Carcinoma della Prostata: Cos`è utile sapere

Carcinoma della Prostata: Cos’è utile sapere:
Cos’è la prostata:
La prostata è una ghiandola presente solo negli uomini, posizionata di fronte al retto
(loggia prostatica) e che produce una parte del liquido seminale rilasciato durante
l'eiaculazione. In condizioni normali, ha le dimensioni di una noce, ma con
l’invecchiamento o a causa di alcune patologie (ipertrofia prostatica benigna) può
ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo urinario.
Questa ghiandola è molto sensibile all'azione degli ormoni, in particolare di quelli maschili,
come il testosterone, che ne influenzano la crescita.
Il tumore della prostata ha origine proprio dalle cellule presenti all'interno della ghiandola
che cominciano a crescere in maniera incontrollata.
Epidemiologia:
La maggior parte dei Registri Tumori rileva un aumento dell’incidenza del cancro della
prostata, che attualmente, in molti Paesi occidentali, rappresenta il tumore più frequente
nel sesso maschile.
In Italia il carcinoma della prostata è attualmente la neoplasia più
frequente (oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati nei maschi ) a partire dai 50 anni di età.
Nel 2014 erano attesi circa 36.000 nuovi casi. L’incidenza del carcinoma prostatico ha
mostrato negli ultimi decenni una costante tendenza all’aumento, particolarmente intorno
agli anni 2000, in concomitanza con la maggiore diffusione del test del PSA quale
strumento per lo screening opportunistico. A partire dal 2003 il trend di incidenza si è
moderatamente attenuato, specie tra i 50 e i 60 anni. Il rischio che la malattia abbia un
esito nefasto non è particolarmente elevato, soprattutto se viene diagnostico in tempo e
quindi curato adeguatamente.
Cause:
Non vi è dubbio che la causa del carcinoma prostatico sia multifattoriale e sia il risultato di
una complessa interazione di fattori genetici (responsabili della familiarità e della diversa
incidenza nelle razze umane) ed ambientali (fattori dietetici, cancerogeni presenti
nell’ambiente). Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l'età:
le possibilità di ammalarsi sono molto scarse prima dei 40 anni, ma aumentano
sensibilmente dopo i 50 anni e oltre il 60% dei due tumori vengono diagnosticati in
persone con più di 65 anni. I ricercatori hanno dimostrato che moltissimi (tra il 70%
e il 90%) uomini oltre gli 80 anni hanno un tumore della prostata, anche se nella
maggior parte dei casi la malattia è silente e ci si accorge della sua presenza solo
in caso di autopsia dopo la morte.
Fattori di rischio più importanti:
1) Età (età > 50 anni).
2) Razza (la razza nera è più a rischio per i più elevati livelli circolanti di androgeni, di
DHT e di 5-alfa reduttasi).
3) Fattori ormonali (elevati livelli circolanti di testosterone e di IGF-1).
4) Storia familiare di tumore della prostata (quando si parla di tumore della prostata un
fattore non trascurabile è senza dubbio la familiarità, infatti il rischio di ammalarsi è pari al
doppio per chi ha un parente consanguineo: padre, fratello, affetto da tumore prostatico
rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia).
5) Stile di vita: dieta (eccessivo apporto calorico e di grassi).
6) Anche la presenza di mutazioni di alcuni geni come il BRAC1, BRCA2 e HPC1, può
aumentare il rischio di sviluppare un cancro alla prostata.
Importanza dello screening e della diagnosi precoce:
Poiché non è prevedibile, almeno a breve termine, ottenere una riduzione dell’incidenza
(numero di nuovi casi) della malattia attraverso la prevenzione primaria, non vi è dubbio
che la prevenzione secondaria (screening) rimanga, in teoria, lo strumento più adeguato
per influire sulla storia naturale della malattia e ridurne la mortalità. Il mezzo più
appropriato in questo setting è quindi lo screening, in particolare lo screening di
popolazione; il test di screening che appare potenzialmente più confacente allo scopo, per
considerazioni complessive di costi, convenienza e accuratezza diagnostica, è il dosaggio
periodico del PSA. E’ buona regola comunque rivolgersi al proprio medico ed
eventualmente sottoporsi ogni anno a una viista urologica, soprattutto se si ha familiarità
per la malattia o se sono presenti fastidi urinari.
