L'indagine continua foto di Giovanni Pancino Risonanze 2002 è l'ennesima tappa di un percorso di collaborazione tra il Comune di Venezia - Beni e Attività Culturali - e l'Associazione Culturale Vortice, un percorso che ha avuto inizio nel 1996 all'interno dell'Istituto Universitario di Architettura, dove sono stati promossi dapprima una serie di concerti, quindi delle vere e proprie rassegne musicali che in breve tempo (e con molti sforzi) hanno iniziato a dare risultati importanti, sia per la qualità delle proposte che per la quantità di pubblico che ha dimostrato di apprezzare i percorsi musicali non ortodossi che sono stati sempre privilegiati. Risonanze ha infatti acquisito, stagione dopo stagione, un posto di assoluto rilievo nel panorama cittadino dell'offerta musicale "colta", grazie a scelte di repertorio spesso inconsuete, in alcuni casi spiazzanti, in una logica rinnovata di trasversalità di generi e idiomi musicali. L'amministrazione, che ha sostenuto finora con convinzione questa tipologia di approccio alla musica contemporanea, ha potuto apprezzare risultati fin qui molto soddisfacenti: la rassegna ha proposto al pubblico veneziano, ma di Sandro Mescola dirigente del Comune di Venezia Beni e Attività Culturali-Cultura e Spettacolo chiamando anche spettatori da tutto il Nord Est, i prodotti più interessanti delle avanguardie musicali mondiali, creando un panorama che per varietà e ricchezza di proposte ha trovato ben pochi riscontri analoghi in Italia negli ultimi anni. Il programma 2002 segna un ulteriore progresso qualitativo: tre prime assolute, tre prime italiane, una prestigiosa coproduzione con MaerzMusik 2002, Festival di Musica Contemporanea di Berlino, l'arrivo a Venezia di Lou Reed sono sintomo benaugurante di crescita di un progetto culturale ambizioso, dedicato alla produzione delle nuove musiche contemporanee. L’ Associazione Culturale Vortice nasce nel 1998 per volontà di un gruppo di persone giunte a Venezia per motivi di studio e ivi insediatesi. Il progetto è quello di vivere la città di Venezia come luogo della sperimentazione e della produzione di eventi culturali. In una città apparentemente plurale, ospitale e ricca di eventi, Vortice si propone di produrre eventi culturali in ogni ambito caratterizzandosi con la sperimentazione, l’accessibilità agli eventi, il contenimento dei costi, la diffusione degli eventi nello spazio e nel tempo veneziano. Le attività si svolgono attraverso l’azione volontaristica, tipica delle associazioni non-profit, degli associati e la continua ricerca di soggetti disponibili a sostenere economicamente e logisticamente i singoli progetti. Oggi l’Associazione ha una sua attività consolidata, ma non per questo ha smesso la sua ricerca di progetti, risorse, luoghi. Ed è in questo contesto che accanto alla rassegna Risonanze, giunta alla intensa edizione del 2002, sono state svolte, ed altre sono in cantiere, numerose iniziative. Il progetto generale vuole essere una delle azioni possibili, sostenibili, necessarie, contro una Venezia incastrata da una produzione culturale di rappresentanza, costosa, sempre più legata alla rappresentazione più che alla produzione e timida se non succube rispetto alla monocultura del turismo nella scelta degli eventi, nella loro calendarizzazione e localizzazione: una azione di affermazione dei “diritti di cittadinanza” delle nuove generazioni a Venezia. Fabrizio D’Oria, presidente Associazione Culturale Vortice La tesi fondante di Risonanze è sempre stata quella della necessità di una visione eterodossa delle arti musicali contemporanee. La tesi è stata fin dall'inizio caratterizzata dal lavoro sulle complementarità delle pratiche e dei pensieri musicali. Avanguardia nella ricerca espressiva sia di matrice improvvisativa che compositiva, ascolto delle esperienze geoculturali più varie e sempre messe sul piano di un fecondo confronto senza preclusioni identitarie. E infine, ma certamente non ultima, qualità delle proposte come vettore di una emotività finora fortemente recepita dal pubblico della rassegna. Con il programma 2002 vogliamo sottolineare il procedere dell'indagine sulle pratiche dell’improvvisazione ma anche di quelle della scrittura nei progetti musicali proposti. Queste due tecniche del linguaggio sono, a nostro modo di vedere, irrinunciabilmente complementari e fecondamente scambievoli. In fondo quella che ora ci appare una problematica strettamente legata al contemporaneo è invece patrimonio storico di ogni cultura musicale, praticamente da sempre. La sperimentazione di questa osmosi delle pratiche e delle tecniche può e deve essere il luogo stesso del linguaggio musicale, lo specchio del suo costante coniugarsi e rinnovarsi. Massimo Ongaro e Stefano Bassanese : <3> :zbigniewkarkowski biografia musicale in 1000 copie e 1000 persone lo comprano, si tratterà davvero di un migliaio di lavori diversi!». Il sentimento sulla musica e la sua stessa interpretazione appartengono [vengono ridonati] all’ascoltatore, in un sistema totalmente libero e aperto. Nella scelta – cui si trova di fronte chiunque si esibisca dal vivo – se Non sarà così al Teatro Fondamenta Nuove, dove Karkowski presenterà Consciously Unconscious Unconsciously Conscious, una composizione in due parti per computer in tempo reale. «Quando faccio le mie performance soliste voglio distruggere le aspettative: la gente ascolta Tra le attività artistiche più recenti di Zbigniew Karkowski, compositore nato in Polonia nel 1958, ma nomade per vocazione, ci sono la composizione di musica per solisti, ensemble e orchestre sinfoniche, concerti e dischi solisti, oltre allo sviluppo di tecnologie e modalità esecutive sensoriali attraverso reti (anche internet) con il gruppo Sensorband, oltre a un numero incredibile di collaborazioni con artisti quali Masami Akita (a.k.a. Merzbow), Peter Rehberg, mettersi in gioco o meno, non ha proprio dubbi: «se fai musica davvero sperimentale, ti prendi ogni volta dei rischi!» e non ha parole tenere nei confronti di quei colleghi i cui scenari sonori suonano sempre piuttosto uguali e cui la notorietà ha infuso una statica artificiosità: «ai concerti si limitano a suonare i propri dischi, hanno la stessa mentalità di una rock-band sul viale del tramonto…», non ci sono rischi, né per loro né per il pubblico. solo le proprie aspettative, così io suono troppo forte per permettere loro di seguire i propri pensieri! Il suono è così fisico…». A patto di non considerarla una minaccia, il concerto di Karkowski è la giusta apertura per l’intera rassegna, la possibilità di mettere in discussione le certezze e aprirsi alla incredibile varietà di eventi sonori che si succederanno sui palcoscenici di Risonanze. Enrico Bettinello («BlowUp», «Allaboutjazz») Francisco Lopez, Kasper Toeplitz, Zeitkratzer. Con il gruppo Sensorband ha messo a punto una Sound Net, strumento di 121 metri quadrati formato da una rete di fili e sensori che reagiscono all’allungamento e al movimento e che viene suonato arrampicandovici sopra, lasciando che l’inevitabile mancanza di controllo faccia sorgere idee sempre nuove e comprendere meglio le dinamiche della motilità e della gestualità. Oltre i confini elettronici Zbigniew Karkowski è un personaggio davvero singolare: polacco di nascita, ha sviluppato però una vocazione nomade e cosmopolita che lo ha trasportato negli anni dalla Svezia all’Olanda, dalla Germania alla Francia, fino a trovare base in Giappone, dove risiede dal 1994, il posto perfetto per collaborazioni libere e spontanee con artisti sganciati da un approccio intellettualistico e inquadrato. L’idea di confine è un concetto davvero estraneo a Karkowski, per cui le distinzioni tra musica e rumore, tra arte “alta” e “bassa” vengono rifiutate dall’origine e questa nozione non convenzionale di “suono” trova una forza specifica nella funzione sociale che l’artista attribuisce alla musica. Per sua ammissione «ha studiato musica in tanti contesti, con svariati maestri e per tanti anni, ma l’unico ad avergli insegnato davvero qualcosa è stato Iannis Xenakis»: da allora – con sulle spalle un vasto raggio di collaborazioni e una produzione discografica che è arrivata anche a toccare le trenta uscite all’anno – Zbigniew Karkowski è sinonimo di rischi da correre, di Powerbook i cui software vengono utilizzati/de-utilizzati in funzione creativa, di performance in cui il corpo, la gestualità diventano centrali nel controllo del suono sintetico, di musica che vibra da sola, senza bisogno di spiegazioni o sovrastrutture. Tanto che nel suo pensiero non c’è alcuna volontà di sostenere con teorie quello che viene creato: «se un mio cd viene realizzato Lunedì 4 marzo 2002 Teatro Fondamenta Nuove ZBIGNIEW KARKOWSKI «Consciously Unconscious Unconsciously Conscious» Zbigniew Karkowski - electronics The music of the nomadic polish electronic composer Zbigniew Karkowski is synonym of taking riskd, of Powerbooks whose softwares are utilized/de-utilized in a creative way, of performances in