Gadi Luzzatto Voghera
Fonti e Storia
A partire dal 2002, la Direzione generale per gli archivi ha avviato una collaborazione con la
Survivors of the Shoah Visual History Foundation di Los Angeles (ora University of Southern
California Shoah Foundation Institute) l’istituzione culturale creata da Steven Spielberg per la
raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti alla Shoah. Si tratta della più grande raccolta esistente
di interviste audiovisive (circa 52.000, raccolte in 56 paesi e in 32 lingue diverse). Sono stati
intervistati testimoni della persecuzione fascista e nazista contro gli ebrei, gli omosessuali, i sinti e
rom e le vittime di esperimenti eugenetici, a partire dal 1933 e fino al termine della seconda guerra
mondiale. Fra loro, i sopravvissuti ai campi di concentramento e sterminio, le persone che si sono
salvate dall’arresto con la fuga o nascondendosi, chi li ha aiutati e soccorsi, appartenenti a
formazioni della resistenza, coloro che hanno liberato i campi e persone che, a diverso titolo, hanno
partecipato a processi per crimini di guerra.
433 di queste interviste sono in italiano e sono conservate, oltre che nell’archivio dell’Istituto presso
il Dornsife College of Letters, Arts & Sciences della University of Southern California, anche in
copia presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma. Il loro utilizzo come strumento di didattica è
fondamentale per affrontare nell'epoca del post-testimone la complessa dinamica della memoria
della persecuzione.
Gadi Luzzatto Voghera è dal 1 settembre 2016 il direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica
Contemporanea. Esperto di Storia degli ebrei nell’età moderna e contemporanea, ha tenuto tale docenza presso
l’Università Ca’ Foscari di Venezia, il Center for Italian and European Studies della Boston University a Padova e
l’Università di Padova. Ha inoltre tenuto la docenza del Master “Corso di Formazione in Conservazione e
Valorizzazione dei Beni Culturali ebraica epigrafici, archivistici e librari” dell’Università di Bologna. Dal 2010 è
docente di Storia (Senior Lecturer) presso il Boston University International Program di Padova e dal 2009 direttore
scientifico della Biblioteca Archivio “Renato Maestro” della Comunità ebraica di Venezia. È co-editor della “Biblioteca
Ebraica Italiana” (La Giuntina – Firenze) e della collana di studi ebraici “Toledoth” (Esedra editrice – Padova).
Membro del Academic Advisory Group del progetto “Judaica Europeana” (http://www.judaica-europeana.eu/) e del
comitato scientifico della “Rassegna Mensile di Israel”. Attualmente il suo lavoro si esplica, fra l’altro, nei campi della
gestione dei beni culturali e della museografia, della storiografia ebraica in Italia e in Europa nei secoli XIX-XX e della
didattica della Shoà e dell’Antisemitismo. Fra i suoi lavori principali G. Luzzatto Voghera – E. Perillo (eds.), Insegnare
e pensare Auschwitz, Franco Angeli, Milano 2004; Gadi Luzzatto Voghera, No distinction of race or religion. Rotary in
Italy, Jews, and the anti-Semitic persecution (1923-1938), Erredi grafiche editoriali, Genova 2013; Linee interpretative
nella
storia
della
Shoah,
in
“Nuova
Secondaria”
n.
5
2011
anno
XXVIII
(https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=explorer&chrome=true&srcid=0B8BTUqjqVdQOZTIwMjY3YTAtMTcyM
S00M2VjLWJjNDItM2ZlZGQ0NGVlYWIw&hl=en_US); Antisemitismo, Shoah e questioni di didattica, in U. Fortis
(ed.), Dall’antigiudaismo all’antisemitismo. L’antisemitismo moderno e contemporaneo, Silvio Zamorani editore,
Torino 2004, pp. 121-130.
Riccardo Marchis
La didattica della Shoah alla luce dell’insegnamento di Cittadinanza e
Costituzione. Riflessioni ed esperienze.
All’interno di una programmazione di storia e dell’intero curricolo disciplinare molte sono le scelte
tematiche operate dal Docente, ma non così numerosi gli elementi sul totale che si possano definire
insostituibili per rendere evidente il novum che si annuncia e per comprendere il “dopo”.
