03-02 Risonanze - culturaspettacolovenezia

L'indagine continua
foto di Giovanni Pancino
Risonanze
2002 è l'ennesima tappa di un percorso
di collaborazione tra il Comune di Venezia - Beni e Attività Culturali - e
l'Associazione Culturale Vortice, un percorso che ha avuto inizio nel
1996 all'interno dell'Istituto Universitario di Architettura, dove sono
stati promossi dapprima una serie di concerti, quindi delle vere e proprie rassegne musicali che in breve tempo (e con molti sforzi) hanno
iniziato a dare risultati importanti, sia per la qualità delle proposte che
per la quantità di pubblico che ha dimostrato di apprezzare i percorsi
musicali non ortodossi che sono stati sempre privilegiati. Risonanze ha
infatti acquisito, stagione dopo stagione, un posto di assoluto rilievo
nel panorama cittadino dell'offerta musicale "colta", grazie a scelte di
repertorio spesso inconsuete, in alcuni casi spiazzanti, in una logica rinnovata di trasversalità di generi e idiomi musicali. L'amministrazione,
che ha sostenuto finora con convinzione questa tipologia di approccio
alla musica contemporanea, ha potuto apprezzare risultati fin qui molto soddisfacenti: la rassegna ha proposto al pubblico veneziano, ma
di Sandro Mescola
dirigente del Comune di Venezia
Beni e Attività Culturali-Cultura e Spettacolo
chiamando anche spettatori da tutto il Nord Est, i prodotti più interessanti delle avanguardie musicali mondiali, creando un panorama che
per varietà e ricchezza di proposte ha trovato ben pochi riscontri analoghi in Italia negli ultimi anni. Il programma 2002 segna un ulteriore
progresso qualitativo: tre prime assolute, tre prime italiane, una prestigiosa coproduzione con MaerzMusik 2002, Festival di Musica Contemporanea di Berlino, l'arrivo a Venezia di Lou Reed sono sintomo benaugurante di crescita di un progetto culturale ambizioso, dedicato alla
produzione delle nuove musiche contemporanee.
L’
Associazione Culturale Vortice nasce nel 1998 per volontà di un gruppo di persone giunte a
Venezia per motivi di studio e ivi insediatesi. Il progetto è quello di vivere la città di Venezia come
luogo della sperimentazione e della produzione di eventi culturali.
In una città apparentemente plurale, ospitale e ricca di eventi, Vortice si propone di produrre eventi
culturali in ogni ambito caratterizzandosi con la sperimentazione, l’accessibilità agli eventi, il contenimento dei costi, la diffusione degli eventi nello spazio e nel tempo veneziano.
Le attività si svolgono attraverso l’azione volontaristica, tipica delle associazioni non-profit, degli
associati e la continua ricerca di soggetti disponibili a sostenere economicamente e logisticamente i
singoli progetti. Oggi l’Associazione ha una sua attività consolidata, ma non per questo ha smesso la
sua ricerca di progetti, risorse, luoghi. Ed è in questo contesto che accanto alla rassegna Risonanze,
giunta alla intensa edizione del 2002, sono state svolte, ed altre sono in cantiere, numerose iniziative.
Il progetto generale vuole essere una delle azioni possibili, sostenibili, necessarie, contro una Venezia incastrata da una produzione culturale di rappresentanza, costosa, sempre più legata alla rappresentazione più
che alla produzione e timida se non succube rispetto alla monocultura del turismo nella scelta degli eventi,
nella loro calendarizzazione e localizzazione: una azione di affermazione dei “diritti di cittadinanza” delle
nuove generazioni a Venezia. Fabrizio D’Oria, presidente Associazione Culturale Vortice
La
tesi fondante di Risonanze è sempre stata quella della necessità di una visione eterodossa delle
arti musicali contemporanee. La tesi è stata fin dall'inizio caratterizzata dal lavoro sulle complementarità
delle pratiche e dei pensieri musicali. Avanguardia nella ricerca espressiva sia di matrice improvvisativa che
compositiva, ascolto delle esperienze geoculturali più varie e sempre messe sul piano di un fecondo confronto senza preclusioni identitarie. E infine, ma certamente non ultima, qualità delle proposte come vettore di una emotività finora fortemente recepita dal pubblico della rassegna. Con il programma 2002 vogliamo sottolineare il procedere dell'indagine sulle pratiche dell’improvvisazione ma anche di quelle della scrittura nei progetti musicali proposti. Queste due tecniche del linguaggio sono, a nostro modo di vedere, irrinunciabilmente complementari e fecondamente scambievoli. In fondo quella che ora ci appare una problematica strettamente legata al contemporaneo è invece patrimonio storico di ogni cultura musicale, praticamente da sempre. La sperimentazione di questa osmosi delle pratiche e delle tecniche può e deve essere
il luogo stesso del linguaggio musicale, lo specchio del suo costante coniugarsi e rinnovarsi.
Massimo Ongaro e Stefano Bassanese
:
<3>
:zbigniewkarkowski
biografia musicale
in 1000 copie e 1000 persone lo
comprano, si tratterà davvero di
un migliaio di lavori diversi!».
Il sentimento sulla musica e la
sua stessa interpretazione
appartengono [vengono ridonati]
all’ascoltatore, in un sistema
totalmente libero e aperto.
Nella scelta – cui si trova di fronte
chiunque si esibisca dal vivo – se
Non sarà così al Teatro
Fondamenta Nuove, dove
Karkowski presenterà
Consciously Unconscious
Unconsciously Conscious, una
composizione in due parti per
computer in tempo reale.
«Quando faccio le mie performance soliste voglio distruggere
le aspettative: la gente ascolta
Tra le attività artistiche più
recenti di Zbigniew Karkowski,
compositore nato in Polonia nel
1958, ma nomade per vocazione,
ci sono la composizione di musica per solisti, ensemble e
orchestre sinfoniche, concerti e
dischi solisti, oltre allo sviluppo
di tecnologie e modalità esecutive sensoriali attraverso reti
(anche internet) con il gruppo
Sensorband, oltre a un numero
incredibile di collaborazioni con
artisti quali Masami Akita (a.k.a.
Merzbow), Peter Rehberg,
mettersi in gioco o meno, non ha
proprio dubbi: «se fai musica
davvero sperimentale, ti prendi
ogni volta dei rischi!» e non ha
parole tenere nei confronti di quei
colleghi i cui scenari sonori suonano sempre piuttosto uguali e
cui la notorietà ha infuso una
statica artificiosità: «ai concerti si
limitano a suonare i propri dischi,
hanno la stessa mentalità di una
rock-band sul viale del tramonto…», non ci sono rischi, né per
loro né per il pubblico.
solo le proprie aspettative, così
io suono troppo forte per permettere loro di seguire i propri
pensieri! Il suono è così fisico…».
A patto di non considerarla una
minaccia, il concerto di Karkowski
è la giusta apertura per l’intera
rassegna, la possibilità di mettere
in discussione le certezze e aprirsi
alla incredibile varietà di eventi
sonori che si succederanno sui
palcoscenici di Risonanze.
Enrico Bettinello
(«BlowUp», «Allaboutjazz»)
Francisco Lopez, Kasper Toeplitz,
Zeitkratzer. Con il gruppo
Sensorband ha messo a punto
una Sound Net, strumento di
121 metri quadrati formato da
una rete di fili e sensori che
reagiscono all’allungamento e al
movimento e che viene suonato
arrampicandovici sopra, lasciando che l’inevitabile mancanza di
controllo faccia sorgere idee
sempre nuove e comprendere
meglio le dinamiche della motilità e della gestualità.
Oltre i confini
elettronici
Zbigniew Karkowski è un personaggio davvero singolare:
polacco di nascita, ha sviluppato
però una vocazione nomade e
cosmopolita che lo ha trasportato negli anni dalla Svezia
all’Olanda, dalla Germania alla
Francia, fino a trovare base in
Giappone, dove risiede dal 1994,
il posto perfetto per collaborazioni libere e spontanee con
artisti sganciati da un approccio
intellettualistico e inquadrato.
L’idea di confine è un concetto
davvero estraneo a Karkowski,
per cui le distinzioni tra musica
e rumore, tra arte “alta” e
“bassa” vengono rifiutate dall’origine e questa nozione non
convenzionale di “suono” trova
una forza specifica nella funzione sociale che l’artista
attribuisce alla musica.
Per sua ammissione «ha studiato
musica in tanti contesti, con
svariati maestri e per tanti anni,
ma l’unico ad avergli insegnato
davvero qualcosa è stato Iannis
Xenakis»: da allora – con sulle
spalle un vasto raggio di collaborazioni e una produzione
discografica che è arrivata anche
a toccare le trenta uscite all’anno – Zbigniew Karkowski è
sinonimo di rischi da correre, di
Powerbook i cui software vengono utilizzati/de-utilizzati in
funzione creativa, di performance in cui il corpo, la gestualità
diventano centrali nel controllo
del suono sintetico, di musica
che vibra da sola, senza bisogno
di spiegazioni o sovrastrutture.
Tanto che nel suo pensiero non
c’è alcuna volontà di sostenere
con teorie quello che viene creato: «se un mio cd viene realizzato
Lunedì 4 marzo 2002
Teatro Fondamenta Nuove
ZBIGNIEW
KARKOWSKI
«Consciously Unconscious
Unconsciously Conscious»
Zbigniew Karkowski - electronics
The music of the nomadic
polish electronic composer
Zbigniew Karkowski is
synonym of taking riskd, of
Powerbooks whose softwares are utilized/de-utilized
in a creative way, of performances in which the body,
the gestures become part
of the synthetic sound control, of self vibrating music.
:
<4>
:larryochs
Giovedì 7 marzo 2002
Teatro Fondamenta Nuove
LARRY OCHS
«SAX &
DRUMMING
CORE»
Larry Ochs – sassofono
tenore e sopranino
Donald Robinson – batteria
Scott Amendola – batteria
Saxophonist Larry Ochs’
new project: saxophone
and two drums: a meditation on and a 21 st century
distillation of the songs of
American and eastern
European blues-shouters
and of traditional chant-singers from Asia and Africa.