Diagnosi:
Il numero delle nuove diagnosi di tumore della prostata è aumentato progressivamente da
quando, negli anni Novanta, l'esame per la determinazione del PSA è stato approvato
dalla Food and Drug Administration (FDA) americana. Sul suo reale valore ai fini della
diagnosi di un tumore, però, il dibattito è ancora aperto in quanto molto spesso i valori
sono alterati per la presenza di una iperplasia prostatica benigna o di una infezione. Per
questa ragione negli ultimi anni si tende a considerare più importante, dal punto di vista
diagnostico, l'andamento del PSA nel tempo piuttosto che una singola misurazione
elevata. I sintomi urinari tipici del tumore della prostata compaiono solo nelle fasi più
avanzate della malattia e comunque possono indicare anche la presenza di problemi
diversi dal tumore. È quindi molto importante che la diagnosi venga effettuata da un
medico specialista (urologo solitamente) che prenda in considerazione diversi fattori prima
di decidere come procedere. Nella valutazione dello stato della prostata, lo specialista può
decidere di eseguire il test del PSA e l'esplorazione rettale, e che permette a volte di
identificare al tatto la presenza di eventuali noduli, sospetti, a livello della prostata. Se
questo esame fa sorgere il sospetto di tumore, si procede in genere con una biopsia della
prostata su guida ecografica. L'unico esame in grado di identificare con certezza la
presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico è la biopsia eseguita in anestesia locale,
che dura pochi minuti e viene fatta in regime di day hospital. Grazie alla guida della sonda
ecografica inserita nel retto vengono effettuati, con un ago speciale, almeno 12 prelievi per
via trans-rettale o per via trans-perineale (la regione compresa tra retto e scroto) che
vengono poi analizzati dall’anatomo patologo per la ricerca di eventuali cellule tumorali. In
taluni casi l’anatomo patologo può effettuare delle indagini di immunoistochimica. Il referto
anatomopatologico delle agobiopsie prostatiche deve riportare le seguenti informazioni:
sede e distribuzione della neoplasia, istopatologia della neoplasia, Gleason score, volume
tumorale, invasione locale, invasione perineurale, invasione vascolare/linfatica. Il patologo
che analizza il tessuto prelevato con la biopsia assegna al tumore il cosiddetto grado di
Gleason, cioè un numero compreso tra 1 e 5 che indica quanto l'aspetto delle ghiandole
tumorali sia simile o diverso da quello delle ghiandole normali: più simili sono, più basso
sarà il grado di Gleason. I tumori con grado di Gleason minore o uguale a 6 sono
considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio, mentre quelli tra 8 e 10 di
alto grado. Questi ultimi hanno un maggior rischio di progredire e diffondersi in altri
organi.
Evoluzione e Stadiazione:
Il tumore della prostata viene classificato in base al grado, che indica l'aggressività
biologica della malattia, e allo stadio, che indica invece lo stato della malattia (localizzata,
localmente avanzata e metastatica).
A seconda della fase in cui è la malattia si procede anche a effettuare esami di stadiazione
come TC (tomografia computerizzata), RMN (risonanza magnetica).
Per verificare la presenza di eventuali metastasi ossee si utilizza spesso la scintigrafia
ossea e più recentemente è stata introdotta nella pratica clinica quotidiana la Pet-tc (ccolina o f-colina), in grado di darci delle informazioni metaboliche (vitalità del tumore) sulla
malattia. La PET/CT è una tecnica di imaging ibrido (anatomico e funzionale) che riveste
un ruolo di grande importanza nella stadiazione, nella valutazione della risposta alla
terapia e nell’identificazione della recidiva in un gran numero di neoplasie. Molto
promettente è, in tale senso, la PET-CT con 11C-Colina o 11C-Acetato, che in alcuni studi
ha dimostrato una sensibilità elevata nel rilevare recidive locali e sistemiche da carcinoma
prostatico in pazienti già sottoposti a trattamento locale con intento radicale. Tuttavia,
questi risultati sembrano raggiungibili solo nei pazienti i cui livelli di PSA sierico siano ≥2
ng/dL. Nonostante queste evidenze, la PET/CT con 11C- Colina o 11C-Acetato non si è
ancora imposta come standard nel processo diagnostico e di stadiazione di questi pazienti
e pertanto non rientra ancora nelle linee guida dell’European Association of Nuclear
Medicine, né in quelle della Society of Nuclear Medicine.