In un rapido elenco soggettivo e incompleto potrei indicare sull’asse del tempo: la rivoluzione
agricola del neolitico, la fondazione delle città, le scoperte geografiche, … ciascuno prosegua
l’elencazione.
A mio avviso la Shoah è tra questi per comprendere la stretta modernità, o meglio la crisi della /
nella modernità che si rivela in Auschwitz.
Molte le citazioni possibili che conducono a considerare A. come problema che interpella non solo
le nostre coscienze e la nostra cultura, ma l’insieme della società presente. Ne scelgo una di
parecchi anni fa di S. Baumann (Modernità e Olocausto,1989.trad. it. 1992):
“la Shoah [lui scrive Olocausto] fu pensato e messo in atto nell’ambito della nostra società razionale
moderna, nello stadio avanzato della nostra civiltà e al culmine dello sviluppo culturale umano:
ecco perché è un problema di tale società, di tale civiltà e di tale cultura. Per questo
l’autoassoluzione della memoria storica moderna è più di un’oltraggiosa noncuranza per le vittime
del genocidio. E’ anche il segno di una cecità pericolosa e potenzialmente suicida”.
Baumann intendeva sottolineare le potenzialità distruttive della modernità in particolari condizioni
[dittatura, guerre, occupazioni], non certo come condizione ineluttabile ma come possibilità e
individuando il carattere ambivalente del “progresso”.
Nella Shoah si evidenzia un paradigma dell’esclusione mai realizzato prima con un simile
dispiegamento di mezzi [ad esso contribuivano tutti gli strumenti più avanzati della moderna società
industriale: stato burocrazia, trasporti, fabbrica, ideologia e i suoi retaggi culturali : antisemitismo
cristiano e moderno, razziale] senza un fine strumentale; con scopo di rimodellamento sociale e
biologico ---> la razionalità strumentale del nazismo
Un paradigma che si può sintetizzare in alcune parole chiave e coppie oppositive che ricorrono
largamente (come concetti e significati) nell’opera monumentale di R. Hilberg (La distruzione degli
ebrei d’Europa 1999): inclusione / esclusione, noi /l’altro / confine (tra sé e l’altro), responsabilità
/inerzia, indifferenza, obbedienza assoluta
Sono parole queste che ricorrono come riferimento nella definizione di didattiche di costruzione
della cittadinanza che impegnano non solo contenuti (saperi), ma saper fare (abilità) e saper essere
(motivazioni, convinzioni) così come appare dalle indagini internazionali di tipo comparativo
sull’insegnamento dell’Educazione Civica e della Cittadinanza condotte da IEA (International
Association for the Evaluation of Educational Achievement). Cfr. rapporto 2009 all’indirizzo
http://www.invalsi.it/download/rapporti/iccs2009/Rapporto_ICCS_2009.pdf La quarta indagine è in
corso e il rapporto è in via di redazione.
… e sono parole chiave che si pongono in relazione con altre parole chiave, ossia quelle della
cittadinanza (attiva, responsabile) quali: Responsabilità, Condivisione, Autonomia, Consapevolezza
che rappresentano altrettante parole di riferimento delle didattiche costruttiviste (alla base di una
didattica per competenze).
E’ questo un legame che orienta la nostra attività nel campo dell’insegnamento / apprendimento di
Cittadinanza e Costituzione e che risulterà evidente dalla collocazione all’interno delle pagine
consultabili all’indirizzo http://cittadinanza.istruzionepiemonte.it/ ,a cura dell’Ufficio Scolastico
Regionale del Piemonte e dell’ISTORETO, dove comparirà a breve un “bottone” che rimanderà
alle attività della costituenda Rete delle Scuole sulla Shoah attenta a studiare le forme attraverso le
quali si è venuta a realizzare la “scandalosa enormità” di A.
Il riferimento al paradigma dell’esclusione realizzato nelle sue forme inedite e mostruose dal
nazismo è ineludibile, riteniamo, per chi voglia applicarsi nella realizzazione del suo opposto
attraverso l’inclusione, la parità di condizione e la costruzione degli strumenti per una piena
cittadinanza.
