RITIRO SPIRITUALE 8.11.09 MONASTERO DI S. CHIARA – ATRI TEMA: PERFETTA LETIZIA Abbinamento: Lettera di S. Giacomo Apostolo I capitolo e FF 1836 sulla PERFETTA LETIZIA Le parole “perfetta letizia” sono state citate prima dall’apostolo S. Giacomo nella sua lettera, e, poi riprese da San Francesco d’Assisi mentre dettava a Frate Elia, tornando a S. Maria degli Angeli, e riportato sulle Fonti Francescane, cosa si doveva intendere con questi termini. E quanto ci riferiscono, sia l’apostolo che il Serafico Padre, va in totale controtendenza con quello che è per noi “perfetta letizia”. Apparentemente, essere “perfetti” è sinonimo di: precisione, ottimizzazione, ecc. ed essere “lieti” vuol dire per molti, felicità, armonia, contentezza, ecc. Ascoltando ambedue i brani, gli autori fanno ben notare che questi due termini, ci parlano di prove da superare per la Fede, per vedere fino a che punto arriva il nostro spirito di sopportazione, nel silenzio, senza lamentarci minimamente. E si deve attingere dalla pazienza, la forza necessaria per essere tollerante con chi ci è ostile. Questo dono della pazienza, se non lo abbiamo, bisogna domandarlo con fede a Dio, affinché ci venga concesso, non personalmente per noi, ma bensì, per ridonarla agli altri. La persona umile si esalti per la sua condizione, mentre il benestante si renda umile, perché la ricchezza svanisce. S. Giacomo ritiene beato l’uomo che supera la tentazione perché il Signore gli farà meritare la corona della vita, e ci ammonisce di non farci tentare, e che il male non viene da Dio, e che ognuno di noi, si fa attrarre e sedurre dalla propria concupiscenza. Così agendo, l’uomo rompe il suo rapporto con Dio per colpa del peccato, e facendosi peccatore si allontana dal Signore. S. Giacomo ci ammonisce sulla perfezione dei doni che Dio Padre fa a noi. Questi doni provengono dalla luce e tali rimangono, senza cambiamenti. Grazie a Dio, ognuno di noi esisteva già prima del concepimento nel seno materno e veniamo alla luce come sua primizia. In ambedue i brani viene trattato l’argomento dell’ira,(sentimento negativo che può essere paragonato al fango. Se ci macchiamo con il fango quando è ancora liquido e cerchiamo di togliere la macchia, non faremo altro che espanderla e farla infiltrare nel tessuto, mentre se avremo la pazienza di aspettare a che esso si asciughi, una volta secco, si toglierà facilmente.) Il sentimento dell’ira , se non ci si sbollenta e ci facciamo prendere dall’impulsività peggioriamo la situazione ed ci allontaniamo dalla ragione. S. Giacomo ci chiede di non inalberarci facilmente. Ci consiglia di riflettere e di far passare la rabbia con l’ascolto e con il dialogo, per sbagliare davanti a Dio. Mettendo da parte ogni sentimento impuro e basso, S. Giacomo ci invita a porgere l’orecchio alla parola di Dio che è stata seminata in noi e di aprirci alla salvezza divina. E non basta fare nostre le Sacre Scritture, ma metterle in pratica, perché chi osserva la legge perfetta e gli resta fedele, non da ascoltatore, ma da esecutore, riesce ad essere anche felice. E proprio in questi versetti che si riallaccia S. Francesco, nelle FF, perché è stato ed è tuttora il nostro modello di Vangelo vivente e ci ricorda di passare dalla vita al Vangelo e viceversa, proprio come in uno specchio. Anche S. Francesco è in controtendenza con il mondo di oggi,e spiegava a Frate Elia di avere lo spirito di umiltà e di sopportare le “bastonate” quando non si era riconosciuti, e non per questo arrabbiarsi, bensì tollerarle per Amore di Dio ed avere pazienza. Di sicuro non è facile per noi di avere questo grande spirito di sopportazione, ma vissuto con la luce della Fede saremo in grado di produrre la