Il patologo che analizza il tessuto prelevato con la biopsia assegna al tumore il cosiddetto
grado di Gleason, cioè un numero compreso tra 1 e 5 che indica quanto l'aspetto delle
ghiandole tumorali sia simile o diverso da quello delle ghiandole normali: più simili sono,
più basso sarà il grado di Gleason. I tumori con grado di Gleason minore o uguale a 6
sono considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio, mentre quelli tra 8 e
10 di alto grado. Questi ultimi hanno un maggior rischio di progredire e diffondersi in altri
organi.
Per definire invece lo stadio del tumore si utilizza in genere il sistema TMN (T =tumore),
dove N indica lo stato dei linfonodi (N: 0 se non intaccati, 1 se intaccati) e M la presenza di
metastasi (M: 0 se assenti, 1 se presenti). Per una caratterizzazione completa dello stadio
della malattia a questi tre parametri si associano anche il grado di Gleason e il livello di
PSA.
La correlazione di questi parametri (T, Gleason, PSA) consente di attribuire alla malattia
tre diverse classi di rischio: basso, intermedio e alto rischio. In genere nel caso di un
basso rischio (cioè di una malattia che difficilmente si diffonderà e darà luogo a metastasi)
si può anche decidere di non procedere alla rimozione chirurgica della ghiandola ma di
limitarsi a monitorare l'evoluzione del disturbo (strategia del watchful waiting).
Le cure:
Il tipo di cura dipende chiaramente dallo stadio della malattia e dagli obiettivi terapeutici
prefissati. Non bisogna, infatti, trascurare il fatto che una porzione non esigua (circa il
40%) dei pazienti cui viene diagnosticata una neoplasia prostatica è destinata a morire
“con” e non “per” il proprio tumore e che questa porzione comprende anche pazienti con
malattia localmente avanzata o metastatica. Nei pazienti con malattia apparentemente
confinata alla prostata, l’obiettivo del trattamento è la guarigione, anche se vale tutt’oggi
per questi pazienti l’assioma che non tutti i pazienti con malattia localizzata in realtà
necessitano di un trattamento curativo e che, per contro, la guarigione è un obiettivo
realistico solo per una porzione di questi pazienti.
Per quanto riguarda tutti gli altri pazienti e in particolare quelli con malattia
apparentemente intraprostatica e pertanto candidabili a terapie locoregionali con fini di
radicalità oncologica (asportazione completa della malattia), bisogna ricordare che ancora
oggi la scelta terapeutica non può basarsi solo sui risultati di studi prospettici controllati e
che, pertanto, la scelta delle diverse opzioni terapeutiche (prostatectomia radicale,
radioterapia con fasci esterni, brachiterapia) deve basarsi fondamentalmente sulle
preferenze del paziente (considerando anche le diverse sequele legate ai singoli
trattamenti) e sulle caratteristiche e competenze dello staff medico che offre/propone il
trattamento.
È implicito, da quanto, che i pazienti con malattia extraprostatica (malattia localmente
avanzata) possono aspirare in misura ridotta alla guarigione.
Nei pazienti con malattia metastatica la palliazione rimane l’obiettivo più concretamente
perseguibile, soprattutto nei pazienti sintomatici. In questi pazienti esistono attualmente
varie opzioni di terapia ormonale e chemioterapia che, unitamente alle più recenti forme di
terapia radiometabolica (alfa emittenti) e alle terapie bone-targeted (dirette sull’osso) ,
possono impattare significativamente sia sulla loro qualità di vita che sulla loro speranza di
vita.
Oggi sono disponibili molti tipi di terapie per il tumore della prostata ciascuno dei quali
presenta benefici ed effetti collaterali specifici. Solo un'attenta analisi delle caratteristiche
del paziente (età, aspettativa di vita, comorbidità) e della malattia (basso, intermedio o alto
rischio) permetterà al medico di consigliare la strategia terapeutica più adatta e
personalizzata e di concordare la terapia con il paziente.
In alcuni casi, soprattutto per pazienti anziani o con gravi comorbidità, o nel caso di tumori
di piccole dimensioni e con basso rischio (micro focolaio in biopsia), si può scegliere di
non attuare nessun tipo di terapia e "aspettare": è quello che gli anglosassoni chiamano
watchful waiting, ("vigile attesa") che non prevede trattamenti, ma solo controlli periodici
e frequenti (PSA, esplorazione digito-rettale, biopsia) che permettono di controllare
l'evoluzione della malattia e verificarne eventuali evoluzioni in senso peggiorativo e che
potrebbero richiedere un cambio di strategia terapeutica.
