settembre musica

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CITTÀ
DI TO R IN O
ASSESSORATO
PER LA CULTURA
giovedì 1 settembre 1988, ore 16
Santa Teresa
SETTEMBRE MUSICA
Quartetto Cleveland
Donald Weilerstein
Peter Salaff
James Dunham
Paul Katz
In collaborazione
con PUnione Musicale
di Torino
DIZIONE
Il Quartetto Cleveland ha debuttato al Festival di Marlboro nel
1969, esibendosi successivamente nelle principali sale concerti­
stiche mondiali e partecipando alle più note rassegne internazio­
nali. I musicisti che lo compongono sono, inoltre, impegnati
nell’insegnamento: tengono corsi regolari per musica da camera
e per giovani quartetti professionisti presso la Eastman School
of Music e durante la stagione estiva di Aspen insegnano e cura­
no “ master classes” al Center for Advanced Quartet Studies. Il
Quartetto ha in uso quattro preziosissimi strumenti fabbricati da
Antonio Stradivari e già appartenuti a Paganini.
Ludwig van Beethoven
(1770-1827)
Quartetto in si bemolle maggiore op. 18 n. 6
Allegro con brio
Adagio ma non troppo
Scherzo. Allegro
La malinconia. Adagio - Allegretto quasi Allegro
Charles Ives
(1874-1954)
Secondo Quartetto
Discussions. Andante moderato
Arguments. Allegro con spirito
“The Cali o f thè Mountains”. Adagio
Johannes Brahms
(1833-1897)
Quartetto in la minore op. 51 n. 2
Allegro non troppo
Andante moderato
Quasi menuetto, moderato - Allegretto vivace
Finale. Allegro non assai
Ludwig van Beethoven
Quartetto in si bemolle maggiore op. 18 n. 6
Gli anni 1792-1802, i primi che Beethoven trascorse a Vienna,
furono per il compositore tedesco densi di una serena creatività
e ricchi di successi, anni in cui i rapporti con il pubblico della
capitale austriaca furono ottimi, più di quanto lo sarebbero mai
stati in seguito, e in cui si intrecciarono quei legami con molti
esponenti delParistocrazia colta che sarebbero stati proficui, uma­
namente e finanziariamente, anche nei più difficili periodi a ve­
nire: legami di amicizia e di mecenatismo in cui spiccano i nomi
di nobili come Kinsky; Lichnowsky, Waldtein, Razumowsky e
quello del principe Joseph Max Lobkowitz, dedicatario dei Quar­
tetti op. 18 e in seguito della Terza, della Quinta e della Sesta
Sinfonia, del Quartetto op. 74 e del Triplo Concerto. Dilettante
di violino, ricchissimo, Lobkowitz manteneva a sue spese un’or­
chestra e un quartetto d’archi, dava frequenti concerti nel suo
palazzo e profondeva molte delle sue sostanze in opere di mece­
natismo: nel 1809, insieme con l’arciduca Rodolfo e il principe
Kinsky, sottoscrisse l’impegno di corrispondere a Beethoven 4.000
fiorini annui purché restasse a Vienna e non accettasse impieghi
fissi altrove.
Tra le composizioni di quel primo decennio viennese, tra musi­
che “ leggere” come danze tedesche e minuetti per orchestra, com­
posizioni “ di maniera” come il Settimino op. 20 e opere
innovative come le sonate per pianoforte dell’op. 10 e la Pateti­
ca, i sei Quartetti op. 18 si collocano, come ebbe a dire Giovanni
Carli Ballola, come la “ tesi di laurea” di Beethoven: definizione
azzeccata se si considera Tequilibrio tra una sostanziale fedeltà
alla tradizione haydniana, un certo piglio personale nell’inven­
zione tematica e una scrittura quartettistica che mette a profitto
le indicazioni di Haydn e Mozart per l’intreccio imitativo poli­
fonico delle parti e le rinnova con una più cangiante sfaccettatu­
ra dei ritmi e un’ancor maggiore indipendenza dei quattro
strumenti.