which the body, the gestures become part of the synthetic sound control, of self vibrating music. : <4> :larryochs Giovedì 7 marzo 2002 Teatro Fondamenta Nuove LARRY OCHS «SAX & DRUMMING CORE» Larry Ochs – sassofono tenore e sopranino Donald Robinson – batteria Scott Amendola – batteria Saxophonist Larry Ochs’ new project: saxophone and two drums: a meditation on and a 21 st century distillation of the songs of American and eastern European blues-shouters and of traditional chant-singers from Asia and Africa. La libertà dentro la ricerca Sassofonista, compositore, improvvisatore, Larry Ochs (New York, 1949) è uno di quei musicisti che attraversano da più di venticinque anni i paesaggi del jazz con personalità e apertura, talvolta senza fare rumore, collaborando ai progetti più stimolanti e gettando continui ponti sonori tra le diverse sponde della musica improvvisata. Il suo nome è indissolubilmente legato a quello del Rova Saxophone Quartet, la più influente formazione di soli sassofoni che – insieme al World Saxophone Quartet, cui è legato da un rapporto di antitesi-complementarità – a partire dagli anni ’70 ha scandagliato i rapporti tra scrittura e improvvisazione per quell’organico. Ochs è un artista che con i suoi progetti, anche quelli apparentemente più complessi, ci ricorda continuamente che la musica «deve generare qualcosa che sia ben di più della somma delle sue parti»: da qui la profonda attenzione al mettersi in gioco, all’ascoltare, alla storia stessa dello strumento e del jazz in genere. È un’attenzione che si apre anche alle espressioni sonore più distanti [geograficamente e strutturalmente], come testimonia questo nuovo progetto, «Drumming Core», ma allo stesso tempo un’attenzione che si apre internamente, portando nella musica le esperienze di tutti i giorni, la libertà, ma anche le difficoltà e i contrasti. La collaborazione e l’indipendenza sono ben simboleggiate dalla creazione, nel 1978, dell’etichetta indipendente Metalanguage, che nei cinque anni della sua esistenza pubblicò i primi dischi [era vinile allora…] dei Rova. Il contatto con il sassofono avviene per Larry Ochs in un età non propriamente verdissima per incominciare, 21 anni, e da allora una continua ricerca sonora e di linguaggio ha permesso al musicista di raggiungere quel privilegiato punto di vista artistico in cui improvvisare significa ridefinire e valutare istante dopo istante il discorso e in cui i segreti meccanismi delle strutture compositive, la forma, traggono origine dall’improvvisazione stessa. Sax & Drumming Core Tra le sue ispirazioni Roscoe Mitchell, Anthony Braxton e Albert Ayler, e ancora Lester Young, Archie Shepp e, com’è intuibile, Steve Lacy, musicisti per cui il sassofono diventa voce, ma anche una particolare predilezione per la voce in se stessa, da Billie Holiday alle cantanti pop dell’Africa Occidentale, e una continua influenza proveniente dalle altre arti, come il cinema o la pittura. Tra i suoi progetti, oltre al già citato Rova, c’è una lunga collaborazione con il compianto Glenn Spearman, il trio Maybe Monday in cui compare anche il chitarrista Fred Frith, il trio What We Live, con Lisle Ellis al basso e Donald Robinson alla batteria (come nel nuovo gruppo presentato a Risonanze), talvolta rinforzato da trombettisti stellari come Wadada Leo Smith o Dave Douglas, il quartetto del bassista John Lindberg (anche questo passato a Risonanze negli anni scorsi). Enrico Bettinello («BlowUp», «Allaboutjazz») Il progetto del sassofonista americano Larry Ochs «Sax & Drumming Core» è nato nel giugno del 2000 per una performance esclusiva a San Francisco e costituisce una meditazione – oltre che una distillazione – sulla tradizione del canto popolare, dai bluesshouters americani e dell’Est Europeo ai cantori tradizionali dell’Asia e dell’Africa. foto di Heike Liss Molti di questi cantanti possono essere ascoltati in contesti molto semplici, da soli, o accompagnati da uno strumento ad arco, dal battito di mani come da un altro paio di cantanti, e questo è il modello seguito dal gruppo, anche se il risultato è ovviamente ridisegnato in chiave moderna Insieme alla “voce” di Ochs, che alterna il sax tenore al meno usuale sax sopranino, ben due batterie, quella di Donald Robinson e quella di Scott Amendola, che vantano tra le loro collaborazioni nomi quali John Tchicai, Cecil Taylor, Glenn Spearman il primo, John Zorn, Bill Frisell, i Primus, Dave Liebman il secondo. In occasione del concerto, unica data italiana del trio, verrà presentato in anteprima il loro primo e nuovissimo disco, «The Neon Truth», pubblicato dalla storica etichetta italiana Black Saint. foto di Heike Liss : <5> :keithtippett biografia musicale “Couple in Spirit” «Couple in Spirit» è il nome che accompagna, ormai da parecchio tempo, l’incontro sul palco tra il pianoforte di Keith Tippett e la voce della deliziosa artista che è sua compagna anche nella vita, Julie, un connubio che trent’anni di intesa rendono unico e telepatico e che non potrebbe essere altrimenti dato che ogni nota, ogni respiro del duo è completamente improvvisato e si rinnova di volta in volta su quel territorio magico che è il palcoscenico. Non provano mai, né parlano o si accordano tra loro prima del concerto, tutto quello che succede è totalmente spontaneo e calato come in una dimensione onirica e magnetica in cui le personalità dei due musicisti si sintonizzano e disegnano scenari sempre mutevoli in cui i frammenti della memoria – che talvolta materializzano ombre di canzoni – si combinano in bilico sull’attimo presente. L’utilizzo di un ampio raggio di tecniche consente di ri/creare il significato del dialogo attraverso situazioni che da una dolcezza elegiaca passano rapidamente a una concitata tensione ritmica attraverso scomodi clusters o fonemi nei linguaggi sconosciuti delle fate… Ecco allora bisbigli, melodie, ritmi, colori, grida, silenzi, dentro alla cordiera del pianoforte piccoli pezzi di legno o sassi modificano il suono, ma lo fanno in maniera del tutto imprevedibile, si spostano, scivolano da una nota all’altra – pianoforte “impreparato” – riecheggiano gli umori di una mbira o lo sfregarsi delle corde vocali, la totale apertura a farsi sorprendere dalle possibilità del pianoforte e della voce, evocando suoni senza tempo tranne quello della loro esistenza. I destini discografici hanno voluto che in tutti questi anni solo due volte questa “coppia nello spirito” sia stata testimoniata su disco (una prima volta per l’etichetta EG e la seconda, dal vivo a Colonia, per la ASC) e questo rende ancora più uniche e stimolanti le loro performance. Enrico Bettinello («BlowUp», «Allaboutjazz») Pianista, compositore, da più di trent’anni Keith Tippett (Bristol, 1947) rappresenta la figura di un artista integro e personale, che ha di volta in volta incrociato le situazioni più creative della scena inglese, dal jazz d’avanguardia e dei tanti musicisti sudafricani rifugiatisi a Londra al rock progressivo, dirigendo o prendendo parte a organici delle dimensioni più varie, fino all’attività di pura composizione che alcune commissioni da parte di orchestre e solisti hanno recentemente stimolato. Si potrebbe definire “la donna che visse due volte” la londinese Julie Driscoll (da tanti anni ormai signora Tippetts, avendo voluto conservare quella “s” che nel cognome artistico del marito è scomparsa): la prima parte della sua carriera è da vera e propria pop-star e i meno giovani sicuramente la ricorderanno accanto a Brian Auger verso la metà degli anni ’60, acclamata icona pop e R&B – per voce, stile e presenza – anche in Italia. Percorso ben distante da quello intrapreso poi, quando, dagli Tra i suoi progetti più interessanti ricordiamo l’incredibile e mastodontica orchestra «Centipede», e altre avventure per formazioni allargate come «Ark», la «Dedication Orchestra» o «Tapestry», i gruppi «Ovary Lodge» e «Mujician», le collaborazioni con Peter Brotzmann e le apparizioni in dischi dei «King Crimson», i dischi e concerti da solo o in duo con la moglie Julie, il progetto «Linuckea» con un quartetto d’archi e la commissione di composizioni da parte di famosi interpreti e orchestre sinfoniche. inizi degli anni ’70, i suoi interessi artistici si sono rivolti alla nascente scena tra jazz, rock e avanguardia, comparendo in diversi progetti, tra cui molti a nome del marito Keith e distinguendosi per le particolari esplorazioni vocali (che spaziano dagli accenti folk alla sperimentazione timbrica più ardita, nella più estesa concezione della voce come strumento) anche da sola o in quartetto vocale (con Maggie Nichols e Phil Minton). Sabato 16 marzo 2002 Teatro Fondamenta Nuove KEITH AND JULIE TIPPETT Keith Tippett – pianoforte Julie Tippetts – voce A “Couple in spirit” and music: english pianist Keith Tippett and his wife, singer Julie, improvising dreamy landscapes and sliced memories evoking shadows of songs on the cutting edge of the present moment. :loureed Interrogativi dalla macchina di metallo Lou