La libertà
dentro la ricerca
Sassofonista, compositore,
improvvisatore, Larry Ochs (New
York, 1949) è uno di quei
musicisti che attraversano da più
di venticinque anni i paesaggi del
jazz con personalità e apertura,
talvolta senza fare rumore, collaborando ai progetti più stimolanti e gettando continui
ponti sonori tra le diverse sponde
della musica improvvisata.
Il suo nome è indissolubilmente
legato a quello del Rova
Saxophone Quartet, la più influente formazione di soli sassofoni
che – insieme al World
Saxophone Quartet, cui è legato
da un rapporto di antitesi-complementarità – a partire dagli
anni ’70 ha scandagliato i rapporti tra scrittura e improvvisazione
per quell’organico.
Ochs è un artista che con i suoi
progetti, anche quelli apparentemente più complessi, ci ricorda
continuamente che la musica
«deve generare qualcosa che sia
ben di più della somma delle sue
parti»: da qui la profonda attenzione al mettersi in gioco, all’ascoltare, alla storia stessa dello
strumento e del jazz in genere.
È un’attenzione che si apre
anche alle espressioni
sonore più
distanti [geograficamente e
strutturalmente], come testimonia questo nuovo progetto,
«Drumming Core», ma allo stesso
tempo un’attenzione che si apre
internamente, portando nella
musica le esperienze di tutti i
giorni, la libertà, ma anche le
difficoltà e i contrasti.
La collaborazione e l’indipendenza sono ben simboleggiate dalla
creazione, nel 1978, dell’etichetta indipendente Metalanguage,
che nei cinque anni della sua
esistenza pubblicò i primi dischi
[era vinile allora…] dei Rova.
Il contatto con il sassofono
avviene per Larry Ochs in un età
non propriamente verdissima per
incominciare, 21 anni, e da allora
una continua ricerca sonora e di
linguaggio ha permesso al
musicista di raggiungere quel
privilegiato punto di vista artistico in cui improvvisare significa ridefinire e valutare istante
dopo istante il discorso e in cui i
segreti meccanismi delle strutture compositive, la forma, traggono origine dall’improvvisazione stessa.
Sax & Drumming Core
Tra le sue ispirazioni Roscoe
Mitchell, Anthony Braxton e
Albert Ayler, e ancora Lester
Young, Archie Shepp e, com’è
intuibile, Steve Lacy, musicisti
per cui il sassofono diventa voce,
ma anche una particolare
predilezione per la voce in se
stessa, da Billie Holiday alle cantanti pop dell’Africa Occidentale,
e una continua influenza proveniente dalle altre arti, come il
cinema o la pittura.
Tra i suoi progetti, oltre al già
citato Rova, c’è una lunga collaborazione con il compianto Glenn
Spearman, il trio Maybe Monday
in cui compare anche il chitarrista
Fred Frith, il trio What We Live,
con Lisle Ellis al basso e Donald
Robinson alla batteria (come nel
nuovo gruppo presentato a
Risonanze), talvolta rinforzato da
trombettisti stellari come Wadada
Leo Smith o Dave Douglas, il
quartetto del bassista John
Lindberg (anche questo passato a
Risonanze negli anni scorsi).
Enrico Bettinello
(«BlowUp», «Allaboutjazz»)
Il progetto del sassofonista
americano Larry Ochs «Sax &
Drumming Core» è nato nel
giugno del 2000 per una performance esclusiva a San
Francisco e costituisce una
meditazione – oltre che una
distillazione – sulla tradizione
del canto popolare, dai bluesshouters americani e dell’Est
Europeo ai cantori tradizionali
dell’Asia e dell’Africa.
foto di Heike Liss
Molti di questi cantanti possono essere ascoltati in contesti molto semplici, da soli, o
accompagnati da uno strumento ad arco, dal battito di mani
come da un altro paio di cantanti, e questo è il modello
seguito dal gruppo, anche se il
risultato è ovviamente ridisegnato in chiave moderna
Insieme alla “voce” di Ochs, che
alterna il sax tenore al meno
usuale sax sopranino, ben due
batterie, quella di Donald
Robinson e quella di Scott
Amendola, che vantano tra le
loro collaborazioni nomi quali
John Tchicai, Cecil Taylor, Glenn
Spearman il primo, John Zorn,
Bill Frisell, i Primus, Dave
Liebman il secondo.
In occasione del concerto,
unica data italiana del trio,
verrà presentato in anteprima il loro primo e nuovissimo disco, «The Neon
Truth», pubblicato dalla storica etichetta italiana
Black Saint.
foto di Heike Liss
:
<5>
:keithtippett
biografia musicale
“Couple
in Spirit”
«Couple in Spirit» è il nome che
accompagna, ormai da parecchio tempo, l’incontro sul palco tra il pianoforte di Keith
Tippett e la voce della deliziosa
artista che è sua compagna
anche nella vita, Julie, un connubio che trent’anni di intesa rendono unico e telepatico
e che non potrebbe essere
altrimenti dato che ogni nota,
ogni respiro del duo è completamente improvvisato e
si rinnova di volta in volta su
quel territorio magico che è
il palcoscenico.
Non provano mai, né parlano o
si accordano tra loro prima del
concerto, tutto quello che succede è totalmente spontaneo
e calato come in una dimensione onirica e magnetica in
cui le personalità dei due
musicisti si sintonizzano e
disegnano scenari sempre
mutevoli in cui i frammenti
della memoria – che talvolta
materializzano ombre di canzoni – si combinano in bilico
sull’attimo presente.
L’utilizzo di un ampio raggio
di tecniche consente di ri/creare il significato del dialogo
attraverso situazioni che da
una dolcezza elegiaca passano
rapidamente a una concitata
tensione ritmica attraverso
scomodi clusters o fonemi
nei linguaggi sconosciuti
delle fate…
Ecco allora bisbigli, melodie,
ritmi, colori, grida, silenzi, dentro alla cordiera del pianoforte
piccoli pezzi di legno o sassi
modificano il suono, ma lo
fanno in maniera del tutto
imprevedibile, si spostano,
scivolano da una nota all’altra
– pianoforte “impreparato” –
riecheggiano gli umori di una
mbira o lo sfregarsi delle corde
vocali, la totale apertura a
farsi sorprendere dalle possibilità del pianoforte e della
voce, evocando suoni senza
tempo tranne quello della
loro esistenza.
I destini discografici hanno
voluto che in tutti questi anni
solo due volte questa “coppia
nello spirito” sia stata testimoniata su disco (una prima
volta per l’etichetta EG e la
seconda, dal vivo a Colonia,
per la ASC) e questo rende
ancora più uniche e stimolanti
le loro performance.
Enrico Bettinello
(«BlowUp», «Allaboutjazz»)
Pianista, compositore, da più di
trent’anni Keith Tippett (Bristol,
1947) rappresenta la figura di un
artista integro e personale, che
ha di volta in volta incrociato le
situazioni più creative della
scena inglese, dal jazz d’avanguardia e dei tanti musicisti
sudafricani rifugiatisi a Londra al
rock progressivo, dirigendo o
prendendo parte a organici delle
dimensioni più varie, fino all’attività di pura composizione che
alcune commissioni da parte di
orchestre e solisti hanno recentemente stimolato.
Si potrebbe definire “la donna
che visse due volte” la londinese
Julie Driscoll (da tanti anni
ormai signora Tippetts, avendo
voluto conservare quella “s” che
nel cognome artistico del marito
è scomparsa): la prima parte
della sua carriera è da vera e
propria pop-star e i meno giovani sicuramente la ricorderanno
accanto a Brian Auger verso la
metà degli anni ’60, acclamata
icona pop e R&B – per voce, stile
e presenza – anche in Italia.
Percorso ben distante da quello
intrapreso poi, quando, dagli
Tra i suoi progetti più interessanti ricordiamo l’incredibile e
mastodontica orchestra «Centipede», e altre avventure per formazioni allargate come «Ark», la
«Dedication Orchestra» o «Tapestry», i gruppi «Ovary Lodge» e
«Mujician», le collaborazioni con
Peter Brotzmann e le apparizioni
in dischi dei «King Crimson», i
dischi e concerti da solo o in
duo con la moglie Julie, il progetto «Linuckea» con un quartetto d’archi e la commissione di
composizioni da parte di famosi
interpreti e orchestre sinfoniche.
inizi degli anni ’70, i suoi interessi artistici si sono rivolti alla
nascente scena tra jazz, rock e
avanguardia, comparendo in
diversi progetti, tra cui molti a
nome del marito Keith e distinguendosi per le particolari esplorazioni vocali (che spaziano dagli
accenti folk alla sperimentazione
timbrica più ardita, nella più
estesa concezione della voce
come strumento) anche da sola
o in quartetto vocale (con
Maggie Nichols e Phil Minton).
Sabato 16 marzo 2002
Teatro Fondamenta Nuove
KEITH AND
JULIE TIPPETT
Keith Tippett – pianoforte
Julie Tippetts – voce
A “Couple in spirit” and
music: english pianist
Keith Tippett and his wife,
singer Julie, improvising
dreamy landscapes
and sliced memories
evoking shadows of songs
on the cutting edge of the
present moment.
:loureed
Interrogativi
dalla macchina di metallo
Lou Reed stesso lo ha definito:
«la colonna sonora ideale per
Non aprite quella porta!».
Il giornalista Lester Bangs lo incorona: «più grande album di tutta la
storia del timpano umano!».
Il produttore dei Nirvana e leader
degli Shellac Steve Albini pensa
che sia «una pura scultura sonora,
affascinante e davvero splendida».
Sembra molto facile parlare di
Metal Machine Music: è il 1975 e
dopo alcuni dischi solisti di buon
successo, il rapporto tra Lou Reed
e la RCA non è dei più idilliaci, ma
il musicista [anche in seguito a
problemi economici e personali]
deve incidere e la casa discografica – potenza dei contratti – è
obbligata a pubblicare. Il risultato:
quattro facciate di eguale durata
in cui l’urlo continuo di chitarre in
feedback si alza come un muro di
rumore, senza sosta… anzi: l’ultimo solco [con il vinile si poteva] si
arrotola su se stesso e dilata quel
frammento di suono di metallo
fino a che mano non intervenga!