Il Sesto Quartetto venne portato a termine tra il 1799 e il 1800
e pubblicato, con il Quarto e il Quinto, nell’ottobre del 1801. Dopo
un primo tempo brillante e gradevole e un delicato adagio, so­
stanzialmente convenzionali, il valore di quest’opera va accrescen­
dosi negli ultimi due movimenti, uno Scherzo la cui genialità sta
negli sforzati, nelle sincopi, negli accenti in contrattempo e un
finale dalle espressioni contrastanti e dall’inconsueta struttura
formale: si apre con un Adagio cui lo stesso compositore appose
il titolo La malinconia e l’indicazione, in italiano, “ Questo pez­
zo si deve trattare con la più grande delicatezza” , la cui atmosfe­
ra di angosciosa perorazione lascia il posto alla spigliata allegrezza
di una danza in 3/8, culminante, dopo due brevi ritorni del tema
dell ’A dagio, in un precipitoso Prestissimo conclusivo.
Charles Ives
Secondo Quartetto
Solo da pochi anni l’Europa va scoprendo Charles Ives, pionie­
re della moderna musica statunitense, interessantissima figura di
compositore e personaggio che per molti aspetti incarna quell’alterità che il mondo culturale americano presenta rispetto al
nostro. Discendente da una famiglia di “ fondatori” , stabilitasi
nel Nuovo Mondo nel 1635, Ives era figlio di un capobanda di
Danbury che non temeva di lanciarsi in audaci sperimentazioni
sonore; iscrittosi nel 1894 all’Università di Yale, divenne allievo
di Orazio Parker, esponente di quella corrente denom inata Bo­
ston Classicists o New England Academicians di chiara deriva­
zione europea e più precisamente brahmsiana. Terminati gli studi,
segnati da continui e insormontabili contrasti con il maestro, Ives
scelse di dedicarsi professionalmente all’attività di assicuratore,
dedicando alla composizione i momenti liberi: la parte più co­
spicua della sua vasta produzione fu così concepita, durante il
ventennio 1898-1918, come una “ doppia vita” in margine all’at­
tività produttiva, in un totale isolamento dal mondo musicale
professionale e dal pubblico, senza che alcuna delle sue compo­
sizioni venisse eseguita in concerto.
Solo a partire dagli anni Trenta, quando già aveva smesso di com­
porre e si stava ritirando dagli affari, la sua musica iniziò ad avere
una certa circolazione e Ives divenne un punto di riferimento per
alcuni giovani compositori; arrivarono poi i riconoscimenti uf­
ficiali, quali il “ Premio Pulitzer” per la Terza Sinfonia nel 1947
e l’esecuzione della Seconda Sinfonia a New York, sotto la dire­
zione di Leonard Bernstein, nel 1951. Tre anni dopo Ives moriva
in seguito ad un intervento chirurgico.
Ives aveva ereditato dal padre il gusto per lo sperimentalismo e
la fede nei valori della tradizione statunitense. Egli anticipò molte
delle tecniche espressive e compositive delle avanguardie stori­
che europee e americane: il politonalismo e l’atonalità; l’uso dei
quarti di tono; l’asimmetria ritmica e la poliritmia; l’aleatorietà.
A questi aspetti si aggiunge, come dato caratteristico del suo lin­
guaggio, l’uso della citazione, che attinge ora alla tradizione colta
di estrazione europea, ora al patrim onio tradizionale america­
no, folklórico e religioso: le sue composizioni divengono così im­
magini caleidoscopiche di un mondo culturale composito e
multiforme, alla cui memoria storica concorrono apporti molte­
plici e cangianti.
Il Secondo Quartetto per archi venne scritto tra il 1907 e il 1913.