Reed stesso lo ha definito: «la colonna sonora ideale per Non aprite quella porta!». Il giornalista Lester Bangs lo incorona: «più grande album di tutta la storia del timpano umano!». Il produttore dei Nirvana e leader degli Shellac Steve Albini pensa che sia «una pura scultura sonora, affascinante e davvero splendida». Sembra molto facile parlare di Metal Machine Music: è il 1975 e dopo alcuni dischi solisti di buon successo, il rapporto tra Lou Reed e la RCA non è dei più idilliaci, ma il musicista [anche in seguito a problemi economici e personali] deve incidere e la casa discografica – potenza dei contratti – è obbligata a pubblicare. Il risultato: quattro facciate di eguale durata in cui l’urlo continuo di chitarre in feedback si alza come un muro di rumore, senza sosta… anzi: l’ultimo solco [con il vinile si poteva] si arrotola su se stesso e dilata quel frammento di suono di metallo fino a che mano non intervenga! Mica tanto facile parlare di Metal Machine Music: le reazioni all’epoca sono davvero forti, riviste prestigiose come Rolling Stone lo candidano tra i dischi più brutti di sempre, non pochi lo riportano indietro al negoziante, pochi invece hanno il coraggio di ascoltarlo tutto/riascoltarlo, i meno gentili sospettano la bufala, i dietrologi scorgono mosse atte a sciogliere il vincolo contrattuale. Sia quel che sia, il rapporto con la casa discografica, dopo scuse e controscuse smentite, viene ricucito e dà alla luce un disco assai diverso – e di gran successo – come Coney Island Baby. Diventa sempre meno facile parlare di Metal Machine Music: si potrebbe chiuderlo come una irriverente parentesi nella lunga carriera di Reed, ma il tempo scorre e scorrendo trascina con sé molte scorie, anche metalliche, che vanno a strappare la pelle quando meno ci si aspetta… in poco meno di trent’anni il rumore è diventato una componente integrante di molti scenari sonori, dal punk al noise, dall’industrial all’elettronica, ma anche nomi quali Neil Young o Pat Metheny o Lee Ranaldo dei Sonic Youth si sono tuffati dentro esperienze analoghe. Quelli che nel rock erano brevi frammenti di caos all’interno di strutture più o meno consolidate hanno acquisito vita autonoma, un urlo che da momento liberatorio si fa forma, una perdita dell’innocenza eufonica che lega improvvisamente come maglie di una catena (di metallo, ovviamente) i futurismi sonori che giocavano a superare il tempo del ‘900, Edgar Varèse come Xenakis, Ascension di John Coltrane come John Cage, Albert Ayler come LaMonte Young [con cui Reed ha più di qualche vicinanza]… Cosa si può dire allora di Metal Machine Music? Per molti rimarrà sempre un disco inascoltabile, fastidioso, giornalisti e critici si dividono ancora oggi tra il definirlo un’inutile provocazione o una seminale intuizione, c’è pure chi ad ascoltarlo ci si rilassa e c’è anche chi, come l’ensemble Zeitkratzer, ha deciso di riproporre quell’esperienza, sotto la direzione dello stesso Lou Reed. Questa volta la musica verrà da una macchina di metallo creata direttamente dagli strumenti acustici e forse si troveranno delle risposte a qualcuno dei quesiti sonori cui si accennava sopra… o forse, ed è l’ipotesi sicuramente più stimolante, si apriranno degli interrogativi ancora più affascinanti. Enrico Bettinello («BlowUp», «Allaboutjazz») 13 Pieces: Meditations On Poe foto di Timothy Greenfield-Sanders 13 Pieces: Meditations On Poe è una suite composta da 13 diverse situazioni che Lou Reed ha sviluppato a partire dal materiale composto per lo spettacolo POEtry, una rock-opera che il musicista ha concepito assieme a Robert Wilson e che ha debuttato al Thalia Theater di Amburgo nel 2000. Una leggenda del rock come Lou Reed che esplora il contorto universo di Edgar Allan Poe e scava dentro i racconti e le poesie surreali dello scrittore americano, da Il corvo alla Caduta della casa degli Usher. Senza l’utilizzo delle parole o della batteria, l’arrangiamento approntato per Zeitkratzer da Melvyn Poore – con il contributo di Mike Rathke, il chitarrista del gruppo di Lou Reed – comprende materiale non utilizzato per POEtry. Come ha sottolineato il giornale tedesco «Berliner Morgenpost», «il suono profondo e inconfondibile di Lou Reed è sempre presente: una semplicità arcaica, rudi unisoni e l’utilizzo di una strumentazione classica che riesce sempre a rendere la durezza del suono rock!». biografia musicale Lou Reed, il cantante, chitarrista e compositore principalmente conosciuto per i suoi lavori con i Velvet Underground, è nato e cresciuto a New York. Alla fine degli anni ‘50 frequenta la Syracuse University, presso cui partecipa a uno spettacolo radiofonico, Excursion On A Wobbly Rail (dal nome di un brano del pianista Cecil Taylor), suonando un mix – per quei tempi radicale –di blues, R&B e jazz d’avanguardia. Dopo la laurea, Reed lavora come scrittore di canzoni presso la Pickwick Records, specializzata nella produzione di dischi pop a basso costo. Proprio durante il periodo alla Pickwick incontra John Cale, a quei tempi membro del Theater Of Eternal Music, ensemble fortemente sperimentale. Nel 1965, Reed e Cale si uniscono al chitarrista Sterling Morrison, che Reed aveva conosciuto a Syracuse, e a un altro membro del Theater Of Eternal Music, il percussionista Angus MacLise, e formano quel gruppo che sarebbe diventato i Velvet Underground. Quando MacLise lascia il gruppo viene rimpiazzato da Moe Tucker ed è proprio questa formazione a sviluppare quella straordinaria combinazione di rock’n’roll primitivo, elementi d’avanguardia derivanti dall’esperienza di Cale nel Theater Of Eternal Music, e liriche, scritte da Reed, che sondano nuovi territori di realismo sociale narrativo, in parte ispirati da autori quali Hubert Selby Jr. e William S Burroughs. Nel 1966 i Velvet diventano la band residente della famosa Factory di Andy Warhol, andando in tour (assieme alla attrice e modella tedesca Nico come voce aggiunta) con lo spettacolo multimediale di Warhol, The Exploding Plastic Inevitable. Nei successivi quattro anni, i Velvet incidono quattro dischi tra i più influenti e miticizzati della storia della musica, ma che al tempo non ottengono un grosso riscontro di pubblico. Reed lascia la band nel 1970 e per un anno lavora presso la compagnia del padre a Long Island, New York. Firma poi un contratto con l’etichetta RCA e per tutti gli anni ’70 è impegnato a crearsi una nuova identità musicale, diversa dal suo ruolo nei Velvet Underground. Durante questo periodo produce una stupefacente e schizofrenica serie di dischi, tra cui, nel 1975, Metal Machine Music, un doppio vinile consistente in nient’altro che incandescente rumore. Negli ultimi vent’anni Reed diventa una presenza ambulante e vaga ai margini della musica pop. Nei primi anni ’90 si riunisce con John Cale (che lui stesso aveva cacciato dai Velvet nel 1968) per un tributo allo scomparso Andy Warhol, per poi riunire l’intero gruppo in tour. Sposato all’artista multimediale Laurie Anderson, Reed realizza nel 2000 il disco Ecstasy, che contiene la sua musica più vitale e accattivante dai tempi di The Blue Mask (1981). Tony Herrington (direttore di «The Wire») : <7> :reedzeitkratzer Mercoledì 20 marzo 2002 ore 21.00 Teatro Malibran Metal Machine Music Nel numero di maggio 1997 della rivista musicale inglese «The Wire», Masami Akita, ovvero Merzbow, l’artista sonoro giapponese che ha al suo attivo svariati cd di assordante rumore bianco, così spiegava le origini della sua estetica: «Merzbow è la mia de/costruzione della musica rock, una combinazione delle sole sue parti estreme, la chitarra più distruttiva degli Who o di Jimi Hendrix, il finale rumoristico di 21st Century Schizoid Man dei King Crimson, il feedback di chitarra degli Stooges. Mi piaceva quell’aspetto della musica rock, ma sfortunatamente vi si aggiungevano quelle stupide parti vocali, melodia, ritmo. Così ho identificato l’idea di mixare solo la parte violenta, rumorosa, brutale, malata del rock in una maniera diversa. Il punto era che i musicisti rock sembravano utilizzare la violenza come una specie di stratagemma emozionale, così ho provato a usarla senza alcuna emozione o sentimento, più per il suono in se stesso e nell’approccio alle apparecchiature sonore. Ho scoperto che il modo più violento di utilizzare il suono era di sovraccaricarlo di feedback, cosa molto dolorosa per la strumentazione, ma che rendeva davvero sublime quel suono crudele, come un grido di morte dell’elettronica». Lanciato vent’anni dopo il fatto, il manifesto di Akita apre un portale attraverso cui possiamo penetrare le mura laminate e bucherellate del noise elettronico lo-fi che definiscono uno dei dischi più famosi degli anni ’70: Metal Machine Music di Lou Reed. Nel suo formato originale Metal Machine Music conteneva quattro lati di long-playing, ciascuno lungo 16:01 minuti, fatti di strutture di frequenze urlanti e sovraccariche che collidono dentro nuvole fosforescenti di gas nocivo, il tutto generato dai loops di feedback che