Mica tanto facile parlare di Metal
Machine Music: le reazioni all’epoca sono davvero forti, riviste
prestigiose come Rolling Stone lo
candidano tra i dischi più brutti di
sempre, non pochi lo riportano
indietro al negoziante, pochi invece hanno il coraggio di ascoltarlo
tutto/riascoltarlo, i meno gentili
sospettano la bufala, i dietrologi
scorgono mosse atte a sciogliere
il vincolo contrattuale. Sia quel
che sia, il rapporto con la casa discografica, dopo scuse e controscuse smentite, viene ricucito e dà
alla luce un disco assai diverso – e
di gran successo – come Coney
Island Baby.
Diventa sempre meno facile parlare di Metal Machine Music: si
potrebbe chiuderlo come una
irriverente parentesi nella lunga
carriera di Reed, ma il tempo
scorre e scorrendo trascina con
sé molte scorie, anche metalliche, che vanno a strappare la
pelle quando meno ci si aspetta… in poco meno di trent’anni il
rumore è diventato una componente integrante di molti scenari
sonori, dal punk al noise, dall’industrial all’elettronica, ma anche
nomi quali Neil Young o Pat Metheny o Lee Ranaldo dei Sonic
Youth si sono tuffati dentro
esperienze analoghe.
Quelli che nel rock erano brevi
frammenti di caos all’interno di
strutture più o meno consolidate
hanno acquisito vita autonoma,
un urlo che da momento liberatorio si fa forma, una perdita dell’innocenza eufonica che lega improvvisamente come maglie di
una catena (di metallo, ovviamente) i futurismi sonori che giocavano a superare il tempo del
‘900, Edgar Varèse come Xenakis,
Ascension di John Coltrane come
John Cage, Albert Ayler come
LaMonte Young [con cui Reed ha
più di qualche vicinanza]…
Cosa si può dire allora di Metal
Machine Music? Per molti rimarrà sempre un disco inascoltabile,
fastidioso, giornalisti e critici si
dividono ancora oggi tra il definirlo un’inutile provocazione o
una seminale intuizione, c’è pure
chi ad ascoltarlo ci si rilassa e c’è
anche chi, come l’ensemble Zeitkratzer, ha deciso di riproporre
quell’esperienza, sotto la direzione dello stesso Lou Reed.
Questa volta la musica verrà da
una macchina di metallo creata
direttamente dagli strumenti
acustici e forse si troveranno
delle risposte a qualcuno dei
quesiti sonori cui si accennava
sopra… o forse, ed è l’ipotesi
sicuramente più stimolante, si
apriranno degli interrogativi
ancora più affascinanti.
Enrico Bettinello
(«BlowUp», «Allaboutjazz»)
13 Pieces:
Meditations On Poe
foto di Timothy Greenfield-Sanders
13 Pieces: Meditations On Poe è
una suite composta da 13
diverse situazioni che Lou Reed
ha sviluppato a partire dal materiale composto per lo spettacolo
POEtry, una rock-opera che il
musicista ha concepito assieme
a Robert Wilson e che ha debuttato al Thalia Theater di
Amburgo nel 2000.
Una leggenda del rock come Lou
Reed che esplora il contorto universo di Edgar Allan Poe e scava
dentro i racconti e le poesie surreali dello scrittore americano,
da Il corvo alla Caduta della casa
degli Usher.
Senza l’utilizzo delle parole o
della batteria, l’arrangiamento
approntato per Zeitkratzer da
Melvyn Poore – con il contributo
di Mike Rathke, il chitarrista del
gruppo di Lou Reed – comprende materiale non utilizzato
per POEtry.
Come ha sottolineato il giornale
tedesco «Berliner Morgenpost»,
«il suono profondo e inconfondibile di Lou Reed è sempre presente: una semplicità arcaica,
rudi unisoni e l’utilizzo di una
strumentazione classica che
riesce sempre a rendere la
durezza del suono rock!».
biografia musicale
Lou Reed, il cantante, chitarrista
e compositore principalmente
conosciuto per i suoi lavori con i
Velvet Underground, è nato e
cresciuto a New York. Alla fine
degli anni ‘50 frequenta la Syracuse University, presso cui partecipa a uno spettacolo radiofonico,
Excursion On A Wobbly Rail (dal
nome di un brano del pianista
Cecil Taylor), suonando un mix –
per quei tempi radicale –di blues,
R&B e jazz d’avanguardia. Dopo la
laurea, Reed lavora come scrittore
di canzoni presso la Pickwick
Records, specializzata nella produzione di dischi pop a basso
costo. Proprio durante il periodo
alla Pickwick incontra John Cale, a
quei tempi membro del Theater
Of Eternal Music, ensemble fortemente sperimentale. Nel 1965,
Reed e Cale si uniscono al chitarrista Sterling Morrison, che Reed
aveva conosciuto a Syracuse, e a
un altro membro del Theater Of
Eternal Music, il percussionista
Angus MacLise, e formano quel
gruppo che sarebbe diventato i
Velvet Underground. Quando
MacLise lascia il gruppo viene
rimpiazzato da Moe Tucker ed è
proprio questa formazione a
sviluppare quella straordinaria
combinazione di rock’n’roll primitivo, elementi d’avanguardia
derivanti dall’esperienza di Cale
nel Theater Of Eternal Music, e
liriche, scritte da Reed, che sondano nuovi territori di realismo
sociale narrativo, in parte ispirati
da autori quali Hubert Selby Jr. e
William S Burroughs. Nel 1966 i
Velvet diventano la band residente della famosa Factory di
Andy Warhol, andando in tour
(assieme alla attrice e modella
tedesca Nico come voce aggiunta)
con lo spettacolo multimediale di
Warhol, The Exploding Plastic
Inevitable. Nei successivi quattro
anni, i Velvet incidono quattro
dischi tra i più influenti e miticizzati della storia della musica, ma
che al tempo non ottengono un
grosso riscontro di pubblico. Reed
lascia la band nel 1970 e per un
anno lavora presso la compagnia
del padre a Long Island, New York.
Firma poi un contratto con
l’etichetta RCA e per tutti gli anni
’70 è impegnato a crearsi una
nuova identità musicale, diversa
dal suo ruolo nei Velvet
Underground. Durante questo
periodo produce una stupefacente e schizofrenica serie di
dischi, tra cui, nel 1975, Metal
Machine Music, un doppio vinile
consistente in nient’altro che
incandescente rumore. Negli ultimi vent’anni Reed diventa una
presenza ambulante e vaga ai
margini della musica pop. Nei
primi anni ’90 si riunisce con John
Cale (che lui stesso aveva cacciato
dai Velvet nel 1968) per un tributo allo scomparso Andy Warhol,
per poi riunire l’intero gruppo in
tour. Sposato all’artista multimediale Laurie Anderson, Reed realizza nel 2000 il disco Ecstasy, che
contiene la sua musica più vitale
e accattivante dai tempi di The
Blue Mask (1981).
Tony Herrington
(direttore di «The Wire»)
:
<7>
:reedzeitkratzer
Mercoledì 20 marzo 2002
ore 21.00
Teatro Malibran
Metal Machine
Music
Nel numero di maggio 1997 della
rivista musicale inglese «The
Wire», Masami Akita, ovvero
Merzbow, l’artista sonoro giapponese che ha al suo attivo
svariati cd di assordante rumore
bianco, così spiegava le origini
della sua estetica: «Merzbow è la
mia de/costruzione della musica
rock, una combinazione delle sole
sue parti estreme, la chitarra più
distruttiva degli Who o di Jimi
Hendrix, il finale rumoristico di
21st Century Schizoid Man dei
King Crimson, il feedback di chitarra degli Stooges. Mi piaceva
quell’aspetto della musica rock,
ma sfortunatamente vi si
aggiungevano quelle stupide
parti vocali, melodia, ritmo. Così
ho identificato l’idea di mixare
solo la parte violenta, rumorosa,
brutale, malata del rock in una
maniera diversa. Il punto era che
i musicisti rock sembravano utilizzare la violenza come una
specie di stratagemma emozionale, così ho provato a usarla
senza alcuna emozione o sentimento, più per il suono in se
stesso e nell’approccio alle
apparecchiature sonore. Ho scoperto che il modo più violento di
utilizzare il suono era di sovraccaricarlo di feedback, cosa molto
dolorosa per la strumentazione,
ma che rendeva davvero sublime
quel suono crudele, come un
grido di morte dell’elettronica».
Lanciato vent’anni dopo il fatto, il
manifesto di Akita apre un portale
attraverso cui possiamo penetrare
le mura laminate e bucherellate
del noise elettronico lo-fi che
definiscono uno dei dischi più
famosi degli anni ’70: Metal
Machine Music di Lou Reed.
Nel suo formato originale Metal
Machine Music conteneva quattro lati di long-playing, ciascuno
lungo 16:01 minuti, fatti di
strutture di frequenze urlanti e
sovraccariche che collidono dentro nuvole fosforescenti di gas
nocivo, il tutto generato dai
loops di feedback che si creano
quando due chitarre amplificate
al massimo vengono avvicinate
troppo ai loro amplificatori.
Con Metal Machine Music, Reed,
un nichilista munito di contratto
con una delle principali etichette
discografiche, fece qualcosa di
più che liberare il rumore dei
Velvet Underground, il gruppo
che aveva guidato tra il 1965 e il
1970, dalla prigione della forma
canzone in cui era stato costretto
anche nei lavori più sperimentali
e improvvisati del gruppo
(European Son, Sister Ray, Melody
Laughter, The Nothing Song), e
lasciarlo ruggire, selvaggio e
senza limiti. Al momento della
sua uscita Metal Machine Music
rappresentò la più pura delle distillazioni anche dell’abuso violento della tecnologia e l’abbandono di tutte le convenzioni
musicali che avevano animato il
rock‘n’roll fin da quando, nei
primi anni ‘50 il gruppo blues di
Chicago di Muddy Waters appese
al chiodo le proprie chitarre acustiche e contrabbassi e collegò la
sua nuova e scintillante chitarra
elettrica e armonica alle linee
elettriche che avevano alimentato
il boom americano postbellico.
A un primo livello, il messaggio
codificato dentro le tempeste di
rumore di Metal Machine Music
affermò che la musica e la società si erano avventurate oltre i
limiti delle possibilità espressive
offerte dall’acustica “pura”,
melodia, armonia, la tirannia
della scala temperata; al suo
posto, la complessità del mondo
può ora essere articolata solo
attraverso l’elettricità, l’amplificazione, la tessitura sonora, le
frequenze, gli ultrasuoni, la
scoperta degli spazi primordiali e
microtonali che si nascondono
negli spazi tra le note.