Curricolo di storia e educazione alla cittadinanza
La disciplina Storia e l’insegnamento “Cittadinanza e Costituzione” sono fortemente in relazione,
così come lo sono anche Citt. e Cost. e Diritto ed Economia, come è sottolineato dalla
documentazione ministeriale.
L’opportunità di trovare uno spazio ai temi della Shoah nel curricolo di storia anno per anno è un
orientamento condiviso in numerose realtà, non solo per effetto e nella prospettiva della GdM e
disegna un itinerario di formazione caratterizzato da elementi che tengono in conto le differenti
esigenze dell’età e la crescente complessità dei temi.
Per questa via è possibile, passando dalla scuola di base alle superiori , anche rivedere e integrare
sotto il profilo storiografico alcuni aspetti della storia europea (e non solo): e dunque vedere
- l’accumulo e l’esplosione
- la sconfitta e l’assopimento
- la ripresa del paradigma
E dunque analizzare il costituirsi delle premesse di A. attraverso un allargamento delle
periodizzazioni e degli spazi considerati: 1870-1945; 1914-45; [1848-1948]; [1925-1948]
l’analisi della fenomenologia di quella barbarie, o se si preferisce, “l’anatomia del crimine”
seguendo, ad esempio, la lezione di Raoul Hilberg oppure analizzare le ricadute all’interno di quel
paradigma (non ovviamente dell’intero paradigma) in aspetti della storia politica e sociale del
dopoguerra e del presente.
E’ quest’ultimo un aspetto che richiede una grande prudenza contro le banalizzazioni e le
comparazioni mal poste, ma che portano a considerare la necessità di possedere uno sguardo
denormalizzato, come sostenevano Jean Michel Chaumont e Yannis Thanassekos , nelle loro vesti
di ricercatore e direttore della Fondation Auschwitz di Bruxelles (Insegnare Auschwitz, 1993): un
esercizio essenziale per sapere riconoscere nella società di oggi i semi ancora operanti di quel
paradigma dell’esclusione che fu la Shoah, quanto meno per singoli suoi elementi costitutivi, non
certo nelle condizioni totalizzanti in cui fu attuato, appartenenti in modo inseparabile a quel
contesto di guerra e di dittature.
Secondo Thanassekos
«Contrariamente a quel che si pensa, la maggiore difficoltà pedagogica non consiste nell’analisi e
nella presentazione dell’universo concentrazionario come paradigma limite di questa
configurazione reificatrice dell’uomo, bensì nel fatto che, nel suo meccanismo elementare, tale
configurazione è presente e attiva nel funzionamento normale delle nostre società. […]Educare
contro il principio di Auschwitz significa dunque rintracciare, inseguire, in noi stessi e in tutte le
attività sociali le molteplici manifestazioni e infiltrazioni di questo genere di coscienza che degrada
gli altri e noi stessi – in modo insidioso e impercettibile – al rango di mezzi e cose».
Poste queste premesse indico quattro esempi, altrettante zone d’ombra nella storia recente dell’Italia
repubblicana, certamente non rischiarate dallo spirito e dalla norma della nostra Costituzione (e
molto a lungo) e che rimandano per contrasto a quanto scritto qui di sopra:
La condizione delle carceri nel dopoguerra (“Il Ponte”, numero monografico 1949, con introduzione
di Piero Calamandrei e n° speciale 1995). La riforma del sistema carcerario giunge nel 1978 a
modificare il codice carcerario del 1931 del Guardasigilli Rocco, rimasto sostanzialmente in vigore
Franco Basaglia lettore “infedele” di Se questo è un uomo (dal titolo dato da Massimo Bucciantini
ad un capitolo del suo, Esperimento Auschwitz (2011) ossia la condizione dei malati di mente negli
anni che precedono la riforma Basaglia
La condizione dell’HC in Italia e nella scuola  chiusura delle classi speciali e differenziali 1975
(disadattati, “falsi anormali”e bambini immigrati dal meridione)
La condizione di separatezza dei bambini ROM  le classi speciali sino al 1984 [Luca Bravi]
Se gli elementi qui enumerati rimandano a condizioni nelle quali veniva attribuito un minore grado
di umanità ai destinatari di quei provvedimenti / trattamenti ci sono motivi sufficienti per pensare
che nella nostra cultura e nella società intesa nel suo complesso siano stati presenti quei semi di cui
scriveva Thanassekos. E nel presente?