si creano quando due chitarre amplificate al massimo vengono avvicinate troppo ai loro amplificatori. Con Metal Machine Music, Reed, un nichilista munito di contratto con una delle principali etichette discografiche, fece qualcosa di più che liberare il rumore dei Velvet Underground, il gruppo che aveva guidato tra il 1965 e il 1970, dalla prigione della forma canzone in cui era stato costretto anche nei lavori più sperimentali e improvvisati del gruppo (European Son, Sister Ray, Melody Laughter, The Nothing Song), e lasciarlo ruggire, selvaggio e senza limiti. Al momento della sua uscita Metal Machine Music rappresentò la più pura delle distillazioni anche dell’abuso violento della tecnologia e l’abbandono di tutte le convenzioni musicali che avevano animato il rock‘n’roll fin da quando, nei primi anni ‘50 il gruppo blues di Chicago di Muddy Waters appese al chiodo le proprie chitarre acustiche e contrabbassi e collegò la sua nuova e scintillante chitarra elettrica e armonica alle linee elettriche che avevano alimentato il boom americano postbellico. A un primo livello, il messaggio codificato dentro le tempeste di rumore di Metal Machine Music affermò che la musica e la società si erano avventurate oltre i limiti delle possibilità espressive offerte dall’acustica “pura”, melodia, armonia, la tirannia della scala temperata; al suo posto, la complessità del mondo può ora essere articolata solo attraverso l’elettricità, l’amplificazione, la tessitura sonora, le frequenze, gli ultrasuoni, la scoperta degli spazi primordiali e microtonali che si nascondono negli spazi tra le note. Certamente, in un universo parallelo, si tratta dello stesso messaggio che era già stato tramandato a una generazione di compositori sperimentali attraverso la musica e gli scritti di Luigi Russolo, Edgard Varese, John Cage, Henry Cowell. Nonostante l’accoglienza unanimemente negativa che critici e commentatori riservarono all’uscita del disco nel 1975, Reed continuò ad affermare che Metal Machine Music era una composizione seria, da avvicinarsi ai lavori elettronici di compositori contemporanei come Iannis Xenakis (Reed sottotitolò infatti il disco, secondo l’usanza dei lavori di musica classica, An Electronic Instrumental Composition). Senza badare alle ragioni per cui Reed ha inciso il disco (un complesso piano per rescindere il contratto con la Rca? Uno scherzo cinico giocato a un pubblico che aveva incominciato a disprezzare?), l’errore commesso da molti critici nell’ascolto di Metal Machine Music fu quello di valutarlo nel contesto della musica che Reed aveva prodotto dopo l’uscita dai Velvet Underground, cioè il rock pantomimico di album come Transformer, Rock ’N’ Roll Animal, Sally Can’t Dance. Per inserire Metal Machine Music nella carriera di Reed si deve guardare molto più indietro, alla New York della metà degli anni ’60 e alla frenetica scena culturale e artistica da cui sorsero i Velvet Underground. In particolare il Theater Of Eternal Music, che includeva due futuri membri del gruppo, il violista John Cale e il percussionista Angus MacLise, e che sviluppò una musica e una modalità esecutiva che esplorava gli ignoti reami del volume, della atonalità e della durata. Sotto la direzione del La Monte Young, il Theater Of Eternal Music liberò lunghi “drones”, suonati su strumenti ad arco di varia intonazione e iper-amplificati, che si evolvevano dentro masse organiche di suoni ribollenti durante performances che potevano durare anche una notte intera. In un tale contesto, non è forse così sconvolgente che un ensemble di musica contemporanea come Zeitkratzer si misuri con la riproposizione di Metal Machine Music in un concerto scritto per strumenti amplificati. Quello che è più sorprendente della versione Zeitkratzer (eseguita con una partitura cronologica trascritta dall’originale di Reed a cura di Reinhold Friedl, Ulrich Krieger e Luca Venitucci) è come suoni affine a registrazioni del Theater Of Eternal Music come Day Of Niagra, gli archi con la diversa intonazione, gli ultrasuoni ronzanti e le frequenze urlanti che squarciano il tessuto del tempo per riconnettere la musica di Reed con le proprie radici dentro l’avanguardia della Manhattan del secondo dopoguerra. Diretti da Reinhold Freidl, gli Zeitkratzer perseguono l’obbiettivo di eseguire alcune delle musiche più estreme e esigenti che il Ventesimo secolo possa offrire, superando le convenzioni del repertorio contemporaneo delle sale da concerto per presentare lavori del chitarrista dei Sonic Youth Lee Ranaldo, del minimalista Phill Niblock, del transgender provocatore e post-techno Terre Thaemlitz, così come Masami Akita, Luigi Nono e Helmut Lachenmann. Colpendo in un punto a metà strada tra budella e cervello, il Metal Machine Music degli Zeitkratzer e al tempo stesso una celebrazione dell’estetica noise che ha generato alcune delle musiche più straordinarie del nostro tempo, da Varese ai Velvet Underground, ma anche, con buona pace di Merzbow, il suo lamento funebre, il suo urlo di morte. Il punto d’arrivo del rumore è l’oblio. Poi viene il silenzio. Tony Herrington, direttore di «The Wire», gennaio 2002 LOU REED ZEITKRATZER «Metal Machine Music» Prima performance della versione strumentale «13 Pieces: Meditations on Poe» Ulrich Krieger – sassofoni Franz Hautzinger – tromba Melvin Poore - tuba Burkhard Schlothauer – violino Christian Messer – viola Michael Moser – violoncello Alexander Frangenheim – contrabbasso Reinhold Friedl – pianoforte Luca Venitucci – fisarmonica Ray Kaczynski – percussioni Marcus Waibel – elettronica Lou Reed & Mike Rathke – direzione del suono Rolf Engel – light design Realizzato in coproduzione con MaerzMusik 2002 - Festival of Contemporary Music / Berliner Festspiele, in collaborazione con Atelier Markgraph Frankfurt e Podewil Berlin A coproduction with MaerzMusik 2002 Festival of Contemporary Music / Berliner Festspiele in cooperation with Atelier Markgraph Frankfurt and Podewil Berlin ore 20.00 in diretta su Radio3 Rai Incontro con Lou Reed a cura di Franco Fabbri Contemporary white noise: almost 30 years after its issue, Zeitkratzer reread Lou Reed’s «Metal Machine Music», one of the most controversial and profetic works in our sonic history. :zeitkratzer Zeitkratzer Zeitkratzer è un gruppo internazionale di musicisti, che nasce alla fine del 1996 sotto la direzione del pianista Rheinhold Friedl. L’anno successivo l’ensemble fa registrare il tutto esaurito in tre concerti al centro delle arti contemporanee Podewil di Berlino, con 18 prime esecuzioni di diversi compositori ospiti e di membri dell’ensemble stesso: sono venti intensi giorni di progetto, in cui le composizioni vengono provate, eseguite e registrate. Rendere possibile una simile idea è un esito che si ottiene solo grazie alla dedizione dei musicisti che hanno lavorato anche 16 ore al giorno, che quando è stato necessario hanno provato o registrato fino alle 4 del mattino, senza giorni di pausa. Questo non solo la dice lunga sulle motivazioni dei musicisti, ma dimostra anche il loro altissimo interesse e il coinvolgimento e l’impegno a ottenere il massimo risultato, come dimostrato dalla loro enorme disciplina al di là della normale professionalità. Da allora molti compositori e musicisti hanno scritto brani appositamente per gli Zeitkratzer. Il gruppo ha base a Berlino, città che offre un modello innovativo di insieme, una base solida con il continuo supporto dell’Accademia delle Arti, Podewil e di altre istituzioni. I musici coinvolti L’IDEA L’idea originaria, unica in Europa, era quella di ri0unire in un ensemble musicisti per i quali non esistessero le comuni categorizzazioni musicali. Come ha ricordato recentemente Friedl in una intervista al mensile inglese «Wire», «tra le caratteristiche dei musicisti coinvolti c’è la loro capacità di utilizzare tecniche più diverse sui loro strumenti, l’apertura all’elettronica, la presenza scenica, l’esperienza e l’apertura a altre forme musicali, la capacità di sostenere il confronto e, talvolta, lo scontro che una simile alchimia artistica e umana inevitabilmente può portare». L’obbiettivo è poi quello di stabilire una nuova forma di lavoro in cui l’apertura e tutti i diversi aspetti e esperienze di ciascun musicista potessero venire usati nella migliore delle maniere. Questo significa una collaborazione diretta con compositori e musicisti, ma anche lavori interdisciplinari con artisti di altri campi (arti visive, danza, computer…) o lavori multimediali. I membri di Zeitkratzer, cui bene si attaglia la definizione di esecutori/compositori/improvvisatori, vengono da varie esperienze negli ambiti musicali più diversi: contemporanea, elettronica, improvvisata, jazz, rock sperimentale, noise, ambient… Alexander Frangenheim – contrabbasso (Stoccarda) nato nel 1959, ha studiato alla Stuttgarter Akademie Fine Arts. Ha suonato in diversi gruppi di musica da camera, dal 1989 collabora con Günter Christmann, Thomas Lehn, Evan Parker, Paul Lovens, Phil Minton e