Certamente, in un universo parallelo, si tratta dello stesso messaggio che era già stato tramandato
a una generazione di compositori
sperimentali attraverso la musica
e gli scritti di Luigi Russolo,
Edgard Varese, John Cage, Henry
Cowell. Nonostante l’accoglienza
unanimemente negativa che critici e commentatori riservarono
all’uscita del disco nel 1975, Reed
continuò ad affermare che Metal
Machine Music era una composizione seria, da avvicinarsi ai
lavori elettronici di compositori
contemporanei come Iannis Xenakis (Reed sottotitolò infatti il
disco, secondo l’usanza dei lavori
di musica classica, An Electronic
Instrumental Composition).
Senza badare alle ragioni per cui
Reed ha inciso il disco (un complesso piano per rescindere il contratto con la Rca? Uno scherzo
cinico giocato a un pubblico che
aveva incominciato a disprezzare?), l’errore commesso da molti
critici nell’ascolto di Metal
Machine Music fu quello di valutarlo nel contesto della musica
che Reed aveva prodotto dopo
l’uscita dai Velvet Underground,
cioè il rock pantomimico di album
come Transformer, Rock ’N’ Roll
Animal, Sally Can’t Dance. Per
inserire Metal Machine Music
nella carriera di Reed si deve
guardare molto più indietro, alla
New York della metà degli anni
’60 e alla frenetica scena culturale
e artistica da cui sorsero i Velvet
Underground. In particolare il
Theater Of Eternal Music, che
includeva due futuri membri del
gruppo, il violista John Cale e il
percussionista Angus MacLise, e
che sviluppò una musica e una
modalità esecutiva che esplorava
gli ignoti reami del volume, della
atonalità e della durata. Sotto la
direzione del La Monte Young, il
Theater Of Eternal Music liberò
lunghi “drones”, suonati su strumenti ad arco di varia intonazione
e iper-amplificati, che si evolvevano dentro masse organiche di
suoni ribollenti durante performances che potevano durare
anche una notte intera.
In un tale contesto, non è forse
così sconvolgente che un ensemble di musica contemporanea come Zeitkratzer si misuri
con la riproposizione di Metal
Machine Music in un concerto
scritto per strumenti amplificati.
Quello che è più sorprendente
della versione Zeitkratzer (eseguita con una partitura cronologica trascritta dall’originale di
Reed a cura di Reinhold Friedl,
Ulrich Krieger e Luca Venitucci) è
come suoni affine a registrazioni
del Theater Of Eternal Music
come Day Of Niagra, gli archi
con la diversa intonazione, gli
ultrasuoni ronzanti e le frequenze urlanti che squarciano il
tessuto del tempo per riconnettere la musica di Reed con le
proprie radici dentro l’avanguardia della Manhattan del secondo dopoguerra.
Diretti da Reinhold Freidl, gli
Zeitkratzer perseguono l’obbiettivo di eseguire alcune delle musiche più estreme e esigenti che il
Ventesimo secolo possa offrire,
superando le convenzioni del
repertorio contemporaneo delle
sale da concerto per presentare
lavori del chitarrista dei Sonic
Youth Lee Ranaldo, del minimalista Phill Niblock, del transgender
provocatore e post-techno Terre
Thaemlitz, così come Masami
Akita, Luigi Nono e Helmut
Lachenmann. Colpendo in un
punto a metà strada tra budella e
cervello, il Metal Machine Music
degli Zeitkratzer e al tempo
stesso una celebrazione dell’estetica noise che ha generato
alcune delle musiche più straordinarie del nostro tempo, da
Varese ai Velvet Underground, ma
anche, con buona pace di
Merzbow, il suo lamento funebre,
il suo urlo di morte. Il punto d’arrivo del rumore è l’oblio. Poi viene
il silenzio.
Tony Herrington,
direttore di «The Wire»,
gennaio 2002
LOU REED
ZEITKRATZER
«Metal Machine Music»
Prima performance della versione strumentale
«13 Pieces:
Meditations on Poe»
Ulrich Krieger – sassofoni
Franz Hautzinger – tromba
Melvin Poore - tuba
Burkhard Schlothauer – violino
Christian Messer – viola
Michael Moser – violoncello
Alexander Frangenheim –
contrabbasso
Reinhold Friedl – pianoforte
Luca Venitucci – fisarmonica
Ray Kaczynski – percussioni
Marcus Waibel – elettronica
Lou Reed & Mike Rathke –
direzione del suono
Rolf Engel – light design
Realizzato in coproduzione con MaerzMusik
2002 - Festival of Contemporary Music /
Berliner Festspiele, in collaborazione con
Atelier Markgraph Frankfurt e Podewil Berlin
A coproduction with MaerzMusik 2002 Festival of Contemporary Music / Berliner
Festspiele in cooperation with Atelier
Markgraph Frankfurt and Podewil Berlin
ore 20.00
in diretta su Radio3 Rai
Incontro con Lou Reed
a cura di Franco Fabbri
Contemporary white noise:
almost 30 years after
its issue, Zeitkratzer reread
Lou Reed’s
«Metal Machine Music»,
one of the most controversial and profetic works in
our sonic history.
:zeitkratzer
Zeitkratzer
Zeitkratzer è un gruppo internazionale di musicisti, che nasce
alla fine del 1996 sotto la direzione del pianista Rheinhold
Friedl. L’anno successivo l’ensemble fa registrare il tutto
esaurito in tre concerti al centro
delle arti contemporanee Podewil di Berlino, con 18 prime esecuzioni di diversi compositori
ospiti e di membri dell’ensemble
stesso: sono venti intensi giorni
di progetto, in cui le composizioni vengono provate, eseguite e registrate.
Rendere possibile una simile idea
è un esito che si ottiene solo grazie alla dedizione dei musicisti che
hanno lavorato anche 16 ore al
giorno, che quando è stato necessario hanno provato o registrato
fino alle 4 del mattino, senza
giorni di pausa. Questo non solo
la dice lunga sulle motivazioni dei
musicisti, ma dimostra anche il
loro altissimo interesse e il coinvolgimento e l’impegno a
ottenere il massimo risultato,
come dimostrato dalla loro
enorme disciplina al di là della
normale professionalità.
Da allora molti compositori e
musicisti hanno scritto brani
appositamente per gli Zeitkratzer.
Il gruppo ha base a Berlino, città
che offre un modello innovativo
di insieme, una base solida con il
continuo supporto
dell’Accademia delle Arti,
Podewil e di altre istituzioni.
I musici coinvolti
L’IDEA
L’idea originaria, unica in Europa,
era quella di ri0unire in un ensemble musicisti per i quali non
esistessero le comuni categorizzazioni musicali. Come ha ricordato recentemente Friedl in una
intervista al mensile inglese
«Wire», «tra le caratteristiche dei
musicisti coinvolti c’è la loro capacità di utilizzare tecniche più
diverse sui loro strumenti, l’apertura all’elettronica, la presenza
scenica, l’esperienza e l’apertura
a altre forme musicali, la capacità di sostenere il confronto e,
talvolta, lo scontro che una simile alchimia artistica e umana
inevitabilmente può portare».
L’obbiettivo è poi quello di stabilire una nuova forma di lavoro
in cui l’apertura e tutti i diversi
aspetti e esperienze di ciascun
musicista potessero venire usati
nella migliore delle maniere.
Questo significa una collaborazione diretta con compositori e
musicisti, ma anche lavori interdisciplinari con artisti di altri
campi (arti visive, danza, computer…) o lavori multimediali.
I membri di Zeitkratzer, cui bene
si attaglia la definizione di esecutori/compositori/improvvisatori, vengono da varie esperienze
negli ambiti musicali più diversi:
contemporanea, elettronica,
improvvisata, jazz, rock sperimentale, noise, ambient…
Alexander Frangenheim – contrabbasso (Stoccarda) nato nel
1959, ha studiato alla Stuttgarter
Akademie Fine Arts. Ha suonato in
diversi gruppi di musica da camera, dal 1989 collabora con Günter
Christmann, Thomas Lehn, Evan
Parker, Paul Lovens, Phil Minton e
molti altri improvvisatori. Si è
anche esibito con il pittore KRH
Sonderborg. Il lavoro con la danza
è una parte importante della sua
attività: Julyen Hamilton, José Luis
Sultán, David Zambrano e altri.
Dall’autunno del 1995 insegna
Arti interdisciplinari alla
Kunstakademie di Stoccarda.
Reinhold Friedl – pianoforte
(Berlino), nato nel 1964, ha studiato piano con Renate Werner,
Alan Marks, Alexander Von Schlippenbach, oltre agli studi in matematica e musicologia a Stoccarda
e Berlino. Lavora come musicista e
compositore freelance e ha collaborato con musicisti quali Paul
Lovens, Georg Katzer, Mario Bertoncini, vincendo varie borse di
studio e premi (tra cui alcune residenze in Francia, Italia e presso lo
STEIM di Amsterdam).
Franz Hautzinger – tromba
(Vienna), compositore e esecutore
di musica contemporanea e
improvvisata, nato nel 1963, ha
studiato tromba e composizione
alla Accademia Musicale di Graz e
al Conservatorio di Vienna. Dal
1989 insegna musica d’insieme,
composizione e arrangiamento
alla Vienna University of Music
and the Performing Arts. È solista
ospite in diverse formazioni e
cooperazioni artistiche internazionali (Elliott Sharp, Ben
Patterson, Joachim Kuhn, Tony
Oxley, Otomo Yoshihide, John Cale,
Zeitkratzer), insieme ai progetti
personali (Franz Hautzinger
Speakers Corner, Dachte Musik,
Regenorchester)
Raymond Kaczynski – percussioni (Detroit), ha studiato, percussioni, composizione e etnomusicologia. Ha registrato diversi cd
con Roswell Rudd, David Murray,
Julius Hemphill e tenuto concerti
in molte nazioni. Ha studiato il
mrdangam e il sistema ritmico del
sud dell’Asia con Ramnad V. Raghavan. È il curatore e traduttore
di un libro su questo sistema.
