Ivo Lizzola Incerti legami. Orizzonti di convivenza fra donne e uomini vulnerabili, Brescia, ed. La Scuola 2012 Nella letteratura sociologica e e pedagogica, ma anche nella riflessione etica e teologica pastorale, si sottolinea la crisi dei legami e della forma istituita della relazione fra le persone. Una crisi certo legata a diversi fattori storici, personali e culturali, ma che richiede comunque la ricerca di un luogo da cui ripartire per riguadagnare la qualità umana delle relazioni. Non raramente, anche nel campo pastorale, si ritiene di dover fare appello all'impegno personale per tener fede e dare significato ai vissuti relazionali e alle responsabilità contratte con le persone. Tutto ciò non si può ignorare, nondimeno occorre cercare luoghi e condizioni che si presentino come buone opportunità per dare senso a legami e rapporti. Una di queste condizioni, significative e fondamentali dell'umano, è la fragilità e vulnerabilità. Le persone oggi, per l'esposizione alla globalizzazione socioculturale e per la peculiare rilevanza assegnata al momento emotivo individuale, vivono una forma particolare di limite umano che è il sentirsi vulnerabili di fronte alla complessità della realtà e alla possibilità di esclusione da processi di opportunità e di relazioni. Su tali situazioni riflette il saggio, scorrevole e stimolante, di Ivo Lizzola, ordinario di Pedagogia sociale e di Pedagogia della marginalità all'Università di Bergamo. L'interesse della sua riflessione sta, oltre che nell'evocare possibilità e spazi di umanità oggi, nel cogliere la fragilità degli uomini e delle donne di oggi come opportunità per ritrovare forme nuove di fraternità, cioè di legami che, senza ignorare il valore della soggettività, acquistino senso e praticabilità. Forse proprio la fraternità è la cifra più emblematica per dire le forme della relazione nel contesto contemporaneo. Lizzola parla di “una fraternità comune, di una fraternità in assenza: cioè fra persone che non vivono contiguità o presenza vicina... Una 'fraternità fra sconosciuti' caratterizza donne e uomini che danno vita a uno spazio comune di convivenza, in quanto donatori che ignorano i beneficiari, e non sono toccati dalla loro gratitudine. È una fraternità a monte dello scambio.” (p.83-84). Proprio “la precarietà persistente” nel processo del vivere e delle sue dimensioni umanizzanti possono e devono diventare luogo e spazio per una testimonianza – 'attestazione' sottolinea Lizzola – della promessa di bene che è inscritta nell'umano e nelle sue relazioni. Promessa la cui verità non si misura sugli effetti e sulle dimostrazioni stringenti ma è affidata a qual tipo particolare di agire che “è vicino al generare: in esso è richiamato il creare, certo, ma insieme al fare spazio, al sentirsi attesi, al coglier i segni... Attestare, a volte, è sapere bene che non si parteciperà dell'esito, che questo è parte della dimensione dell'offerta, del dono. Della testimonianza di sé: un'azione che diventa consegna, a volte avvio, solo qualche volta accompagnamento. Un agire che è un lasciare.” (pp.48-49). Fraternità e testimonianza vanno dunque strettamente insieme. In questa pubblicazione, dove l'agilità del discorso non toglie nulla alla ricchezza e al carattere invitante della riflessione sugli aspetti della condizione antropologica in chiave etico pedagogica, significativi sono gli spunti per rileggere anche i vari percorsi formativi dal punto di vista della vulnerabilità dell'uomo e nella prospettiva di una nuova relazionalità fraterna. La convinzione infatti del saggio è che solo rigenerando figure e immagini nuove di vita comune sarà possibile offrire speranza di una vita buona insieme (primo capitolo). E d'altra parte solo riconoscendo la capacità che abita la fragilità non nascosta, anzi pensata e elaborata attraverso una vera e propria antropologia (secondo capitolo) è possibile percorrere tali sentieri. Ecco perché infine (terzo capitolo) sarà necessario scoprire segni promettenti che sono presenti nella fragilità dell'oggi, segni di fraternità che autorizzano a ben sperare perché dicono che è possibile edificare tracce di convivenza buona proprio all'interno di legami incerti.