molti altri improvvisatori. Si è anche esibito con il pittore KRH Sonderborg. Il lavoro con la danza è una parte importante della sua attività: Julyen Hamilton, José Luis Sultán, David Zambrano e altri. Dall’autunno del 1995 insegna Arti interdisciplinari alla Kunstakademie di Stoccarda. Reinhold Friedl – pianoforte (Berlino), nato nel 1964, ha studiato piano con Renate Werner, Alan Marks, Alexander Von Schlippenbach, oltre agli studi in matematica e musicologia a Stoccarda e Berlino. Lavora come musicista e compositore freelance e ha collaborato con musicisti quali Paul Lovens, Georg Katzer, Mario Bertoncini, vincendo varie borse di studio e premi (tra cui alcune residenze in Francia, Italia e presso lo STEIM di Amsterdam). Franz Hautzinger – tromba (Vienna), compositore e esecutore di musica contemporanea e improvvisata, nato nel 1963, ha studiato tromba e composizione alla Accademia Musicale di Graz e al Conservatorio di Vienna. Dal 1989 insegna musica d’insieme, composizione e arrangiamento alla Vienna University of Music and the Performing Arts. È solista ospite in diverse formazioni e cooperazioni artistiche internazionali (Elliott Sharp, Ben Patterson, Joachim Kuhn, Tony Oxley, Otomo Yoshihide, John Cale, Zeitkratzer), insieme ai progetti personali (Franz Hautzinger Speakers Corner, Dachte Musik, Regenorchester) Raymond Kaczynski – percussioni (Detroit), ha studiato, percussioni, composizione e etnomusicologia. Ha registrato diversi cd con Roswell Rudd, David Murray, Julius Hemphill e tenuto concerti in molte nazioni. Ha studiato il mrdangam e il sistema ritmico del sud dell’Asia con Ramnad V. Raghavan. È il curatore e traduttore di un libro su questo sistema. Ulrich Krieger – sassofono (Berlino), nato nel 1962, ha studiato composizione, musica elettronica e sassofono alla Manhattan School of Music di New York e alla HdK di Berlino. Dal 1988 si è interessato al didjeridu e alla musica e cultura degli Aborigeni australiani. Dal 1990 lavora come esecutore, compositore e improvvisatore free-lance. Ha collaborato con Phill Niblock, dagli anni ’80 lavora in tutto il mondo come esecutore e compositore free-lance, suonando in diverse famose formazioni e orchestre come solista. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti (Schloß Solitude Stuttgart, Salford College of Technology, ecc.). Dal 1993 insegna musica elettronica al Royal College of Music di Londra e continua a sperimentare con la sua tuba modificata elettronicamente. Burckhard Schlothauer – violino (Berlino), ha studiato violino, chitarra, contrabbasso e composizione a Monaco e Brema. Oltre alla propria attività nella musica David First, Borah Bergman, Witold Szalonek e molti altri e suonato con l’Ensemble Modern e i Berlin Philharmonics. Michael Moser – violoncello (Vienna), nato nel 1959 ha studiato a Graz e Vienna e lavora spesso con l’ausilio di live-electronics oltre a collaborare con improvvisatori quali Radu Malfatti o Heiner Goebbels. Ha suonato in Europa, Giappone, USA e lavorato con compositori quali Helmut Lachenmann, Isabel Mundry o Vinko Globokar. Oltre alle proprie solo performance, suona con Klangforum Wien, TON ART e altri. Melvyn Poore – tuba (Colonia), ha studiato a Birmingham dove ha fondato l’Arts Laboratory. Sin contemporanea è attivo anche in ambito pop e jazz, tanto da ricevere un premio al festival della musica Pop per giovani musicisti. Luca Venitucci – fisarmonica (Roma) nato nel 1965, inizialmente legato alla musica popolare italiana, dal 1990 si è rivolto alla musica improvvisata, collaborando con diversi compositori e estendendo il proprio stile con l’elettronica. Suona anche in ambito rock sperimentale. : <9> :phillniblock Venerdì 22 marzo 2002 Teatro Fondamenta Nuove Stasi e movimento Volume e toni, anzi micro-toni, sono queste le password essenziali per entrare nel mondo di Phill Niblock. Tempo fa Eliane Radigue, compositrice parigina e amica di Phill Niblock, mi ha raccontato che la sola differenza (ma non indifferente!) tra la sua musica e quella del compositore newyorchese stava esclusivamente nel volume: bassissimo nel suo caso, altissimo in quello di Phill. Tutto qui? Beh, c’è dell’altro naturalmente. Non è affatto improprio definire Niblock artista multimediale o per meglio dire con una sua definizione: “intermedia artist”. Experimental Intermedia (XI) è così anche un’etichetta discografica di cui Niblock è direttore artistico, ma è soprattutto un’esperienza condivisa con musicisti e compositori mossi da uno spirito affine, da comune passione per la ricerca e la sperimentazione. “Minimalismo massimalista” si è detto da più parti a proposito della musica di Phill Niblock, per via delle variazioni microtonali giocate con un rigore quasi matematico, ma nondimeno per il forte volume che viene richiesto alle sue musiche per liberare tutta la loro potenza. Ma sul termine minimalismo c’è almeno una puntualizzazione da fare. Niblock ad esempio tende a differenziarsi da quelli che definisce più “ripetitivi” che minimalisti, i vari Steve Reich, Philip Glass o Terry Riley, mentre l’idea del nostro è quella della sottrazione di elementi come ritmo e melodia presenti invece nella musica di quei padri storici. Note lunghe e toni sostenuti dunque, senza ritmo e melodie, ipersensibili tanto alla durata quanto al volume. Non cercate però configurazioni precise o parametri caratteristici nella scelta dei toni in Phill Niblock, niente complesse architetture come la just intonation tanto cara a LaMonte Young. Egli si avvale piuttosto di set arbitrari di toni. Ma il lavoro sugli intervalli e sulle frequenze di tono non è certo privo di complessità millimetriche a partire dalla loro scelta. «Talvolta lavoro con frequenze molto vicine tra loro» racconta Phill «come per esempio 55, 57, 59 hertz, poi lavoro sulle loro ottave, creo una partitura e scelgo uno strumento e ovviamente anche un musicista per registrare la serie di frequenze su un registratore multitracce o su computer. Dal vivo in seguito i musicisti suonano esattamente lo stesso strumento, improvvisando sulle note contenute nel nastro, influenzando programma “SEA JELLY YELLOW” prima esecuzione assoluta Ulrich Krieger, sax baritono, campionamenti live e registrati “PAN FRIED 25” prima esecuzione italiana Reinhold Friedl, piano, campionamenti live e registrati [prodotti nell’aprile del 2001 durante una residenza ai CCMIX Studios di Parigi] “EPITAFF” - prima esecuzione italiana musica di Reinhold Friedl, video di Phill Niblock “NOT UNTITLED / KNOT UNTIED – OLD” Zeitkratzer Ensemble Musica e immagini di Phill Niblock, video tratti dalla serie “Movement of People Working” PHILL NIBLOCK ZEITKRATZER «Sea Jelly Yellow» «Pan Fried 25» «Epitaff» «Not Untitled/Knot Untied Old» così il risultato nello spazio…». In questo senso potremmo dire che l’approccio compositivo di Niblock è più matematico e vicino all’arte concettuale, in cui spazio e architettura giocano un ruolo fondamentale. Perché? Ce lo dice il compositore stesso: «Ascoltando questa musica a volume basso tu percepisci soltanto lo strumento, ma ad un volume più alto perdi il suono dello strumento e cominci a sentire un incredibile mondo di microtoni…». Per questo la musica di Niblock non solo è da ascoltare ad altissimo volume (Maryanne Amacher è un altro brillante esempio in questa direzione…) ma richiede spazi adeguati. Spazi comunque chiusi, delimitati da pareti e soffitti, perché altrimenti all’aperto quei suoni si disperderebbero; meglio sarebbero dei grandi muri in pietra con forte riverbero, come nelle cattedrali. Ed è proprio nella magnifica tensione tra stasi e movimento all’interno di uno spazio chiuso che si dispiega tutta l’arte sonora di Phill Niblock. È all’interno di quello spazio che un tenue ronzio cresce inarrestabile fino a diventare muro di suono, flusso di toni e microtoni che si intrecciano a formare drones compatti come monoliti, pervasivi, insinuanti, perturbanti. Gino Dal Soler («BlowUp») Phill Niblock – musica e immagini Ulrich Krieger – sassofoni Reinhold Friedl – pianoforte Franz Hautzinger – tromba Melvin Poore - tuba Burkhard Schlothauer – violino Christian Messer – viola Alexander Frangenheim – contrabbasso Luca Venitucci – fisarmonica Ray Kaczynski – percussioni Marcus Waibel – elettronica biografia musicale Phill Niblock è nato nell’Indiana (Usa) nel 1933 e sin dalla metà degli anni ’60 ha presentato la sua musica e le sue performance multimediali in musei, festival, radio, in America e in Europa, dove è ultimamente impegnato in un progetto in Belgio, oltre che su cd, anche con la XI Records, di cui è direttore artistico. Presenta al Teatro Fondamenta Nuove due nuovi lavori specificatamente pensati per il sassofono di Ulrich Krieger e il pianoforte di Reinhold Friedl, oltre alla già conosciuta Not Untitled/Knot Untied Old e a una composizione di Friedl su immagini del compositore americano. Sea Jelly Yellow e Pan Fried 25 sono stati prodotti nell’aprile del 2001 durante una residenza ai CCMIX Studios di