Ulrich Krieger – sassofono
(Berlino), nato nel 1962, ha studiato composizione, musica elettronica e sassofono alla Manhattan School of Music di New
York e alla HdK di Berlino.
Dal 1988 si è interessato al didjeridu e alla musica e cultura degli
Aborigeni australiani. Dal 1990
lavora come esecutore, compositore e improvvisatore free-lance.
Ha collaborato con Phill Niblock,
dagli anni ’80 lavora in tutto il
mondo come esecutore e compositore free-lance, suonando in diverse famose formazioni e orchestre come solista. Ha ricevuto
numerosi riconoscimenti (Schloß
Solitude Stuttgart, Salford College
of Technology, ecc.). Dal 1993 insegna musica elettronica al Royal
College of Music di Londra e continua a sperimentare con la sua
tuba modificata elettronicamente.
Burckhard Schlothauer – violino
(Berlino), ha studiato violino, chitarra, contrabbasso e composizione a Monaco e Brema. Oltre
alla propria attività nella musica
David First, Borah Bergman,
Witold Szalonek e molti altri e
suonato con l’Ensemble Modern e
i Berlin Philharmonics.
Michael Moser – violoncello
(Vienna), nato nel 1959 ha studiato a Graz e Vienna e lavora spesso
con l’ausilio di live-electronics
oltre a collaborare con improvvisatori quali Radu Malfatti o
Heiner Goebbels. Ha suonato in
Europa, Giappone, USA e lavorato
con compositori quali Helmut
Lachenmann, Isabel Mundry o
Vinko Globokar. Oltre alle proprie
solo performance, suona con
Klangforum Wien, TON ART e altri.
Melvyn Poore – tuba (Colonia),
ha studiato a Birmingham dove
ha fondato l’Arts Laboratory. Sin
contemporanea è attivo anche in
ambito pop e jazz, tanto da ricevere un premio al festival della
musica Pop per giovani musicisti.
Luca Venitucci – fisarmonica
(Roma) nato nel 1965, inizialmente legato alla musica popolare
italiana, dal 1990 si è rivolto alla
musica improvvisata, collaborando
con diversi compositori e estendendo il proprio stile con l’elettronica. Suona anche in ambito
rock sperimentale.
:
<9>
:phillniblock
Venerdì 22 marzo 2002
Teatro Fondamenta Nuove
Stasi e movimento
Volume e toni, anzi micro-toni,
sono queste le password essenziali per entrare nel mondo di
Phill Niblock. Tempo fa Eliane
Radigue, compositrice parigina e
amica di Phill Niblock, mi ha raccontato che la sola differenza
(ma non indifferente!) tra la sua
musica e quella del compositore
newyorchese stava esclusivamente nel volume: bassissimo
nel suo caso, altissimo in quello
di Phill. Tutto qui? Beh, c’è dell’altro naturalmente. Non è affatto improprio definire Niblock
artista multimediale o per meglio
dire con una sua definizione:
“intermedia artist”. Experimental
Intermedia (XI) è così anche
un’etichetta discografica di cui
Niblock è direttore artistico, ma è
soprattutto un’esperienza condivisa con musicisti e compositori
mossi da uno spirito affine, da
comune passione per la ricerca e
la sperimentazione.
“Minimalismo massimalista” si è
detto da più parti a proposito
della musica di Phill Niblock, per
via delle variazioni microtonali
giocate con un rigore quasi
matematico, ma nondimeno per
il forte volume che viene
richiesto alle sue musiche per
liberare tutta la loro potenza.
Ma sul termine minimalismo c’è
almeno una puntualizzazione da
fare. Niblock ad esempio tende a
differenziarsi da quelli che
definisce più “ripetitivi” che minimalisti, i vari Steve Reich, Philip
Glass o Terry Riley, mentre l’idea
del nostro è quella della sottrazione di elementi come ritmo e
melodia presenti invece nella
musica di quei padri storici. Note
lunghe e toni sostenuti dunque,
senza ritmo e melodie, ipersensibili tanto alla durata quanto al
volume. Non cercate però configurazioni precise o parametri
caratteristici nella scelta dei toni
in Phill Niblock, niente complesse
architetture come la just intonation tanto cara a LaMonte
Young. Egli si avvale piuttosto di
set arbitrari di toni. Ma il lavoro
sugli intervalli e sulle frequenze
di tono non è certo privo di complessità millimetriche a partire
dalla loro scelta. «Talvolta lavoro
con frequenze molto vicine tra
loro» racconta Phill «come per
esempio 55, 57, 59 hertz, poi
lavoro sulle loro ottave, creo una
partitura e scelgo uno strumento
e ovviamente anche un musicista
per registrare la serie di frequenze su un registratore multitracce
o su computer. Dal vivo in seguito i musicisti suonano esattamente lo stesso strumento,
improvvisando sulle note contenute nel nastro, influenzando
programma
“SEA JELLY YELLOW”
prima esecuzione assoluta
Ulrich Krieger, sax baritono, campionamenti live e registrati
“PAN FRIED 25”
prima esecuzione italiana
Reinhold Friedl, piano, campionamenti live e registrati
[prodotti nell’aprile del 2001 durante una residenza ai CCMIX
Studios di Parigi]
“EPITAFF” - prima esecuzione italiana
musica di Reinhold Friedl, video di Phill Niblock
“NOT UNTITLED / KNOT UNTIED – OLD”
Zeitkratzer Ensemble
Musica e immagini di Phill Niblock, video tratti dalla serie
“Movement of People Working”
PHILL
NIBLOCK
ZEITKRATZER
«Sea Jelly Yellow»
«Pan Fried 25»
«Epitaff»
«Not Untitled/Knot Untied Old»
così il risultato nello spazio…». In
questo senso potremmo dire che
l’approccio compositivo di
Niblock è più matematico e vicino all’arte concettuale, in cui
spazio e architettura giocano un
ruolo fondamentale. Perché? Ce
lo dice il compositore stesso:
«Ascoltando questa musica a volume basso tu percepisci soltanto
lo strumento, ma ad un volume
più alto perdi il suono dello strumento e cominci a sentire un incredibile mondo di microtoni…».
Per questo la musica di Niblock
non solo è da ascoltare ad
altissimo volume (Maryanne
Amacher è un altro brillante
esempio in questa direzione…)
ma richiede spazi adeguati. Spazi
comunque chiusi, delimitati da
pareti e soffitti, perché altrimenti all’aperto quei suoni si disperderebbero; meglio sarebbero dei
grandi muri in pietra con forte
riverbero, come nelle cattedrali.
Ed è proprio nella magnifica tensione tra stasi e movimento
all’interno di uno spazio chiuso
che si dispiega tutta l’arte sonora di Phill Niblock. È all’interno di
quello spazio che un tenue
ronzio cresce inarrestabile fino a
diventare muro di suono, flusso
di toni e microtoni che si intrecciano a formare drones compatti
come monoliti, pervasivi, insinuanti, perturbanti.
Gino Dal Soler («BlowUp»)
Phill Niblock – musica e immagini
Ulrich Krieger – sassofoni
Reinhold Friedl – pianoforte
Franz Hautzinger – tromba
Melvin Poore - tuba
Burkhard Schlothauer – violino
Christian Messer – viola
Alexander Frangenheim –
contrabbasso
Luca Venitucci – fisarmonica
Ray Kaczynski – percussioni
Marcus Waibel – elettronica
biografia musicale
Phill Niblock è nato nell’Indiana
(Usa) nel 1933 e sin dalla metà
degli anni ’60 ha presentato la
sua musica e le sue performance
multimediali in musei, festival,
radio, in America e in Europa,
dove è ultimamente impegnato in
un progetto in Belgio, oltre che
su cd, anche con la XI Records, di
cui è direttore artistico.
Presenta al Teatro Fondamenta
Nuove due nuovi lavori specificatamente pensati per il sassofono di Ulrich Krieger e il
pianoforte di Reinhold Friedl,
oltre alla già conosciuta Not
Untitled/Knot Untied Old e a una
composizione di Friedl su immagini del compositore americano.
Sea Jelly Yellow e Pan Fried 25
sono stati prodotti nell’aprile del
2001 durante una residenza ai
CCMIX Studios di Parigi.
Inside Phill Niblock’s musical spaces, a slight buzz
grows unrestrainably becoming a wall of sound, a fluxus of tones and overtones
crossing each other into
monolithic drones, disturbing, pervading, creeping.
:
<10>
:liviotragtenberg
Martedì 26 marzo 2002
Teatro Fondamenta Nuove
LIVIO
TRAGTENBERG
«Sonos & Sonhos
de Zuleika Zebra»
Livio Tragtenberg – cd players,
sax alto, soprano e tenore,
clarinetto basso, video proiezioni
The brazilian musician
Livio Tragtenberg in a
homage to Fluxus’ artist
Dick Higgins and his imaginary Zuleika Zebra; cd players, alto, soprano and
tenor saxophones, bass
clarinet, video projections
in an unique musical mix.
biografia musicale
Sonos & Sonhos
de Zuleika Zebra
Il Brasile è terra che musicalmente
si associa automaticamente a
torridi samba o alla morbidezza
della bossanova, e che tanta fortuna continua ad avere anche in
Italia grazie alla bravura di alcuni
dei suoi musicisti di Musica
Popolare Brasileira.
Ma il fervore musicale di questo
paese è tale da offrirci anche musicisti meno noti e che si confrontano con altri materiali: è questo il
caso di Livio Tragtenberg, che presenta a Risonanze – in quella che
lui stesso definisce una “prima
universale” – un suo nuovo lavoro.
«Sonos & Sonhos de Zuleika Zebra» (‘Suoni e sogni di Zuleika
Zebra’) è infatti un puzzle di musica e poesia in omaggio a Dick
Hig-gins, membro del gruppo
Fluxus, compositore, artista visuale
e scrittore.
Il personaggio di Zuleika Zebra era
un alter-ergo di Higgins. Dopo
uno scambio epistolare con
Tragtenberg, in cui Higgins ha
sviluppato il personaggio, tramite i
testi abbiamo la possibilità di
conoscere il mondo ironico e
rischioso di Higgins.