Come moltissime composizioni di Ives è impostato secondo un
“ programma” il cui enunciato pare parafrasare pittorescamente
l’immagine con cui Goethe aveva descritto un quartetto d ’archi
(“una amichevole conversazione tra quattro persone ragionevo­
li” ): “ Quartetto d ’archi per quattro uomini che conversano, di­
scutono, parlano di politica, si azzuffano, si stringono la mano,
tacciono, infine salgono lungo il fianco di una montagna per am­
mirare il firmamento”. Il linguaggio è politonale e il gioco delle
citazioni individua gli argomenti della conversazione e i perso­
naggi. Nel primo movimento (Discussioni) la conversazione as­
sume presto toni fortemente dissonanti e la comparsa di temi
popolari come Dixie e Marciando attraverso la Georgia sembra
indicare che l’oggetto del contendere sia la Guerra Civile. Nel se­
condo tempo (Argomenti), di estrema difficoltà tecnica, i perso­
naggi sono ulteriormente caratterizzati. Il secondo violino è
indicato nel manoscritto come “ Rollo Finck”, con probabile al­
lusione ad Henry T. Finck, noto critico musicale conservatore:
è suo compito di tentare di esporre dolcinate melodie rom anti­
cheggiami, ogni volta tacitato con violenza dai fortissimi rumoristici degli altri strumenti. La disputa culmina in un sovrapporsi
di citazioni tratte dal repertorio tradizionale americano e dal ba­
gaglio culturale middle-class (la Seconda Sinfonia di Brahms, la
Sesta di Ciajkovsky, la Nona di Beethoven). La concordia viene
definitivamente ritrovata nell’ultimo movimento (Il richiamo della
montagna) attraverso la ricerca comune della pace nella natura,
tra le note di un Big-Ben acutissimo e spettrale (il primo violino)
e dell’inno Più vicino a te, mio Dio (usato da Ives anche nella
coeva e fondamentale Quarta Sinfonia): Ives rivela qui, come in
molta della sua produzione, il suo credo nel trascendentalismo
di Emerson e di Thoreau, nell’onnipresenza divina e nella forza
rivelatrice della natura.
Johannes Brahms
Quartetto in la minore op. 51 n. 2
Al quartetto d’archi, così come alla sinfonia, Brahms arrivò tar­
di o, per meglio dire, solo nella piena m aturità trovò la sicurezza
necessaria per superare la soggezione che queste due forme gli
incutevano con il loro bagaglio di storia e di riferimenti beethoveniani. Distaccarsi dalla scrittura pianistica, fare a meno di quello
che era il suo strumento gli fu per molto tempo difficile: emble­
matica, a questo proposito, è la genesi del celeberrimo Quintet­
to con pianoforte op. 34 che, composto inizialmente per quintetto
d’archi, non soddisfece l’autore e venne trasformato dapprima
in sonata per due pianoforti e infine in quintetto per pianoforte
e archi.
Il lento approccio di Brahms al quartetto iniziò già nel 1853, po­
co dopo l’incontro con Schumann. Negli anni successivi la cor­
rispondenza brahmsiana riporta spesso accenni a progetti,
addirittura a movimenti già composti che però non soddisface­
vano il loro autore, oltre a considerazioni sulla difficoltà di que­
sto genere musicale. Le prime notizie precise su quelli che saranno
i due quartetti op. 51 risalgono al 1866 e sono rintracciabili nel
diario di Clara Schumann. Dopo altri anni di ripensamenti le
due opere furono portate a termine nell’estate del 1873, durante
una lunga vacanza trascorsa dal compositore in Stiria, nel vil­
laggio lacustre di Tutzing nell’autunno dello stesso anno veniva­
no pubblicate ed eseguite in pubblico a Vienna.
