ADHD: disturbo da deficit attenzione/iperattività

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Anno accademico 2008/2009
Corso di Laurea Magistrale in Psicologia
(classe LM-51)
Curriculum in Psicologia dello Sviluppo e dell'Educazione
(LM-SV)
Insegnamento “Psicobiologia dello sviluppo”
Prof. ssa N.Berardi
- ADHD: disturbo da deficit attenzione/iperattivitàCarolina Dal Maso matricola n°4818405
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INDICE
1. Introduzione
2. Presentazione di due articoli
3. Bibliografia
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INTRODUZIONE
Circa il 4% della popolazione pediatrica è affetta dalla "Sindrome da deficit di attenzione e
iperattività"
Le diagnosi di DDAI sono in costante aumento presso i centri psicologici di tutta Europa, non a
causa di una maggiore percentuale di casi che presentano tale problematica, ma per un più
facile riconoscimento del disturbo da parte dei clinici. Sono state individuate 3 cause che
hanno determinato tali cambiamenti: 1) il riconoscimento dell’ereditariet{ del disturbo; 2)
l’individuazione
di specifiche aree cerebrali coinvolte nella genesi del DDAI; 3) l’elevato rischio di disturbi
psicologici in soggetti adulti diagnosticati con DDAI in età infantile.
Uno dei maggiori problemi della psicologia clinica è l’identificazione di un disturbo specifico,
in quanto il livello di iperattività, impulsività e disattenzione sono normalmente distribuiti
nella popolazione, e non sono associati uniformemente nella stessa persona. Oltre a ciò, i casi
diagnosticati con DDAI presentano una notevole variabilità, ed è probabile che sotto la stessa
etichetta diagnostica si ritrovino casi con caratteristiche cognitive e comportamentali molto
diverse tra di loro. Sicuramente, i progressi della neurobiologia ci aiuteranno a capire
qualcosa di più del DDAI e dei suoi sottotipi.
Le 3 caratteristiche distintive del DDAI sono le difficolt{ attentive, l’impulsivit{ e l’iperattivit{.
Da diversi anni, i ricercatori che si occupano di ADHD hanno iniziato a metterne in luce sintomi
e cause e hanno trovato che il disturbo può avere una causa genetica. Attualmente, le teorie
in proposito sono molto diverse da quelle che andavano per la maggiore anche solo pochi
anni fa. I ricercatori stanno chiarendo che l’ADHD non è un disturbo dell’attenzione in sé come si era a lungo ritenuto - ma nasce da un difetto evolutivo nei circuiti cerebrali che stanno
alla base dell’inibizione e dell’autocontrollo. A sua volta, questa mancanza di autocontrollo
pregiudica altre importanti funzioni cerebrali necessarie per il mantenimento dell’attenzione,
tra cui la capacità di posticipare le gratificazioni immediate in vista di un successivo e
maggiore vantaggio.
I bambini affetti da ADHD, pertanto, non riescono a controllare le loro risposte all’ambiente.
Ebbene, questa mancanza di controllo rende i bambini ADHD:
disattenti, iperattivi e impulsivi.
I sintomi centrali dell’ADHD, quindi, sono essenzialmente caratterizzati da un marcato livello
di disattenzione e una serie di comportamenti -secondari- che denotano iperattività e
impulsività.
