Lezione 2 Migrazioni, multiculturalità e politiche dell`identità

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CORSO DI AUTOAPPRENDIMENTO PER VOLONTARI IN PARTENZA
Area intercultura
Lezione 2
Migrazioni, multiculturalità e politiche dell’identità
In questa lezione, ci occuperemo di un tema diventato di straordinaria
rilevanza e attualità in questi ultimi anni: il nesso tra migrazioni,
multiculturalità e politiche dell’identità. Cerchiamo innanzitutto di comprendere
la natura del problema. Che le migrazioni di oggi abbiano caratteristiche
notevolmente diverse da quelle del passato anche più recente è ormai noto a
tutti. Analizziamo ora specificamente questi elementi di novità.
(a) Le migrazioni hanno oggi assunto il carattere della normalità, di un
fenomeno strutturale. Globalizzazione e migrazioni sono le due facce della
stessa medaglia e, per questo, sbagliano coloro che pensano che il
fenomeno migratorio sia destinato ad assestarsi nei prossimi tre-quattro
anni. Il processo di globalizzazione, infatti, non crea soltanto un mercato
globale della finanza e dell’economia, ma anche un mercato globale del
lavoro, al cui interno le persone tendono a muoversi con libertà e flessibilità
da un Paese all’altro alla ricerca di attività lavorative.
(b) L’immigrato di ieri presentava un comportamento tipico: dopo essersi
acclimatato nel Paese che lo ospitava, mostrava un forte desiderio di
integrazione nella nuova realtà. L’immigrato di oggi, invece, è fiero di
mantenere la propria radice, la propria appartenenza culturale e rivendica la
propria identità a livello pubblico. Gli immigrati oggi sembrano voler
mantenere una sorta di doppia identità, quella del Paese di provenienza e
quella del Paese in cui ci si inserisce.
Queste due novità del processo migratorio di oggi pongono nuovi
interrogativi. Come conciliare il rispetto dell’identità dell’immigrato con la
salvaguardia dell’identità del Paese ospitante? Come configurare il rapporto
tra multiculturalità ed identità? Come fare in modo che il rispetto delle
identità dei singoli e dei gruppi non diventi elemento di confusione, di
conflitto a livello sociale, politico, culturale?
- Una volta riconosciuto che lo scarto crescente tra cittadinanza economica e
cittadinanza socio-politica non è più tollerabile, quali vie è opportuno
intraprendere al fine di accorciare questo divario? Mentre si riconosce
all’immigrato il diritto di cittadinanza economica (perché dell’immigratolavoratore si ha bisogno), non è invece altrettanto scontato il riconoscimento
all’immigrato della cittadinanza sociale, cioè di tutti quei diritti di welfare che
sono riconosciuti ai cittadini nazionali, e della cittadinanza politica, cioè del
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diritto a partecipare ai processi decisionali di tipo democratico a livello locale e
nazionale. Non si può continuare a lungo a mantenere separate queste diverse
forme di cittadinanza, per evitare pericolose forme di conflitto; ma, d'altra
parte, in che modo occorre procedere al fine di avvicinare tra loro tali differenti
tipologie di cittadinanza?
- Quale modello di integrazione proporre per evitare di ricadere
nell’assimilazionismo o nell’emarginazione?
È il modello dell’integrazione interculturale, di cui esponiamo i cinque
principi fondativi.
I.
Il primo principio afferma il primato della persona su Stato e comunità.
Che la persona abbia il primato rispetto allo Stato è ormai acquisito,
almeno nella cultura del mondo occidentale. Ma con la stessa forza va
affermato anche il primato della persona rispetto alla comunità, principio
in base al quale è la persona a scegliere la propria identità, anziché
essere scelta.
II.
Il secondo principio afferma la tutela e il riconoscimento delle culture
anche a livello della sfera pubblica. La persona non vive nel vuoto
pneumatico, ma opera all’interno di una comunità di riferimento,
comunità che è scelta dalla persona. Ciò significa che la piena
realizzazione dell’identità personale non può limitarsi al semplice rispetto
dell’altrui libertà, ma presuppone anche il riconoscimento di quella
relazionalità forte che unisce una persona all’altra. Prendere in seria
considerazione l’opzione personalista vuol dire non soltanto riconoscere
all’individuo in quanto tale il diritto di esprimere le proprie opinioni nella
sfera pubblica, ma vuol dire riconoscere anche ai gruppi, ai quali
liberamente l’individuo decide di appartenere, gli stessi diritti di
espressione.
III.
Il terzo principio afferma la neutralità dello Stato nei confronti delle
culture portate da coloro che in esso risiedono. Principio di neutralità
equivale a principio di laicità. Ma il principio di neutralità non può essere
confuso con il principio di indifferenza, come molto spesso accade. Lo
Stato laico, cioè neutrale, non deve privilegiare una cultura rispetto ad
un’altra, deve essere uno Stato equo, non di parte, ma non può essere
indifferente rispetto alle diverse culture. Di fronte a culture che negano
alcuni fondamenti, alcuni elementi che garantiscono non soltanto la
coesione sociale, ma anche la piena affermazione dei diritti, lo Stato non
può essere indifferente. Quindi lo Stato deve essere neutrale, cioè laico,
ma non indifferente, perché l’indifferentismo è figlio del relativismo
culturale.
