La compensazione PREMESSA Chiaro è il ricordo di quando, in età

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La compensazione
PREMESSA
Chiaro è il ricordo di quando, in età adolescenziale, mi dilettavo nella pratica della pesca subacquea in
apnea e sovente dovevo rinunciare all’ambita preda a causa di quel dolore lancinante alle orecchie che,
mio malgrado, mi impediva di proseguire o permanere a maggiori profondità.
Non ero al corrente, come i più che si dilettano ad esplorare i primi metri del mondo marino, circa
l’esistenza ed il significato di termini come “tecnica di compensazione”, “manovra di Valsalva” ed altri che
sicuramente avrebbero, come in seguito è accaduto, modificato il mio approccio all’ambiente acquatico.
Peraltro, ero convinto che si potessero conquistare maggiori profondità semplicemente attraverso un
adattamento fisiologico dell’orecchio, conseguito grazie ad un costante allenamento in acqua ed una
maggiore tolleranza al dolore.
Se da una parte questa convinzione mi ha fatto trascorrere ore ed ore in acqua nel vano tentativo di
superare il mio limite fisiologico, dall’altra mi ha fatto comprendere che non era questo il modo per
raggiungere maggiori profondità.
Potete, quindi, meglio comprendere il mio sommo stupore quando, nel corso di una lezione per diventare
un subacqueo ricreativo, sono venuto a conoscenza circa l’esistenza di tecniche di compensazione,
manovre per mezzo delle quali avrei potuto esplorare, finalmente, le ambite meraviglie del mondo
sommerso.
Avendo compreso l’importanza che tale manovra riveste, iniziamo col definire il termine compensazione:
“raggiungere una stato di equilibrio e quindi, nel caso della subacquea, riequilibrare lo sbilancio pressorio
creatosi tra le cavità corporee (orecchie e seni paranasali) e l’ambiente esterno (acqua)”.
In sostanza, è questo il risultato cui perveniamo nel mettere in pratica le manovre di compensazione più
innanzi descritte.
CENNI DI ANATOMIA
Al fine di rendere meno ostico quanto segue, giova introdurre, in sintesi, alcuni concetti di anatomia
dell’apparato uditivo ed individuare gli ulteriori spazi aerei presenti nel corpo umano.
Iniziamo con lo schematizzare l’orecchio suddividendolo in tre parti, ciascuna delle quali presiede ad una
funzione ben distinta:
Orecchio esterno
Questa parte dell’orecchio ha il compito di catturare e
convogliare, attraverso il canale uditivo, le onde
sonore fino al timpano.
E’ formato da:
- padiglione auricolare;
- canale uditivo esterno: un tubo a fondo cieco che
inizia dal padiglione auricolare e raggiunge la faccia
esterna della membrana timpanica. Attraverso
questo canale, le onde sonore vengono convogliate
all’interno dell’orecchio;
Orecchio medio (cassa del timpano)
E’ formato da:
- membrana timpanica (o timpano):
con un diametro tra i 6 ed i 10 millimetri forma una barriera a tenuta
d’aria che separa l’orecchio esterno da quello medio. Vibra come un
tamburo allorquando viene raggiunta e sollecitata dalle onde sonore;
- tuba o tromba di Eustachio (freccia blu):
un canale lungo da 35 a 45 millimetri con un
diametro medio di circa 3 mm, formato da due
tronchi di cono con le basi rispettivamente verso
l’orecchio (cassa timpanica) e la gola (rinofaringe)
ed uniti per la punta nella parte centrale dove si
verifica una strozzatura (istmo). In condizioni di
riposo, onde evitare l’ascolto dei rumori che
conseguono all’atto della masticazione e della
deglutizione, la tuba è chiusa da una valvola di
apertura (sfintere) posizionata nel rinofaringe (la
parte più profonda del naso). Attraverso questo
canale viene reso possibile un costante ricambio
d’aria nell’orecchio medio, necessario al fine di
garantire il perfetto funzionamento dell’apparato
uditivo. Difatti, spontaneamente, per mezzo del meccanismo della deglutizione, cambiamo l’aria
nell’orecchio medio ogni minuto nelle ore di veglia ed ogni cinque durante il sonno.
L’importanza che questa parte dell’orecchio riveste è da ricondurre, inoltre, all’opportunità di riequilibrare,
attraverso la manovra di compensazione, le pressioni esercitate su entrambe le facce del timpano;
- martello, incudine e staffa:
catena di ossicini che presiedono al compito di amplificare (di circa 180 volte) e trasmettere le vibrazioni
della membrana timpanica all’orecchio interno.
orecchio interno (labirinto)
Riguardo l’orecchio interno occorre fare un’ulteriore
distinzione tra:
- labirinto osseo, complesso sistema di cavità ricavato
nell’osso temporale;
- labirinto membranoso, che occupa il labirinto osseo
e ne è separato da uno spazio perilinfatico riempito di
un liquido detto appunto perilinfa.