Pazienza. Dopo aver sofferto ogni genere di umiliazione, punizione e diffamazione avere ancora il coraggio di non mormorare, non pensare male degli altri, accettare di essere picchiati senza fiatare, soffrire la fame ed il freddo pungente tutta la notte, senza aver niente da ridire solo per amore di Dio ci vuole molta fede e la forza per prendere la propria croce e vivere la perfetta letizia come filosofia di vita spirituale, e come ci dice Padre Dionisio in alcune delle sue omelie, la pazienza nel sopportare, ci farà guadagnare quel gradino in più per andare in Paradiso. Gladys SANGIACOMO OFS – Silvi Marina PACE e GIOIA a TUTTI!!! Se Francesco tornasse in vita» scrive il predicatore della Casa pontificia, «non comincerebbe col parlarci di Madonna Povertà o di Fratello Sole ma di Gesù, radice e linfa della sua vita, quel Cristo che l’Europa d’oggi non sa più riconoscere» DI RANIERO CANTALAMESSA* « Dopo la mia morte – ha scritto Kierkegaard – non si troverà nelle mie carte una sola spiegazione di ciò che in verità ha riempito la mia vita. Non si troverà nei recessi della mia anima quel testo che spiega tutto e spesso di ciò che il mondo tiene per bagattelle, fa degli avvenimenti di enorme importanza per me» ( Diario, IV A, 85). Non si può dire la stessa cosa di Francesco d’Assisi. La spiegazione di ciò che ha riempito la sua vita, la parola che spiega tutto di lui, esiste ed è chiarissima; si tratta solo di raccoglierla. Non è vero che siamo sprovvisti di criteri oggettivi sicuri e lasciati al nostro arbitrio, in modo da fare di Francesco quello che piace a noi e rivestirlo dei panni di moda del momento, come avviene anche per Gesù. Francesco non è l’uomo di tutto e di niente, un 'ingrediente' con cui si dà un tocco di spiritualità a tutti i grandi ideali del mondo: Francesco patrono dei poeti (il «giullare di Dio»!), degli animalisti, della pace, dell’ecologia, della fratellanza universale e di non so quante altre cose. Intendiamoci: ognuno di questi titoli è pienamente meritato da Francesco, ma essi sono i frutti maturati sui rami dell’albero. Perché rifiutarsi sistematicamente di esaminare il tronco e le radici di questo albero e il terreno da cui succhia la linfa? In ciò, sì, che il destino di Francesco dopo la sua morte somiglia a quello che il filosofo citato prevedeva per se stesso: «Sempre quest’infame, ignobile cannibalismo, con il quale (come Eliogabalo mangiava i cervelli di struzzo) si divorano i pensieri dei morti, le loro opinioni, i detti, le impressioni. Ma per la loro vita, il loro carattere: no, grazie, con tutto questo non vogliamo avere a che fare» ( D iario X, 4, 537). Il terreno, la radice e il tronco dell’albero, per Francesco è la persona di Gesù Cristo! Egli è tutto per lui. È istruttivo un confronto tra la conversione di Paolo e quella di Francesco. L’una e l’altra sono state un incontro di fuoco con la persona di Gesù. Entrambi hanno potuto dire: «Per me vivere è Cristo» e «Non sono più io che vivo, Cristo vive in me» ( Fil 1,21; Gal 2,20); entrambi hanno potuto dire –Francesco in senso ancora più forte che Paolo: «Io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo » (Gal 6,17). a famosa metafora delle nozze di Francesco con Madonna Povertà che ha lasciato tracce profonde nell’arte e nella poesia, a cominciare da Dante, può essere deviante. Non ci si innamora di una virtù, fosse pure la povertà; ci si innamora di una persona. Le nozze di L Francesco sono state, come quelle di altri mistici, uno sposalizio con Cristo. La risposta di Francesco a chi gli chiedeva se intendeva prendere moglie («Prenderò la sposa più nobile e bella che abbiate mai vista») viene di solito male interpretata. Dal contesto, riferito