Lascio a chi ascolta una valutazione, tuttavia una prudenziale valutazione del presente fa
considerare la necessità di strumenti per la costruzione della cittadinanza.
I diversi approcci a Cittadinanza e Costituzione
Utilità delle diverse intenzioni e dei diversi orientamenti nel praticare Citt. e Cost.
L’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione si è posto, al suo sorgere, al crocevia delle
progettazioni didattiche dedicate all’esercizio delle virtù civiche (secondo i modelli consolidati
delle precedenti “educazioni”) e a quelle destinate a una più consapevole costruzione delle
competenze civico-sociali degli allievi.
Le numerose sperimentazioni e poi i progetti conseguenti al suo inserimento negli ordinamenti,
hanno mostrato rapidamente le più ampie potenzialità del nuovo insegnamento e le sue intersezioni
con le diverse aree disciplinari e con le competenze chiave dell’intero ciclo di studi. Competenze
non a caso dette anche “di cittadinanza”.
In un momento di profonda trasformazione e di crisi della società civile si ritiene utile proporre una
riflessione sui modi per consolidare Cittadinanza e Costituzione nei curricola, come un’ “antenna”
in grado di segnalare l’opportunità di perseguire la cittadinanza attiva e consapevole degli allievi.
Una meta educativa, questa, da avvicinare attraverso percorsi che la conducano dal piano delle
lontane finalità a quello degli obiettivi praticabili e verificabili, oggetto della progettazione per
competenze proposta dalle Indicazioni nazionali per i vari cicli.
Coordinatore delle attività formative e didattiche presso l'Istoreto, si è occupato di storia sociale della guerra e della
Resistenza attraverso ricerche e pubblicazioni (tra queste ultime Da sudditi a cittadini. Il Novecento nella storia di due
scuole torinesi: le elementari Margherita di Savoia e Padre Gemelli, in Per una storia della scuola a Torino [...], a cura
di V. Tucci, SEI, Torino 2011 e Il presupposto per tentare di cambiare. Dalle carte Alessandro Galante Garrone, in G.
Cottino – G. Cavaglià, Amici e compagni. Con Norberto Bobbio nella Torino del fascismo e dell’antifascismo, Bruno
Mondadori, Milano 2012). In campo didattico si è occupato di ricerche e iniziative sui temi dell'educazione alla
cittadinanza, delle didattiche documentali, di curricolo verticale di storia e dei temi connessi al Calendario civile.
Tra le pubblicazioni recenti in ambito formativo didattico: Un orizzonte di senso. Ripensare al curricolo alla luce di
“Cittadinanza e Costituzione”, a cura di Riccardo Marchis, Torino 2015; Dvd “Il sorriso della Patria” L’esodo
giuliano-dalmata nei cinegiornali del tempo. Immagini, schede e testimonianze sulla storia del confine orientale per gli
studenti di oggi. a cura di Riccardo Marchis, Enrico Miletto e Giulia Musso, Torino 2014; Cittadinanza e Costituzione.
Le parole, gli strumenti, i percorsi, a cura di R. Marchis e R. Marchisio, Torino 2013; Storia facendo. Spunti operativi
per un percorso di storia a partire dalla I classe, a cura di R. Marchis, Torino 2012; Le carte mancanti. Produzioni
didattiche e itinerari formativi nella documentazione della scuola, a cura di R. Marchis, Torino 2011.
Leonardo Piasere
L’antiziganismo.