Parigi. Inside Phill Niblock’s musical spaces, a slight buzz grows unrestrainably becoming a wall of sound, a fluxus of tones and overtones crossing each other into monolithic drones, disturbing, pervading, creeping. : <10> :liviotragtenberg Martedì 26 marzo 2002 Teatro Fondamenta Nuove LIVIO TRAGTENBERG «Sonos & Sonhos de Zuleika Zebra» Livio Tragtenberg – cd players, sax alto, soprano e tenore, clarinetto basso, video proiezioni The brazilian musician Livio Tragtenberg in a homage to Fluxus’ artist Dick Higgins and his imaginary Zuleika Zebra; cd players, alto, soprano and tenor saxophones, bass clarinet, video projections in an unique musical mix. biografia musicale Sonos & Sonhos de Zuleika Zebra Il Brasile è terra che musicalmente si associa automaticamente a torridi samba o alla morbidezza della bossanova, e che tanta fortuna continua ad avere anche in Italia grazie alla bravura di alcuni dei suoi musicisti di Musica Popolare Brasileira. Ma il fervore musicale di questo paese è tale da offrirci anche musicisti meno noti e che si confrontano con altri materiali: è questo il caso di Livio Tragtenberg, che presenta a Risonanze – in quella che lui stesso definisce una “prima universale” – un suo nuovo lavoro. «Sonos & Sonhos de Zuleika Zebra» (‘Suoni e sogni di Zuleika Zebra’) è infatti un puzzle di musica e poesia in omaggio a Dick Hig-gins, membro del gruppo Fluxus, compositore, artista visuale e scrittore. Il personaggio di Zuleika Zebra era un alter-ergo di Higgins. Dopo uno scambio epistolare con Tragtenberg, in cui Higgins ha sviluppato il personaggio, tramite i testi abbiamo la possibilità di conoscere il mondo ironico e rischioso di Higgins. La musica è basata su uno spunto vocale dalla lettera Z – in linea di principio – con suoni che crescono e si estendono dal respiro fino a forti ritmi dance, su cui Livio Tragtenberg crea una musica in cui si mettono in gioco i sassofoni, il clarinetto basso, l’elettronica, e generatori di rumori. Voci di ragazze che parlano sommessamente dentro camere d’albergo, respiri ritmicizzati, strutture giurassiche di ritmi rock, percussioni brasiliane che si susseguono, sono alcune parti dell’universo sonoro della performance, come dice l’autore: «un’ora di deboli cuori che battono forti melodie... voci che piangono e pregano come la zebra più bianca e nera può fare…». Livio Tragtenberg è un de-compositore, nato a San Paolo del Brasile, e sta attualmente lavorando a una nuova piece di danza di Johann Kresnik per il teatro di Dresda, Germania. Ha partecipato recentemente al festival FLA-BRA di Miami in cui si è esibito insieme al musicista cubano Alfredo Triff. È autore di musiche per cinema, danza, teatro, carillon, video e – su ordinazione – per veri amanti. Tra i suoi dischi, Othello, Pasolini Suite, Bazulaques Brasileiros (si possono rintracciare a www.submarino.com.br) È autodidatta e non ha mai studiato in una scuola di musica, ma per pagarsi l’affitto ha insegnato, per vari anni, e ha scritto libri su musica e teatro, e anche solo sulla musica. Ma ora, con la debole mente cerca di mettere uno dietro l’altro ritmi e bicchieri… Happening e Fluxus, Intermedia, Something Else Press: questi sono solo alcuni dei termini associati alla figura di Dick Higgins, compositore, pittore, traduttore e teorico dell’arte. Come egli stesso sottolinea: «ho scoperto di non essermi mai sentito del tutto completo se non nel praticare tutte le arti, visiva, musicale e letteraria» per questo motivo probabilmente il termine “Intermedia” è quello che meglio di ogni altro ricomprende tutto ciò che concettualmente rientra in quelle attività. Come fondatore della casa editrice Something Else ha pubblicato opere di Alan Kaprow, Gertrude Stein, Marshall McLuhan, John Cage, Merce Cunningham, Emmett Williams, e Ray Johnson solo per citarne alcuni. Tra i suoi quarantasette libri ricordiamo Poems Plain & Fancy e A Book About Love & War & Death. Ha curato e annotato Giordano Bruno e ottenuto riconoscimenti vari (PollockKrasner Foundation). : <11> :angelisalis biografia musicale_angeli Angurie e meloni «Due stagioni a confronto: quella delle angurie degli anni ‘50, trasportate in vespa dal pianista – fisarmonicista di Villamar Antonello Salis e quelle dei meloni degli anni ‘70 presi in prestito da un autobus dal chitarrista gallurese Paolo Angeli. Siamo alla frutta. Frutta maturata senza anticrittogamici con la complicità solare di Lester Bowie, Don Cherry, Nana Vasconcelos (Salis), Fred Frith, Jon Rose, Giovanni Scanu (Angeli)» Così si presenta questo straordinario duo, unito non solo dalla provenienza geografica, la Sardegna, ma anche da un inesauribile desiderio di mettere in comunicazione mondi diversi attraverso la forza della musica. Osservandoli suonare, costruire i suoni [talvolta nel vero senso della parola dato che per Paolo Angeli la modifica “artigiana” dello strumento è parte integrante della propria espressività], tirare fuori dalla terra le melodie e le radici più preziose e vive senza limitarsi a contemplarle o, al contrario, a snaturarle dentro scenari compiacenti, si può comprendere come – alla stessa maniera in cui nella musica afroamericana la tradizione costituisce sempre terreno di riflessione, di rielaborazione, di confronto – lo scambio artistico sia capace ancora una volta di rigenerare i semi migliori e più nascosti del passato e di stimolare nuove ipotesi sonore per il futuro [che nell’istante in cui ci stai pensando… è già presente]… In questo spettacolo Paolo Angeli utilizza una chitarra tradizionale sarda (la Ghiterra), modificata da lui stesso, attraverso l’uso di archetto, martelletti e ventole, per ottenere un suono continuo e con l’aggiunta di sette corde trasversali, dodici pick-up (tra cui un sistema esafonico che permette un controllo separato per ogni corda) e altre varie diavolerie. Dopo le prime esperienze musicali in un vecchio autobus abbandonato nella periferia della Sardegna settentrionale, Paolo Angeli apprende i rudimenti della chitarra dal padre. Trasferitosi a Bologna nel 1989 – e parallelamente agli studi di chitarra jazz sotto la guida di Tommaso Lama – all’interno dell’università occupata, inizia con il Laboratorio di Musica & Immagine ed altri sparuti compagni, un lavoro di sperimentazione musicale, con continui scambi e collaborazioni tra musicisti provenienti da aree diverse. Con il LM&I suona tra il 1990 ed il ‘97 in numerosi festival di musica “innovativa” e di cinema, produce tre CD e collabora con il musicista anglo-australiano Jon Rose (recentemente ospitato da Risonanze con gran successo). Dallo stesso gruppo nascono poi varie gemmazioni tra cui ricordiamo i Trabant, funambolesca orchestrina che alterna un repertorio di danze popolari a collaborazioni teatrali e Mistress, sestetto cameristico che esegue musiche di Stefano Zorzanello. Nello stesso periodo inizia a suonare la tuba con la Banda Roncati, la batteria con i Diamant Brin e fonda un quintetto vocale che esegue il repertorio paraliturgico dell’area gallurese. Tra le altre attività ricordiamo la Scuola Popolare di Musica Ivan Illich e l’etichetta indipendente Erosha Il lavoro con l’ensemble Eva Kant (composto da 28 elementi) è la base per la collaborazione con Fred Frith e Butch Morris prima che un rinnovato interesse per la cultura musicale sarda lo porti ad approfondire la tradizione musicale del nord della Sardegna, conoscendo Giovanni Scanu (il più vecchio suonatore di chitarra sarda scomparso recentemente) che lo guida alla conoscenza delle forme del canto con accompagnamento di chitarra. Nello 1997 inizia a fare concerti con una particolarissima chitarra sarda preparata, partecipando al festival internazionale «Die lange nacht der gitarre» (Podewil Berlino), vincendo il primo premio al concorso «Posada Jazz Project» e pubblicando il CD Linee di Fuga – solo per chitarra sarda preparata – ottenendo ampi consensi da parte della critica specializzata. Ha suonato anche con Otomo Yoshihide, Frank Schulte, Lukas Simonis, Elliott Sharp, Carlo Actis Dato e insieme al fotografo Nanni Angeli cura la direzione artistica del festival Internazionale di Musica, Teatro e Arti Visive «Isole che Parlano». Martedì 9 aprile 2002 Teatro Fondamenta Nuove ANTONELLO SALIS & PAOLO ANGELI Antonello Salis pianoforte, fisarmonica Paolo Angeli chitarra sarda preparata biografia musicale_salis Il pianista e fisarmonicista Antonello Salis, nato in provincia di Cagliari nel 1950, è uno degli artisti che con il loro lavoro più hanno saputo contribuire alla riscoperta e alla rivalutazione della fisarmonica. Dopo le prime esperienze come organista in orchestre da ballo, si trasferisce a Roma dove lo troviamo nel gruppo jazz-rock Cadmo e successivamente in collaborazioni con straordinari musicisti jazz quali Don Moye, foto di Nanni Angeli foto di Nanni Angeli Lester Bowie, Enrico Rava, Anthony Braxton, Billy Cobham, Nana Vasconcelos, Don Cherry, Ed Blackwell. Tra le sue collaborazioni più interessanti e durature quella con il chitarrista