Nell’orecchio interno troviamo:
- chiocciola (o coclea):
organo dell’orecchio interno ripieno di liquido
(endolinfa) e sede dei ricettori acustici (organo del
Corti). Le vibrazioni, amplificate dalla catena di ossicini,
vengono trasmesse, attraverso la finestra ovale, al
fluido (endolinfa) che riempie la coclea, generando
onde di pressione. All’interno della chiocciola, la diversa
intensità di pressione esercitata dall’endolinfa viene
quindi codificata da recettori (circa 25.000 cellule ciliari
presenti sulla membrana basilare) in impulsi nervosi e
trasmessi, per il tramite del nervo uditivo, al cervello per
la decodifica,.
- apparato vestibolare
comprende il vestibolo ed i canali vestibolari o
semi-circolari ed è la sede dei recettori statocinetici (equilibrio e senso della posizione).
Come la coclea, è ripieno di fluido (endolinfa)
ed è proprio il diverso movimento di
quest’ultimo all’interno dei tre canali che stimola
i sensibili recettori presenti nelle ampolle
posizionate alla base degli stessi, producendo
l’invio di segnali di equilibrio che, trasmessi al
cervello, vengono quindi tradotti in una
sensazione spaziale tridimensionale.
- finestra ovale, il cui compito è quello di
trasmettere, attraverso la flessione alternata
verso l’interno e l’esterno, le vibrazioni generate
dalla staffa (parte finale della catena di ossicini)
all’endolinfa, generando onde di pressione;
- finestra rotonda, agisce come un
compensatore di pressione flettendosi verso
l’esterno quando la finestra ovale si piega verso
l’interno e viceversa. Senza questa reazione, la
vibrazione non potrebbe essere trasmessa
sotto forma di onda di pressione e quindi non
sarebbe possibile udire.
Ulteriori spazi aerei sono rappresentati dai polmoni e dai “seni paranasali” a loro volta distinti in: frontali,
etmoidali, sfenoidali e mascellari. Questi ultimi hanno il compito di filtrare, umidificare e riscaldare l’aria
respirata.
COSA ACCADE NEGLI SPAZI AEREI
L’orecchio esterno, a meno che non si sia creato un spazio d’aria in conseguenza dell’aderenza del
cappuccio, non richiede compensazione poiché, all’atto dell’immersione, si riempie d’acqua. Tuttavia,
qualora si avvertisse dolore, è sufficiente allontanare il cappuccio permettendo l’ingresso d’acqua
all’interno del condotto uditivo.
L’orecchio interno è immerso in un fluido (perilinfa ed endolinfa) che, in quanto tale, è incomprimibile e
quindi permette a questa frazione dell’apparato uditivo di non risentire degli effetti della pressione.
L’orecchio medio, essendo asciutto e pieno d’aria è l’unico che richiede di essere compensato.
La compensazione dei seni paranasali, a meno che non siano congestionati, avviene automaticamente
attraverso la compensazione dell’orecchio medio.
Infine, per quanto attiene i polmoni, la reazione ai cambiamenti di pressione è diversa a seconda che il
subacqueo si immerga in apnea o con l’autorespiratore.
Immergendosi con l’autorespiratore e fornendo quest’ultimo aria a pressione ambiente, compensiamo ad
ogni atto respiratorio i polmoni, mantenendone invariato il volume. Lo stesso accade durante la risalita,
dove, per effetto della riduzione di pressione, l’aria si espande e viene liberata attraverso la fase di
espirazione. Da questo, l’importanza di non trattenere mai il respiro.
Diversamente, quando ci si immerge in apnea, i polmoni possono tollerare, grazie alle proprietà elastiche
degli alveoli, una sensibile riduzione del proprio volume oltre la quale, entra in gioco un processo
fisiologico denominato “Blood Shift”.
Attraverso questo meccanismo, viene contrastata un ulteriore riduzione del volume polmonare al di sotto
del proprio volume residuo e quindi il collasso, richiamando sangue nei capillari polmonari nonché, nei casi
più estremi, forzando fluidi all’interno dei polmoni.
Cosa avviene nel momento in cui iniziamo la nostra discesa verso il
fondo?
Fin dai primi metri, l’aumento di pressione cui siamo sottoposti esercita una
spinta sulla faccia esterna del timpano, provocandone una flessione verso
l’interno (introflessione). Contestualmente, al fine di compensare
automaticamente la riduzione di volume dello spazio aereo, le pareti delle
trombe di Eustachio tendono ad avvicinarsi. Il dolore lancinante che
avvertiamo, in caso di errata o mancata compensazione, è associato alla
flessione, oltre i limiti tollerati, della membrana timpanica.
Quindi, al fine di ristabilire e mantenere il volume originario dell’orecchio
medio e riportare in una posizione naturale di riposo la membrana timpanica,
eseguiamo la manovra di compensazione per mezzo della quale forziamo aria
attraverso le tube di Eustachio in modo da riequilibrare la pressione interna
con la pressione ambiente.