Per una introduzione all’argomento si veda:
Che cos’è l’antiziganismo: https://antropologiaeteatro.unibo.it/article/view/2609/3273
Professore ordinario di Antropologia culturale presso l’Università di Verona, si occupa dei diversi processi che hanno
coinvolto e coinvolgono le minoranze culturali, focalizzandosi in modo particolare su Rom e Sinti. Il suo lavoro si
articola su uno spazio molto ampio che coinvolge il suolo nazionale, la dimensione europea e il Sud America. Fra i
numerosi incarichi attualmente rivestiti vi sono quello di direttore del Centro di Ricerche Etnografiche e di
Antropologia applicata (CREAa) dell’Università di Verona, Membro (e socio fondatore) della Società Italiana di
Antropologia Applicata e "Membre associé" dell’Institut d’ethnologie méditerranéenne, européenne et comparative
(Idemec), del Centro Nazionale di Ricerca Scientifica dell'Università Aix-Marseille, in Provenza. É stato docente in
numerosi atenei, italiani e stranieri, fra cui Trieste, Pisa, Firenze, Venezia, San Luis Potosì (Messico), Granada e
Sevilla. É direttore delle collane Romanes (collana di studi zingari); Etnografia sperimentale e Storia dell'Antropologia
(CISU, Roma) e di Antropologia (SEID Editori, Firenze). Insignito di diversi riconoscimenti fra cui il Premio Hidalgo
Internacional, Madrid (2002) e il Premio Amalipé romanó, Firenze (2006). Nel 2015 ha pubblicato L'antiziganismo,
Macerata, Quodlibet. ISBN 9788874627332 e Mariages romanès. Une esquisse comparative, Firenze, SEID. ISBN
978-888-9473788 Ed è autore della Presentazione e del saggio "Dora d'Istria, Karl Marx e gli zingari moldo-valacchi
della prima metà dell'Ottocento", in S. Pontrandolfo, L. Piasere (a cura), Italia romanì, vol. VI: Le migrazioni dei rom
romeni in Italia, pp. 187-224, Roma, CISU. ISBN: 9788879756297.
Alessandra Minerbi
Gli ebrei stranieri in Italia durante il fascismo.
I primi provvedimenti razziali del governo fascista nel settembre del 1938 riguardavano gli ebrei
stranieri. Il decreto legge del 7 settembre n. 1381 stabiliva il divieto «agli stranieri ebrei di fissare
stabile dimora nel Regno, in Libia e nei Possedimenti dell’Egeo»; la revoca della cittadinanza
italiana concessa a stranieri ebrei posteriormente al I gennaio 1919 e l’obbligo per coloro che al
momento della pubblicazione del decreto si trovavano nel Regno e che vi fossero giunti dopo il I
gennaio 1919 di andarsene entro sei mesi, allo scadere dei quali, se ciò non fosse avvenuto,
sarebbero stati espulsi. Colpire per primi gli ebrei stranieri significava colpire i più deboli fra gli
ebrei presenti nella penisola perché meno inseriti nel tessuto sociale, più semplici da individuare
isolare e perseguitare. Per gli ebrei stranieri – la maggioranza dei quali era giunta dalla Germania e
da altri paesi dell’est Europa sperando di trovare un rifugio dal crescente antisemitismo –
significava l’inizio di un nuovo, difficile pellegrinaggio in cerca di salvezza. Al momento della
promulgazione del decreto di espulsione vivevano in Italia circa 11.000 ebrei giunti dall’estero di
cui circa 2000 stabilitivisi prima del 1919; circa 9000 ebrei stranieri avrebbero dunque dovuto
lasciare l’Italia nei successivi sei mesi.
Dal 1933 la loro vicenda è legata soprattutto alla necessità di trovare una sistemazione per quanto
precaria, un lavoro, una stabilità. La vita quotidiana era resa ancora più difficile dall’isolamento.
L’italiano era sconosciuto ai più, le organizzazioni naziste si adoperavano con successo per evitare
che vi fossero contatti fra la comunità tedesca già residente in Italia e gli esiliati. La situazione dei
profughi nella penisola peggiorò nel corso degli anni, non solo perché i comitati dopo una prima
ondata di solidarietà facevano fatica a trovare ancora persone disposte a donare, ma anche perché
diminuivano le possibilità di esportare denaro. La difficoltà sempre ribadita nel corso degli anni di
trovare soldi era anche legata al fatto che per gli ebrei italiani solidarietà e timori andavano di pari
passo, non era possibile distinguere le une dalle altre. La solidarietà degli ebrei italiani -- convisse
in quei mesi con crescenti timori dovuti sia alle ricorrenti campagne di stampa sia al sentirsi, ben
prima della svolta delle leggi razziali, una minoranza non tutelata e garantita dal governo; grande
era la paura che tali arrivi potessero determinare una recrudescenza dell’antisemitismo. Le
persecuzioni in Germania, sebbene lontane, rievocavano un passato non troppo remoto di
emarginazione legalizzata e l’arrivo di numerosi profughi ne era la conseguenza più tangibile nella
realtà quotidiana, tali timori erano alimentati anche dalla stampa fascista che sottolineò
ripetutamente quali oscuri pericoli fossero legati all’arrivo degli stranieri.
