla difesa e dall’affermazione di sé in opposizione all’altro da sé, a
processi di ibridazione fra culture diverse. In un gioco di ampliamento democratico del
dialogo
politico,
i
cittadini
possono
decidere
se
proporre
nuove
narrazioni
e
rappresentazioni della propria cultura, che subiscono l’influenza del contatto con le altre
presenti sulla scena politica, attraverso processi di intersezione. In tal modo, anche i confini
fra le diverse culture minoritarie e fra culture minoritarie e cultura dominante iniziano ad
offuscarsi, a farsi sempre impalpabili, dando origine ad un processo di integrazione che non
è centrato sul livellamento delle differenze culturali giustificato da principi universalistici di
base, in cui le culture minoritarie devono rinunciare a narrazioni di sé per essere
riconosciute, né la cultura dominante deve concedere privilegi normativi, attualizzati da
interventi specifici, quindi non egualitari, che spesso rafforzano il senso di appartenenza e
l’individualità culturale fingendo soltanto di creare integrazione.
Benhabib confida nel tentativo di conciliare l’universalismo normativo con il pluralismo
culturale, sostenendo le proposte della democrazia deliberativa e ridefinendo il concetto di
“cultura” come entità dinamica, frazionata e in dialogo verso se stessa.
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