francese Gerard Pansanel, un’intensa attività di musica per il teatro e la danza (con Teri Weikel o Roberta Garrison) e, ovviamente, il continuo lavoro di riscoperta di uno strumento quale la fisarmonica nel contesto della musica improvvisata, con i colleghi Richard Galliano, Gianni Coscia, Marcel Azzola, nel trio PAF con Paolo Fresu e Furio Di Castri o nel quartetto Angel dello stesso Fresu, nei progetti del bassista Paolino Dalla Porta, nel vulcanico duo con il sax di Sandro Satta, nel Meta Quartet e con il pianista Stefano Bollani. Impossibile descrivere l’incredibile energia melodica e ritmica che, soprattutto dal vivo, questo musicista trasmette, quando sotto le sue dita rapidissime passano con la stessa leggerezza e intensità al tempo stesso i Beatles o Nino Rota, il free o le melodie popolari, Keith Jarrett e gli echi di una banda paesana. A special duet between the “prepared sardinian guitar” of Paolo Angeli and the funambolic accordion and piano of Antonello Salis, crossing sonic bridges between tradition and innovation in an amazing, energetic set! : <12> :nexus Venerdì 12 aprile 2002 Teatro Fondamenta Nuove NEXUS Daniele Cavallanti – sax tenore e baritono Achille Succi – sax contralto e clarinetto basso Beppe Caruso – trombone Roberto Cecchetto – chitarra Tito Mangialajo – contrabbasso Tiziano Tononi – batteria e percussioni Nexus enbodies that special side of black music that speaks through the voice, a voice becoming instrument, a voice organising itself into speech, a voice changing cards on the table, a voice making clear the ancestral and the magic. Il dialogo con la tradizione e la voce magica Ad un convegno di studi tenutosi a Praga nell’estate del 2000 la relazione introduttiva fu condotta da Barry Kernfeld, il curatore del New Grove Dictionary of Jazz, ora giunto alla seconda edizione in tre massicci volumi (Macmillan, Londra 2001). Riflettendo su quale fosse il tratto emergente dal ciclopico lavoro per l’enciclopedia riguardo allo stato attuale del jazz, Kernfeld notò che forse la maggiore novità del jazz degli ultimi anni risiedeva nel tipo di organizzazione professionale dei musicisti: mentre un tempo essi tentavano di mantenere gruppi relativamente stabili, dagli anni Ottanta i musicisti si sono sempre più impegnati in innumerevoli collaborazioni, spesso di carattere eterogeneo e casuale. Il risultato è che oggi i gruppi di lunga durata sono molto più rari, e i musicisti tendono a costruire la propria carriera passando rapidamente da una formazione all’altra, ben poche delle quali emergono grazie ad una vita prolungata. È chiaro che questa situazione rende problematica la crescita e la maturazione degli artisti e della musica. I motivi di una simile configurazione professionale vanno cercati anzitutto nelle mutate condizioni del mercato musicale e non possono essere approfondite in questa sede: basti dire che la precarietà dell’offerta di club, festival, case discografiche rende estremamente arduo per un musicista tenere in piedi un gruppo stabile. Precarietà che è ancora maggiore in realtà dal mercato ristretto come l’Italia, dove gran parte dei curricula dei musicisti si compongono unicamente di una sfilza di collaborazioni più o meno prestigiose. In questo panorama mobile e sfuggente il caso dei Nexus rappresenta una sorprendente e felice eccezione. Nato nel 1981 grazie all’impegno del batterista Tiziano Tononi e del sassofonista Daniele Cavallanti, Nexus ha resistito per più di un ventennio nell’asfittico mondo del jazz italiano, mantenendo una formazione stabile che solo di recente ha subìto un rimaneggiamento che è un vero e proprio ricambio generazionale, con l’arrivo di giovani musicisti tra i più dotati della scena attuale. Dove risiede la forza di Nexus, la sua capacità di resistere con successo ai mutamenti del mercato e di sapersi rinnovare artisticamente? Da un lato vi è la ferma capacità di guida di Tononi e Cavallanti, due musicisti che hanno sempre ignorato le pressioni del mercato discografico e concertistico e sono però riusciti a tenere insieme il gruppo grazie all’oculata gestione di registrazioni discografiche e concerti. D’altro canto le non frequenti ma regolari apparizioni del gruppo sono sempre state accolte con entusiasmo dal pubblico e dalla critica, che hanno così tenuta desta l’attenzione su di esso. E qui sta la seconda, grande forza di Nexus: la costante alta qualità della musica, la capacità di Tononi, Cavallanti & co. di aver trovato una strada che consenta al gruppo di produrre forme, ritmi, emozioni, colori vivi, mai bloccati in una formula, e di riuscire a lavorare con i musicisti del gruppo al più alto livello di interscambio creativo e affiatamento artistico. Nexus ha anzitutto raccolto l’eredità della musica di Charles Mingus: pensando la propria musica in funzione dei musicisti che la suoneranno, aprendo la forma ai cambi di tema, colore, velocità, metro, sviluppando il materiale in termini sia di continuità sia di contrasto, lasciando ai solisti ampie possibilità di scelta sulla direzione da fare foto di Roberto Meazza intraprendere all’intero gruppo: e soprattutto pensando alla musica come fatto comunicativo globale che investe in un unico fascio di energia tanto che la suona quanto chi la ascolta, in una sorta di coinvolgimento esistenziale circolare, che è uno dei valori più profondi della musica afroamericana. inoltre dalla musica di Nexus emerge un’energia bruciante che è il calore generato da una dialettica, da un dialogo e a volte dall’attrito con certi maestri del passato jazzistico lontano o recente, espressionisti come Sidney Bechet o Roland Kirk, cantori visionari come Don Cherry e Ornette Coleman, architetti immaginifici come Duke Ellington, lucidi invasati come Albert Ayler e Eric Dolphy. Proprio il costante riferimento a Ayler ci offre la chiave di volta: Nexus dà corpo a quell’anima della musica nera che parla attraverso la voce, la voce che si fa strumento, la voce che si organizza in discorso, la voce che esprime pensiero e cambia le carte in tavola, la voce – e questo è punto centrale nella poetica del gruppo – che rende visibile l’ancestrale e il magico. Di fronte alla sfida spirituale, alla libertà espressiva e alla crescita individuale e collettiva che simile musica offre ai musicisti e agli ascoltatori, non è difficile capire perché un gruppo simile non abbia mai contemplato la possibilità di sciogliersi e cessare di ri-suonare nelle orecchie, nella mente e nel corpo di chi gli va incontro. Stefano Zenni (musicologo) :shotzdiscografie risonanze/shotz Giovanni Pancino Parallelamente agli appuntamenti di Risonanze 2002, al Teatro Fondamenta Nuove si potranno vedere le fotografie di Giovanni Pancino in un breve percorso denominato Risonanze/Shotz, scatti che ricordano alcuni dei concerti delle precedenti stagioni di Riferimenti discografici Zbigniew Karkowski ZBIGNIEW K ARKOWSKI Con Masami Akita (Merzbow) – Mazk (CD Tigerbeat 6, 2001) Con Francisco Lopez – Whint (CD Absolute/Touch, 2001) It (CD Mego, 2000) Sensorband – Area/Pulse (CD Sonoris, 2000) Hafler Trio – Resurrection (CD Touch, 1993) Con John Duncan – Send (CD Touch, 1993) foto di Giovanni Pancino Risonanze e testimoniano la continuità che lega le proposte della rassegna. Sono fotografie che colgono i particolari, che mostrano la musica nel momento in cui viene prodotta e ce ne fanno scoprire una faccia che – se ovviamente non può rappresentare che una parte dell’evento live – traccia ipotesi e suggestioni sempre nuove. Giovanni Pancino (Venezia, 1970) è diplomato all’Istituto Superiore di Fotografia e Arti Visive di Padova e ha spesso incentrato la sua attenzione sul teatro e la musica, approfondendo i rapporti tra fotografia e jazz in workshop tenuti da artisti del calibro di Roberto Masotti, Pino Ninfa, Luciano Rossetti. Ha seguito per un anno la compagnia teatrale Isola Teatro, è stato fotografo ufficiale per l’installazione dell’architetto F. Purini (Venezia, Biennale Architettura, 2000), il Padiglione Telecom (Venezia, Biennale, 2001), la fiera Navalia (Venezia, 2001) ed è stato presente in mostre collettive e personali. Le sue foto sono state pubblicate da riviste quali «Re Nudo», «BlowUp», «Jazzit», nonché su web-magazines come «Allaboutjazz». Larry LARRYOchs OCHS Larry Ochs & Drumming Core – The Neon Truth (CD Black Saint, 2002) John Lindberg Ensemble – A Tree Frog Tonality (CD Between the Lines, 2000) Rova – Works 3 voll. (CD Black Saint, 1994/99) What We Live – Trumpets (CD Black Saint, 1999) What We Live – Never Was (CD Black Saint, 1999) John Lindberg Ensemble – The Catbird Sings (CD Black Saint, 1999) The Secret Magritte (CD Black Saint, 1996) What We Live (CD DIW, 1996) Rova – John Coltrane Ascension (CD Black Saint, 1995) Rova – Favorite Street (CD Black Saint, 1984) Keith [andJULIE Julie Tippetts] KEITHTippett TIPPETT [AND TIPPETTS ] Linuckea (CD Fmr, 2000) Friday The 13th (CD Voiceprints, 1997) Mujician – Colours Fulfilled (CD Cuneiform, 1997) Con Julie – Couple In