dal Celano, appare chiaro che la sposa non è la povertà, ma il tesoro nascosto e la perla preziosa, cioè Cristo. È urgente raccogliere questo messaggio di Francesco agli italiani di oggi, e spiego il perché. Che posto occupa Gesù nella nostra società e nella nostra cultura? Penso si possa parlare, a questo riguardo, di una presenza-assenza di Cristo. A un certo livello – quello dello spettacolo e dei mass media in generale – Gesù Cristo è molto presente, addirittura una «Superstar». In una serie interminabile di racconti, film e libri, gli scrittori manipolano la figura di Cristo, a volte sotto pretesto di fantomatici nuovi documenti storici su di lui. Il Codice Da Vinci è l’ultimo e più clamoroso episodio di questa lunga serie. È diventato ormai una moda, un genere letterario. Si specula sulla vasta risonanza che ha il nome di Gesù e su quello che egli rappresenta per larga parte dell’umanità per assicurarsi larga pubblicità a basso costo. E questo è parassitismo letterario. a un certo punto di vista possiamo dunque dire che Gesù Cristo è molto presente nella nostra cultura. Se guardiamo, però, all’ambito della fede, al D quale egli in primo luogo appartiene, notiamo, al contrario, una inquietante assenza, se non addirittura rifiuto della sua persona. In cosa credono quelli stessi che si definiscono «credenti» in Europa e altrove? Credono, il più delle volte, nell’esistenza di un Essere supremo, di un Creatore, che esiste un «aldilà», una vita dopo morte. Gesù Cristo è in pratica assente in questo tipo di religiosità, mentre secondo il Nuovo Testamento la fede che giustifica l’uomo è soltanto la fede «in Gesù Cristo», nella sua morte e risurrezione. La persona di Cristo è assente in ognuno dei tre maggiori dialoghi in atto nell’attuale momento culturale: nel dialogo tra scienza e fede, perché in esso si discute se esiste un creatore o se il mondo è frutto del «caso e della necessità», non ci si interessa di Gesù Cristo; nel dialogo tra fede e filosofia, perché questa si occupa di concetti metafisici, non di personaggi storici; nel dialogo interreligioso, dove il nome di Gesù Cristo è ciò che distingue e dunque rigorosamente taciuto. è un episodio nel Vangelo che descrive l’attuale situazione del nostro Occidente in rapporto a Cristo: il rifiuto che Gesù incontrò tra i suoi a NaC’ zareth. La nostra Italia, e in genere l’Europa, sono, per il cristianesimo, quello che era Nazareth per Gesù: «il luogo dove è stato allevato» (Il cristianesimo è nato in Asia, ma è cresciuto in Europa, un po’ come Gesù era nato a Betlemme, ma fu allevato a Nazareth!). Noi corriamo oggi lo stesso rischio dei nazaretani: non riconoscere più Gesù. Più che per il rifiuto delle «radici cristiane» dell’Europa, c’è da preoccuparsi del rifiuto di Cristo! Nella descrizione delle battaglie medievali c’è sempre un momento in cui, superati gli arcieri, la cavalleria e tutto il resto, la mischia si concentrava intorno al re. Lì si decideva l’esito finale della battaglia. Anche per noi la battaglia oggi non è più intorno a questa o quella dottrina e virtù; è intorno al Re! e Francesco tornasse in vita, sono sicuro, che non comincerebbe col parlarci di «Madonna Povertà», di «fratello sole e sorella Luna», ma di Gesù Cristo e questi crocifisso. Uno dei primi ritratti del santo (a Greccio si conserva la copia dell’originale andato perduto) ci mostra Francesco che si porta un fazzoletto agli occhi in atto di asciugarsi le lacrime: così lo ricordavano i suoi contemporanei. Accanto al Francesco della perfetta letizia, è esistito un Francesco delle lacrime ed è quello che, forse, conosceremmo oggi se tornasse in vita. * frate minore cappuccino predicatore della Casa pontificia