Nel marzo del 1938 venne annessa l’Austria al Reich germanico e questo costituì un punto di svolta
nella politica antiebraica italiana e internazionale; l’Austria divenne infatti – grazie alla potente
macchina burocratica ed organizzativa che i gerarchi nazisti seppero mettere in atto – un “campo di
sperimentazione” per l’espulsione forzata degli ebrei.
Il rischio di un massiccio arrivo di profughi proprio nel momento in cui il governo italiano stava
approntando strutture e modalità per introdurre la legislazione persecutoria indusse il Ministero
dell’Interno italiano a decretare il 18 marzo il divieto generale di ingresso per gli ebrei austriaci,
lasciando aperte soltanto le vie di transito nell’interesse della navigazione. Questo blocco delle
frontiere costituì «la prima limitazione diretta espressamente contro gli emigranti ebrei,
preannunciando così un mutamento politico di fondo».
Nel settembre del 1938 le leggi razziali costituiscono una tragica svolta. Non era facile riuscire a
lasciare l’Italia perché è necessario trovare una nuova meta in un’Europa sempre meno disposta ad
accogliere i profughi.
La partenza si trasforma in una terribile partita contro i tempi della burocrazia e le incognite del
destino. Invece della progettata espulsione di massa vi furono allontanamenti individuali, in alcuni
casi anche alla frontiera tedesca. I ricchissimi fondi archivistici dei comitati di soccorso raccontano
in filigrana il crescente impoverimento, le difficoltà, le fatiche quotidiana.
Lo scoppio della guerra sancì un nuovo peggioramento della situazione degli ebrei stranieri. Il
Governo stabilì di chiudere tutti gli ebrei maschi in campi di concentramento. Coloro che erano
riusciti a rimanere con la propria famiglia vennero adesso divisi: donne e bambini furono mandati in
località di internamento libero. Tutti furono dunque privati della libertà di movimento e costretti a
vivere in situazione estremamente disagiate. Solo chi aveva tutti i documenti in regola per partire
veniva liberato e lasciava l’Italia.
Al momento della firma dell’armistizio c’erano ancora in Italia circa 10.000 ebrei stranieri.
L’occupazione nazista e l’estensione in Italia della soluzione finale segnarono l’ultimo atto di quella
ricerca di salvezza che in molti casi ebbe una tragica conclusione. Prime vittime di questa caccia
all’uomo, le percentuali dei deportati lo confermano, furono proprio gli ebrei stranieri che giunti in
Italia dalla Reich per trovare salvezza, vi ebbero invece un “rifugio precario” e caddero nuovamente
vittime, questa volta senza scampo, dei nazisti. Dall’Italia vennero deportati 6746 ebrei, degli ebrei
stranieri deportati uno su quattro, degli italiani uno su otto. Più isolati, con meno reti di legami
familiari e di amicizie, spesso poco padroni della lingua italiana proprio le prime vittime delle leggi
razziali italiane furono anche le prime vittime dell’attuazione della Shoah nella penisola.
Nata a Parigi, nel 1967, durante il suo percorso accademico si è specializzata in storia sociale Europea nel periodo tra
l’ascesa nazista e la Shoah. Dopo aver svolto il dottorato presso l’Università di Venezia, prende parte al gruppo di
ricerca su Ebrei e persecuzione razziale in Toscana, 1938-1943, ora pubblicata da Carocci Editore. Prosegue con una
borsa di post-dottorato presso l’Università di Trieste e una borsa rilasciata dal Governo Tedesco (DAAD) per un
soggiorno di specializzazione a Berlino presso la Technische Universität. Nel 1998 viene selezionata per partecipare al
corso di formazione della Survivors of the Shoah Visual History Foundation. Tra il 2000 e il 2002 le viene affidato un
contratto di insegnamento di Storia della Germania presso la Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Trieste.