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La prevalenza dell’ADHD varia molto, secondo gli strumenti utilizzati e le realtà socioantropologiche in cui viene studiata. I soggetti colpiti comunque sono numerosissimi in tutto
il mondo. Ovunque adeguatamente ricercato il disturbo in età scolastica mostra una
prevalenza intorno al 4%. L’ADHD è stato identificato dai ricercatori in tutte le nazioni e in
tutte le culture studiate. Il disturbo è maggiormente rappresentato nel sesso maschile
secondo un rapporto che va da 3 a 9 maschi ogni femmina, a seconda delle ricerche, forse
perché i maschi, secondo Barkley, sono geneticamente più soggetti alle malattie del sistema
nervoso. Va rilevato che gli strumenti di screening utilizzati per un primo orientamento
diagnostico (DSM-III-R e DSM-IV) sovrastimano il problema, perché lo confondono con il
capitolo più ampio dei disturbi di condotta. Nella stima estrema, la prevalenza si ridurrebbe
dal 18 al 3.9 %, dopo la valutazione con modelli diagnostici di secondo livello
Per poter aiutare i bambini (e gli adulti) colpiti da ADHD, gli psichiatri e gli psicologi devono
capire meglio le cause del disturbo. Negli ultimi dieci anni, alcuni studi fondati sulle moderne
tecniche di elaborazione di immagini hanno indicato quali potrebbero essere le regioni
cerebrali il cui cattivo funzionamento spiegherebbe i sintomi dell’ADHD. Stando a questi
lavori, sembrerebbero coinvolti la corteccia pre-frontale, parte del cervelletto e almeno due
gangli della base, ammassi di cellule nervose situati nelle profondità del cervello.
In uno studio del 1996, Castellanos e Rapoport e i loro colleghi del National Institute of Mental
Health, hanno scoperto che la corteccia pre-frontale destra e due gangli basali, il nucleo
caudato e il globo pallido, sono significativamente meno estesi del normale nei bambini
affetti da ADHD.Agli inizi del 1998, il gruppo di Castellanos ha trovato che in questi bambini
anche il verme del cervelletto è di dimensioni inferiori alla norma.
Le informazioni fornite dalle immagini sono significative perché le aree cerebrali di
dimensioni ridotte nei soggetti affetti da ADHD sono proprio quelle che regolano
l’attenzione. La corteccia pre-frontale destra, per esempio, è coinvolta nella programmazione
del comportamento, nella resistenza alle distrazioni e nello sviluppo della consapevolezza di
sé e del tempo. Il nucleo caudato e il globo pallido agiscono interrompendo le risposte
automatiche per consentire una decisione più accurata da parte della corteccia e per
coordinare gli impulsi che attraverso i neuroni raggiungono le diverse regioni della corteccia.
L’esatto ruolo del verme del
cervelletto non è stato ancora
chiarito, ma indagini recenti fanno
ritenere che abbia a che fare con
l’essere più o meno motivati.
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Da che cosa deriva la ridotta dimensione di queste strutture cerebrali nei soggetti affetti da
ADHD? Molti studi sembrano avvalorare l’ipotesi che il fenomeno possa essere dovuto a una
disfunzione di alcuni dei numerosi geni che normalmente sono attivi durante la formazione e
lo sviluppo della corteccia pre-frontale e dei gangli basali. La maggior parte dei ricercatori
attualmente pensa che l’ADHD sia un disturbo poligenico, ossia determinato dal concorso di
più geni. Le prime indicazioni sull’origine genetica dell’ADHD sono venute da ricerche
condotte sulle famiglie dei bambini affetti dal disturbo. Per esempio, si è osservato che i
fratelli e le sorelle di bambini con ADHD hanno una probabilità di sviluppare la sindrome da 5
a 7 volte superiore a quella dei bambini appartenenti a famiglie non colpite. E i figli di un
genitore affetto da ADHD hanno fino a cinquanta probabilità su cento di sperimentare le
stesse difficoltà.