Spirit II (CD Asc, 1997) Dedication Orchestra – Spirits Rejoice (CD Ogun, 1992) Con Julie – Couple In Spirit (CD Virgin, 1989) Mujician (CD FMP, 1986) Arc – Frames (CD Ogun, 1978) Ovary Lodge (CD WhatDisc, 1973) Centipede - Septober Energy (CD Disconforme, 1971) Dedicated To You But You Weren’t Listening (CD Disconforme, 1970) Lou LOUReed REED Ecstasy (CD Warner, 2000) Perfect Night (CD Warner, 1998) Songs For Drella (CD Sire, 1990) New York (CD Sire, 1989) Coney Island Baby (CD RCA, 1976) Metal Machine Music (CD Buddha, 1975) Rock’n’Roll Animal (CD RCA, 1974) Berlin (CD RCA, 1973) Transformer (CD RCA, 1972) Niblock PPhill HILL NIBLOCK A Young Person’s Guide To Phill Niblock (CD XI, 2001) Five More String Quartets (CD XI, 2001) Three Pieces For Cello (CD Forced Exposure, 2000) Ghosts and Other Stories (CD Sedimental, 1999) For Full Flutes (CD XI, 1989) Zeitkratzer ZEITKRATZER Terre Thaemlitz/Zeitkratzer (12” Comatonse, 2002) Noise\…[larm] (CD Tourette, 2001) SoundinX (CD Zeikratzer, 1997) SonX (CD Zeitkratzer, 1997) Xtensions (CD Zeitkratzer, 1997) Livio LIVIO TTragtenberg RAGTENBERG Atraves da Janela (CD Demolições Musicais, 2000) Bazulaques Brasileiros (CD Demolições Musicais, 1998) Pasolini Suite & Hansel und Gretel Suite (CD Demolições Musicais, 1997) Anjos Negros (CD Demolições Musicais, 1994) Paolo PAOLO Angeli ANGELI AA.VV. – Isole che Parlano (CD Erosha, 2000) Mistress (CD Erosha, 1999) Fred Frith – Pacifica (CD Tzadik, 1998) Linee di fuga (CD Erosha/PJP, 1998) AA.VV. – Trasmigrazioni (CD Il Manifesto, 1996) Dove Dormono gli Autobus (CD Erosha, 1995) LM&I/Jon Rose – Rosemberg’s Revised Timetable (CD Erosha, 1995) Antonello ANTONELLO SSalis ALIS Con S. Satta – Live @ Radio3 (CD Via Veneto Jazz, 2001) Meta Quartet – Sintesi (CD Via Veneto Jazz, 1997) P.A.F. – Live In Capodistria (Cd Splasc(h), 1996) Con S. Satta – Live In Como (CD Splasc(h), 1993) Con Nana Vasconcelos – Lester (CD Soul Note, 1987) Nexus NEXUS The Nexus Orchestra 2001 feat. Roswell Rudd (CD Splasc(h), 2002) We Still Have Visions (CD Splasc(h), 1998) Free Spirits (CD Splasc(h), 1994) The Preacher And The Ghosts (CD Splas(h), 1991) Urban Shout (CD Splasc(h), 1988) :webandhistory :edizioniprecedenti 1996 Risonanze nel web ZBIGNIEW KARKOWSKI PAOLO ANGELI Uno dei suoi progetti più importanti: Su Paolo Angeli: www.sensorband.com www.thanitart.com/paoloangeli Il festival diretto dal musicista: ZEITKRATZER www.isolecheparlano.it Il sito ufficiale dell’ensemble Sito ufficiale: berlinese: www.zeitkratzer.de web.tiscali.it/paoloangeli/index2 KEITH TIPPETT ANTONELLO SALIS Informazioni e discografie: Un’intervista (in francese): www.shef.ac.uk/misc/rec/ps/efi/musi- lejazz.simplenet.com/ cian/mtippett 06/fr/files/salis.html oppure perso.club-internet.fr/ calyx/mus/tippett_keith LIVIO TRAGTENBERG Dave Douglas String Group Ned Rothenberg Double Band Linguistic Research Laboratory (David Shea/Frank Schulte/Otomo Yoshihide) Elliott Sharp/Zeena Parkins “Psychoacoustics” Peter Blegvad/Chris Cutler/John Greaves Fred Frith Guitar Quartet Jamaaladeen Tacuma “Brother Zone” Mark Dresser/Anthony Coleman/Chris Speed “Movie Show” 1997 ROVA Saxophone Quartet (Bruce Ackley , Steve Adams, Larry Ochs, Jon Raskin) Terra Arsa (Gianni Gebbia/Miriam Palma/Vittorio Villa) Jamaaladeen Tacuma “Brother Zone” featuring Marc Ribot Mike Westbrook/Kate Westbrook “Stage set” Steve Piccolo’s Hilarity Workshop featuring Elliott Sharp & Zeena Parkins Iva Bittovà/Vladimir Vaclave? Marie Goyette/Dagmar Krause Annie Gosfield/Roger Kleier Bob Ostertag/Jon Rose “The Crow” Per saperne di più LOU REED sulla figura di Dick Higgins: Il sito ufficiale: www.loureed.org www.fluxus.org/FLUXLIST/higgins Il sito italiano: www.loureed.it PHILL NIBLOCK Il sito della Experimental Intermedia: www.experimentalintermedia.org La guida web per saperne di più su Niblock: www.geocities.com/ SoHo/Exhibit/2730 LARRY OCHS Il sito di Ochs e del Rova Saxophone Quartet: ALTRI PERCORSI www.rova.org Per saperne di più Il sito di Risonanze: sul batterista Scott Amendola: www.provincia.venezia.it/vortice www.scottamendola.com Notizie e informazioni Comune di Venezia, Cultura e sulla scena impro di San Francisco: Spettacolo: www.bayimproviser.com/default www.culturaspettacolovenezia.it NEXUS La rivista BlowUp on line: Notizie e discografie su Tononi, www.blowupmagazine.com Cavallanti e molti altri jazzisti italiani: www.ijm.it Di molte delle musiche che ascoltate a Risonanze parla anche (in inglese), la rivista Wire: www.thewire.co.uk 1998 John Greaves I.S.O. (Otomo Yoshihide/Ichiraku Yoshimitsu/Sachiko Matsubara) ROVA Saxophone Quartet (Bruce Ackley , Steve Adams, Larry Ochs, Jon Raskin) K-Space (Ken Hyder/Tim Hodgkinson/Gendos Chamzyrin) Sephardic Tinge (Anthony Coleman, Ben Street, Mike Sarin) Ellery Eskelin/Andrea Parkins/Jim Black What We Live featuring Wadada Leo Smith (Lisle Ellis, Larry Ochs, Donald Robinson, Wadada Leo Smith) Paolo Angeli “Linee di fuga” Carl Stone 1999 The Danubians (Csaba Hajnoczy, Gaby Kenderesi, Amy Denio, Pavel Fajt) Dave Douglas Tiny Bell Trio (Dave Douglas, Brad Shepik, Jim Black) Nicolas Roseeuw Ortekè Ossatura (Maurizio Martusciello, Fabrizio Spera, Luca Venitucci, Elio Martusciello) Veryan Weston/Lol Coxhill/Enzo Rocco Otomo Yoshihide’s New Jazz Quintet Mark Trayle Marc Ribot Evan Parker/Walter Prati 2000 Kletka Red John Lindberg Ensemble OPUS (Thurston Moore/Giancarlo Schiaffini/Walter Prati) Gaby Bultmann/Astrid Nielsch Dave Dougles Sextet Markus Hinterhauser/Robyn Schulkowsky/Olga Neuwirth John Tilbury/Michael Parsons David Shea & Nuestra Signora Ensemble Logos Ensemble Steve Piccolo’s Hilarity Workshop Blixa Bargeld Elliott Sharp Ned Rothenberg/Anthony Coleman A Short Apnea 2001 Stefano Scodanibbio Beckett/Feldman - Words and Music, Compagnia Teatrale D.A.F./Laboratorio Novamusica Carlo Actis Dato/David Murray Elena Casoli Trionacria (Roy Paci, Gianni Gebbia, Francesco Cusa) Erik Friedlander “Topaz” Peter Kowald Jim Black Alasnoaxis (Jim Black, Hilmar Jensson, Skuli Sverrisson, Chris Speed) XAXA (Sebi Tramontana, Phil Wachsmann, Paul Lovens, Mats Gustafsson) Ben Allison Medicine Wheel (Ben Allison, Michael Blake, Frank Kimbrough, Ron Horton, Mike Sarin) Bob Ostertag/Pierre Hébert ROVA Saxophone Quartet (Bruce Ackley , Steve Adams, Larry Ochs, Jon Raskin) Steve Piccolo - Expedition/Derive (Steve Piccolo, Luca Gemma, Gak Sato, Armin Linke) Frank Gratkowski Quartet (Frank Gratkowski, Wolter Wierbos, Dieter Manderscheid, Gerry Hemingway) Elliott Sharp/Steve Piccolo Jon Rose/Veryan Weston/Shelley Hirsch :orientamenti Il magazine-guida del COMUNE DI VENEZIA BENI E ATTIVITÀ CULTURALI CULTURA E SPETTACOLO n.1 - Marzo 2002 - Anno I Supplemento al periodico Venezia News, n. 57 Marzo 2002 - Anno VI Aut. del Tribunale di Venezia n. 1245 del 4/12/1996 Venezia, 1 marzo 2002 un progetto a cura di Massimo Macaluso, responsabile del Servizio Iniziative Culturali tel. 041-2747605/15 www.culturaspettacolovenezia.it :venews magazine-guida di venezia e del veneto Direttore editoriale Massimo Bran Direttore responsabile Valentina Bezzi Grafica Marika Vettori Testi a cura di Enrico Bettinello, Massimo Ongaro dell’Associazione Culturale Vortice :informazioni RISONANZE Comune di Venezia Beni e Attività Culturali - Cultura e Spettacolo Vortice Associazione Culturale Direzione artistica Massimo Ongaro e Stefano Bassanese BIGLIETTI: Ingresso unico € 8,50 Ufficio stampa e accrediti: Enrico Bettinello [email protected] Concerto del 22 marzo: Ingresso unico € 10 Concerto del 20 marzo, Teatro Malibran: Ingresso € 26, € 22, € 18 Ministero dei Beni Culturali - Dipartimento dello Spettacolo Provincia di Venezia - Assessorato alla Cultura Fondazione Teatro La Fenice Venezia Istituto Universitario di Architettura di Venezia - Senato degli Studenti Comune di Venezia - Archivio Giovani Artisti INFORMAZIONI: Associazione Culturale Vortice [email protected] www.provincia.venezia.it/vortice Teatro Fondamenta Nuove Cannaregio 5013 - Venezia tel. 041.5224498 PREVENDITE: Circuito Box Office Triveneto tel. 041.940947, tel. 045.8011154 www.boxoffice.it [email protected] Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia Teatro Fondamenta Nuove Con la collaborazione di Epson Italia Lufthansa AG Radio 3 RAI Teatro Malibran Campiello Malibran-Venezia tel. 041-786511/786601 Comune di Venezia, Cultura e Spettacolo tel. 041.2747609, fax 041.2747619 [email protected] Prenotickets: vendita telefonica, consegna biglietti a domicilio e pagamento con carte di credito, h 16.00/18.30 dal lunedì al venerdì, tel. 041.940200 Presso le biglietterie un'ora prima degli spettacoli. Hanno collaborato Gino Dal Soler, Tony Herrington, Stefano Zenni Traduzioni Enrico Bettinello Foto di copertina Timothy Greenfield-Sanders Recapito Redazionale Cannaregio 77 - 30121 Venezia tel 041-714888/fax 041-2758350 e-mail: [email protected] Stampa Tipografia Nuova Jolly di Bastianello Ivano - V.le dell’Industria 28 Rubano (Pd) - Tel. 049-8977030 © Edizioni Venezia News di M. Bran