La presentazione ufficiale la nuova edizione del Festival del Diritto

La presentazione ufficiale la nuova edizione del Festival del Diritto si è tenuta Venerdì 23
Settembre nella maestosa cornice della sala dei Teatini, con i saluti ufficiali del sindaco Dosi e
dell’editore Giuseppe Laterza. Era invece assente il direttore del festival Stefano Rodotà che in
un video ha illustrato le motivazioni della scelta del tema di quest’anno.
Interrogarsi e costruire discorsi, questo lo scopo della kermesse proprio perché si tratta
sempre di tematiche che interferiscono non solo con la vita privata ma anche con quella della
comunità.
“La dignità –dice Rodotà- permette di costruire l’identità senza queste due non c’è la
possibilità di vivere in libertà”; si assiste oggi alla nascita di nuove schiavitù nell’ambito della
giustizia, nel lavoro, nel potere economico, che privando di libertà ledono la dignità umana. Il
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel messaggio inaugurale definisce la dignità
come “il fondamento antropologico e culturale dello stato costituzionale, democratico,
sociale”, facendo riferimento alla costituzione che nasce proprio intorno alla centralità della
persona per permetterne lo sviluppo integrale della personalità.
In una breve interruzione, Alberto Esse di USB ha ripresentato la richiesta di dedicare questa
edizione a Abd Elsalam, l’operaio ucciso qualche settimana fa, in quanto stava manifestando
proprio in difesa del principio di dignità, non solo dei lavoratori.
Ha preso poi parola lo storico della filosofia Tullio Gregory che subito ha introdotto il
manifesto letterario dell’ umanesimo storico “Oratio de hominis dignitate” di Pico della
Mirandola. Grande miracolo è l’uomo, scrive Pico, che definisce in modo nuovo l’umanità,
prendendo ispirazione dal “Corpus hermeticum” di scritti platonici tradotti da Marsilio Ficino
nel 1463. Nella parte intitolata “Asclepio” si legge che per l’Uomo tutto è possibile, fino a
conquistare un posto tra gli dèi, esso infatti è collocato in una posizione incerta, fuori dalla
scala dell’essere, è privo di uno statuto ontologico. La tradizione neoplatonica attinge inoltre
alla prospettiva religiosa che vede assegnata all’essere umano una prerogativa specifica che è
proprio quella che vorrà raggiungere lui stesso: né angelo né bestia, né terrestre né celeste ma
ciò in cui si plasmerà. Si tratta quindi di una nuova dignitas che l’Uomo acquista percorrendo
in verticale la scala dell’essere, dal fondo della terra al sommo del cielo al cui vertice sta Dio,
sempre e solo in relazione a quello che fa, è padrone della sua condizione.
<< In un mondo ontologicamente chiuso, l’Uomo, ontologicamente diviso, trova il suo essere
nell’ esercizio delle sue facoltà più nobili>> esplicitate nella libertà di pensiero. Nel suo
compimento il corpo si unisce all’unica Mente e si fonde in uno solo, identificando il logos
filosofico (Λογος) con Cristo, la dignità umana è collocata vicino a quella divina.
Cento anni dopo, Montaigne si fa portatore di una sensibilità radicalmente mutata e il filosofo
francese nei suoi “Essais” descrive quello che ormai è l’ homme du monde. Le nuove
prospettive non sono l’essere ma il mutevole apparire, non la verità ma il dubbio.
Il quadro politico e culturale è cambiato: imperversano le persecuzioni, guerre di religione,
roghi in nome di un qualche cielo; la scoperta del nuovo continente mette in crisi la
tradizionale divisione tra civiltà e barbarie. Proprio sul concetto di barbarie Gregory si è
soffermato, specificando che si tratta di concetto relativo agli usi e costumi del paese natale, e
in un certo senso è così anche per l’animalità: nessuno può dire che l’Uomo è superiore agli
animali. <<Ci si avvicina progressivamente al rifiuto dell’antropocentrismo, tutti gli esseri
sono equamente chiusi nell’ incessabile circolo di vita e morte, nulla è permanente, andiamo
scorrendo e rotolando>>. Tutto è legato ai vincoli del fato. L’Uomo del ‘500 entra in crisi
perché non riesce a superare i propri limiti.
E allora come rivendicare la dignità umana? In un luogo chiamato solitudine dove si può
riflettere e vivere lontano da imposizioni sociali o di servilismo, ma si tratta della
realizzazione dell’identità individuale, del suo valore mondano e della sua affermazione come
giudice morale.
Tullio Gregory ha chiuso il suo intervento ricordandoci però che bisogna continuare a
cercare la unicità e la diversità in quanto dicotomia del mondo.
Nausicaa Fermi
L’Acuto, Liceo Gioia