Forse determinanti sono quei disturbi che agiscono sul modo con cui il cervello utilizza la
dopamina, una sostanza che funziona da neurotrasmettitore, trasportando segnali chimici da
una cellula nervosa a un’altra. La dopamina è secreta dai neuroni in particolari zone del
cervello per inibire o modulare l’attivit{ di altri neuroni, in particolare di quelli coinvolti
nell’emozione e nel movimento. I disturbi del movimento nel morbo di Parkinson, per
esempio, sono provocati dalla morte di neuroni produttori di dopamina in una formazione del
cervello, la substantia nigra, che si trova al di sotto dei gangli basali. Alcuni studi molto
convincenti mettono in particolare evidenza il ruolo svolto dai geni che impartiscono le
istruzioni per la produzione dei recettori e dei trasmettitori della dopamina: questi geni sono
molto attivi nella corteccia pre-frontale e nei gangli basali. I recettori della dopamina si
trovano sulla superficie di alcuni neuroni. La dopamina trasporta il suo messaggio a questi
neuroni legandosi ai recettori. I trasportatori di dopamina si protendono dai neuroni che
secernono il neurotrasmettitore e recuperano la dopamina inutilizzata in modo che possa
essere usata di nuovo. Mutazioni nel gene per il recettore della dopamina possono rendere i
recettori meno sensibili alla dopamina. Al contrario, mutazioni nel gene per il trasportatore
della dopamina possono rendere eccessivamente attivi i trasportatori facendo in modo che
essi eliminino la dopamina secreta prima che essa abbia la possibilità di legarsi agli specifici
recettori situati su un neurone adiacente.
PRESENTAZIONE DI 2 ARTICOLI
1. PROBLEMI NEUROLOGICI RELATIVI AL DISTURBO DA DEFICIT DI
ATTENZIONE E IPERATTIVITA’
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BRAIN & DEVELOPMENT
Official Journal of the Japanese Society of Child Neurology
Recenti studi di neurofisiopatologia hanno dimostrato l’ipotesi che questo disturbo comporti
un ipofunzionamento dei sistemi catecolaminergici, in particolare di quelli che agiscono nella
corteccia prefrontale : emozioni e risoluzione di problemi, controllo volontario dei processi
cognitivi e del comportamento. Il deficit delle funzioni della corteccia prefrontale nei soggetti
con ADHD sarebbe tale da spiegare la comparsa dei sintomi di disattenzione e iperattivitàimpulsività. Da segnalare anche l’importanza del ruolo che i circuiti dopaminergici assumono
nella fisiopatologia dell’ADHD e che sono implicati nel controllo esecutivo durante, cioè, la
realizzazione di compiti che richiedono attenzione selettiva. La dopamina, come è noto, svolge
un importante ruolo in tutte quelle esperienze che si ritengono gratificanti per il soggetto sia in
termini fisiologici sia patologici, in particolare gioca un ruolo nelle dipendenze da sostanze o nei
comportamenti devianti. Sono considerate “ novelty seeker ” le persone che hanno un
comportamento caratterizzato da una forte impulsività e da una ricerca continua del rischio e
delle sensazioni forti : ricercatori della Vanderbilt University hanno dimostrato che il
meccanismo neurobiologico alla base di questo comportamento potrebbe essere collegato al
fatto che queste persone hanno un numero inferiore rispetto alla norma dei recettori della
dopamina. Esistono prove concrete a dimostrazione del fatto che trattamenti farmacologici
con sostanze psicostimolanti, come il metilfenidato (MPH), la destro-anfetamina o anche
l’atomoxetina (inibitore della neurotrasmissione cetecolaminergica), agiscono positivamente
sui sintomi dell’ ADHD. Gli psicostimolanti facilitano il rilascio delle catecolamine dalle zone di
accumulo sulle sinapsi del sistema nervoso centrale e inibiscono il riassorbimento (reuptake).
Sebbene l’esatto meccanismo di questo processo non sia del tutto noto, si pensa che gli
psicostimolanti aumentino la concentrazione di noradrenalina e dopamina nei gangli della
base, nel mesencefalo e nella corteccia prefrontale; questi neurotrasmettitori a loro volta
aumentano la durata del processo attentivo e la capacità di concentrazione. Inoltre, recenti
studi nel campo della genetica molecolare hanno messo in evidenza che una predisposizione
genetica all’ ADHD è attribuibile ad un malfunzionamento del sistema dei neurotrasmettitori.