Giova evidenziare che, un ritardo o l’omessa compensazione, oltre ad
acuire la sensazione di dolore e ad accentuare il rischio di rottura del timpano,
rende sempre più difficoltosa qualunque manovra idonea a ristabilire i volumi
e l’equilibrio tra la pressioni esercitate, per effetto di un avvicinamento, fino
all’incollamento, delle pareti che rivestono le tube.
Tuttavia, non sempre, la difficoltà nella compensazione è da individuare in un
ritardo nella procedura, bensì, può discernere dalla presenza di muco, quale conseguenza di malattie da
raffreddamento in atto o pregresse, che va ad ostruire o a limitare l’ampiezza del canale (tuba di
Eustachio) attraverso il quale forziamo aria all’interno dell’orecchio medio.
TECNICHE DI COMPENSAZIONE
Arricchiti delle sintetiche nozioni in ordine all’anatomia ed al funzionamento dell’apparato uditivo, nonché,
agli adattamenti fisiologici che intervengono all’atto dell’immersione, possiamo procedere nel processo di
familiarizzazione in ordine alle diverse manovre di compensazione.
Innanzi tutto, occorre distinguere le tecniche di compensazione sulla base dei meccanismi che
intervengono nell’apertura della valvola che delimita l’accesso alla tuba.
Quindi, l’apertura può essere conseguita attraverso:
la trazione esercitata sulle pareti delle tube dai muscoli della mandibola e della lingua (MANOVRA DI
STIRAMENTO);
oppure
l’aumento di pressione dell’aria nel rinofaringe (MANOVRA DI IPERPRESSIONE).
MANOVRE DI STIRAMENTO (a naso aperto)
- Movimento della mandibola:
Viene effettuata abbassando e spostando lateralmente la mandibola. E’ caratterizzata da una notevole
facilità di esecuzione, non richiede la chiusura delle narici con le dita e necessità di un minimo sforzo
muscolare. Tuttavia, risulta poco efficace, soprattutto nel corso di discese rapide. Può essere associato
alla manovra di Valsala.
- Deglutizione
Viene effettuata deglutendo un po’ di saliva o d’acqua. Come la precedente, richiede un minimo sforzo
muscolare e non necessita della chiusura delle narici. Di scarsa efficacia, soprattutto se sono richieste
frequenti manovre di compensazione.
Se si associa l’atto della deglutizione alla chiusura delle narici con le dita eseguiamo la manovra di
Toynbee,. Questo sistema permette una compensazione più delicata rispetto alle manovre di
iperpressione in quanto, come le precedenti, l’apertura della valvola che delimita l’accesso alle tube non
viene ottenuto grazie alla spinta esercitata dall’aria espirata o compressa.
Difatti, l'apertura dell'orifizio inferiore delle tube di Eustachio è garantita dal movimento dei muscoli che
agiscono nell’atto della deglutizione.
MANOVRE DI IPERPRESSIONE (a naso chiuso)
- Valsalva
In primis troviamo la classica tecnica di compensazione di Valsalva, (dal nome dell'anatomista Antonio
Valsalva che la utilizzava per curare l'otite purulenta). Si ottiene tenendo chiusi, contestualmente, naso e
bocca ed espirando con forza fino a forzare l’apertura della valvola che separa la tuba di Eustachio dalla
gola. In questo modo l'aria viene sospinta, attraverso le tube di Eustachio, nell'orecchio medio dove
equilibrerà le pressioni esercitate rispettivamente sulla faccia interna ed esterna del timpano. Si
contraddistingue per la facilità di esecuzione anche in situazioni in cui è richiesta una compensazione
continua. Nonostante la notevole efficacia, richiede maggiore sforzo muscolare rispetto alle manovre di
stiramento ed implica un certo grado di pericolosità associato al sensibile incremento della pressione
endotoracica.
Difatti, l’esecuzione prolungata e particolarmente forzata di tale procedura, potrebbe comportare la rottura
della finestra rotonda in conseguenza di un innalzamento dei valori pressori del liquido cerebrospinale,
nonché, in soggetti affetti da Pervietà del Forame Ovale, problemi a livello cerebrale.
Quindi, è fortemente sconsigliato forzare la manovra di Valsava.
Inoltre, soffiare con forza non facilità la compensazione, in quanto, l’eccesso di pressione nella gola crea
un depressione (effetto venturi) sulla valvola di apertura della tuba, forzandola in chiusura.
Più forte si soffia, più si soffre.
- Manovra di Marcante - Odaglia
Molto meno traumatica, e più efficace se correttamente eseguita, è la Manovra di Marcante - Odaglia,
nota nel mondo come Manovra di Frenzel.
Tale tecnica si esegue a naso chiuso e spingendo con forza la punta della lingua contro l’arcata dentaria
inferiore. In questo modo l'aria presente nel rinofaringe viene compressa e spinta al punto da forzare
l’apertura della valvola ed accedere all’interno delle tube di Eustachio.
Quest'ultima tecnica, sebbene sia preferibile rispetto alla precedente, non è sempre di facile attuazione,
soprattutto in presenza di leggeri stati di congestione ed in relazione alle diverse fisionomie individuali.
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