La musica è basata su uno spunto
vocale dalla lettera Z – in linea di
principio – con suoni che crescono
e si estendono dal respiro fino a
forti ritmi dance, su cui Livio
Tragtenberg crea una musica in
cui si mettono in gioco i sassofoni,
il clarinetto basso, l’elettronica, e
generatori di rumori.
Voci di ragazze che parlano
sommessamente dentro camere
d’albergo, respiri ritmicizzati,
strutture giurassiche di ritmi rock,
percussioni brasiliane che si
susseguono, sono alcune parti
dell’universo sonoro della performance, come dice l’autore:
«un’ora di deboli cuori che battono
forti melodie... voci che piangono
e pregano come la zebra più bianca e nera può fare…».
Livio Tragtenberg è un de-compositore, nato a San Paolo del
Brasile, e sta attualmente lavorando a una nuova piece di
danza di Johann Kresnik per il
teatro di Dresda, Germania.
Ha partecipato recentemente al
festival FLA-BRA di Miami in cui
si è esibito insieme al musicista
cubano Alfredo Triff. È autore di
musiche per cinema, danza,
teatro, carillon, video e – su
ordinazione – per veri amanti.
Tra i suoi dischi, Othello, Pasolini
Suite, Bazulaques Brasileiros (si
possono rintracciare a www.submarino.com.br)
È autodidatta e non ha mai studiato in una scuola di musica,
ma per pagarsi l’affitto ha insegnato, per vari anni, e ha scritto
libri su musica e teatro, e anche
solo sulla musica.
Ma ora, con la debole mente
cerca di mettere uno dietro l’altro ritmi e bicchieri…
Happening e Fluxus, Intermedia,
Something Else Press: questi
sono solo alcuni dei termini
associati alla figura di Dick
Higgins, compositore, pittore,
traduttore e teorico dell’arte.
Come egli stesso sottolinea: «ho
scoperto di non essermi mai
sentito del tutto completo se
non nel praticare tutte le arti,
visiva, musicale e letteraria» per
questo motivo probabilmente il
termine “Intermedia” è quello
che meglio di ogni altro ricomprende tutto ciò che concettualmente rientra in quelle attività.
Come fondatore della casa
editrice Something Else ha pubblicato opere di Alan Kaprow,
Gertrude Stein, Marshall
McLuhan, John Cage, Merce
Cunningham, Emmett Williams,
e Ray Johnson solo per citarne
alcuni. Tra i suoi quarantasette
libri ricordiamo Poems Plain &
Fancy e A Book About Love &
War & Death. Ha curato e annotato Giordano Bruno e ottenuto
riconoscimenti vari (PollockKrasner Foundation).
:
<11>
:angelisalis
biografia musicale_angeli
Angurie
e meloni
«Due stagioni a confronto: quella
delle angurie degli anni ‘50, trasportate in vespa dal pianista –
fisarmonicista di Villamar Antonello Salis e quelle dei meloni
degli anni ‘70 presi in prestito da
un autobus dal chitarrista gallurese Paolo Angeli. Siamo alla
frutta. Frutta maturata senza
anticrittogamici con la complicità solare di Lester Bowie, Don
Cherry, Nana Vasconcelos (Salis),
Fred Frith, Jon Rose, Giovanni
Scanu (Angeli)»
Così si presenta questo straordinario duo, unito non solo dalla
provenienza geografica, la Sardegna, ma anche da un inesauribile
desiderio di mettere in comunicazione mondi diversi attraverso la
forza della musica.
Osservandoli suonare, costruire i
suoni [talvolta nel vero senso della
parola dato che per Paolo Angeli
la modifica “artigiana” dello strumento è parte integrante della
propria espressività], tirare fuori
dalla terra le melodie e le radici
più preziose e vive senza limitarsi
a contemplarle o, al contrario, a
snaturarle dentro scenari compiacenti, si può comprendere come –
alla stessa maniera in cui nella
musica afroamericana la tradizione costituisce sempre terreno
di riflessione, di rielaborazione, di
confronto – lo scambio artistico
sia capace ancora una volta di
rigenerare i semi migliori e più
nascosti del passato e di stimolare
nuove ipotesi sonore per il futuro
[che nell’istante in cui ci stai pensando… è già presente]…
In questo spettacolo Paolo Angeli
utilizza una chitarra tradizionale
sarda (la Ghiterra), modificata da
lui stesso, attraverso l’uso di
archetto, martelletti e ventole, per
ottenere un suono continuo e con
l’aggiunta di sette corde trasversali, dodici pick-up (tra cui un sistema esafonico che permette un
controllo separato per ogni corda)
e altre varie diavolerie.
Dopo le prime esperienze musicali in un vecchio autobus
abbandonato nella periferia della
Sardegna settentrionale, Paolo
Angeli apprende i rudimenti
della chitarra dal padre.
Trasferitosi a Bologna nel 1989 –
e parallelamente agli studi di
chitarra jazz sotto la guida di
Tommaso Lama – all’interno dell’università occupata, inizia con
il Laboratorio di Musica &
Immagine ed altri sparuti compagni, un lavoro di sperimentazione musicale, con continui
scambi e collaborazioni tra
musicisti provenienti da aree
diverse. Con il LM&I suona tra il
1990 ed il ‘97 in numerosi festival di musica “innovativa” e di
cinema, produce tre CD e collabora con il musicista anglo-australiano Jon Rose (recentemente ospitato da Risonanze
con gran successo). Dallo stesso
gruppo nascono poi varie gemmazioni tra cui ricordiamo i
Trabant, funambolesca orchestrina che alterna un repertorio di
danze popolari a collaborazioni
teatrali e Mistress, sestetto
cameristico che esegue musiche
di Stefano Zorzanello. Nello stesso periodo inizia a suonare la
tuba con la Banda Roncati, la
batteria con i Diamant Brin e
fonda un quintetto vocale che
esegue il repertorio paraliturgico
dell’area gallurese. Tra le altre
attività ricordiamo la Scuola
Popolare di Musica Ivan Illich e
l’etichetta indipendente Erosha
Il lavoro con l’ensemble Eva Kant
(composto da 28 elementi) è la
base per la collaborazione con
Fred Frith e Butch Morris prima
che un rinnovato interesse per la
cultura musicale sarda lo porti
ad approfondire la tradizione
musicale del nord della
Sardegna, conoscendo Giovanni
Scanu (il più vecchio suonatore
di chitarra sarda scomparso
recentemente) che lo guida
alla conoscenza delle forme del
canto con accompagnamento
di chitarra.
Nello 1997 inizia a fare concerti
con una particolarissima chitarra
sarda preparata, partecipando al
festival internazionale «Die lange
nacht der gitarre» (Podewil
Berlino), vincendo il primo premio al concorso «Posada Jazz
Project» e pubblicando il CD
Linee di Fuga – solo per chitarra
sarda preparata – ottenendo
ampi consensi da parte della
critica specializzata.
Ha suonato anche con Otomo
Yoshihide, Frank Schulte, Lukas
Simonis, Elliott Sharp, Carlo Actis
Dato e insieme al fotografo
Nanni Angeli cura la direzione
artistica del festival Internazionale di Musica, Teatro e Arti
Visive «Isole che Parlano».
Martedì 9 aprile 2002
Teatro Fondamenta Nuove
ANTONELLO
SALIS
& PAOLO
ANGELI
Antonello Salis pianoforte, fisarmonica
Paolo Angeli chitarra sarda preparata
biografia musicale_salis
Il pianista e fisarmonicista
Antonello Salis, nato in provincia di Cagliari nel 1950, è uno
degli artisti che con il loro lavoro
più hanno saputo contribuire
alla riscoperta e alla rivalutazione della fisarmonica. Dopo
le prime esperienze come organista in orchestre da ballo, si
trasferisce a Roma dove lo troviamo nel gruppo jazz-rock
Cadmo e successivamente in
collaborazioni con straordinari
musicisti jazz quali Don Moye,
foto di Nanni Angeli
foto di Nanni Angeli
Lester Bowie, Enrico Rava,
Anthony Braxton, Billy Cobham,
Nana Vasconcelos, Don Cherry,
Ed Blackwell.
Tra le sue collaborazioni più
interessanti e durature quella
con il chitarrista francese Gerard
Pansanel, un’intensa attività di
musica per il teatro e la danza
(con Teri Weikel o Roberta
Garrison) e, ovviamente, il continuo lavoro di riscoperta di uno
strumento quale la fisarmonica
nel contesto della musica
improvvisata, con i colleghi
Richard Galliano, Gianni Coscia,
Marcel Azzola, nel trio PAF con
Paolo Fresu e Furio Di Castri o
nel quartetto Angel dello stesso
Fresu, nei progetti del bassista
Paolino Dalla Porta, nel vulcanico duo con il sax di Sandro
Satta, nel Meta Quartet e con il
pianista Stefano Bollani.
Impossibile descrivere l’incredibile energia melodica e ritmica
che, soprattutto dal vivo, questo
musicista trasmette, quando
sotto le sue dita rapidissime passano con la stessa leggerezza e
intensità al tempo stesso i
Beatles o Nino Rota, il free o le
melodie popolari, Keith Jarrett e
gli echi di una banda paesana.
A special duet between the
“prepared sardinian guitar”
of Paolo Angeli and
the funambolic accordion
and piano of Antonello
Salis, crossing sonic bridges between tradition and
innovation in an amazing,
energetic set!
:
<12>
:nexus
Venerdì 12 aprile 2002
Teatro Fondamenta Nuove
NEXUS
Daniele Cavallanti – sax tenore
e baritono
Achille Succi – sax contralto
e clarinetto basso
Beppe Caruso – trombone
Roberto Cecchetto – chitarra
Tito Mangialajo – contrabbasso
Tiziano Tononi – batteria
e percussioni
Nexus enbodies that special
side of black music that speaks
through the voice, a voice
becoming instrument, a voice
organising itself into speech, a
voice changing cards on the
table, a voice making clear the
ancestral and the magic.
Il dialogo con la tradizione
e la voce magica
Ad un convegno di studi tenutosi a Praga nell’estate del 2000
la relazione introduttiva fu condotta da Barry Kernfeld, il curatore del New Grove Dictionary of
Jazz, ora giunto alla seconda
edizione in tre massicci volumi
(Macmillan, Londra 2001).