Nello stesso periodo è coordinatrice redazionale della rivista cartacea e on line I Viaggi di Erodono (Bruno Mondadori
Editore) e responsabile, nominata dal CDEC, della sezione Il veleno delle parole. La stampa antisemita a Milano nel
1938 all’interno della mostra Memoria, a Milano. Nel 2002 viene nominata insegnante di ruolo con assegnazione di
cattedra presso una Scuola secondaria di primo grado a Cinisello Balsamo. Su incarico del CDEC cura la ricerca, la
redazione e la direzione della mostra nazionale La persecuzione degli ebrei nell’Italia fascista a Roma dall’ottobre 2004
e successivamente entra a far parte del gruppo di lavoro che deve redigere le linee guida del Museo nazionale
dell’ebraismo e della Shoah di Ferrara. Il rapporto con il CDEC si trasforma in una sua nomina all’interno del comitato
scientifico del Centro milanese, presso il quale del quale Alessandra Minerbi tiene e organizza corsi di aggiornamento
sulla Shoah e didattica della Shoah rivolta agli insegnanti delle scuole secondarie in varie sedi. Dal 2014 è vicepreside
dell’istituto comprensivo di Vona Speri di Milano.
Laura Brazzo e Anna Sarfatti
Le carte di Israel Kalk. Una storia di solidarietà da scoprire con i bambini
Il Fondo archivistico “Israel Kalk”, conservato presso la Fondazione Centro di Documentazione
Ebraica Contemporanea CDEC di Milano, testimonia una grandiosa opera di assistenza e sostegno
ai profughi ebrei, in particolare ai bambini, organizzata a Milano nel 1939 da un piccolo gruppo di
persone raccoltesi attorno a Israel Kalk. I documenti del Fondo (fra cui, testimonianze, lettere e
fotografie) restituiscono, fra le altre cose, uno spaccato della difficile condizione dei profughi a
Milano nel periodo 1939-1943 e, a partire dal 1940, degli internati nel campo di Ferramonti di
Tarsia. Allo stesso tempo consentono di riflettere sul potere della solidarietà e dell’impegno umano
profusi da Kalk e dai suoi collaboratori.
Attraverso questo laboratorio presentiamo agli insegnanti una selezione significativa di documenti,
arricchita da un corredo di strumenti che aiutano a interpretarli, e le indicazioni per un percorso
didattico, pensato per i bambini di quarta e quinta primaria.
Anna Sarfatti, che ha insegnato nella scuola dell’infanzia e primaria, scrive prevalentemente per giovani lettori. Ha
tradotto per Giunti i testi di Theodor Seuss, noto come Dott. Seuss. Molti suoi libri parlano di diritti e cittadinanza
attiva, tra questi: La Costituzione raccontata ai bambini, Mondadori 2006; Sei Stato tu? (con Gherardo Colombo),
Salani 2009; Fulmine un cane coraggioso.
La Resistenza raccontata ai bambini (con Michele Sarfatti), Mondadori 2011; I bambini non vogliono il pizzo,
Mondadori 2012; L’albero della memoria. La Shoah raccontata ai bambini (con Michele Sarfatti), Mondadori
2013. www.annasarfatti.it
Laura Brazzo, laureata in storia, dal 2012 è responsabile dell’Archivio storico della Fondazione CDEC e del progetto
di digitalizzazione degli archivi del CDEC (www.digital-library.cdec.it).
Luca Bravi
Rom e Sinti: la rappresentazione del diverso e dell’escluso.
Per una introduzione all’argomento si veda:
http://www.giuntiscuola.it/lavitascolastica/magazine/articoli/il-bambino-e-il-campione/
Alessandro Simoni
La discriminazione istituzionale dall’Unità ad oggi
La presentazione sarà volta a illustrare e discutere con i partecipanti le modalità attraverso le quali
la macchina del diritto degli stati moderni modifica il proprio funzionamente quando incontra
persone classificate come zingari, nomadi, rom o simili categorie. Spunti di discussione che non
presuppongono particolari competenze giuridiche possono essere trovati in un mio intervento del
2008 e in un interessante articolo di Sergio Bontempelli “L’invenzione degli zingari”