Fra i due quartetti op. 51 il secondo, in la minore, viene general­
mente considerato il più “ leggero”. In verità anch’esso, come quel­
lo in do minore, è improntato ad una nordica austerità di
espressione: solo l’ultimo movimento, in contrasto con i prece­
denti, presenta un vivace andamento “ zigano” che conduce ad
un finale trascinante. L’intera composizione è caratterizzata da
una grande bellezza dei temi, che si snodano liberi da rigide scan­
sioni, modificando continuamente gli accenti base delle battute
e da una palese ricerca di equilibrio e di perfezione formale: una
perfezione raggiunta anche quando, come nel caso del terzo e
del quarto movimento, gli schemi tradizionali vengono in parte
trasgrediti.
Rosy Moffa
leggere di musica
Per “leggere di Beethoven” in modo serio, il musicofilo italiano non ab­
bia esitazioni: punti direttamente sui volumi di Giovanni Carli Ballola
(1), e di Walter Riezler (2). Se poi vorrà approfondire il dato biografico
intimisticamente vissuto sotto la prospettiva dell’“eroe in pantofole”, con
altrettanta determinazione non esiti a puntare sull’indagine psicanaliti­
ca di Maynard Solomon (3) e sulla scelta epistolare di Alfredo Casella
(4). Per un’analisi particolareggiata dei Quartetti beethoveniani non ci
sono dubbi: o il Mila (5) o il Kerman (6).
Invece su Charles Ives, il “patriarca della musica americana”, in italiano
c’è ben poco da leggere; Gianfranco Vinay è l’unico punto di riferimen­
to: ha curato la voce enciclopedica sul D.E.U.M.M. (7) ed ha scritto un
interessante libretto che, ponendosi come ampliamento di una tesi di lau­
rea, svolge un discorso lucido e puntuale (8). Per una visione globale del­
l’argomento, in italiano c’è ancora il bel libro di Wilfrid Mellers (9), poi,
a cominciare dal Cowell (IO), tutto il resto è in inglese.
Per quanto riguarda Brahms, anche qui nessuna esitazione; a Claude Rostand (li) vadano tutte le preferenze: vita e opere sono analizzate senza
nulla tralasciare; c’è poi anche il Neunzig (12), ma sicuramente il con­
fronto non regge. Interessante invece la scelta epistolare di Hans Gal (13).
Infine, a parte i lavori del Martinotti (14) e de! Geiringer (15), l’editoria
italiana non offre molto di più.
Davide Caniino
(1) G. CARLI BALLOLA, Beethoven. La vita e la musica, Rusconi,
Milano 1985.
(2) W. RIEZLER, Beethoven, Rusconi, Milano 1978.
(3) M. SOLOMON, Beethoven. La vita, l’opera, il romanzo familiare.
A cura di G. Pestelli, Marsilio, Venezia 1986.
(4) A. CASELLA, Beethoven intimo, Sansoni, Firenze 1981.
(5) M. MILA, I Quartetti di Beethoven, Giappichelli, Torino 1968.
(6) J. KERMAN, The Beethoven Quartets, Knopf, New York 1967
(7) G. VINAY, Charles Yves, in “ Dizionario Enciclopedico Universale
della Musica e dei Musicisti”, diretto da A. Basso, “ Le Biografie”,
voi. Ili, UTET, Torino 1986.
(8) G. VINAY, L’America musicale di Charles Ives, Einaudi, Torino 1974.
(9) W. MELLERS, La musica del Nuovo Mondo. Storia della musica
americana, Einaudi, Torino 1975.
(10) H.S. COWELL, Charles Ives and his music, Oxford Univ. Press,
New York 1969.
(11) C. ROSTAND, Brahms, Rusconi, Milano 1986.
(12) H.A. NEUNZIG, Johannes Brahms, Discanto, Fiesole 1981.
(13) J. BRAHMS, Lettere, a cura di H. Gal, Discanto, Fiesole 1985.
(14) S. MARTINOTTI, Brahms, Fabbri, Milano 1980.
(15) K. GEIRINGER, Brahms. Sua vita e sue opere, Milano, Ricordi 1952.
La maggior parte dei testi indicati può essere consultata presso la Civica Bibliote­
ca Musicale “Andrea Della Corte” - Villa Tesoriera - corso Francia 192.
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