Quando si parla di terapia attiva, invece, la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale.
La prostatectomia radicale - la rimozione dell'intera ghiandola prostatica e dei linfonodi
della regione vicina al tumore - viene considerata un intervento curativo, se la malattia
risulta confinata nella prostata. Grazie ai notevoli miglioramenti nelle tecniche e tecnologie
chirurgiche, oggi l'intervento di rimozione della prostata può essere effettuato in modo
classico (prostatectomia radicale retro pubica aperta), per via laparoscopica, o attraverso
la laparoscopia robot-assistita.
Nel nostro Paese i robot adatti a praticare l'intervento sono sempre più diffusi su tutto il
territorio nazionale, anche se studi recenti hanno dimostrato che gli esiti dell'intervento
robotico e di quello classico si equivalgono nel tempo: non c'è quindi una reale indicazione
a eseguire l'intervento tramite robot. Per i tumori localmente avanzati, l’approccio
chirurgico da solo non riesce a curare la malattia e vi è quindi la necessità di associare
trattamenti neo adiuvanti (cioè in grado di ridurre il tumore) come la radioterapia o la
terapia ormonale.
Per la cura del cancro prostatico, nei trattamenti considerati standard, è stato dimostrato
che anche la radioterapia a fasci esterni è efficace nei tumori di basso rischio, con risultati
simili a quelli della prostatectomia radicale.
Un'altra tecnica radioterapica che sembra offrire risultati simili alle precedenti nelle malattie
di basso rischio è la brachiterapia, che consiste nell'inserire nella prostata piccoli "semi"
che rilasciano radiazioni. Quando il tumore della prostata si trova in stadio metastatico
(presenza di malattia a distanza), a differenza di quanto accade in altri tumori, la
chemioterapia non è il trattamento di prima scelta e si preferisce invece la terapia
ormonale (così detto BAC e cioè blocco androgenico completo). Questa ha lo scopo
di ridurre il livello di testosterone - ormone maschile che stimola la crescita delle cellule del
tumore della prostata - ma porta con sé possibili effetti collaterali come calo o
annullamento del desiderio sessuale (sempre presente), impotenza, vampate di calore,
aumento di peso, ginecomastia, osteoporosi (dopo lunghi periodi di trattamento), perdita di
massa muscolare, stanchezza e dislipidemie.
Fra le terapie locali ancora in via di valutazione vi sono la crioterapia (eliminazione delle
cellule tumorali con il freddo) e HIFU (high intensity focus ultrasound – ultrasuoni ad alta
frequenza focalizzati sul tumore e in grado di “distruggere” la malattia). Sono inoltre in fase
di sperimentazione, in alcuni casi già molto avanzata, anche i vaccini che spingono il
sistema immunitario a reagire contro il tumore e a distruggerlo, e i farmaci antiangiogenici che bloccano la formazione di nuovi vasi sanguigni impedendo al cancro di
ricevere il nutrimento necessario per evolvere e svilupparsi ulteriormente.
Suggerimenti per il PSA:
1) nello screening: ancora dibattuto il ruolo del PSA nelle indagini di screening.
Esiste la così detta “zona grigia”, cioè un valore sospetto/dubbio ma non talmente
alto da essere compatibile con presenza di malattia tumorale (prostatiti acute,
ipertrofia prostatica benigna, infezioni ricorrenti). In alcuni istotipi tumorali
particolarmente aggressivi (Gleason elevato/forme scarsamente differenziate) il
PSA potrebbe essere non significativo.
2) dopo prostatectomia radicale: Dopo chirurgia radicale (completa asportazione
della ghiandola prostatica e del tumore), il PSA misurato con metodi standard deve
scendere a valori non dosabili (<0,2). L’emivita del PSA (circa 3 giorni) suggerisce
che una valutazione della radicalità dell’atto chirurgico sia già possibile a 30 giorni
dall’intervento, anche se un periodo di 6-8 settimane è probabilmente piú congruo.