Riflettendo su quale fosse il
tratto emergente dal ciclopico
lavoro per l’enciclopedia riguardo allo stato attuale del jazz,
Kernfeld notò che forse la maggiore novità del jazz degli ultimi
anni risiedeva nel tipo di organizzazione professionale dei
musicisti: mentre un tempo essi
tentavano di mantenere gruppi
relativamente stabili, dagli anni
Ottanta i musicisti si sono sempre più impegnati in innumerevoli collaborazioni, spesso
di carattere eterogeneo e
casuale. Il risultato è che oggi i
gruppi di lunga durata sono
molto più rari, e i musicisti tendono a costruire la propria carriera passando rapidamente da
una formazione all’altra, ben
poche delle quali emergono grazie ad una vita prolungata.
È chiaro che questa situazione
rende problematica la crescita e
la maturazione degli artisti e
della musica.
I motivi di una simile configurazione professionale vanno cercati anzitutto nelle mutate condizioni del mercato musicale e
non possono essere approfondite in questa sede: basti dire
che la precarietà dell’offerta di
club, festival, case discografiche
rende estremamente arduo per
un musicista tenere in piedi un
gruppo stabile. Precarietà che è
ancora maggiore in realtà dal
mercato ristretto come l’Italia,
dove gran parte dei curricula dei
musicisti si compongono unicamente di una sfilza di collaborazioni più o meno prestigiose.
In questo panorama mobile e
sfuggente il caso dei Nexus rappresenta una sorprendente e
felice eccezione. Nato nel 1981
grazie all’impegno del batterista
Tiziano Tononi e del sassofonista
Daniele Cavallanti, Nexus ha
resistito per più di un ventennio
nell’asfittico mondo del jazz italiano, mantenendo una formazione stabile che solo di recente
ha subìto un rimaneggiamento
che è un vero e proprio ricambio
generazionale, con l’arrivo di
giovani musicisti tra i più dotati
della scena attuale.
Dove risiede la forza di Nexus, la
sua capacità di resistere con
successo ai mutamenti del mercato e di sapersi rinnovare artisticamente? Da un lato vi è la
ferma capacità di guida di
Tononi e Cavallanti, due musicisti che hanno sempre ignorato
le pressioni del mercato discografico e concertistico e sono
però riusciti a tenere insieme il
gruppo grazie all’oculata gestione di registrazioni discografiche e concerti. D’altro canto le
non frequenti ma regolari apparizioni del gruppo sono sempre
state accolte con entusiasmo dal
pubblico e dalla critica, che
hanno così tenuta desta l’attenzione su di esso. E qui sta la seconda, grande forza di Nexus: la
costante alta qualità della musica, la capacità di Tononi, Cavallanti & co. di aver trovato una
strada che consenta al gruppo di
produrre forme, ritmi, emozioni,
colori vivi, mai bloccati in una
formula, e di riuscire a lavorare
con i musicisti del gruppo al più
alto livello di interscambio creativo e affiatamento artistico.
Nexus ha anzitutto raccolto
l’eredità della musica di Charles
Mingus: pensando la propria
musica in funzione dei musicisti
che la suoneranno, aprendo la
forma ai cambi di tema, colore,
velocità, metro, sviluppando il
materiale in termini sia di continuità sia di contrasto, lasciando
ai solisti ampie possibilità di
scelta sulla direzione da fare
foto di Roberto Meazza
intraprendere all’intero gruppo:
e soprattutto pensando alla
musica come fatto comunicativo
globale che investe in un unico
fascio di energia tanto che la
suona quanto chi la ascolta, in
una sorta di coinvolgimento
esistenziale circolare, che è uno
dei valori più profondi della
musica afroamericana. inoltre
dalla musica di Nexus emerge
un’energia bruciante che è il
calore generato da una dialettica, da un dialogo e a volte dall’attrito con certi maestri del
passato jazzistico lontano o
recente, espressionisti come
Sidney Bechet o Roland Kirk,
cantori visionari come Don
Cherry e Ornette Coleman,
architetti immaginifici come
Duke Ellington, lucidi invasati
come Albert Ayler e Eric Dolphy.
Proprio il costante riferimento a
Ayler ci offre la chiave di volta:
Nexus dà corpo a quell’anima
della musica nera che parla
attraverso la voce, la voce che si
fa strumento, la voce che si
organizza in discorso, la voce
che esprime pensiero e cambia le
carte in tavola, la voce – e
questo è punto centrale nella
poetica del gruppo – che rende
visibile l’ancestrale e il magico.
Di fronte alla sfida spirituale,
alla libertà espressiva e alla
crescita individuale e collettiva
che simile musica offre ai
musicisti e agli ascoltatori, non è
difficile capire perché un gruppo
simile non abbia mai contemplato la possibilità di sciogliersi e
cessare di ri-suonare nelle orecchie, nella mente e nel corpo di
chi gli va incontro.
Stefano Zenni
(musicologo)
:shotzdiscografie
risonanze/shotz
Giovanni
Pancino
Parallelamente agli appuntamenti di Risonanze 2002, al
Teatro Fondamenta Nuove si
potranno vedere le fotografie di
Giovanni Pancino in un breve
percorso denominato
Risonanze/Shotz, scatti che
ricordano alcuni dei concerti
delle precedenti stagioni di
Riferimenti discografici
Zbigniew
Karkowski
ZBIGNIEW K
ARKOWSKI
Con Masami Akita (Merzbow) – Mazk (CD Tigerbeat 6, 2001)
Con Francisco Lopez – Whint (CD Absolute/Touch, 2001)
It (CD Mego, 2000)
Sensorband – Area/Pulse (CD Sonoris, 2000)
Hafler Trio – Resurrection (CD Touch, 1993)
Con John Duncan – Send (CD Touch, 1993)
foto di Giovanni Pancino
Risonanze e testimoniano la
continuità che lega le proposte
della rassegna. Sono fotografie
che colgono i particolari, che
mostrano la musica nel momento in cui viene prodotta e ce ne
fanno scoprire una faccia che –
se ovviamente non può rappresentare che una parte dell’evento live – traccia ipotesi e suggestioni sempre nuove.
Giovanni Pancino (Venezia,
1970) è diplomato all’Istituto
Superiore di Fotografia e Arti
Visive di Padova e ha spesso
incentrato la sua attenzione sul
teatro e la musica, approfondendo i rapporti tra fotografia e jazz
in workshop tenuti da artisti del
calibro di Roberto Masotti, Pino
Ninfa, Luciano Rossetti.
Ha seguito per un anno la compagnia teatrale Isola Teatro, è
stato fotografo ufficiale per l’installazione dell’architetto F. Purini (Venezia, Biennale Architettura, 2000), il Padiglione Telecom
(Venezia, Biennale, 2001), la fiera
Navalia (Venezia, 2001) ed è
stato presente in mostre collettive e personali.
Le sue foto sono state pubblicate
da riviste quali «Re Nudo»,
«BlowUp», «Jazzit», nonché
su web-magazines come
«Allaboutjazz».
Larry
LARRYOchs
OCHS
Larry Ochs & Drumming Core – The Neon Truth (CD Black Saint, 2002)
John Lindberg Ensemble – A Tree Frog Tonality (CD Between the Lines, 2000)
Rova – Works 3 voll. (CD Black Saint, 1994/99)
What We Live – Trumpets (CD Black Saint, 1999)
What We Live – Never Was (CD Black Saint, 1999)
John Lindberg Ensemble – The Catbird Sings (CD Black Saint, 1999)
The Secret Magritte (CD Black Saint, 1996)
What We Live (CD DIW, 1996)
Rova – John Coltrane Ascension (CD Black Saint, 1995)
Rova – Favorite Street (CD Black Saint, 1984)
Keith
[andJULIE
Julie
Tippetts]
KEITHTippett
TIPPETT [AND
TIPPETTS
]
Linuckea (CD Fmr, 2000)
Friday The 13th (CD Voiceprints, 1997)
Mujician – Colours Fulfilled (CD Cuneiform, 1997)
Con Julie – Couple In Spirit II (CD Asc, 1997)
Dedication Orchestra – Spirits Rejoice (CD Ogun, 1992)
Con Julie – Couple In Spirit (CD Virgin, 1989)
Mujician (CD FMP, 1986)
Arc – Frames (CD Ogun, 1978)
Ovary Lodge (CD WhatDisc, 1973)
Centipede - Septober Energy (CD Disconforme, 1971)
Dedicated To You But You Weren’t Listening (CD Disconforme, 1970)
Lou
LOUReed
REED
Ecstasy (CD Warner, 2000)
Perfect Night (CD Warner, 1998)
Songs For Drella (CD Sire, 1990)
New York (CD Sire, 1989)
Coney Island Baby (CD RCA, 1976)
Metal Machine Music (CD Buddha, 1975)
Rock’n’Roll Animal (CD RCA, 1974)
Berlin (CD RCA, 1973)
Transformer (CD RCA, 1972)
Niblock
PPhill
HILL NIBLOCK
A Young Person’s Guide To Phill Niblock (CD XI, 2001)
Five More String Quartets (CD XI, 2001)
Three Pieces For Cello (CD Forced Exposure, 2000)
Ghosts and Other Stories (CD Sedimental, 1999)
For Full Flutes (CD XI, 1989)
Zeitkratzer
ZEITKRATZER
Terre Thaemlitz/Zeitkratzer (12” Comatonse, 2002)
Noise\…[larm] (CD Tourette, 2001)
SoundinX (CD Zeikratzer, 1997)
SonX (CD Zeitkratzer, 1997)
Xtensions (CD Zeitkratzer, 1997)
Livio
LIVIO TTragtenberg
RAGTENBERG
Atraves da Janela (CD Demolições Musicais, 2000)
Bazulaques Brasileiros (CD Demolições Musicais, 1998)
Pasolini Suite & Hansel und Gretel Suite (CD Demolições Musicais, 1997)
Anjos Negros (CD Demolições Musicais, 1994)
Paolo
PAOLO Angeli
ANGELI
AA.VV. – Isole che Parlano (CD Erosha, 2000)
Mistress (CD Erosha, 1999)
Fred Frith – Pacifica (CD Tzadik, 1998)
Linee di fuga (CD Erosha/PJP, 1998)
AA.VV. – Trasmigrazioni (CD Il Manifesto, 1996)
Dove Dormono gli Autobus (CD Erosha, 1995)
LM&I/Jon Rose – Rosemberg’s Revised Timetable (CD Erosha, 1995)
Antonello
ANTONELLO SSalis
ALIS
Con S. Satta – Live @ Radio3 (CD Via Veneto Jazz, 2001)
Meta Quartet – Sintesi (CD Via Veneto Jazz, 1997)
P.A.F. – Live In Capodistria (Cd Splasc(h), 1996)
Con S. Satta – Live In Como (CD Splasc(h), 1993)
Con Nana Vasconcelos – Lester (CD Soul Note, 1987)
Nexus
NEXUS
The Nexus Orchestra 2001 feat. Roswell Rudd (CD Splasc(h), 2002)
We Still Have Visions (CD Splasc(h), 1998)
Free Spirits (CD Splasc(h), 1994)
The Preacher And The Ghosts (CD Splas(h), 1991)
Urban Shout (CD Splasc(h), 1988)
:webandhistory
:edizioniprecedenti
1996
Risonanze nel web
ZBIGNIEW KARKOWSKI
PAOLO ANGELI
Uno dei suoi progetti più importanti:
Su Paolo Angeli:
www.sensorband.com
www.thanitart.com/paoloangeli
Il festival diretto dal musicista:
ZEITKRATZER
www.isolecheparlano.it
Il sito ufficiale dell’ensemble
Sito ufficiale:
berlinese: www.zeitkratzer.de
web.tiscali.it/paoloangeli/index2
KEITH TIPPETT
ANTONELLO SALIS
Informazioni e discografie:
Un’intervista (in francese):
www.shef.ac.uk/misc/rec/ps/efi/musi-
lejazz.simplenet.com/
cian/mtippett
06/fr/files/salis.html
oppure perso.club-internet.fr/
calyx/mus/tippett_keith
LIVIO TRAGTENBERG
Dave Douglas String Group
Ned Rothenberg Double Band
Linguistic Research Laboratory (David Shea/Frank
Schulte/Otomo Yoshihide)
Elliott Sharp/Zeena Parkins “Psychoacoustics”
Peter Blegvad/Chris Cutler/John Greaves
Fred Frith Guitar Quartet
Jamaaladeen Tacuma “Brother Zone”
Mark Dresser/Anthony Coleman/Chris Speed “Movie
Show”
1997
ROVA Saxophone Quartet (Bruce Ackley , Steve
Adams, Larry Ochs, Jon Raskin)
Terra Arsa (Gianni Gebbia/Miriam Palma/Vittorio Villa)
Jamaaladeen Tacuma “Brother Zone” featuring Marc
Ribot
Mike Westbrook/Kate Westbrook “Stage set”
Steve Piccolo’s Hilarity Workshop featuring Elliott
Sharp & Zeena Parkins
Iva Bittovà/Vladimir Vaclave?