IV
Il quarto principio del modello dell’integrazione interculturale prevede la
concordanza delle culture presenti nel Paese sui valori che sono a
fondamento dei Diritti dell’Uomo. Si tratta di un nucleo di valori che ogni
cultura presente in uno Stato deve saper rispettare. Il Paese che accoglie
migranti provenienti da altre culture, per l’ammissibilità al dialogo
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interculturale, chiede ad essi il riconoscimento di quel nucleo di diritti che
si è soliti ormai indicare come i Diritti dell’Uomo.
Sorge spontanea una domanda: poiché non è mai lecito giudicare una
cultura servendosi di un’altra come unità di misura, e poiché i diritti
universali dell’uomo sono un’acquisizione (recente) della cultura
occidentale, non c’è forse il rischio che il quarto principio conduca
all’imperialismo culturale? La nozione di diritti umani non è legata
all’Occidente, anche se questo è il luogo della nascita delle carte dei diritti.
Il contenuto di tali diritti non è specifico di una determinata cultura, anche
se è vero che c’è oggi un modello culturale dei diritti umani che è
dominante, quello occidentale appunto.
È dunque l’accettazione da parte di chi è portatore di una particolare
cultura di tale nucleo di valori che marca la soglia al di sotto della quale
non è possibile accogliere alcuna legittima richiesta di riconoscimento a
livello istituzionale, cioè pubblico, per quella cultura.
D’altro canto, al di sopra di tale soglia occorre distinguere ciò che è
tollerabile da ciò che è rispettabile, da ciò che è condivisibile. Questi tre
livelli - tollerabilità, rispettabilità e condivisibilità - implicano giudizi
espliciti di valore nei confronti di chi è portatore di culture diverse. Occorre
una forte capacità di discernimento per comprendere fino a che punto ci si
può spingere nel riconoscere in chi è portatore di culture diverse ciò che è
tollerabile, ciò che è rispettabile, ciò che è condivisibile.
V.
Nei confronti delle culture che non sono in grado di garantire il rispetto dei
diritti fondamentali dell’uomo, il Paese ospitante deve applicare il
cosiddetto principio della tolleranza condizionata, cioè deve destinare
risorse (monetarie e non) per aiutare i soggetti provenienti da quelle
culture a mettere in moto un processo evolutivo verso l’adesione a quel
nucleo di diritti fondamentali dell’uomo.
Questi cinque principi presi nel loro insieme configurano il modello che
chiamiamo dell’integrazione interculturale. Quali sono gli elementi che
depongono a favore di questo modello? Ne indichiamo brevemente tre.
-
Si tratta di un modello che fa chiarezza perché indica i parametri e i
comportamenti ai quali le istituzioni del Paese ospitante devono attenersi.
Nei confronti degli immigrati appartenenti a matrici culturali diverse non è
sufficiente affermare di volere il dialogo interculturale, ma bisogna
specificare i termini all’interno dei quali il dialogo può avvenire. Troppo
spesso confondiamo il dialogo con la conversazione.
-
Il secondo vantaggio è che questo modello tende ad integrare i soggetti che
provengono da culture diverse. Il modello multiculturalista non è un modello
di integrazione, è un modello che mantiene la separazione.
-
Un terzo vantaggio è che il modello dell’integrazione interculturale, se
opportunamente calibrato, consente di affrontare i problemi più urgenti e
scottanti della nostra società italiana. Pensiamo al problema del rapporto tra
Islamismo e Cristianesimo. Il principio della tolleranza condizionata (quinto
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principio) permette di pensare che è possibile realizzare forme di convivenza
perché questo modello favorisce l’evoluzione di quegli elementi culturali che
sono in contrasto con i diritti fondamentali dell’uomo.
Il modello di integrazione interculturale che abbiamo abbozzato è fondato
sull’idea del riconoscimento del grado di verità presente in ogni visione del
mondo, un’idea che consente di fare stare assieme il principio di uguaglianza
interculturale (che è declinato sui diritti universali) con il principio di differenza
culturale (che si applica ai modi di traduzione nella prassi giuridica di quei
diritti). L’approccio del riconoscimento veritativo, qui accolto, non ha altra
condizione se non la “ragionevolezza civica” di cui parla W. Galston: tutti coloro
che chiedono di partecipare al progetto interculturale devono poter fornire
ragioni per le loro richieste politiche; nessuno è autorizzato a limitarsi ad
affermare ciò che preferisce o, peggio, a fare minacce. Non solo, ma queste
ragioni devono avere carattere pubblico, - in ciò sta la “civitate” – nel caso che
devono essere giustificate mediante termini che le persone di differente fede o
cultura possono comprendere e accogliere come ragionevoli e dunque
tollerabili, anche se non pienamente accettabili o condivisibili. Solo così le
differenze identitarie possono essere sottratte al conflitto e alla regressione.
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