I più concreti e significativi risultati, basati su immagini della struttura cerebrale dei bambini
affetti da ADHD, rivelano una riduzione di volume del cervello e soprattutto una riduzione di
volume del lobo frontale destro, del nucleo caudato, degli emisferi cerebrali e dei lobuli
posteriori-inferiori del verme cerebellare. E’ stato inoltre dimostrato che queste lievi
anomalie nel volume di alcune regioni del cervello possono modificarsi, nel corso del tempo,
nei bambini e negli adolescenti con ADHD.
Studi condotti su gruppi campione di soggetti affetti da ADHD, con l’ausilio di tecniche di
neuroradiologia funzionale, quali SPECT (tomografia ad emissione di fotoni singoli) e PET
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(tomografia a emissione di positroni), hanno rivelato anomalie anche nei lobi frontali e nei
gangli della base. Un’altra tecnica che suscita molto interesse è quella della risonanza
magnetica funzionale, la quale rappresenta un ulteriore modo per individuare anomalie
neurofisiologiche della zona prefrontale nei soggetti con ADHD.
RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE (fMRI)
 E’ una nuova “finestra” aperta su un cervello attivo e in funzione  permette di
conoscere come vengono svolte le attività a livello cognitivo e rileva i vari sistemi
cerebrali implicati nel disturbo da deficit attenzione/iperattività.
 E’ una tecnica che rappresenta un ulteriore modo per individuare anomalie
neurofisiologiche della zona prefrontale nei soggetti con ADHD
 Ha permesso di evidenziare la sub-localizzazione della zona prefrontale addetta
all’inibizione delle risposte impulsive con conseguente calo in tutte quelle attività che
richiedono autocontrollo : ADHD  DEFICIT DI AUTOREGOLAZIONE.
 Permette di capire i meccanismi di risposta ai trattamenti e, di conseguenza, migliorare
la tipologia di trattamento stesso (es. effetti a livello cognitivo del metilfenidato nei
soggetti con ADHD).
 Un esame fMRI ha una durata generalmente compresa tra 15 minuti e 2 ore, in
relazione all'obiettivo dello studio.
 I soggetti sono sottoposti a vari test come visione di video, ascolto di suoni,
percezione di odori, esecuzione di azioni cognitive come memorizzare o immaginare
qualcosa, premere alcuni pulsanti o altri tipi di compiti.
 Buona risoluzione spaziale (1-3 mm)
 Sono possibili studi su singolo soggetto (non e’ richiesta la media dei soggetti)
 Poco invasiva (il soggetto è sdraiato con la testa nel magnete e svolge un compito)
 Non misura direttamente l’ attivit{ neuronale ma il flusso ematico nella zona attiva
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 Non ottima risoluzione temporale
 Sensibile a numerosi artefatti come i movimenti della testa per cui è poco indicata nei
casi di bambini piccoli
 Mostra tutte le aree che sono coinvolte in uno specifico compito, non solo quelle
critiche o interessate alla studio
 Alto costo dell’esame
Nei soggetti con ADHD in cui è stato somministrato metilfenidato si sono riscontrati
miglioramenti clinici dovuti ad un aumento della attenzione selettiva e, all’esame fMRI, si
sono evidenziati mutamenti dell’attivit{ cerebrale in specifiche aree.
Poiché le conoscenze sugli elementi di base si arricchiscono di giorno in giorno, sarà sempre
più importante riuscire a scoprire il collegamento decisivo tra gli endofenotipi (predittori del
rischio dell’ADHD) cognitivi e il genotipo. Si spera quindi che i progressi fatti finora nella
comprensione degli elementi di base della neurobiologia dell’ ADHD contribuiranno, non solo
a individuare terapie farmacologiche più specifiche e più mirate, ma anche ad aiutare gli
esperti in neurologia infantile a curare meglio i propri pazienti.