Il minimo livello di PSA misurabile dipende dal metodo di misura e dal criterio
decisionale adottato. Livello, metodo analitico e criterio, dovrebbero essere riportati
nel referto del PSA. Qualora si riscontrino livelli dosabili/elevati di PSA dopo
prostatectomia radicale, è raccomandabile considerare le variazioni nel tempo del
biomarcatore in prelievi seriati; se livelli minimi dosabili rimangono stabili, è
possibile che non si tratti di malattia residua, ma di un rilascio da parte di tessuto
prostatico residuo o di tessuti extraprostatici. Per contro, se i livelli mostrano una
tendenza verso l’incremento bisogna sospettare la presenza di malattia residua. E’
comunque necessario un livello di PSA >0,2/>0,4 ng/ml confermato a un
successivo prelievo eseguito a 4 settimane dal precedente controllo per definire la
ripresa biochimica di malattia. Il monitoraggio nel tempo può aiutare a discriminare
fra incrementi spuri (falsi positivi/fattori confondent) e incrementi legati alla ripresa
di malattia. L’analisi dei dati seriati ed il calcolo del tempo di raddoppiamento è un
criterio che permette di prevedere con ragionevole probabilità il rischio di ricaduta
clinica
3) dopo trattamento radioterapico con intento curativo: Il dosaggio del PSA dopo
la radioterapia ha un ruolo meno definito che dopo la chirurgia, in quanto il tessuto
prostatico, neoplastico e non, rimane in sede durante e dopo il trattamento
radioterapico. Le variazioni del PSA sono quindi legate allo stato di vitalità e di
funzionalità del tessuto irradiato. Tuttavia, dai risultati riportati in letteratura si
possono trarre le seguenti indicazioni:
a) Il raggiungimento al nadir di un valore di PSA < 1.0 ng/ml riflette la “radicalità”
del trattamento ed è associato ad una prognosi migliore;
b) La riduzione dei livelli di PSA richiede un tempo piuttosto lungo: infatti, il nadir
deve essere atteso tra 6 e 12 mesi dalla fine della terapia. Un tempo prolungato
di raggiungimento del nadir è di solito caratteristico delle neoplasie più
differenziate ed è un indice prognostico favorevole.
4) in corso di trattamento ormonale: Numerose studi sperimentali indicano che la
deprivazione androgenica può inibire il PSA in modo indipendente rispetto al blocco
della crescita cellulare. Queste informazioni hanno un’influenza non critica
sull’utilizzo clinico del PSA come marcatore.
Infatti, il PSA rimane un ottimo
indicatore di risposta alla terapia (risposta completa, risposta parziale, stabilità o
progressione. Pur non essendo disponibili ancora algoritmi d’interpretazione
standardizzati, si può concordare sui seguenti punti:
a) Se il PSA raggiunge valori prossimi allo zero, la durata della risposta è
maggiore (fattore prognostico favorevole);
b) La rapidità della riduzione dei valori di PSA è un indice prognostico
favorevole;
c) La progressione è altamente improbabile finché il PSA rimane ai valori di
nadir raggiunti con la terapia;
d) Nei pazienti con PSA stabilmente ai livelli di nadir la scintigrafia ossea e gli
altri esami strumentali (inclusa PET-TC colina) sono superflui (essendo molto poco
probabile, anche se non impossibile, che la progressione di malattia avvenga senza
un concomitante rialzo anche del PSA, possono fare eccezione le forme di alto
grado).
5) in corso di chemioterapia: l’utilizzo del PSA come indice di risposta al trattamento
deve essere sempre considerato con molta attenzione: sono infatti note oscillazioni
del marcatore in corso di trattamento indipendenti dall’evoluzione della malattia, ma
correlate all’effetto dei farmaci citotossici stessi sulla produzione del PSA.
Fenomeno interessante è il così detto “PSA surge syndrome” e che potrebbe
generare dubbi nella gestione clinico-terapeutica del paziente.
Conclusioni:
Non esistendo una prevenzione primaria specifica per il tumore della prostata anche se
sono note alcune utili regole comportamentali che possono essere incluse nella vita di tutti
i giorni: aumentare il consumo di frutta, verdura e cereali integrali e ridurre quello di
carne rossa, soprattutto se grassa o troppo cotta, e di cibi ricchi di grassi insaturi.
È buona regola inoltre mantenere il proprio peso nella norma e mantenersi in forma
facendo ogni giorno attività fisica - senza esagerare, è sufficiente mezz'ora al giorno,
anche solo una camminata.
La prevenzione secondaria consiste nel rivolgersi al medico ed eventualmente nel
sottoporsi ogni anno a una visita urologica, se si ha familiarità per la malattia o se sono
presenti fastidi urinari. In ogni caso eseguire un controllo urologico, dopo i 50 anni e nei
soggetti non a rischio è raccomandabile.
Dott. Massimiliano Berretta; [email protected]