Marie Goyette/Dagmar Krause
Annie Gosfield/Roger Kleier
Bob Ostertag/Jon Rose “The Crow”
Per saperne di più
LOU REED
sulla figura di Dick Higgins:
Il sito ufficiale: www.loureed.org
www.fluxus.org/FLUXLIST/higgins
Il sito italiano: www.loureed.it
PHILL NIBLOCK
Il sito della Experimental Intermedia:
www.experimentalintermedia.org
La guida web per saperne di più su
Niblock: www.geocities.com/
SoHo/Exhibit/2730
LARRY OCHS
Il sito di Ochs
e del Rova Saxophone Quartet:
ALTRI PERCORSI
www.rova.org
Per saperne di più
Il sito di Risonanze:
sul batterista Scott Amendola:
www.provincia.venezia.it/vortice
www.scottamendola.com
Notizie e informazioni
Comune di Venezia, Cultura e
sulla scena impro di San Francisco:
Spettacolo:
www.bayimproviser.com/default
www.culturaspettacolovenezia.it
NEXUS
La rivista BlowUp on line:
Notizie e discografie su Tononi,
www.blowupmagazine.com
Cavallanti e molti altri jazzisti italiani:
www.ijm.it
Di molte delle musiche che ascoltate a
Risonanze parla anche (in inglese), la
rivista Wire: www.thewire.co.uk
1998
John Greaves
I.S.O. (Otomo Yoshihide/Ichiraku Yoshimitsu/Sachiko
Matsubara)
ROVA Saxophone Quartet (Bruce Ackley , Steve
Adams, Larry Ochs, Jon Raskin)
K-Space (Ken Hyder/Tim Hodgkinson/Gendos
Chamzyrin)
Sephardic Tinge (Anthony Coleman, Ben Street, Mike
Sarin)
Ellery Eskelin/Andrea Parkins/Jim Black
What We Live featuring Wadada Leo Smith (Lisle Ellis,
Larry Ochs, Donald Robinson, Wadada Leo Smith)
Paolo Angeli “Linee di fuga”
Carl Stone
1999
The Danubians (Csaba Hajnoczy, Gaby Kenderesi,
Amy Denio, Pavel Fajt)
Dave Douglas Tiny Bell Trio (Dave Douglas, Brad
Shepik, Jim Black)
Nicolas Roseeuw Ortekè
Ossatura (Maurizio Martusciello, Fabrizio Spera, Luca
Venitucci, Elio Martusciello)
Veryan Weston/Lol Coxhill/Enzo Rocco
Otomo Yoshihide’s New Jazz Quintet
Mark Trayle
Marc Ribot
Evan Parker/Walter Prati
2000
Kletka Red
John Lindberg Ensemble
OPUS (Thurston Moore/Giancarlo Schiaffini/Walter
Prati)
Gaby Bultmann/Astrid Nielsch
Dave Dougles Sextet
Markus Hinterhauser/Robyn Schulkowsky/Olga
Neuwirth
John Tilbury/Michael Parsons
David Shea & Nuestra Signora Ensemble
Logos Ensemble
Steve Piccolo’s Hilarity Workshop
Blixa Bargeld
Elliott Sharp
Ned Rothenberg/Anthony Coleman
A Short Apnea
2001
Stefano Scodanibbio
Beckett/Feldman - Words and Music, Compagnia
Teatrale D.A.F./Laboratorio Novamusica
Carlo Actis Dato/David Murray
Elena Casoli
Trionacria (Roy Paci, Gianni Gebbia, Francesco Cusa)
Erik Friedlander “Topaz”
Peter Kowald
Jim Black Alasnoaxis (Jim Black, Hilmar Jensson, Skuli
Sverrisson, Chris Speed)
XAXA (Sebi Tramontana, Phil Wachsmann, Paul
Lovens, Mats Gustafsson)
Ben Allison Medicine Wheel (Ben Allison, Michael
Blake, Frank Kimbrough, Ron Horton, Mike Sarin)
Bob Ostertag/Pierre Hébert
ROVA Saxophone Quartet (Bruce Ackley , Steve
Adams, Larry Ochs, Jon Raskin)
Steve Piccolo - Expedition/Derive (Steve Piccolo, Luca
Gemma, Gak Sato, Armin Linke)
Frank Gratkowski Quartet (Frank Gratkowski, Wolter
Wierbos, Dieter Manderscheid, Gerry Hemingway)
Elliott Sharp/Steve Piccolo
Jon Rose/Veryan Weston/Shelley Hirsch
:orientamenti
Il magazine-guida del
COMUNE DI VENEZIA
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI
CULTURA E SPETTACOLO
n.1 - Marzo 2002 - Anno I
Supplemento al periodico Venezia News, n. 57
Marzo 2002 - Anno VI
Aut. del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996
Venezia, 1 marzo 2002
un progetto a cura di
Massimo Macaluso, responsabile
del Servizio Iniziative Culturali
tel. 041-2747605/15
www.culturaspettacolovenezia.it
:venews
magazine-guida di venezia e del veneto
Direttore editoriale
Massimo Bran
Direttore responsabile
Valentina Bezzi
Grafica
Marika Vettori
Testi a cura di
Enrico Bettinello, Massimo Ongaro
dell’Associazione Culturale Vortice
:informazioni
RISONANZE
Comune di Venezia
Beni e Attività Culturali - Cultura e Spettacolo
Vortice Associazione Culturale
Direzione artistica
Massimo Ongaro e Stefano Bassanese
BIGLIETTI:
Ingresso unico € 8,50
Ufficio stampa e accrediti:
Enrico Bettinello
[email protected]
Concerto del 22 marzo:
Ingresso unico € 10
Concerto del 20 marzo, Teatro Malibran:
Ingresso € 26, € 22, € 18
Ministero dei Beni Culturali - Dipartimento
dello Spettacolo
Provincia di Venezia - Assessorato alla Cultura
Fondazione Teatro La Fenice Venezia
Istituto Universitario di Architettura di
Venezia - Senato degli Studenti
Comune di Venezia - Archivio Giovani Artisti
INFORMAZIONI:
Associazione Culturale Vortice
[email protected]
www.provincia.venezia.it/vortice
Teatro Fondamenta Nuove
Cannaregio 5013 - Venezia
tel. 041.5224498
PREVENDITE:
Circuito Box Office Triveneto
tel. 041.940947, tel. 045.8011154
www.boxoffice.it
[email protected]
Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia
Teatro Fondamenta Nuove
Con la collaborazione di
Epson Italia
Lufthansa AG
Radio 3 RAI
Teatro Malibran
Campiello Malibran-Venezia
tel. 041-786511/786601
Comune di Venezia, Cultura e Spettacolo
tel. 041.2747609, fax 041.2747619
[email protected]
Prenotickets: vendita telefonica, consegna
biglietti a domicilio e pagamento con carte di
credito, h 16.00/18.30 dal lunedì al venerdì,
tel. 041.940200
Presso le biglietterie un'ora prima
degli spettacoli.
Hanno collaborato
Gino Dal Soler, Tony Herrington,
Stefano Zenni
Traduzioni
Enrico Bettinello
Foto di copertina
Timothy Greenfield-Sanders
Recapito Redazionale
Cannaregio 77 - 30121 Venezia
tel 041-714888/fax 041-2758350
e-mail: [email protected]
Stampa
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Ivano - V.le dell’Industria 28
Rubano (Pd) - Tel. 049-8977030
© Edizioni Venezia News di M. Bran