2. “BRAIN SHRINKAGE IN ADHD NOT CAUSED BY MEDICATIONS”
(CONTRAZIONE DEL CERVELLO NON CAUSATA DAI MEDICINALI)
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Developmental Trajectories
of Brain Volume Abnormalities
in Children and Adolescents With
Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder
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In uno studio del 1996, Castellanos e Rapoport e i loro colleghi del National Institute of Mental
Health, hanno scoperto che la corteccia pre-frontale destra e due gangli basali, il nucleo
caudato e il globo pallido, sono significativamente meno estesi del normale nei bambini
affetti da ADHD.
Ricercatori del National Institute of Mental Health ( NIMH) hanno verificato che il cervello dei
bambini e degli adolescenti affetti da ADHD è di circa il 3-4% più piccolo di quello dei bambini
non affetti da tale disturbo e, volumi di materia bianca “eccezionalmente piccola” si
riscontravano in bambini che non avevano mai assunto farmaci stimolanti. Le medicine non
sono la causa ma le origini sono su base genetica ed ereditaria.Lo studio è stato effettuato dai
dottori Xavier Castellanos & Judith Rapaport del reparto di psichiatria infantile del NIMH;
avviato nel 1991, prevedeva l’uso dell’ MRI (risonanza magnetica).
Campione:
> 89 maschi – 63 femmine affetti entrambi da ADHD
> 139 bambini e adolescenti di controllo senza ADHD di ambo i sessi
•
Età compresa fra i 5 e i 18 anni
•
Diversi pazienti sono stati esaminati almeno 2 volte, e alcuni fino a 4 volte in un
decennio.
Il gruppo di pazienti affetti da ADHD ha presentato volume di massa cerebrale più piccolo del
3-4% dei casi in tutte le regioni cerebrali esplorate;i pazienti con sintomi gravi di ADHD
mostravano lobi frontali particolarmente più piccoli.
Il gruppo di pazienti trattati farmacologicamente presentava un volume della materia bianca
che non differiva da quella dei pazienti del gruppo di controllo mentre il volume della materia
bianca risultava più piccolo in 49 pazienti esaminati che non erano mai stati trattati
farmacologicamente.
1.
I sintomi sembrano riflettere le anomalie e i danni neurobiologici iniziali
(ipofunzionamento dei sistemi catecolaminergici).
2. E’ possibile che il medicinale possa favorire la maturazione del cervello senza prove
empiriche che lo danneggi (teoria genica): è possibile che un gene recentemente scoperto
determinando la grandezza del cervello, possa giocare un ruolo fondamentale nel disordine.
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BIBLIOGRAFIA
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1) Y.F. Zang; H. Yong; Z. Chao-Zhe; C. Qing-Jiu; S. Man-Qiu; L. Meng; T. Li-Xia; J. Tiang-Zi;
W.Yu-Feng.“Alterated baseline brain activity in children with ADHD revealed by restingstate functional MRI”Brain & Development – Official Journal of the Japanese Society of
Child Neurology; March 2007, Vol. 29, N° 2: 83 – 91.
2) F. Xavier Castellanos; Patti P. Lee; Wendy Sharp; Neal O. Jeffries; Deanna K. Greenstein; Liv
S. Clasen; Jonathan D. Blumenthal; Regina S. James; Christen L. Ebens; James M. Walter;
Alex Zijdenbos; Alan C. Evans; Jay N. Giedd; Judith L. Rapoport.
“Developmental Trajectories of Brain Volume Abnormalities in Children and Adolescents
With
Attention-Deficit/Hyperactivity
Disorder”
JAMA, Oct 2002; 288: 1740 - 1748.
3) Martinetti M.G.,Stefanini M.C. (a cura di) (2005) Approccio evolutivo alla Neuropsichiatria
Infantile. SEID
4) Rapaport J.L, Ismond D.R. (2000) DSM IV. Guida alla diagnosi dei Disturbi dell’Infanzia e
dell’Adolescenza. Masson
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